2
avuto il merito di riscattare Stoker e il suo lavoro, di fronte alle critiche di chi
aveva considerato il suo romanzo “highly sensational but wanting in the
constructive art as well as in the highest literary sense”
3
.
La paura del ritorno dei morti, paura ‘perturbante’ nel senso freudiano del
termine, ci porta a considerare il vampiro come raffigurazione dell’Altro, della
diversità tout court, come mostro caratterizzato da elementi peculiari strettamente
correlati fra loro.
Partendo dalla ricerca del sangue come elemento di sopravvivenza per il
vampiro, vediamo come – grazie anche alle analogie elencate tra gli altri da
Cammarota nel suo libro sui vampiri
4
- l’associazione tra la figura di Dracula e
quella di Cristo non appare così sconcertante. Simile a un angelo caduto egli,
come il Satana miltoniano, diventa consapevole della propria condizione di
diverso.
Da questa consapevolezza nascono la tristezza e la malinconia del vampiro,
fattori accentuati soprattutto nelle versioni cinematografiche, in molte delle quali
viene attribuito al vampiro un sentimento amoroso verso una donna; questo
elemento non fa che accentuare in Dracula la presa di coscienza della propria
situazione di reietto. D’altronde sin dalla teoria dei quattro umori, l’innamorato, al
pari del malinconico, è già di per sé considerato malato.
3
Dall’ ‘Athenaeum’ del 26 giugno 1897, in N.Auerbach, D.Skal, Dracula. The Authoritative Text,
New York-London, Norton Critical Edition, 1997, p.365
4
Si veda M.D.Jr. Cammarota, I Vampiri, Roma, Fanucci, 1984.
3
Secondo l’interessante analisi portata avanti da Vito Teti in La Melanconia
del vampiro, Dracula assume quindi a tutti gli effetti i tratti del malinconico e del
depresso. Simile a molti altri personaggi letterari, tra cui Amleto, il vampiro viene
quindi a rappresentare, nelle sue ossessioni e costrizioni, una figura patologica.
In quest’ottica anche la sua immortalità, altro tratto peculiare dell’essere
vampiro, diventa motivo di immensa infelicità: Dracula si compiange, perché a lui
non è concesso di morire, ma è costretto a vivere in eterno “le stesse futili cose”
5
.
Il vampiro infatti, come indica uno dei suoi tanti nomi - Nosferatu -, non è la
morte stessa, ma il vivere eternamente ciò che non è eterno, una forma di vita
incomprensibile e indescrivibile e perciò estremamente carica di seduzioni e
paure.
L’aspetto patologico del vampiro emerge soprattutto nell’elemento
determinante della sua non-esistenza: la vampirizzazione. Diversamente da altri
mostri – come per esempio Frankenstein – che non creano ma piuttosto vengono
creati, Dracula ha la capacità di creare altri esseri, diventando in tal modo ‘padre’,
sebbene non gli sia concesso l’atto sessuale né dunque la procreazione. La
vampirizzazione diventa quindi metafora stessa di contagio, nel momento in cui il
‘morbo’ vampirico si propaga da una vittima a un’altra secondo l’istinto della
ricerca del sangue. Questa interpretazione diventa significativa ai nostri giorni nel
rappresentare la paura di malattie contagiose come l’Aids e il timore del
diffondersi del male nella società. È questo in effetti che determina l’enorme
5
Citazione da Nosferatu. Phantom der Nacht di W.Herzog, Germania, 1979. Nosferatu è
interpretato da Klaus Kinski.
4
potere del vampiro: la sua capacità di ‘invadere’ il nostro mondo frantumandone
le certezze, demolendo le barriere e i tabù che imprigionano l’istinto.
