5
La politica dell’Australia Bianca, che venne abbandonata dopo la Seconda
Guerra Mondiale, aveva come obiettivo principale quello di preservare la
razza bianca e il sentimento anglofilo.
Era palese, dunque, una certa omogeneità della popolazione che per il 90%
era composta dai nativi australiani, che si consideravano britannici, e da un
numero consistente di immigrati di origine anglo-celtica; il forte
sentimento di anglofilia, che contraddistingueva la popolazione australiana,
comportò un rifiuto nei confronti dei gruppi di minoranza, soprattutto
quelli di origine europea-mediterranea, perchè erano visti come una
minaccia al retaggio del Paese. L’immagine dell’uomo australiano era
rappresentata dall’individuo bianco di origine anglo-celtica, il bushman
2
individualista (il termine ‘bush’ indica il territorio oltre le città della costa),
il sostenitore della classe operaia che si batteva per i propri diritti.
Questo forte legame con la Gran Bretagna si allentò con l’inizio della
Seconda Guerra Mondiale. In concomitanza dell’attacco di Pearl Harbour,
l’Australia si avvicinò agli Stati Uniti, dai quali ebbe un forte sostegno
politico ed economico. Il pericolo di invasione delle truppe giapponesi
contribuì a cambiare, anche se non radicalmente, l’atteggiamento xenofobo
nei confronti dell’immigrazione perché gli australiani si resero conto dello
svantaggio che un Paese poco popolato poteva avere in un periodo di
guerra.
Per far fronte a questo svantaggio, il Governo decise di mettere da parte
l’ostilità nei confronti della forza-lavoro straniera e nel 1945 istituì il
Department of Immigration
3
, che aveva come obiettivo principale
l’incremento della popolazione per mezzo di una politica assimilazionista,
2
Cfr. DAVIDSON R., Orme, Una donna e quattro cammelli nel deserto australiano, Universale
Economica Feltrinelli, Milano 2002, pag.20.
3
CASTLES, op. cit. pag. 69.
6
in grado di rendere la popolazione omogenea. Questa politica aveva delle
analogie con il concetto americano di melting pot. Il modello americano
prevedeva la ‘fusione’ degli immigrati col popolo americano tramite
alcune fasi graduali: il contatto, il conflitto, l’adattamento e infine
l’assimilazione. Il modello australiano, invece, si differenziava per alcune
caratteristiche; innanzitutto, si basava sulla selezione dei cosiddetti ‘tipi
desiderabili’ in base a criteri razziali ed etnici: in questo modo gli
immigrati britannici erano considerati in modo diverso rispetto agli
immigrati di origine europea; quest’ultimi, a loro volta, venivano
classificati in base alla loro origine nordica, orientale o mediterranea.
Molto importanti erano anche i criteri estetici, e dunque il colore della
pelle, dei capelli e degli occhi. In base a queste caratteristiche derivarono
tre tipi: i ‘tipi spledidi’ – la razza pura – erano i popoli baltici (lituani,
lettoni ed estoni), i ‘tipi desiderabili’ erano tutti coloro che avevano capelli
biondi e gli occhi chiari, mentre i ‘tipi indesiderabili’ – chiamati dagos o
wogs in senso dispregiativo – erano coloro che avevano i capelli bruni e
occhi scuri.
La concezione culturale australiana portava inoltre a pensare che gli
immigrati di origine nordeuropea fossero più istruiti e quindi più adattabili
allo stile di vita australiana.
Altre caratteristiche di questo modello di selezione degli immigrati erano
un maggior controllo statale sull’immigrazione e sui modi
dell’insediamento, l’assistenza agli immigrati e una concezione omogenea
della cultura anglo-australiana: gli immigrati si sarebbero inseriti senza
cambiare la società, anziché contribuire a crearne una nuova. La politica di
inserimento per i nuovi arrivati forniva una prima sistemazione, di solito in
alloggi vicino ai campi di lavoro o in case di accoglienza, e corsi di inglese
7
essenziale per aiutare gli immigrati a inserirsi nella nuova società. Gli
immigrati di origine sudeuropea, i meno considerati, furono impiegati
nell’industria pesante, meccanica e tessile, spesso alloggiati nei campi in
situazioni di grave disagio.
