5
Il termine italiano è una traduzione libera dall’inglese “stranded” (to strand: arenarsi),
che si adatta sia ai vivi sia ai morti. In realta’ nella lingua anglosassone tale termine si
adatta unicamente ai vivi, mentre per gli esemplari morti si preferisce usare
“beached” (to beach: tirare a riva, in secco). Un animale che si trova al di fuori del
suo ambiente naturale o che risulta essere comunque in una situazione difficile per le
sue attuali condizioni è invece definito“strandled” (Geraci & Lounsbury, 1993). Gli
animali che si arenano deboli o che muoiono, dimostrano generalmente un
malfunzionamento di quei meccanismi adattativi che permettono loro la vita in mare
(Geraci, 1999).
Secondo il National Marine Fisheries Service statunitense (NMFS), per essere
considerato spiaggiato, l’animale non deve essere per forza malato, ferito o morto, ma
viene considerato tale anche quando si trova su una spiaggia affollata o rappresenta in
qualsiasi maniera un potenziale rischio per la salute umana: tale definizione permette
di preservare sia la salute pubblica sia quella dell’animale (Dierauf, 1990).
La storia è ricca di riferimenti a animali spiaggiati morti: in epoche preistoriche ci
sono testimonianze che riportano l’uso delle carcasse come cibo; racconti storici
riguardanti cetacei spiaggiati si ritrovano in tutte le storie e in tutte le civiltà: già 2300
anni fa, ad esempio, Aristotele riporta spiaggiamenti di cetacei (Dierauf, 1990).
I primi studi su animali spiaggiati e sui loro patogeni risalgono pero’ al periodo di
Linneo ed erano principalmente di interesse faunistico. Grazie alle spedizioni polari
del XIX e XX secolo, sia delle nazioni europee sia nordamericane, ci furono progressi
significativi in questo tipo di studi (Evans & Raga, 2001). Frederick True, uno dei
primi curatori del National Museum of Natural History (Smithsonian Institution) e
famoso cetologo, organizzò sulla costa orientale statunitense il primo programma di
recupero di mammiferi marini spiaggiati più di un secolo fa, sottolineando così
l’importanza scientifica dei cetacei spiaggiati (Geraci & Lounsbury, 1993). La
registrazione sistematica ed organizzata dei dati di questi eventi è però iniziata solo
70 anni fa, in Inghilterra (Dierauf, 1990).
E’ negli anni ’60 che i cetacei, in particolare le specie “commerciali”, ovvero quelle
utilizzate con finalità ludiche, iniziano ad essere studiati sia a scopi naturalistici che
6
conservativi; anche l’ingegneria civile e militare inizia a prenderli in considerazione: i
loro sensi ed il loro tegumento sembrano essere degli ottimi modelli da imitare
(Yablokov et. al., 1972), mentre la loro docilità addestrativa è stata impiegata per
difesa e offesa subacquee.
Ma i maggiori progressi in merito alle conoscenze sui cetacei, alla loro fisiologia e a
ciò che può colpire la loro salute, sono stati fatti negli ultimi 25 anni. Allo stesso
tempo è stato riconosciuto che le modificazioni ambientali, risultanti dalle attività
umane, come l’inquinamento o la pesca, esercitano una propria influenza sugli
individui e sulle popolazioni (Geraci, 1999).
L’interesse nella patologia dei cetacei è aumentato considerevolmente con gli episodi
di morie anomale degli anni ’80 e ’90, in particolare in seguito all’epidemia causata
da un nuovo morbillivirus (Dolphin Morbillivirus, DMV), che ha determinato una
mortalità considerevole di stenelle striate nel Mar Mediterraneo dal 1990 al 1992
(Cornaglia et al., 2000).
In questi ultimi anni due pubblicazioni importanti hanno aiutato a standardizzare
l’approccio all’esame post-mortem sui mammiferi marini, dando una notevole dignità
e attendibilità scientifica allo studio della patologia dei cetacei: quella di Kuiken ed
Hartmann (1991), emersa da uno speciale workshop organizzato dall’ECS, e la guida
dettagliata sugli spiaggiamenti di Geraci e Lounsbury (1993), basata sull’esperienza
americana (Evans, 2001).