Nell’analisi dei personaggi che nel romanzo subiscono il fascino di Dracula,
ci rendiamo conto di quanto l’elemento patologico – pur con diverse modalità –
assuma dimensioni rilevanti. Le vampirizzazioni attuate da Dracula hanno infatti
dato lo stimolo a diverse interpretazioni: se da una parte l’interesse mostrato dal
conte per il protagonista maschile Jonathan Harker ha portato alla formulazione di
tesi omoerotiche
6
– basate soprattutto sull’influenza che dovette avere su Stoker il
processo ad Oscar Wilde – da un’altra la preferenza manifestata verso le donne
sembrerebbe condurre su un versante eterosessuale del vampiro; d’altronde
l’atteggiamento dello scrittore verso le sue protagoniste femminili è talmente
ambiguo da supportare contemporaneamente ipotesi riconducibili alla scuola di
pensiero femminista o ad una visione tipicamente maschilista. La sessualità
diventa in ogni caso elemento fondamentale nella dimensione patologica dei
protagonisti. Questo ha dato adito a molte interpretazioni di tipo psicoanalitico,
soprattutto freudiane, sulla simbologia della vampirizzazione
7
.
D’altronde la presenza di personaggi folli, come Renfield, o mentalmente
disturbati – come la fragile Lucy che nei momenti di sonnambulismo cede al
fascino erotico di Dracula – riveste tutto il romanzo di un’ombra che cala
6
A proposito dell’aspetto omosessuale si vedano i saggi: Christopher Craft “Kiss Me with Those
Red Lips”: Gender and Inversion in Bram Stoker’s Dracula; Talia Schaffer, “A Wilde Desire
Took Me”: the Homoerotic History of Dracula.
7
Sugli aspetti della simbologia erotica si veda: Ernest Jones, On the Nightmare; Maurice
Richardson, The Psychoanalysis of Ghost Stories; Christopher Bentley The Monster in the
Bedroom: Sexual Symbolism in Bram Stoker’s Dracula; Phyllis Roth, Suddenly Sexual Women in
Bram Stoker’s Dracula; M.Lörinczi in Paesaggio marino con dame vittoriane. Tre saggi su
‘Dracula’, Cagliari, Cuec, 1995.
5
lentamente su tutti i protagonisti, forse determinando in loro più paure che
Dracula stesso: è l’ombra della follia, che in effetti domina su tutti gli ambienti e
perfino su quei personaggi che appaiono più sani e razionali. È nel limite tra
sanità e follia che abita il vampiro, per difendersi dal quale l’uomo non può far
altro che erigere nuovi confini, che difficilmente riusciranno a fermare il suo
potere di ‘contaminazione’.
Tutti questi elementi hanno fatto in modo che il vampiro divenisse una delle
figure più attraenti per l’industria cinematografica. Forse nessun altro
personaggio, soggetto a trasformazioni e metamorfosi, incarna in modo talmente
forte le paure dell’uomo moderno, racchiudendo in sé superstizione, leggenda e
mito. Non si può negare che la figura di Dracula non sarebbe così nota senza
l’apporto che le versioni cinematografiche le hanno dato: a partire dal primo
capolavoro dell’espressionismo tedesco, sino alle produzioni inglesi della
Hammer, il vampiro diventa protagonista assoluto sullo schermo. Scrive Clive
Leatherdale, uno dei maggiori studiosi di Dracula, che il personaggio creato da
Stoker, al pari di personaggi a lui contemporanei – come Frankenstein, Dr Jekyll e
Sherlock Holmes – “seems to have assumed a life of his own through innumerable
appearances and adaptations on stage and screen”
8
.
Queste considerazioni nulla vogliono togliere al valore del romanzo di
Stoker, di per sé comunque innovativo rispetto alla tradizione vampirica; i
contemporanei non furono indifferenti all’uscita del romanzo, anzi il pubblico
8
C.Leatherdale, The Origins of Dracula. The Background to Bram Stoker’s Gothic Masterpiece,
Westcliff-on-Sea, Desert Island Books, 1995, p.13
6
abituato ai colpi di scena della letteratura gotica rimase comunque turbato dalla
terribile storia del vampiro. La critica in generale non fu molto benevola con
Stoker, ma ci fu anche chi paragonò il romanzo a Frankenstein, Cime Tempestose
o Il crollo di casa Usher
9
; Arthur Conan Doyle lo definì “the very best story of
diablerie which I have read for many years”
10
.
