Per quanto riguarda la televisione pubblica è di pubblico dominio il principio
lottizzatorio sul quale si fonda da decenni la strutturazione delle testate giornalistiche
e delle reti di riferimento. Al di la di questa conoscenza, è sufficiente una visione
minimamente attenta dei telegiornali e delle trasmissioni di approfondimento
giornalistico per cogliere con chiarezza quali siano gli obiettivi politici, spesso
tutt’altro che disinteressati, di chi ha realizzato il lavoro.
La constatazione che spesso capita di dover fare è che spesso le domande “scomode”
siano evitate dai giornalisti stessi, che preferiscono essere accondiscendenti piuttosto
che risultare, per così dire, “pericolosi” per gli intervistati.
Nella televisione privata con copertura nazionale, praticamente in mano ad una sola
persona, in Italia viviamo un caso unico al mondo, nel quale il proprietario delle tre
principali reti private è anche il Presidente del Consiglio dei Ministri. È quindi facile
capire come le sue televisioni siano smaccatamente schierate in sua difesa e che siano
organizzate in modo da promuovere la sua immagine pubblica di fronte agli elettori,
che sono allo stesso tempo potenziali elettori ma anche fruitori dell’offerta
d’intrattenimento commerciale delle sue reti.
In un quadro come questo negli ultimi anni si è distinta una trasmissione
d’informazione ed approfondimento che ha riscosso notevoli successi di pubblico e
critica: Report di Milena Gabanelli.
Questo lavoro cerca di approfondire il quadro generale dell’informazione televisiva
italiana nel quale si colloca questa trasmissione, cercando d’individuare quali siano le
sue peculiarità che l’hanno portata a diventare il fiore all’occhiello di Rai Tre; a
partire, per esempio, dal fatto che al contrario dei giornalisti televisivi della Rai,
quelli di Report non sono dipendenti dell’azienda, ma sono semplici free-lance del
tutto autonomi ed indipendenti, che vendono il loro prodotto all’azienda.
Ci sono poi altre peculiarità dal punto di vista organizzativo e produttivo, che hanno
consentito a Report di conservare nel tempo una pressoché assoluta indipendenza da
condizionamenti esterni di qualunque genere anche se, come vedremo, non è
esattamente così.
IL VIDEOGIORNALISMO TELEVISIVO
D’APPROFONDIMENTO IN ITALIA.
IL CASO REPORT
CAPITOLO 1
Un piccolo sguardo sul giornalismo televisivo
1.1 I “Cani da guardia” italiani
William Steed, illustre editore del Times di Londra, spiegò così il significato
dell’essere giornalista: “Il giornalismo è qualcosa in più di un mestiere, qualcosa in
meno di una professione, una via di mezzo tra un’arte e il sacerdozio. Un vero
giornalista è in modo non ufficiale ma, di fatto, un servitore pubblico il cui dovere è
di servire la comunità”1.
Negli Stati Uniti si usa dire che un giornalista deve sempre ricordarsi di agire come
“the government’s watchdog”, ossia il cane da guardia che sorveglia l’operato del
governo, ovviamente al servizio del cittadino2.
Osservando con attenzione l’odierno panorama informativo della televisione italiana
degli ultimi anni, non si può che notare come vi sia una crescente tendenza
all’omologazione della notizia: stesse immagini, stesso punto di vista, stesse
informazioni. Se da un lato il potenziamento della tecnologia è in grado di fornirci le
notizie in tempo reale, dall’altro le ragioni economiche e editoriali producono
un’enorme quantità di cronache ed una sempre minore comprensione dei fatti. Per
rendersene conto è per esempio sufficiente soffermarsi ad osservare i principali
telegiornali delle emittenti nazionali e i programmi d’approfondimento giornalistico:
sempre più spesso lo spazio a disposizione è dedicato per larga parte ai personaggi
1
ACHTNER W. M., Penne antenne e Quarto Potere, Baldini e Castoldi, Milano, 1996, pag. 54
2
ACHTNER W. M., Penne antenne e Quarto Potere, Baldini e Castoldi, Milano, 1996, pag. 54
2
politici o a coloro cui si fa riferimento per l’argomento trattato dalla trasmissione,
senza che vi sia un effettivo ed autonomo spazio dedicato alla parte riguardante
l’approfondimento indipendente ed autonomo del giornalista.
Si tende ormai a preferire l’allestimento di un “salotto”, più o meno virtuale con uno
studio che ne riproduce la familiarità e la comodità (Telecamere, Rai Tre), nel quale i
personaggi che sono stati invitati hanno la possibilità di esibire le proprie
argomentazioni senza che vi sia sempre un reale contraddittorio (Porta a Porta, Rai
Uno), o almeno un giornalista che ponga al suo ospite domande precise e mirate e che
non temano di mettere in difficoltà l’intervistato su questioni anche scottanti che lo
riguardano per quel che concerne la propria responsabilità con riferimento
all’argomento trattato dalla trasmissione.