Il primo ministro dell’Immigrazione, il laburista Arthur Calwell,
4
cercò di
rassicurare soprattutto i sindacati sul fatto che i nuovi arrivati non
avrebbero sottratto il posto di lavoro ai cittadini australiani, ma sarebbero
stati destinati ai lavori più pesanti che gli stessi australiani rifiutavano di
svolgere. Invitò tutti i cittadini a non chiamare più gli immigrati con
termini dispregiativi come balts, raffos o dagos ma a considerarli i ‘nuovi
australiani’.
L’Australia si impegnò attivamente nel reclutamento di manodopera
immigrata e in questa occasione vennero aperti diversi uffici per
l’immigrazione nei paesi europei; nel 1946 fu creato un sistema di
classificazione per la manodopera specializzata con il Tradesmen’s Rights
Regulation Act. Questo sistema, però, tendeva ad agevolare ed incentivare
la forza-lavoro britannica discriminando quella sudeuropea; i lavoratori
sudeuropei non avevano la possibilità di scegliere: anche se erano
specializzati venivano impiegati in mansioni generiche, un po’ per la
difficoltà a comprendere la lingua inglese ma principalmente perché
venivano considerati inferiori.
L’intolleranza australiana nei confronti dei nuovi arrivati portava a dei
problemi di comunicazione e di relazione non indifferenti:
5
alcuni
australiani si rifiutavano, per esempio, di imparare i nomi propri degli
stranieri e ricorrevano a dei soprannomi, altri non volevano che gli
4
CASTLES, op. cit., pagg. 263-265.
5
CRESCIANI G., L’Australia gli australiani e la migrazione e la migrazione italiana, Franco de Angeli,
Milano 1984.
8
immigrati anglicizzassero ufficialmente i loro nomi perché potevano
fingere di non essere stranieri. Il Ministero per l’Immigrazione, a tal
proposito, diede la possibilità agli immigrati di cambiare nome,
scegliendone uno tra quelli approvati dal Ministero; chi manteneva il nome
originale doveva adottare una grafia inglese, che doveva essere distinta dai
nomi inglesi, utilizzabili solo dai anglosassoni.
Alla fine degli anni Settanta la politica dell’Australia Bianca, a causa delle
sue discriminazioni razziste, non poteva più sussistere in quel contesto
plurietnico.
Si cominciò a capire che senza questo sostanziale flusso migratorio
l’Australia non avrebbe potuto mai raggiungere il successo economico che
si basava, per l’appunto, sulla forza-lavoro degli immigrati.
Il Governo australiano intraprese grandi riforme, riducendo la dipendenza
dagli Stati Uniti e rinunciando definitivamente alla politica dell’Australia
Bianca per avvicinarsi a un modello multietnico. Purtroppo, a questo spirito
innovatore seguì una recessione economica mondiale che comportò un
abbassamento del tenore di vita.
Proprio in questi anni, il fiorente flusso migratorio, che dagli anni
Cinquanta aveva fatto aumentare la popolazione del giovane continente,
calò drasticamente. La recessione fece aumentare i tassi d’interesse sugli
immobili e di conseguenza diminuire la possibilità di avere una casa di
proprietà; per questo motivo, gli emigranti non trovarono più conveniente
andare a trovare lavoro dall’altro capo del mondo. Fu un durò colpo per il
Governo australiano che, nel frattempo, si era convinto ad adottare una
nuova politica non discriminatoria: questa portò a un aumento degli
immigrati asiatici, che negli anni 1982-83 balzarono al primo posto
superando gli britannici e i neozeolandesi.
9
L’abbandono di restrizioni permise l’ingresso di manodopera specializzata
da Libano, India, Israele e Giappone.