È vero che la figura del vampiro in quel periodo stava ormai diventando
protagonista della scena letteraria, soprattutto dopo Il Vampiro di Polidori (1819),
ma si deve in ogni caso riconoscere quanto la fantasia dello scrittore irlandese
abbia contribuito alla creazione di un personaggio rimasto immortale nel tempo.
Da allora il vampiro della letteratura e quello del folclore hanno cominciato ad
essere confusi, sebbene, come nota Paul Barber, sia molto difficile che i due si
incontrino in società, “dato che il vampiro della letteratura e del cinema di solito è
di nobile schiatta e vive in un castello, mentre quello del folclore è di razza
contadina e risiede (durante il giorno, almeno) nella tomba in cui fu sepolto”
11
.
Non vi è dubbio quindi che nel cinema il vampiro assuma una vita
autonoma e indipendente dalla sua esistenza letteraria, tanto da poter affermare,
come fa Cammarota, che “all’interno del genere horror, la figura più popolare e
allo stesso tempo più raffinata per la complessità del suo bagaglio culturale, è (e
rimarrà) quella del Vampiro”
12
. La complessità della figura del vampiro ha dato
modo al cinema di sviluppare dei motivi che vanno al di là della critica letteraria;
9
Dal ‘Daily Mail’ del 1° giugno 1897, in N.Auerbach, D.Skal, 1997, p.363
10
Citato in L.Shepard, A.Power (a cura di), Dracula – Celebrating 100 Years, Dublin, Mentor
Press, 1997, p.9
11
P.Barber, Vampiri. Sepoltura e morte, Parma, Pratiche Editrici, 1994, p.15
12
M.D. Jr. Cammarota, 1984, p.9
7
risulta evidente quindi che tentare un confronto ravvicinato tra testo letterario e
realizzazione filmica in questo caso sarebbe forse controproducente. Ciò che si
può cercare di fare è vedere come certe metafore e simbologie, di cui abbiamo
accennato prima, trovano nell’espressione cinematografica una loro
rappresentazione significativa.
Ad esempio, scene come quella del viaggio di Dracula dalla Transylvania a
Londra e della tempesta in mezzo alla quale la nave che trasporta il vampiro
giunge al porto, sono tra quelle più frequentemente riportate nelle varie
trasposizioni cinematografiche, rivestite di volta in volta di vari significati.
In particolare si è scelto di dare rilevanza, fra le altre trasposizioni sullo
schermo, all’ultimo film tratto dal romanzo di Stoker, realizzato dal regista italo-
americano Francis Ford Coppola nel 1992. Come sostiene il critico Brian Dunbar,
nel confrontarsi con la precedente filmografia Coppola ha cercato di re-inventare
Dracula “for a contemporary audience grown over-familiar with the character”
13
.
Tutto sommato fedele – soprattutto se paragonato alle precedenti versioni – alla
struttura generale del romanzo (mantenendo per un buon tratto lo schema
diaristico – epistolare, utilizzato nel romanzo gotico per attestare la veridicità
degli avvenimenti), ai personaggi (mantenendo tutti i personaggi principali ed
eliminando soltanto la madre di Lucy), e agli avvenimenti principali (l’unico film
ad includere la scena dell’inseguimento finale di Dracula fino al castello in
13
B.Dunbar, ‘Dracula’, Director Tod Browning and ‘Bram Stoker’s Dracula’, Director Francis
Ford Coppola, London, York Film Notes, 2000, p.9
8
Transylvania)
14
, il film Bram Stoker’s Dracula unisce mito e leggenda
nell’associare Dracula alla figura storica del conte Vlad. Certamente si potrà
obbiettare che nel romanzo non è presente una storia d’amore, che nel film
assume invece un aspetto rilevante; ma questa ‘aggiunta’ diventa a suo modo
fondamentale, nel momento in cui serve a ricordarci che il vampiro, nel suo essere
mostro e diverso, è anche un essere umano.