Oltre alle ricerche sugli individui a vita libera, negli ultimi decenni si sono potute
raccogliere informazioni di interesse veterinario da animali mantenuti in cattività
(zoo, acquari, parchi e delfinari). Tali dati possono essere utili anche per capire le
ragioni delle morie di massa di mammiferi marini, degli spiaggiamenti e delle
epizoozie che si possono manifestare nel mondo.
Dai cetacei spiaggiati ricaviamo informazioni preziose in merito alla loro anatomia, a
aspetti del loro comportamento e della loro biologia (longevità, stagione riproduttiva,
abitudini alimentari etc.), ai principali patogeni, all’influenza di fattori antropogenici
sull’ambiente marino.
7
Grazie alle carcasse ritrovate lungo le coste dei vari continenti abbiamo potuto
conoscere nuove specie che altrimenti ci sarebbero rimaste ignote. Gli scheletri
ricavati dalle carcasse degli individui arenati hanno fornito preparati importanti per le
collezioni museali.
Come poi tali informazioni scientifiche possano essere integrate e utilizzate ai fini
della conservazione dipende ovviamente dalla specie. Gli animali che spiaggiano più
frequentemente sono anche quelli generalmente più abbondanti e quindi recuperare e
reintrodurre i singoli individui non avrebbe alcun beneficio sulla popolazione.
Salvare un individuo di una specie in pericolo di estinzione comporta invece un
effetto misurabile su una popolazione selvatica molto piccola.
Ma le motivazioni scientifiche non sono le uniche che spingono gli uomini ad
interessarsi ai cetacei spiaggiati, poiché la spinta e l’interesse si esaurirebbero dopo
breve tempo. C’è infatti anche l’umana empatia per un animale in difficoltà.
I mammiferi marini sono considerati infine i testimoni di un ambiente fragile ed
affascinante come il mare e, vista la loro sensibilità agli inquinanti, sono diventati una
delle bandiere nelle battaglie ecologiste (Geraci & Lounsbury, 1993).
8
1.2 GLI SPIAGGIAMENTI
Gli spiaggiamenti sono eventi che hanno sempre attirato l’attenzione sia
dell’opinione pubblica sia di quella scientifica (Geraci & Lounsbury, 2001), in
particolare quelli di massa, cioè situazioni in cui due o più cetacei (escludendo le
coppie madre-figlio), si arenano vivi contemporaneamente nello stesso posto.
Normalmente sono coinvolte in questi fenomeni di massa le specie pelagiche
strettamente gregarie ( globicefali, kogia, capodogli, pseudorche per esempio),
comunque poco abituate alle acque interne (Geraci & Lounsbury, 1993). La
peculiarità di tali eventi è che possono essere o no correlati ad una malattia a seconda
delle specifiche situazioni (Cowan et al., 1993). Sono avvenimenti piuttosto rari,
soprattutto sulle nostre coste: l’ultimo caso in Italia di cui si ha notizia certa è lo
spiaggiamento di cinque steni (Steno bredanensis) adulti ed un cucciolo a Ragusa,
l’undici marzo 2002.
Molto più numerosi e comuni sono gli spiaggiamenti individuali e per questo destano
meno notizia e clamore, salvo che l’esemplare non si spiaggi vivo: normalmente sono
eventi connessi a stati patologici del singolo animale e per questo trovano più
semplice spiegazione.
I motivi che portano questi animali a spiaggiarsi, soprattutto collettivamente, non
sono ancora noti e sono state formulate numerose teorie in proposito. Teorie
“popolari” che spiegano il motivo dello spiaggiamento, in particolare degli
spiaggiamenti di massa, sono (1) che i cetacei, avendo degli antenati terrestri,
risentano di una memoria evoluzionaria che li spinge a terra; (2) che tali animali
malati o in difficoltà tendano a suicidarsi; (3)che lo spiaggiamento sia il risultato di
disturbi geologici come terremoti o vulcani sommersi. Queste teorie sono
sopravvissute perché difficili da smentire, non essendo basate su fattori direttamente
connessi allo spiaggiamento stesso (Geraci & Lounsbury,1993).