Tra il 1945 e il 1989 si stabilirono in Australia permanentemente 4,8
milioni di persone. Si elencano sotto i dieci più importanti paesi di
provenienza con la percentuale sul flusso totale:
6
Regno Unito (compresa l’Irlanda) 41,2%
Italia 8,5%
Grecia 5,1%
Jugoslavia 4,2%
Nuova Zelanda 3,9%
Olanda 3,7%
Germania 3,2%
Polonia 2,4%
Vietnam 2,0%
Stati Uniti 1,7%
Come si può notare dalle percentuali, il gruppo italiano è il secondo dopo
quello anglo-celtico. Per quanto riguarda la composizione del flusso
migratorio, la prima immigrazione postbellica ha interessato soprattutto gli
uomini, nonché la forza-lavoro attiva. Questo iniziale squilibrio tra i due
sessi fu sanato dal Governo australiano: la presenza di un ampio numero di
uomini soli era vista come una minaccia all’ordine sociale e incentivare
l’emigrazione delle donne significava la possibilità di ‘allargare’ le
famiglie.
Questi fenomeni di massa, chiamati ‘catene migratorie’
7
, furono favoriti dal
Governo australiano per salvaguardare la crescita della popolazione e
l’espansione del mercato della giovane Australia. Il programma di
immigrazione e la trasformazione demografica erano nati, inizialmente, per
6
Per i dati del grafico si consulti CASTLES., op.cit., pag. 321.
7
Ibidem pag. 362.
10
difendere l’Australia dalla minaccia di invasione dei giapponesi durante la
Seconda Guerra Mondiale, invece, il risultato fu la definitiva interruzione
del rapporto di sudditanza con la madrepatria britannica; in questo modo la
crescente eterogeneità etnica portò a ridefinire l’identità australiana. Il
tentativo della politica assimilazionistica, basata sulla convinzione che
qualsiasi europeo si sarebbe convertito allo spirito anglo-australiano
abbandonando le proprie tradizioni, non funzionò. Gli immigrati
contribuirono a trasformare la società australiana in continuo mutamento
quasi inconsapevolmente.
1.1.1. Il fenomeno dell’emigrazione italiana
Le grandi migrazioni di massa, soprattutto da parte degli italiani, hanno
avuto luogo prevalentemente tra il 1950 e il 1960.
8
Tra il 1947 e il 1976 emigrarono oltre 360.000 italiani, di cui 280.000
rimasero stabilmente per una serie di motivi: la facilità dell’insediamento
definitivo incentivato dal Governo australiano, l’emigrazione a catena –
che prevedeva lo spostamento di intere famiglie – e l’eccessiva distanza
dalla madrepatria, che non permetteva frequenti ritorni. Il grafico
9
di
seguito mostra l’andamento dell’emigrazione italiana nel periodo tra il
1947 e il 1987:
8
I riferimenti di questo paragrafo sono tratti da CRESCIANI G., op. cit., pagg. 80-110.
9
Per i dati del grafico si consulti CASTLES., op. cit. p. 82.
11
140
100
60
20
1947 1951 1955 1959 1963 1967 1971 1975 1979 1983 1987
Il programma di immigrazione postbellica in Australia fu agevolato anche
dagli Stati Uniti, i quali preferirono contribuirvi economicamente piuttosto
che vedere aumentare il numero degli immigrati nel loro Paese. Il rifiuto
sociale per gli italiani, che rientravano nella categoria ‘tipi indesiderabili’,
spesso si manifestava con atti violenti da parte dei cittadini australiani.
Solo verso la fine degli anni Quaranta si pensò di iniziare a reclutare gli
italiani settentrionali perché, secondo la convinzione australiana, erano più
vicini alla razza bianca. Le mansioni lavorative erano classificate in base
all’etnia e al genere sessuale. Il rifiuto di riconoscere le qualifiche
professionali, l’isolamento in zone decentrate e la mancanza di istruzione
portarono gli immigrati a formare veri e propri ghetti. L’economia conobbe
un fiorente sviluppo negli anni Cinquanta con lo sfruttamento delle risorse
minerarie e la costruzione di grandi progetti infrastrutturali: un esempio fu
lo Snowy Mountains Scheme
10
che realizzò un gigantesco bacino
10
CASTLES., op. cit., pag. 247.