Probabilmente la versione cinematografica si allontana molto da quella che
è la tradizione, ma se è vero che, come scrive Nina Auerbach, “Dracula is an
adaptable monster”
15
, allora i suoi aspetti e significati possono essere molteplici e
diversi tra loro. E forse è per questo che continuiamo a crederci.
14
Sulla scena dell’inseguimento scrive il critico Leonard Wolf: “the action is so varied, furious
and picturesque, includine, as it does, mountain scenery, wolves, falling snow, barbaric gypsies,
and good guys riding pell melle to beat the sunset, that one wonders why no film maker until
Francis Ford Coppola ever recreated the sequence in a film”. (L.Wolf, The Essential Dracula,
New York, Plume Books, 1993, p.439, nota 18)
15
N.Auerbach, D.Skal, 1997, p.ix
9
CAPITOLO 1
THE OUTSIDER –
IL VAMPIRO COME DIVERSO
1.1 Il vampiro fra tradizione e leggenda
Si tende a far risalire la credenza nei vampiri al Cristianesimo greco, ma si
possono trovare tracce di superstizioni e credenze che riportano al mito del non-
morto ben prima di quel periodo.
Sicuramente la tradizione cristiana fu importantissima nell’attribuire al
vampiro certe caratteristiche che oggi lo contraddistinguono. Infatti nelle
antichissime leggende pre-elleniche il vampiro era chiamato ‘demone meridiano’,
volendo indicare una creatura che appariva a mezzogiorno, ora in cui i corpi
viventi come gli spiriti eterei non riflettono ombra, dunque si possono confondere
tra di loro. In seguito questo mito decadde in quanto la tradizione cristiana attribuì
alla luce un significato di ‘bene’ e all’oscurità una connotazione malvagia, per cui
nell’immaginario popolare paleocristiano e medievale fu la notte e non il giorno
che iniziò a popolarsi di spettri e apparizioni demoniache.
10
Sin dalla civiltà classica si cominciò a parlare di attività vampiriche. A
quanto riferiva l’esperto francese Marigny, prima che apparisse il termine vampiro
durante le epidemie tra il 1725 e il 1731
16
, si chiamavano ‘bloodsuckers’ gli esseri
che risorgevano dalla tomba per succhiare il sangue ai vivi
17
. Marigny si rifaceva
ad una delle cronache più antiche che si conoscano in proposito, la Historia rerum
Anglicarum di William di Newburgh, del dodicesimo secolo. Le letterature
dell’antica Grecia e Roma narrano di incontri con le cosiddette ‘lamie’
18
,
precursori dei vampiri, che succhiavano la linfa vitale dei vivi, soprattutto dei
bambini. Primo prototipo della lamia è, a quanto riferisce Petoia, una delle figure
al seguito di Ecate, la regina del mondo degli spettri: l’Empusa, “demone
femminile, capace di assumere vari aspetti, fra i quali quello di cagna, vacca o
bella fanciulla”
19
. L’Empusa e la Lamia giacevano con i giovani e ne succhiavano
il sangue mentre dormivano, anticipando in tal modo quei connotati sessuali che
diverranno più marcati con due figure della tradizione medievale: i ‘Succubi’, che
seducevano i giovani uomini durante il sonno e ne succhiavamo la linfa vitale
come le lamie; gli ‘Incubi’, versione maschile dei succubi, che venivano associati
16
Osserva Erberto Petoia: “il termine ‘vampiro’ appare per la prima volta in Europa nel 1725 e nel
1731, quando alcuni giornali riportano due casi di vampirismo in Serbia. Prima di allora il termine
non era conosciuto. Nel 1732 il termine compare anche in Inghilterra e Germania…” (E.Petoia,
Vampiri e lupi mannari, Roma, Newton Compton Editori, 1991, p.32). Anche Barber riferisce che,
secondo l’Oxford English Dictionary, la parola vampiro “entrò nella lingua inglese nel 1734, in un
periodo in cui, specialmente in Germania, si scrivevano molti libri sull’argomento” (P.Barber,
Vampiri. Sepoltura e morte, Parma, Pratiche Editrice, 1994, p.17).