Wolfgang M. Achtner riferisce di un esempio interessante: Paolo Garimberti (La
Repubblica, 23 luglio 1995) ha descritto così la conferenza stampa avvenuta a Londra
dopo il vertice tra gli alleati per decidere come fermare le aggressioni serbe alle
cosiddette “aree protette” in Bosnia: “Il ministro degli Esteri britannico Malcolm
Rifkind, che nella sua qualità di presidente della riunione ha affrontato per primo i
giornalisti, si è spinto fino a definire la conferenza un grande successo, ma il suo
bluff è stato subito visto. Un giornalista della CNN si è alzato e ha ribattuto: “Mister
Rifkind, faccio questo mestiere da molti anni, sono venti minuti che la ascolto e non
riesco assolutamente a capire che cosa significa tutto ciò che lei ha detto. Insomma,
che c’è di realmente nuovo nella vostra posizione sulla Bosnia?”. Questo è il tipo di
domanda che non si sente mai fare dai giornalisti italiani ai politici connazionali o
3
stranieri”. Sempre secondo Achtner ciò non avviene tanto per malafede, quanto
proprio per incapacità o per paura. Molto spesso, infatti, “dopo una conferenza i
giornalisti italiani, sorpresi dalla pertinenza delle domande e dalla decisione dei
colleghi stranieri, si complimentano con loro: “Ammazza, che domanda tosta che gli
hai fatto, eh? Gli hai fatto proprio male”. Non serve a niente che il giornalista
straniero tenti di spiegare che stava soltanto facendo il suo lavoro, che la durezza
della sua domanda non implica un’ostilità preconcetta verso Tizio, e che avrebbe
fatto anche a Caio e Sempronio lo stesso tipo di domanda”3.
La forte presenza di un polo d’informazione privato come Mediaset ha costruito negli
anni una sempre più forte alternativa di modello televisivo, che ha influito con
sempre maggiore peso sul panorama mediatico italiano fino a rivoluzionarne
radicalmente l’offerta, tanto che la stessa RAI, condizionata dalla forte e crescente
concorrenza che ha portato negli ultimi quindici anni ad un duopolio di fatto, ha
mutato sempre più i propri palinsesti in direzione di un’offerta più vicina al modello
commerciale introdotto da Mediaset. Sulle reti Fininvest la gratificazione dei desideri
svolge un ruolo importante, sia per quanto riguarda i programmi sia per il contenuto
pubblicitario; qui regna supremo l’Auditel, l’organizzazione che misura l’ascolto dei
programmi e, di conseguenza, il prezzo degli spot pubblicitari. L’obiettivo unico è la
conquista dell’audience, e come scrive Peppino Ortoleva: un “obiettivo dirompente
sul piano degli equilibri economici e politici (in quanto portava l’attacco al cuore
della RAI) ma che comportava una scelta di medietà sul piano culturale.
3
ACHTNER W. M., Penne antenne e Quarto Potere, Baldini e Castoldi, Milano, 1996, pag. 96
4
Ciò implicava una scelta in favore di quello che gli americani chiamano midcult, con
la rinuncia a fattori di rischio, fra cui quelli rappresentati dalla sperimentazione”4.
Aggiungiamo noi anche i rischi connessi alla produzione di trasmissioni
giornalistiche d’approfondimento che non temessero di svolgere un serio lavoro
d’inchiesta secondo quello spirito, oggi ormai paradossalmente quasi pionieristico,
del “government’s watchdog”.
Scrive Ernesto Bettinelli: “…i principali e più evidenti fattori che connotano la
specifica realtà italiana sono, in sintesi e per cominciare: una sensibile disparità di
opportunità e di capacità di percepire l’informazione politica da parte di molti
segmenti della collettività nazionale a causa d’irrisolte differenze culturali, territoriali
e di disagio economico e sociale. Da ciò consegue un’eccessiva e diseguale
diffusione dei diversi media tra ceti (tendenzialmente) attivi e ceti (tendenzialmente)
passivi, questi ultimi in grande maggioranza. La stampa d’opinione, non di mera
evasione, raggiunge soltanto i primi; le emittenti (radio) televisive sono le fonti
d’informazione (politica) assolutamente privilegiate, se non uniche, per i secondi. Per
i quali una tale e pressoché totale dipendenza è accentuata dalla particolare natura del
mezzo televisivo, dalla sua particolare forza d’imporre messaggi e suggestioni anche
attraverso “notizie” il cui “formato” (che normalmente combina la velocità della
comunicazione con la sua attitudine ad impressionare) non stimola un’adeguata ed
immediata percezione critica”5.