12
idroelettrico sul fiume Snowy. Chi lavorava a questo progetto aveva uno
stipendio superiore rispetto a qualsiasi altro lavoro, inoltre la manodopera,
quasi esclusivamente maschile, era alloggiata nei campi vicino al bacino
permettendo agli immigrati di risparmiare una quota di salario. Questo,
sicuramente, offriva un vantaggio per coloro che lasciavano la famiglia in
Italia: molti potevano farsi raggiungere dalle famiglie mentre gli uomini
non sposati potevano rimpatriare per trovare moglie. Ricordiamo a tal
proposito il film girato dal regista Zampa, interpretato da Alberto Sordi e
Claudia Cardinale – Bello onesto emigrato Australia, sposerebbe compaesana
illibata (1971) – che ricostruisce, in chiave ironica, l’atmosfera in cui
vivevano i nostri connazionali.
Sovente i lavoratori italiani, per sentirsi più vicini in queste situazioni di
difficoltà, riuscivano ad organizzarsi in gruppi e costituire piccole aziende
in proprio. Questo fu senz’altro un modo per creare delle opportunità di
lavoro per i familiari e amici che erano rimasti in Italia. Lavorare insieme
ai connazionali in un Paese straniero alimentava il senso di solidarietà e la
buona volontà. Gli Italiani impiegati allo Snowy si dedicarono a mansioni
specifiche, in particolare a lavori di muratura e scavo, sicuramente i lavori
più pesanti; d'altronde la loro predisposizione alla fatica e l’abitudine alla
disoccupazione li portava ad accettare qualsiasi cosa.
Inizialmente la maggior parte delle donne vennero impiegate nel settore
manifatturiero; l’esperienza in fabbrica era la prima esperienza lavorativa
per le donne, solo in seguito nacquero più possibilità di impiego negli
ospedali, negozi e uffici.
11
11
Ibidem., pagg.290-300.
13
L’apporto italiano contribuì anche al successo del progetto rurale del fiume
Murrumbidgee
12
vicino alla città di Griffith, nel New South Wales
sudoccidentale, un progetto patrocinato dal Governo australiano per la
costruzione di canali di irrigazione dell’area. Gli italiani, che si stabilirono
nelle vicinanze di Griffith, lavorarono inizialmente come braccianti nelle
aziende agricole degli australiani finché riuscivano a raccogliere mezzi
sufficienti per affittare o comprare le fattorie. Questo successo fu reso
possibile anche dall’elevato tasso di fallimenti degli inesperti bushmen, che
non riuscivano a sopperire alla pesantezza dei ritmi di lavoro. In questo
modo, gli italiani poterono acquistare le fattorie a un prezzo molto basso e,
grazie al loro duro lavoro, riuscirono a rimettere in ordine i terreni
danneggiati. Lo spirito di iniziativa e la solidarietà delle ‘famiglie allargate’
– conseguenza dell’effetto delle catene migratorie – ebbero successo ma,
dall’altra parte, non fecero che acuire l’ostilità anglo-australiana nei
confronti del ‘popolo lavoratore’ e far sì che, durante la Seconda Guerra
Mondiale, venisse proibita la vendita delle fattorie agli italiani. L’invidia
cui furono soggetti provocò una certa tensione e diffidenza, tanto che
divenne difficile il coinvolgimento degli agricoltori italiani nei programmi
di sviluppo dell’agricoltura.
Nel 1951 entrò in vigore un accordo bilaterale tra Italia e Australia
13
secondo il quale quest’ultima avrebbe ammesso ventimila immigrati
all’anno. Entrambi i Governi avrebbero fornito un aiuto finanziario. A
seguito di una recessione economica, i primi immigrati non ebbero vita
facile: si ritrovarono senza lavoro, confinati in campi di raccolta e
dovettero sostenere notevoli disagi. La situazione insostenibile portò queste
masse contadine alla rivolta, che fu soppressa dalle autorità australiane.
12
Ibidem., pagg.313.315.
13
Ibidem. Pag. 321.
14
Molte manifestazioni di lavoratori italiani ebbero luogo a Sydney,
Melbourne e Brisbane, sicché i flussi migratori calarono drasticamente.
Con la ripresa economica nel 1954 crebbe l’immigrazione e fu rinnovato
l’accordo con l’Italia, ma questa volta le autorità italiane si preoccuparono
di informare meglio gli immigrati su quello a cui andavano incontro. Ma
cosa stava succedendo in Italia? Cosa stavano vivendo gli italiani? Quali
motivi li spingevano ad emigrare pur sapendo che non avrebbero trovato
una vita facile in Australia?