Sono considerate teorie “parzialmente vere” quelle che non tengono conto di tutti gli
aspetti correlati e che quindi approciano il problema da un solo punto di vista (Geraci
& Lounsbury, 1993). Eccone alcuni esempi:
9
1 le spiagge di sabbia non danno una riflessione sonora adeguata, determinando
un’alterazione nell’eco-locazione: in questo caso il sonar dovrebbe essere però
l’unico metodo di valutazione dell’ambiente, ignorando segni e suoni ambientali;
inoltre questa teoria, come le altre, presume che tutti gli altri fattori siano
normali;
2 disturbi geo-magnetici possono alterare le loro capacità di navigazione:
effettivamente molte specie utilizzano la percezione dei campi geo-magnetici
nelle migrazioni, ma anche in questa teoria non si tiene conto dello stato di salute
degli animali; questa teoria potrebbe essere utile per spiegare dove gli animali
spiaggiano piuttosto che il perché;
3 l’abilità di eco-localizzare può venire persa in seguito a infestazioni parassitarie
(ad esempio Nasitrema spp.) che alterano l’integrità dell’VIII paio di nervi
cranici: il danneggiamento da parassiti di questi nervi può essere una spiegazione
per casi di spiaggiamento isolati. Gli studi istologici effettuati in passato non
hanno una gran validità, poiché i campioni erano congelati e quindi potevano
essere danneggiati;
4 i profili della costa sono sconosciuti all’animale: questa teoria supporrebbe che i
cetacei navighino solo in acque conosciute e non spiega il piccolo numero di
animali che attualmente spiaggia;
5 vogliono evitare l’annegamento: non è pensabile che i cetacei possano sapere che
andare verso riva eviterà loro di annegare, visto che probabilmente non sanno
cosa vuol dire essere supportati dalla terra.
Oltre a queste spiegazioni principali, ne sono proposte altre che fanno riferimento al
disorientamento, alla cattiva valutazione da parte dell’animale delle correnti o della
profondità dell’acqua nel seguire la preda, al panico, a attacchi di massa da parte di
predatori o a eventuali stati patologici del leader del gruppo.
In questi casi lo spiaggiamento di massa potrebbe essere la risultante tra un’alterata
capacità di navigazione e aspetti di coesione sociale. Il gruppo sta unito grazie ad
interazioni sociali piuttosto forti, anche quando va contro l’interesse e l’integrità
dell’individuo (Cowan et al., 1986).
10
L’approccio ideale per fornire una spiegazione logica e valida di uno spiaggiamento -
in particolare quando è un evento di massa- è quello di tenere conto di tutte le
variabili possibili: l’ambiente, tenendo conto di spiaggiamenti precedenti in quel sito,
le caratteristiche topografiche e le mappe geo-magnetiche del luogo (se disponibili),
le onde e correnti anomale, le perturbazioni e le tempeste nelle settimane precedenti e
la disponibilità di cibo; il gruppo di animali nella sua totalità, valutando se possibile i
rapporti sociali tra i singoli membri, il rapporto tra i sessi e tra vivi e morti; infine i
singoli individui di quel gruppo, esaminando le loro condizioni fisiche ed effettuando
esami collaterali, quali analisi del sangue se vivi o un esame necroscopico completo
quando morti (Dierauf, 1990).
1.3 ENTITA’ DEGLI SPIAGGIAMENTI IN ITALIA
Nell’anno 2000, grazie all’attività del Centro Studi Cetacei (CSC), sono stati raccolti
i dati di 151 esemplari piaggiati, così suddivisi: 61 Stenella coeruleoalba, 48 Tursiops
truncatus, 4 Grampus griseus, 3 Balaenoptera physalus, 2 Ziphius cavirostris, 1
Physeter macrocephalus, 1 Globicephala melas e 28 cetacei non identificati (XV
Rendiconto CSC, 2002). Attualmente nel nostro paese, tra le specie elencate, solo il
tursiope viene mantenuto con finalità commerciali e di studio in ambiente controllato.
11
1.4 INDAGINI ANATOMO-ISTOPATOLOGICHE
I cetacei sono soggetti a malattie, come tutti i mammiferi. E’ importante studiare tali
patologie non solo per conoscere maggiormente la biologia di questi animali, ma
anche per organizzare cure mediche per gli animali malati in cattività (Yablokov et
al., 1972).
Per poter intervenire in questo senso e per poter conoscere i principali agenti
eziologici di questi animali, è necessario rilevare le lesioni anatomo-istopatologiche e
effettuare indagini sull’incidenza di tali reperti, sia negli individui spiaggiati che in
quelli mantenuti in ambiente controllato.
In letteratura non è possibile reperire molti lavori che utilizzino questo tipo di
approccio, soprattutto tra le pubblicazioni italiane e nelle indagini più datate.