17
J.Marigny, Vampires. Restless Creatures of the Night, citato in R.Wilson, Vampires. Blood
Suckers from Beyond the Grave, New York, Sterling Publishing Company, 1997, p.17.
18
Una delle più famose storie di lamie, quella di Apollonio-Menippo, è narrata da Keats nella
poesia Lamia del 1819. La figura della Lamia come donna-serpente era molto diffusa nelle opere
degli anni del 1890; si ripresenta ad esempio in Geraldine, donna vampira in Christabel di
Coleridge. Alla figura delle donna vampiro si ispirò anche l’irlandese Sheridan Le Fanu per il suo
Carmilla, uno dei romanzi a cui Stoker si rifece per il suo Dracula.
19
Erberto Petoia, 1991, p.32.
11
al diavolo
20
. Fino ad arrivare al ‘Nosferat’, il quale addirittura “not only sucks the
blood of the living people (…) with young people it indulges in sexual orgies until
they get ill and die of exhaustion”
21
.
La paura del morto che ritorna ha da sempre tormentato il nostro inconscio,
assumendo connotazioni ambivalenti: da una parte il desiderio di rivedere in vita
la persona cara, dall’altra il terrore che il defunto potesse avere qualche conto in
sospeso. Come spiega Sabine Baring-Gould in The Meaning of Mourning, trattato
sul rapporto tra vivi e morti, “it is entirely reasonable that, as the dead are
assumed to be alive, they will seek communion with the living”
22
. Secondo la
teoria dello studioso freudiano Ernest Jones, infatti, si crea una sorta di
identificazione per cui si sente la mancanza della persona morta e di conseguenza
si presume che anche il defunto abbia nostalgia
23
. D’altronde unirsi alla persona
amata nella morte è sempre stato l’apice del sentimento amoroso, forse perché
“what one has in death one has forever”
24
. La ‘nostalgia del ritorno’ era infatti
considerata una delle cause del vampirismo, e colpiva soprattutto i malinconici, e i
soldati morti in guerra. Per secoli infatti i vampiri sono stati chiamati ‘revenenti’,
proprio a sottolineare il concetto della nostalgia del ritorno.
20
Per un excursus sulla tradizione vampirica si veda C. Leatherdale, Dracula the Novel and the
Legend. A Study of Bram Stoker’s Gothic Masterpiece, Brighton, Desert Island Books, 1993,
cap.1; Ernest Jones, On the Vampire, in C.Frayling, Vampyres: Lord Byron to Count Dracula,
London, Faber and Faber, 1991; Montague Summers, The Vampire in Europe.
21
E.Jones, On the Vampire, in C.Frayling, 1991, p.410
22
In C.Leatherdale, The Origins of Dracula. The Background to Bram stoker’s Gothic
Masterpiece, Westcliff-on-Sea, Desert Island Books, 1995, p.34. Curiosities of Olden Times
(1895), opera del Reverendo Baring-Gould, scrittore e folclorista, appare nelle Note di Stoker
insieme all’importante trattato sulla licantropia The Book of Werewolves: Being an Account of a
Terrible Superstition (1865) dello stesso autore (per le Working Notes di Stoker si veda C.
Leatherdale (a cura di), Dracula Unearthed, Westcliff-on-Sea, Desert Island Books, 1998).
23
Sul rapporto tra vivi e morti si veda il saggio di E.Jones, On the Vampire, in C.Frayling, 1991.
