Nel punto 3 si espone il principal-agent problem. Per fare ciò si richiama la tipologia societaria
della cosiddetta “open corporation”. Questa tipologia societaria è caratterizzata dal fatto di avere un
azionariato ampio ed eterogeneo all’interno del quale non esiste un vero azionista di controllo in
grado di disciplinare il management e di limitare che questi abusi della propria posiziona di forza.
Della open corporation si espongono anzitutto i punti di forza che ne hanno favorito la diffusione
(specialmente negli Usa) durante il secolo passato. Ai punti di forza segue una breve esposizione
teorica del principale punto debole: il rapporto principal-agent. La soluzione dei problemi che
derivano dalla separazione tra azionisti (principal) e management (agent) viene quindi definita
“corporate governance”.
Nel punto 4 si espongono le quattro principali metodologie di soluzione delle inefficienze
principal-agent:
• 4.1: Incentivazione monetaria;
• 4.2: Mercati;
3
• 4.3: Istituzioni aziendali;
4
• 4.5: Indebitamento societario.
Il punto 4.4 è dedicato ad una breve esposizione del ruolo rivestito dai possessori di pacchetti di
azioni di grosse dimensioni (“blockholder”). Nonostante questi siano dei semplici azionisti e non
una metodologia di soluzione delle inefficienze principal-agent, sono esposti separatamente poiché
hanno nella risoluzione delle inefficienze principal-agent punti di forza e di debolezza specifici.
Il punto 5 si concentra sull’individuazione delle caratteristiche della corporate governance in
Svizzera.
Nel punto 5.1 si espone il framework giuridico rilevante per aziende, manager ed investitori. La
comprensione delle normative che disciplinano l’ambiente aziendale è importante poiché la
discussione sulla corporate governance è spesso accentrata semplicemente sulle modifiche che le
singole aziende possono apportare alla struttura aziendale o ai diritti degli azionisti. Al fine di
garantire la comprensione della funzionalità del mercato per il controllo aziendale (4.2.1) in
Svizzera, nel punto 5.1.1 si espongono quindi le disposizioni della legge federale sulle borse ed il
commercio di valori mobiliari (LBVM). Nel punto 5.1.2 si riprendono le disposizioni del codice
3
I più rilevanti tra questi sono il mercato per il controllo aziendale (4.2.1) e il mercato del lavoro per manager (4.2.3)
4
In particolare: l’assemblea generale (4.3.1), il consiglio di amministrazione (4.3.2) ed i revisori esterni (4.3.3)
2
penale idonee a condizionare positivamente il rapporto principal-agent, mentre nel punto 5.1.3 si
espone succintamente la normativa del codice delle obbligazioni sulla responsabilità civile degli
organi sociali.
Nel punto 5.2 si espone – commentandolo in funzione della prassi aziendale e del diritto societario
– lo Swiss Code of Best Practice for Corporate Governance edito nel 2002 da Economiesuisse.
Questa sezione inizialmente rappresentava la parte centrale della presente trattazione. Nel corso
dell’elaborazione del testo ha però vieppiù perso rilevanza a vantaggio della normativa sulla
pubblicità delle strutture di corporate governance esposta nel punto 5.3.
Nel punto 6 si espongono gli studi sulla corporate governance pubblicati in seguito all’entrata in
vigore dello Swiss Code (5.2) e della direttiva SWX Swiss Exchange sulla corporate governance
(5.3).
Il punto 6.1 si concentra sui risultati dello studio del fondo ethos per le 100 più grosse aziende
quotate, mentre il punto 6.2 si concentra sui risultati dello studio della banca cantonale di Zurigo
(ZKB) per le aziende dello Swiss Market Index. Il punto 6.4, a titolo di complemento, richiama i
risultati delle analisi empiriche effettuate di recente sulla relazione tra corporate governance e
valore aziendale in Svizzera.
2 Gli approcci alla “corporate governance”
La discussione relativa alla corporate governance
5
necessita anzitutto di una presa di posizione
relativa agli interessi che debbono essere perseguiti nella conduzione delle attività aziendali.
In funzione degli interessi degli attori aziendali che debbono essere perseguiti, la teoria economica
ha sviluppato due approcci principali le cui raccomandazioni variano sostanzialmente. Si tratta
segnatamente degli approcci: “shareholder-value” (2.1) e “stakeholder-value” (2.2). A titolo di
completezza nel punto 2.1.1 è esposto in sintesi anche l’approccio detto dello “steward”.
2.1 “Shareholder-value”
L’approccio shareholder-value
6
è quello principalmente seguito e prevede che una efficiente
corporate governance sia finalizzata alla definizione di regole ed incentivi affinché il
5
Varie sono le definizioni di corporate governance nella teoria. Per Shleifer / Vishny (1997, 1) “[c]orporate
governance deals with the ways in which suppliers of finance to corporations assure themselves of getting a return on
their investment”. Nel punto 0 il termine corporate governance è momentaneamente inteso in senso non tecnico; questo
poiché il significato che si attribuisce all’espressione dipende dall’approccio che scelto all’analisi della problematica
3
comportamento del management collimi con gli interessi dei fornitori del capitale di rischio. Per la
creazione di regole e la valutazione delle azioni del management rilevano quindi unicamente gli
interessi di un preciso gruppo di attori del sistema azienda: gli azionisti.