Probabilmente perché inizialmente, le persone che effettuavano tali studi avevano
altre finalità, quali i rilievi morfometrici, ricerche sui parassiti o sulla biologia di
questi animali, come si può notare nello studio di Cagnolaro e collaboratori del 1986,
condotto su 18 esemplari di cetacei spiaggiati lungo le coste italiane dal 1981 al 1985.
Frequentemente gli animali sono affetti da numerose patologie, per cui l’indagine è
complessa e difficoltosa. Secondo Baker, c’è un’incidenza di 6.9-7.4 lesioni per
animale, ma tali dati appaiono troppo alti per Cornaglia ed altri (Cornaglia et al.,
2000).
Le difficoltà che si incontrano in questo tipo di studi dipendono anche dallo stato di
conservazione della carcassa e dalla conseguente alterazione dei tessuti. Ad esempio,
in uno studio effettuato nel 1986 sulle coste della California, vicino a Los Angels,
Cowan e collaboratori poterono esaminare in maniera completa ed approfondita il
64% degli esemplari spiaggiati (Cowan et al., 1986); Siebert et al. sono riusciti ad
esaminare solo 57 sulle 174 carcasse di cetacei spiaggiati nelle acque tedesche nel
1991 e nel 1992, perché le altre non erano abbastanza fresche da poter effettuare una
necroscopia completa o da poter prelevare i campioni per esami istologici,
tossicologici e microbiologici (Siebert et al., 1993); in un indagine su 11 stenelle
spiaggiate in provincia di Imperia nel 1990, Podestà et al. (Podestà et al., 1993), non
12
furono in grado di eseguire la lettura dei preparati istologici, poiché il congelamento
aveva gravemente danneggiato i parenchimi.
Nonostante questi ostacoli, sono stati svolti numerosi studi che descrivono le
principali lesioni anatomo-istopatologiche, associate o meno agli agenti eziologici
che le hanno provocate. Nella tabella 1.1 vengono riportate le incidenze delle lesioni
per ogni organo e/o apparato.
Tabella 1.1: Incidenze delle lesioni per organo/apparato secondo varie indagini
(n.v.: non valutato)
Incidenza
delle
lesioni
secondo
Greenwood
& Taylor
(1977)
Incidenza
delle
lesioni
secondo
Cowan et
al. (1986)
Incidenza
delle
lesioni
secondo
Birkun
(1994)
Incidenza
delle
lesioni
secondo
Di Guardo
et al.
(1995)
Incidenza
delle
lesioni
secondo
Cornaglia
et al.
(2000)
Cute e connettivo
sottocutaneo
n.v. n.v. n.v. n.v. 50%
Muscolo
scheletrico
n.v. n.v. n.v. n.v. 16.7%
Stomaco n.v. n.v. n.v. n.v. 25%
Intestino n.v. n.v. n.v. 41.3% 16.7%
Pancreas n.v. 56.8% n.v. n.v. 37.5%
Fegato 27.8% 60.8% 43.7% 37.9% 70.8%
Milza n.v. 51% n.v. n.v. 54.2%
Reni e vie urinarie n.v. 17.6% n.v. 34.4% 37.5%
Cuore n.v. n.v. n.v. n.v. 16.7%
App. respiratorio 38.9% 76.5% 68.7% 68.9% 75%
S.N.C. n.v. n.v. n.v. 27.5% 50%
13
1.5 I PRINCIPALI PATOGENI
Quando qualcuno degli adattamenti che i cetacei hanno sviluppato per vivere in mare
cessa di funzionare in maniera corretta, l’intero equilibrio è disturbato ed
eventualmente può insorgere uno stato patologico.
Questi malfunzionamenti possono essere causati da fattori naturali (carenza di cibo,
patogeni, etc.) o determinati da attività umane (inquinamento e degrado ambientale).
Ovviamente questa è una distinzione accademica, perché è spesso difficile isolare
l’origine delle malattie nelle popolazioni di mammiferi marini.
Per esempio, fenomeni di origine antropogenica come il riscaldamento globale
possono influire sulla distribuzione delle prede portando a carenza alimentare e
denutrizione.
L’accumulo di inquinanti nei tessuti corporei può ridurre l’immunità’ contro virus,
batteri o parassiti metazoi e predisporre gli individui a patologie infettive (Evans &
Raga, 2001). I principali agenti patogeni e le lesioni anatomo-patologiche che essi
determinano nei cetacei vengono considerati in appendice 1.