Le prime emigrazioni italiane di inizio secolo avevano coinvolto tutte le
regioni a causa del rapido mutamento economico e sociale in Italia.
L’emigrazione era diventata una possibilità di svolta a una situazione
generale che non offriva alcuna sicurezza. Per questo motivo, famiglie
intere si erano trasferite oltreoceano, principalmente in America,
nell’Europa occidentale e, solo una piccola parte a causa del viaggio troppo
lungo, in Australia.
La miseria delle campagne al sud e la rapida industrializzazione al nord nel
periodo fascista crearono contraddizioni sociali che contribuirono
ulteriormente al sottosviluppo e agli squilibri regionali. Nella Seconda
Guerra Mondiale l’Italia venne devastata e questo portò alla crisi
economica, alla povertà e alla disoccupazione. La sovrappopolazione del
Paese di certo non aiutava.
Questa situazione di forte disagio si riscontrava soprattutto nel meridione,
tanto che, nel 1950, il Governo italiano decise di prendere due
provvedimenti a suo favore: il primo fu la riforma agraria, che prometteva
più occupazione e produttività, ma che diede solo false illusioni, portando
molti contadini del meridione a trasferirsi in città senza la possibilità di
trovare occupazione fissa. Il secondo provvedimento fu la creazione della
15
Cassa per il Mezzogiorno, in cui furono versate ingenti quantità di denaro
per favorire la crescita economica del Sud, ma la situazione non mutò
ugualmente.
Per questi motivi l’emigrazione di massa costituì l’ancora di salvezza. Nel
primo dopoguerra l’emigrazione toccò anche l’Italia centro-settentrionale
ma le regioni più interessante furono la Sicilia, la Calabria, l’Abruzzo, il
Veneto e il Friuli Venezia Giulia.
Se da una parte l’emigrazione fu una conseguenza del sottosviluppo,
dall’altra essa non aiutò a migliorare la situazione nel nostro Paese. I primi
a partire erano gli uomini giovani seguiti dalle donne, il cui lavoro
contribuì a costruire le città all’estero ma non poté contribuire a migliorare
le condizioni in Italia.
Nonostante tutte le difficoltà, l’Australia era vista come la terra delle
opportunità economiche e soprattutto libera da agitazioni politiche e
sociali; era un Paese che stava cominciando la sua storia in quegli anni.
Seppure non in modo equo, offriva una minima assistenza agli immigrati, i
quali, diversamente che negli altri Paesi, avevano la possibilità di prendere
la cittadinanza, e così acquisire tutti i diritti sociali, civili e politici dopo un
periodo di cinque anni. In base alla legge del 1947 tutti gli immigrati non
britannici erano considerati ‘stranieri’, ed erano sottoposti a diverse
restrizioni tra cui il divieto di acquistare o possedere terreni – per evitare
che il Paese venisse occupato dagli stranieri – e l’obbligo di registrare al
Department of Immigration, il proprio nome ed eventuali cambi di
indirizzo, impiego o stato civile, che dovevano essere comunicati
tempestivamente al fine di favorire la stabilizzazione regolare in Australia.
Nel corso degli anni, gli stessi diritti civili e politici dei cittadini sono stati
estesi anche ai non cittadini, sotto la protezione del Racial Discrimination
16
Act (1975).
14
Ancora oggi in Australia il ministro per l’Immigrazione e il
Governo locale hanno il potere di ordinare l’espulsione dei non cittadini
(questo potere non si applica ai cittadini).
La nascita della Comunità Europea nel 1957 portò un risvolto positivo alla
situazione economica: la libera circolazione di forza-lavoro all’interno dei
confini europei, migliorò la situazione lavorativa rendendo più allettante il
trasferimento temporaneo in Europa anziché oltreoceano; le emigrazioni
subirono così un’impennata negli anni Settanta favorendo il ritorno in
Europa.