Caratteristica dell’approccio dello shareholder-value in finanza è l’assunzione di validità delle
seguenti ipotesi di lavoro:
7
• Le decisioni e le azioni sono per tutti gli attori coinvolti sempre volte alla massimizzazione
dell’utilità personale;
• Nel prendere le decisioni l’attore sceglie sempre l’alternativa che massimizza la propria
utilità personale;
8
• Relativamente alle decisioni che influenzano l’utilità personale del mandante (principal), il
mandatario (agent) dispone sempre di un vantaggio nella qualità e nella quantità di
informazioni;
• In considerazione dell’impossibilità a regolare esplicitamente ex ante il comportamento
dell’agent per tutti gli stati del mondo, questi dispone sempre di spazi di discrezionalità
nella conduzione aziendale;
• Gli obiettivi individuali di agent e principal – di regola – non collimano.
Nell’approccio dello shareholder-value questi assunti portano alla conclusione che l’agent –
disponendo di discrezionalità e perseguendo principalmente interessi personali distinti da quelli del
principal – si comporti sempre in maniera opportunistica a scapito degli interessi del principal. In
assenza di adeguate contromisure atte a preservare gli interessi dei proprietari dell’azienda questo
comportamento nell’approccio dello shareholder-value è certo.
9
Ai fini della completezza espositiva si espongono ora brevemente gli assunti teorici dell’approccio
dello “steward”, che dell’approccio shareholder-value è una alterazione.
6
La definizione di questo approccio nella dottrina economica come approccio dello shareholder-value ha origine dallo
scritto di Rappaport (1986) “Creating shareholder value – The new Standard for Business Performance”. Considerare
per questa ragione l’analisi di Rappaport come punto di partenza dell’approccio dello shareholder-value sarebbe però
erroneo. Infatti, tutti gli scritti che hanno reso la teoria finanziaria la disciplina delle scienze economiche più importane
e di maggiore successo degli ultimi decenni, si basano sull’assunto che le decisioni aziendali debbano essere misurate in
funzione della loro attitudine ad aumentare il valore dell’azienda (cfr. Schredelseker [2002, 45])
7
Si tratta qui di un’elencazione delle premesse fondamentali. Per una discussione dettagliata cfr. Berle / Means (1932);
Alchian / Demsetz (1972); Fama / Jensen (1983a,b); Shleifer / Vishny (1997)
8
Questo vale anche nel caso in cui l’approccio consideri che il decisore disponga di razionalità limitata
9
Vedi infra 4
4
2.1.1 L’approccio dello “steward”
L’approccio dello steward considera che l’azienda debba essere valutata e strutturata in funzione di
assunti fondamentalmente distinti rispetto a quelli dell’approccio shareholder-value. Questi assunti
devono tenere in considerazione fattori psicologici e di contesto sociale.
10
Secondo questo
approccio i manager sarebbero infatti liberamente buoni amministratori aziendali e agirebbero con
perseveranza con la finalità di raggiungere un buon risultato netto e dei buoni redditi per i
proprietari dell’azienda. A differenza dell’approccio shareholder-value il manager non sarebbe
quindi guidato dalla ricerca di benefici personali e dal saccheggio di altri gruppi di interesse, bensì
dallo stimolo al raggiungimento di obiettivi ambiziosi e dal senso di responsabilità. Realizzazione
personale, riconoscimento sociale e libertà d’azione giocherebbero quindi un ruolo maggiore che
non il mero interesse economico.
11
Mentre la critica dell’approccio shareholder value si basa sull’assunto che il manager si comporti
sempre in maniera opportunista, la critica all’approccio dello steward è specularmente basata
sull’assunto di assoluta diligenza di questi. Nippa (2002) osserva correttamente che il conflitto
teorico tra questi due approcci si risolve nella prassi; questa infatti non è caratterizzata da estremi,
bensì da forme miste.
12
Il comportamento della maggior parte dei manager non sarà quindi né
completamente egoistico ed opportunistico, né perfettamente altruista e leale. L’analisi della
conduzione aziendale indica infatti che il comportamento dei manager è contingente in funzione
delle specifiche situazioni così come dalla provenienza culturale e sociale del management.
Si ritiene per questa trattazione
13
che le conclusioni tratte dall’approccio dello steward possano
essere utili particolarmente nella strutturazione e nella valutazione di forme aziendali differenti
dalla open corporation, quali le non-profit organizations.
14
In queste in molti casi le funzioni sono
esercitate ad honorem e senza risarcimento alcuno.