14
1.6 ZOONOSI
Un esame delle patologie dei mammiferi marini può avere due direzioni diverse, con
degli aspetti sovrapponibili. Una e’ capire qual’è la trasmissione della patologia tra
gli animali in libertà: nonostante conosciamo l’eziologia di molti stati patologici dei
cetacei, le attuali conoscenze epidemiologiche sia per quelli a vita libera, sia quelli
mantenuti in ambiente controllato, richiedono ulteriori studi.
La seconda e più importante direzione, da un punto di vista della salute pubblica , è la
valutazione del potenziale zoonosico dei mammiferi marini. L’importanza del
potenziale di trasmissione di patologie che si trasmettono da questi animali all’uomo,
ha iniziato ad assumere una certa importanza solo recentemente.
I principali ospiti di queste malattie provenienti dai mammiferi marini sono volontari,
addestratori, o biologi che hanno a che fare con centri di riabilitazione od oceanari: le
persone che maneggiano o toccano questi animali possono essere infettati da
microrganismi, normalmente presenti nell’acquario o nell’ambiente marino, che
possono essere sia normali costituenti della flora dell’animale, sia patogeni che
possono causare malattia. Gli esami necroscopici e la manipolazione dei tessuti infetti
determinano un potenziale rischio anche per i veterinari e i loro assistenti.
Le principali vie di infezione possono essere dirette, come avviene nelle operazioni di
somministrazione del cibo e con il contatto fisico, che permettono agli agenti di
penetrare attraverso abrasioni e ferite determinando anche patologie sistemiche, o
indirette, respirando aerosol, con l’acqua contaminata dalle feci o dall’urina e con gli
strumenti di lavoro.
Infezioni da Staphylococcus e da Streptococcus, essendo questi dei batteri
opportunisti costituenti la normale flora cutanea dei cetacei, possono rappresentare un
problema per chi maneggia gli animali e per chi entra in piscina. Sono però patologie
in genere facili da riconoscere e da trattare (Dierauf, 1990).
Altri patogeni meno conosciuti non sono così facilmente rilevabili, ad esempio i
batteri del genere Vibrio e Photobacterium. Alcune specie come V. alginilyticus,
manifestano una patogenicità minima, mentre altri come V. damsela, V. vulnificus e
15
V. holisae possono essere altamente virulenti. Alcuni di questi microrganismi alofili
sono patogeni opportunisti per l’uomo e possono determinare infezioni gravi ed
anche fatali (Dierauf, 1990). Mycobacterium marinum e’ generalmente isolato da
granulomi cutanei risultanti dall’infezione di ferite o abrasioni (Dierauf, 1990).
Altri possibili agenti patogeni, isolabili nei pesci che vengono somministrati agli
animali in ambiente controllato sono Erysipelothrix rhusiopthiae ed. insidiosa, che
possono determinare malattia sia nei mammiferi marini che nell’uomo. In
quest’ultimo determina dolore ed essudazione nel sito d’infezione e può causare uno
stato patologico più grave e generalizzato (Dierauf, 1990). .
Un batterio isolato nelle carcasse e raramente in animali vivi malati, che
potenzialmente può infettare le ferite e’ Clostridium perfrigens. Ma la trasmissione
all’uomo non e’ stata ancora dimostrata (Dierauf, 1990).
Aeromonas sobria ed in particolare A. hydrophila sono batteri che possono
determinare infezione delle ferite ed altre patologie, come una possibile gastroenterite
nell’uomo. Un altro possibile agente eziologico di gastroenterite, con conseguente
diarrea nell’uomo, e’ Plesiomonas shigelloides, un batterio Gram-negativo acquatico
che a lungo e’ stato incluso con le Enterobacteriaceae (Dierauf, 1990)..
Esiste la possibilità certa di trasmissione per aerosol di Pseudomonas pseudomallei,
mentre non confermata, ma comunque possibile, è l’infezione per l’uomo da altri
batteri isolati nei polmoni, come altre specie di Pseudomonas spp., Corynebacteria
spp. e Klebsiella spp. Nocardia spp. e Mycoplasma spp. sono altri agenti patogeni che
rappresentano agenti infettanti primari o secondari a carico dell’apparato respiratorio
dell’uomo, potendo poi determinare potenzialmente patologie sistemiche (Dierauf,
1990).