4
ORTOLEVA. P, Un ventennio a colori, televisione privata e società in Italia (1975-95), pag. 85
5
BETTINELLI E., Par Condicio: regole opinioni, fatti, Giulio Einaudi Editore, 1995, pag. 164
5
Non è affatto un caso quindi, che i due Tg Mediaset che maggiormente assomigliano
a delle trasmissioni di propaganda politica, il Tg4 di Emilio Fede e Studio Aperto di
Mario Giordano (che negli ultimi anni sta allontanandosi sempre più
dall’informazione politica e sociale verso un modello da rotocalco attento al gossip e
alla cronaca nera), siano trasmessi sulle reti indirizzate, in particolar modo, a quelle
categorie della popolazione che, si può legittimamente presupporre, siano meno
preparate a captare le distorsioni dell’informazione e siano più suscettibili alla
propaganda.
“L’immagine degli italiani che si ricava guardando le reti Fininvest è quella di un
popolo composto per larga parte da consumatori, giovani, belli, ricchi e felici. In
questo Paese virtuale le donne non sembrano avere altre preoccupazioni se non quelle
di scegliere il detersivo, lo shampoo, la cera per i pavimenti, lasciando agli uomini le
decisioni veramente “difficili”, come la scelta dell’automobile nuova, del whisky
scozzese o dei fondi d’investimento” sono parole che Achtner ha ripetuto più volte.
Trasmissioni televisive che nascono come contenitori d’approfondimento, talvolta
sono in realtà delle passerelle più o meno mascherate per promuovere questo genere
di messaggio, che porta gradualmente a spostare il livello medio delle inchieste e
delle indagini giornalistiche verso un modello che si allontana sempre di più dallo
spirito di servizio al cittadino verso una corretta ed approfondita informazione
oggettiva e si spinge con decisione verso la proposta di nuovi modelli di riferimento,
spesso legati a connotati volutamente consumistici. Esempi di questo genere di
televisione possono essere L’alieno e Lucignolo.
6
In conclusione citiamo ancora Bettinelli: “...un’informazione in qualsiasi campo
insufficiente, volutamente parziale o ingannevole, e rivolta soprattutto a quanti per
condizione personale, sociale e culturale sono più “esposti” è un potente freno
all’emancipazione e all’integrazione di tutti i cittadini della comunità”6.
Un esempio recente d’informazione solamente parziale ed ingannevole è il modo in
cui diversi telegiornali e trasmissioni d’approfondimento hanno trattato la notizia
della fine del processo a carico del senatore a vita Giulio Andreotti presso la Corte
d’Appello di Palermo del 2 maggio 2003.
In sostanza, fino alla primavera del 1980, Andreotti è stato ritenuto responsabile del
reato di Associazione a delinquere con Cosa Nostra, e non condannato solo perché il
reato commesso è prescritto a causa del decorso del tempo.
Per il periodo successivo alla primavera 1980 Andreotti è stato assolto con lo schema
motivazionale tipico dell’insufficienza di prove. La decisione della Corte d’Appello
di Palermo è stata definitivamente ed irrevocabilmente confermata dalla Corte di
Cassazione con sentenza pronunziata il 15 ottobre 2004 e depositata il 28 dicembre
2004.
Le “vicende particolarmente delicate”, i “fatti criminali gravissimi”, di cui alle lettere
d) ed f) del testo allegato sono per l’omicidio di Pier Santi Mattarella, capo della
Democrazia Cristiana siciliana dell’epoca, uomo politico ucciso dalla mafia. Per tali
vicende – è dimostrato nella sentenza – Andreotti incontrò i mafiosi fra cui Stefano
Bontade prima e dopo l’omicidio.
6
BETTINELLI E., Par Condicio: regole opinioni, fatti, Giulio Einaudi Editore, 1995, pag. 164
7
Questo tipo d’informazioni sulla sentenza, certamente le più importanti vista
l’importanza dell’uomo politico cui erano riferite, hanno fatto molta fatica ad essere
diffuse e nella maggior parte dei contenitori d’informazione di quel giorno (e degli
approfondimenti dei giorni successivi) non hanno mai trovato posto. Andreotti è stato
così invitato a diverse trasmissioni come Porta a Porta di Bruno Vespa in cui ha
potuto celebrare insieme a tutto il salotto di ospiti appositamente invitati, la propria
presunta assoluzione con formula piena.
1.2 Le regole del buon giornalista
Per un giornalista è fondamentale rispettare una serie di regole e criteri di base che
vanno seguiti con attenzione nell’elaborare il proprio pezzo.