24
E.Jones, On the Vampire, in C.Frayling, 1991, p.404
12
I morti che ritornano non sono altro che i simboli di attaccamento a quei
piaceri della vita dai quali è difficile separarsi. È proprio perché questo desiderio
di tornare tra i vivi non possa realizzarsi che l’umanità ha sviluppato il culto dei
morti: il rito funebre accompagnato da diverse usanze – quella per esempio di
lasciare una moneta nella bara come obolo a Caronte – ha lo scopo di far sì che il
defunto riposi in pace e non abbia più motivo di cercare qualcosa nel mondo che
ha lasciato. Probabilmente anche la consuetudine di chiudere gli occhi al defunto
manifesta in realtà il desiderio di privarlo della vista, in modo che non possa
ritrovare la strada di casa
25
.
Diverse sono le cause per cui un morto è destinato a diventare ‘revenente’: il
Century Dictionary di Whitney riferisce che “dead wizards, werwolves, heretics,
and other outcasts become vampires, as do also the illegitimate offspring of
parents themselves illegitimate, and anyone killed by a vampire”
26
. Riporta
William Hughes che, oltre a diventare tale per il morso di un altro vampiro, era
probabile che il non morto fosse “an apostate or excommunicated Christian, the
victim of a murder or sudden death, or a werewolf, during his lifetime”
27
. I suicidi
erano considerati tra i più probabili futuri vampiri, tanto che sui loro corpi si
preferiva agire subito per prevenire la trasformazione: incrociare le braccia del
corpo, deporre una croce sulla bara oppure seppellire il cadavere in un crocicchio
25
C. Leatherdale, 1995, p.34: “perhaps the practice of closing the eyes of the deceased originated
in the desire to deprive it of sight, and the wherewithal to return home”. Osserva invece Barber:
“gli occhi dei defunti vengono chiusi o coperti, forse perché anch’essi riflettono un’immagine, e
possiedono così la capacità di catturare l’anima” (Barber, 1994, p.263).
26
Citato in Dudley Wright, Vampires and Vampirism, Scotland, Tynron Press, 1991, p.2
27
Marie Mulvey-Roberts (a cura di), The Handbook to Gothic Literature, London, MacMillan
Press, 1998, p.242.
13
erano ritenuti buoni antidoti
28
. Togliersi la vita era ovviamente un grave peccato
per il Cristianesimo, perché significava ribellarsi al diritto divino di darci la
nascita e la morte; per questo, ci ricorda Leatherdale, i suicidi venivano puniti:
“their fate would be everlasting life as a vampire. The penalty for suicide would
be immortality”
29
. Anche Barber sottolinea la diffidenza verso i morti suicidi, a
cui non è concessa la sepoltura nel cimitero “in parte per il loro potenziale ritorno
dalla morte e in parte perché attirano i loro cari nella tomba dopo di loro”
30
. Infatti
la mancanza di sepoltura, sempre secondo Barber, sarebbe in se stessa motivo
sufficiente perché i suicidi diventino revenant; ma un’altra spiegazione comune
per la loro trasformazione è che “essi non hanno vissuto fino in fondo il tempo a
loro assegnato”
31
.
Già da allora caratteristica del vampiro era succhiare il sangue dei vivi, ma
ad essa si accompagnavano anche la connotazione di assassino – in casi in cui
strangolava le vittime - o di veicolo di malattie contagiose
32
. Sin dalle origini del
mito, il vampiro si configura quindi come outcast, un reietto, rifiutato dalla
società, che vive ai margini: anche in vita il vampiro è un diverso, un outsider.
Fu nel periodo tra il 1723 e il 1735 che la superstizione sui vampiri
raggiunse il suo culmine, quando un’epidemia vampirica si diffuse nel sud-est
28
Wright ricorda anche che “it was at one time the practice in England to bury suicides at the four
cross-roads” (Wright, 1991, p.12).
29
C.Leatherdale, 1993, p.28.
30
P.Barber, 1994, p.55
31
P.Barber, 1994, p.68
32
Riferisce Wright che “not all vampires, however, are, or were, suckers of blood. Some
despatched their victims by inflicting upon them contagious diseases, or strangling them without
drawing blood, or causing their speedy or retarded death by various other means” (Wright, 1991,
p.3).