Le zoonosi ad eziologia virale non sono così frequenti e certe, forse perché le stesse
patologie virali sono poco presenti negli individui in ambiente controllato, mentre
negli esemplari a vita libera sono studiate ancora come causa di morte in individui
deceduti.
I virus isolati nei mammiferi marini, che potenzialmente sono trasmissibili all’uomo
sono virus con un tropismo per le mucose respiratorie come adenovirus e influenza-
16
virus, trasmissibili mediante aerosol o mediante secreti oculo-congiuntivali,
determinando lievi affezioni respiratorie e oculari.
I poxvirus, che nei cetacei danno le cosiddette lesioni “tattoo”, determinano
nell’uomo lesioni cutanee di 5-6 cm di diametro con il centro rilevato e pallido ed un
alone iperemico periferico (Dierauf, 1990).
I calicivirus, isolati nel tursiope atlantico e pacifico e in alcune balene, nei quali
provoca delle lesioni cutanee vescicolari, assume un’importanza zoonosica relativa,
provocando principalmente disturbi gastro-intestinali. Rappresenta però l’unico
agente trasmissibile da animali all’uomo per cui il mare è origine e serbatoio (Smith
et al., 1998). La maggiore importanza tale virus la assume nella possibile
trasmissione per via indiretta ad altri animali: essendo sierologicamente correlato al
virus dell’esantema vescicolare suino (VES), il virus potrebbe determinare una
malattia simil-vescicolare.
Dai cetacei sono stati isolati anche herpesvirus, ma il loro potenziale zoonosico non
e’ stato ancora dimostrato.
Sono stati isolati molti miceti dai delfini che non ci si aspetterebbe di trovare
normalmente in ambiente marino. Le infezioni fungine si riscontrano generalmente in
individui stressati ed immuno-depressi o sotto terapia antibiotica, essendo i miceti dei
patogeni opportunisti. In particolare sono stati riscontrati casi di patologie micotiche
sostenute da Blastomyces spp., Candida spp. ed in particolare C. albicans, Lobomyces
spp. e Aspergillus spp. (Dierauf, 1990).
Chiaramente e’ pare vera, anche se non documentata, la possibilità di trasmissione di
alcune malattie dall’uomo ai cetacei: e’ quindi meglio evitare il contatto tra persone
malate, ad esempio che dimostrano affezioni polmonari o ferite aperte, e animali sani.
17
2. SCOPO del LAVORO
o scopo di questo lavoro è quello di effettuare un’indagine, mediante tecniche
anatomo- e istopatologiche, sulla patologia spontanea che insorge nei cetacei a
vita libera e che si spiaggiano frequentemente lungo le coste italiane. Viene
fatto riferimento in particolare alle famiglie dei delfinidi e degli zifidi, che
rappresentano apparentemente la cetofauna numericamente più rappresentata nelle
nostre acque.
Oltre alla patologia dei cetacei spiaggiati, si vogliono considerare anche possibili casi
di animali mantenuti in ambiente controllato e che provengono dai principali acquari
e delfinari italiani e/o esteri.
Lo studio della patologia dei cetacei, in particolare di quelli spiaggiati, permette di
ricavare numerose e preziose informazioni utili alla protezione e conservazione di tali
specie, potendo essere tali informazioni, impiegate sia nell’ambito della riabiltazione
e della reintroduzione dei soggetti spiaggiati vivi, sia nel monitoraggio dell’impatto
dei fattori antropici su questi animali e sull’ambiente marino in genere.
L’indagine relativa agli animali mantenuti in cattività è finalizzata, in particolare, al
monitoraggio igienico-sanitario delle strutture coinvolte e ad implementare le
conoscenze veterinarie sui mammiferi marini.
In ultimo, ma non per minor importanza, questo lavoro si propone di valutare il
rischio sanitario dei cetacei, sia spiaggiati sia mantenuti in ambiente controllato.
L
18
In letteratura, infatti, per quanto rari, sono segnalati casi di zoonosi trasmesse da
cetacei, coinvolgenti in particolare figure professionali come acquaristi, biologi e
veterinari o anche semplici volontari che spesso intervengono su delfini spiaggiati,
mossi dalla volontà di aiutare questi animali in difficoltà, ma spesso privi di
un’adeguata preparazione professionale.