Vi sono ovviamente dei principi etici che stanno alla base della professione. Nel
giornalismo americano si parte dal presupposto che un sistema democratico funziona
se i cittadini sono informati e possono esercitare liberamente il proprio diritto di
scelta alle urne. Ne consegue che “il compito primario della stampa è di fornire ai
cittadini le informazioni di cui hanno bisogno per scegliere un candidato/a, o per
esprimere un parere favorevole o contrario circa questioni politiche o qualunque
argomento d’interesse pubblico. Pertanto il compito fondamentale di un organo di
stampa responsabile è di fornire al lettore/teleutente informazioni oneste, esatte e
obiettive su tutto ciò che può essere d’interesse pubblico. S’intende che, per riportare
i fatti in modo “obiettivo”, il giornalista debba presentare i fatti nella loro
completezza, in modo onesto e omettendo ogni commento. Nessuno pretende che il
8
giornalista non abbia opinioni, ma solo che queste non figurino nei suoi resoconti. Si
presume che i fatti vadano riportati come sono e non come dovrebbero o non
dovrebbero essere. Inoltre, si ritiene che sia meglio evitare di cercare d’interpretare
gli eventi e le situazioni, salvo che non si abbia una conoscenza di tutti i retroscena.
La scelta delle notizie deve avvenire senza pregiudizi e i fatti vanno presentati nel
loro contesto e senza preconcetti. Si ritiene, poi, che un articolo o un servizio
televisivo debba contenere tutti i fatti rilevanti e che sia necessario presentare, in
modo equo, ogni lato di una questione e, nel caso di controversie, includere tutti i
diversi punti di vista7.
1.3 Principi guida per il giornalista
Ricercare la verità e riferirla nel modo più completo possibile
- Tenersi sempre bene informati e aggiornarsi di continuo, in modo da poter
informare, attirare l’attenzione ed educare il pubblico su questioni importanti.
- Essere onesti, corretti e coraggiosi nel raccogliere, riferire ed interpretare
informazioni esatte.
- Far sentire la voce di chi normalmente non ha modo di far sentire la propria
voce.
- Obbligare chi ha il potere a rispondere delle proprie azioni.
Agire in modo indipendente
7
ACHTNER W. M., Penne antenne e Quarto Potere, Baldini e Castoldi, Milano, 1996, pag. 30
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- Ricordarsi che in democrazia la libera stampa è al servizio del pubblico.
- Ricercare e diffondere i diversi punti di vista riguardo ad una questione, senza
farsi influenzare in modo indebito da coloro che vorrebbero usare il proprio
potere o la propria posizione in modo contrario all’interesse generale.
- Non aderire ad associazioni o a partiti e non partecipare ad attività che
potrebbero danneggiare la propria integrità o compromettere la propria
credibilità.
- Ricordarsi che per prendere la decisione giusta su questioni etiche sono
necessari un senso di responsabilità individuale e uno sforzo collaborativo.
Minimizzare i danni
- Rendersi conto degli effetti deleteri che le proprie azioni possono avere sulle
persone e trattar loro in modo compassionevole.
- Trattare le fonti, i soggetti dei propri servizi e i colleghi come degli esseri
umani degni di rispetto e non come mezzi utili soltanto per raggiungere i propri
fini giornalistici.
- Ricordarsi che raccogliere e riferire informazioni può causare inconvenienti o
recare danni, e tenerlo bene in mente, in modo che ciò che si fa possa
veramente valere la pena.
Per essere in grado di prendere delle decisioni etiche corrette, ci si deve fare le
domande giuste.
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1. Cosa so? Cosa ho bisogno di sapere?
2. A cosa serve, qual è il fine giornalistico di questo servizio?
3. Quali sono le mie preoccupazioni etiche?
4. Quali sono i principi etici professionali e del mio datore di lavoro che devo
seguire?
5. C’è modo d’includere nel processo decisionale altre persone, con punti di vista
e idee diverse dalle mie?
6. Chi sono le altre persone cointeressate – quelli su cui avrebbe effetto una mia
decisione? Quali sono le mie motivazioni? Quali di queste sono legittime?
7. Cosa succederebbe a ruoli invertiti? Come mi sentirei nei panni di uno di loro?
8. Quali sono le possibili conseguenze delle mie azioni? A breve termine? A
lungo termine?
9. C’è un altro modo per raggiungere il mio obiettivo di raccontare tutta la verità
e, allo stesso tempo, ridurre le conseguenze negative?
10. Posso giustificare in modo chiaro ed inequivocabile la mia decisione? Ai miei
superiori? Agli azionisti? Al pubblico8?
Diventa in certi casi un po’ imbarazzante tentar di confrontare questi principi guida
del giornalismo statunitense con lo scenario del nostro paese.
In Italia, fin da quando la RAI acquisì la seconda e la terza rete, in ossequio al
principio della lottizzazione i tre canali divennero rispettivamente l’organo della DC,
del PSI e del PCI ed in RAI i giornalisti erano assunti sulla base delle rispettive
8
BLACK J., STEELE B., BARNEY R., Doing Ethics in Journalism: A Handbook With Case
Studies, Allyn & Bacon, 1998