Dopo un secolo di emigrazione di massa avvenne così un’inversione di
tendenza, ancora oggi visibile: l’Italia è diventata un Paese di
immigrazione straniera. Dagli anni Settanta fino ad oggi è arrivato un gran
numero di immigrati dall’Africa, dall’Europa orientale e dall’Asia.
1.1.2. La struttura sociale della comunità italiana
Le ‘catene migratorie’ e l’origine contadina degli emigrati italiani sono tra i
principali fattori che hanno inciso sulla struttura sociale della comunità
italo-australiana.
15
Questa si è formata con uno stampo prettamente
regionale - per non dire paesano - in grado di ricreare le condizioni di vita
della madrepatria in terra straniera ed esorcizzare, così, l’ostilità della
società australiana. Questa tendenza ha favorito il mantenimento di
un’identità più regionale che nazionale, basti pensare alle numerose
associazioni locali che sono nate a volte solo per festeggiare la festa del
patrono.
14
CASTLES., op. cit., pag. 314.
15
I riferimenti di questo paragrafo sono tratti da BOSWORTH R., Orizzonte Australia: percezione e
realtà di un continente, UNICOPLI, Milano 1988.
17
I primi insediamenti italiani si concentrarono nel Western Australia negli
anni Venti vicino alle miniere d’oro, in seguito, prima della Seconda
Guerra Mondiale quasi la metà degli immigrati viveva in zone rurali. A
Melbourne gli italiani abitavano per lo più nei quartieri centrali, come
quello di Carlton, e molti lavoravano come negozianti.
Dopo il 1945 la rapida espansione dell’industria portò le comunità italiane
a stabilirsi nel Victoria. Il flusso migratorio verso Sydney prese il via
all’inizio del secolo: il quartiere di Leichhardt, uno dei principali, fu
popolato per la maggior parte da italiani provenienti dalle Isole Eolie, dalla
Sicilia e dal Veneto, che lavoravano come pescatori, e dai calabresi che
lavoravano come ortolani. L’incremento demografico italiano delle zone
periferiche intorno a Leichhardt è stato favorito anche dal trasferimento
degli australiani in altre città o per l’alto tasso di mortalità degli stessi.
La maggior parte degli italiani scelsero come meta Sydney perché avevano
parenti o amici che vi erano già emigrati: questa scelta era alla base della
migrazione a catena che si proponeva di riunire i nuclei familiari. Così,
mentre i motivi economici furono determinanti per il distacco dall’Italia, i
legami sociali e di parentela lo furono per la scelta della città. I matrimoni
tra connazionali, inoltre, favorivano il concentramento delle etnie nelle
città.
Gli italiani avevano più relazioni nella stessa strada o quartiere di quanto ne
avessero gli australiani, ma i loro contatti non erano confinati al quartiere:
alcuni dati dimostrano che la maggior parte degli italiani avevano molti
parenti dislocati nei quartieri limitrofi.
Calabresi e siciliani si stabilirono a Fairfield, a ovest di Sydney, facendone
la comunità italiana più numerosa del New South Wales, le persone
provenenti dalla Basilicata si trasferirono principalmente a Melbourne. Il
18
trasferimento dalle zone rurali in quelle metropolitane fu determinato non
solo dalle possibilità economiche sufficienti a comprare un immobile, ma
anche dal fatto che molti italiani passarono a svolgere mansioni più
specializzate e, in alcuni casi, anche attività in proprio. Già dal 1958 i
campi professionali/lavorativi degli Italiani si erano estesi a comprendere
l’apertura di agenzie di viaggio, negozi di vini importati, generi alimentari
e di abbigliamento. Persino i cinematografi locali proiettavano film italiani
di tanto in tanto.
Nel 1976 si contavano in Leichhardt ben 175 negozi italiani lungo le vie
principali della città. Oltre ai negozi e agli uffici c’erano le tipografie e le
redazioni dei principali giornali italiani in Australia quali ‘La Fiamma’ e ‘Il
Settegiorni’, e una quindicina di studi di professionisti: medici, avvocati,
farmacisti (per lo più laureati in Australia).
Tutti questi luoghi sono stati importanti per il formarsi di contatti sociali,
per il mantenimento dell’identità cultura e linguistica italiana e/o regionale.