14
europeo, in particolare in Ungheria. Fu quindi proprio nel pieno dell’Illuminismo
che la figura del vampiro, inizialmente associata al diffondersi della peste, si
impose nella superstizione popolare. A proposito osserva Cammarota: “Il vampiro
non poteva che risorgere e reincarnarsi in pieno che nel diciottesimo secolo, il
secolo dei lumi e della ragione, il tempo della nascita del capitale e dell’inizio
della morte di Dio…”
33
. Alcuni illuminati, tra cui Voltaire, ebbero molto da ridire
sul fatto che nel diciottesimo secolo si potesse ancora credere all’esistenza dei
vampiri, ma il loro sdegno non valse ad impedire il diffondersi di trattati e saggi
sull’argomento. Le documentazioni sui fenomeni di vampirismo si rivelarono
talmente numerose e attestabili, che lo stesso Jean-Jacques Rousseau, filosofo
laico per eccellenza, dovette riconoscerne la validità.
La prima storia di vampiri di cui ci sia pervenuta documentazione, risalente
al 1725, è quella di Peter Plogojowitz, del villaggio di Kisilova; il caso, riportato
da Barber, è un caso completo in quanto vi si trovano le caratteristiche tipiche del
vampiro: il cadavere presenta infatti sulle labbra del sangue fresco “che, secondo
l’opinione generale, aveva succhiato alle persone da lui uccise”
34
; questo elemento
mette in rilievo la connessione tra vampirismo ed epidemia, con l’ovvia
considerazione che “Plogojowitz, la prima persona a morire, fosse ritenuto
responsabile delle morti che seguirono”
35
. Come emergerà più avanti, questo è un
tratto peculiare, attribuito al vampirismo sin dall’antichità.
33
M.D.Cammarota Jr., I Vampiri, Roma, Fanucci, 1984, p.18
34
P.Barber, 1994, p.178
35
P.Barber, 1994, p.20
15
Il primo importante trattato sui vampiri, intitolato Dissertazioni sopra le
apparizione de’ Spiriti e sopra i Vampiri o i Redivivi d’Ungheria, di Moravia, fu
pubblicato nel 1746 ad opera di Don Augustin Calmet, una delle personalità più
rilevanti della cultura cattolica del settecento; il trattato si può ritenere la prima
vera antologia di vampiri, dato che in esso sono contenuti articoli e resoconti delle
varie epidemie di vampirismo che colpirono l’Europa e la Grecia alla fine del
diciassettesimo e nel diciottesimo secolo. Nell’opera l’abate scrive:
“Una nuova scena s’apre a’nostri occhi in questo secolo da
sessant’anni in circa in Ungheria, in Moravia, nella Slesia, in Polonia:
vi si vedono per comun detto uomini morti da molti anni, o per lo
meno da molti mesi, ritornare, parlare, camminare, inquietare i
villaggi,offendere gli uomini e gli animali, succhiare il sangue dei suoi
propinqui, portare ad essi malattie e farli morire (…) a costoro che
ritornano dassi il nome di Oupiri o Vampiri, vale a dire
sanguisughe…”
36
.
Secondo il religioso i vampiri sarebbero quindi persone che o sono rimaste
vive nel loro sepolcro o tornano alla vita come se non l’avessero mai lasciata. Ma
se dunque essi sono resuscitati, si chiede Calmet, e se la resurrezione è riservata al
potere divino di Dio, allora i vampiri chi sono? Sono esseri posseduti da angeli o
dal demonio stesso? Difficile rispondere.
Calmet riferisce diversi casi di presunti vampiri il cui corpo venne riesumato
per compiere su di esso il rito considerato l’unico modo per uccidere
definitivamente il non-morto: ovvero, nella maggior parte dei casi, la
36
Don A.Calmet, Dissertazioni sopra le apparizioni de’ spiriti e sopra i vampiri..., citato in
E.Petoia, 1991, p.160. Il testo dell’abate benedettino fu tradotto in inglese dal Rev. Henry
Christmas col titolo The Phantom World: or, the Philosophy of Spirits and Apparitions (1850).