Applicare l’approccio dello steward anche alle open corporations potrebbe influenzarne la
strutturazione in maniera impropria. Per la comprensione delle eventuali modifiche che conseguono
ai differenti approcci, si consideri ad esempio il fatto che ai sensi dell’approccio dello steward per
un CEO “[his] pro-organizational actions [is] best facilitated when the corporate governance
10
Cfr. Davis / Schoorman / Donaldson (1997, 20)
11
Anche Jensen / Meckling (1994, 15) riconoscono che l’approccio finanziario contenga una descrizione irrealistica
dell’uomo ed una semplificazione della realtà. Questo processo è finalizzato alla creazione di modelli matematici
12
Pag. 16
13
La presente trattazione si interessa in particolare modo delle open corporations. Vedi infra 3
14
Per Fama / Jensen (1983b, 21) nelle non-profit organisations “the altruism of internal agents allow low cost control
of agency problems and acts to bond donors and customers against expropriation”
5
structures give [him] high authority and discretion. Structurally, this situation is attained more
readily if the CEO chairs the board of directors. Such a structure would be viewed as dysfunctional
under the agency theory model of man. However, under the stewardship model of man, stewards
maximize their utility as they achieve organisational rather than self-serving objectives” (Davis /
Schoorman / Donaldson [1997, 26])
15
.
In questa trattazione si seguirà l’approccio dello shareholder-value, mentre la teoria dell’approccio
dello steward non sarà tenuta in considerazione.
2.2 “Stakeholder-value”
L’approccio stakeholder-value parte dal presupposto che il fine ultimo di un’azienda sia quello di
creare valore o benessere per tutti i gruppi di interesse presenti nell’azienda. Per questa ragione
sarebbe necessario concedere a tutti coloro che mettono a disposizione o che controllano l’afflusso
di input strategici verso l’azienda facoltà di partecipare e di influenzare l’attività aziendale.
16
La
teoria dell’approccio stakeholder-value cerca quindi di integrare più gruppi di interesse nell’agency-
theory.
17
Come reazione alle critiche relative alla limitatezza degli interessi presi in considerazione, la
dottrina dello shareholder-value ha sostenuto che la difesa degli interessi degli azionisti,
indirettamente tenga in considerazione in misura ottimale tutti gli stakeholder.
18
Questa
argomentazione contiene evidentemente una semplificazione poco realistica. Si ritiene infatti che
altri attori aziendali possano – in situazioni specifiche – avere accesso all’attività di controllo del
management.
19
È altresì ritenuto in questa trattazione che un approccio troppo ampio che consideri
un numero elevato di attori aziendali non sia utilizzabile e quindi inutile.
20
Nella letteratura sulla corporate governance l’approccio shareholder-value gode indubbiamente di
una posizione di dominanza. Non si può infatti negare che ai sostenitori dell’approccio stakeholder-
value non sia riuscita appieno la dimostrazione della superiorità della loro metodologia neppure
nella teoria. Anche nella prassi le teorie esposte dall’approccio stakeholder-value non sono utili né
15
La decisione di adottare una struttura di corporate governance differente da quella prevista dall’approccio
shareholder-value dipenderebbe quindi per Davis / Schoorman / Donaldson unicamente dalla propensione al rischio dei
principal. Se questi ha una elevato propensione al rischio ridurrà il controllo del management – ipotizzando che questi
agisca come steward – unendo quindi la funzione di CEO con quella di chairman (ibidem)
16
L’esempio tipico è quello dei lavoratori. Questi forniscono infatti un input di tipo strategico
17
“[M]anagers can be seen as the agents of [all] other stakeholders” (Hill / Jones [1992, 134])
18
Cfr. Jensen (2001).
19
Vedi infra 4.3.2
20
Cfr. Tirole (2001) per una esposizione di un approccio allargato a più stakeholder
6
alla formulazione di indicazioni per la conduzione e la strutturazione aziendale, né per la
definizione di raccomandazioni nei codes of best practice.
21
L’approccio stakeholder-value non emette che delle formulazioni generiche in relazione all’utilità o
meno di introdurre altri attori economici nel board of directors.
22
Essendo una formulazione
generica inutile sul piano pratico, la definizione di quali gruppi di interesse debbano sedere
nell’organo di controllo del management deve essere demandata ai processi politici nei differenti
paesi.
23
La teoria stakeholder-value non verrà pertanto tenuta in considerazione in questo scritto.
Mentre nei sistemi economici europei ed in quello giapponese la considerazione di altri gruppi di
interesse ha trovato – anche se non in maniera uniforme – applicazione nella prassi, nel sistema
anglo-americano questo non è avvenuto. Il fatto di includere collaboratori e importanti clienti,
fornitori e partner strategici, così come consulenti e politici nel sistema del board of directors viene
invece giustificato con il raggiungimento di un vantaggio competitivo a livello aziendale; mentre
riflessioni relative al contemperamento degli interessi di più attori sociali non hanno luogo.
24
3 La “open corporation”
Nel punto 3 è esposta la teoria basilare relativa alla open corporation; forma societaria per la quale i
codes of best practice – e tra questi anche lo Swiss Code – sono stati pensati e sviluppati.
La cosiddetta open corporation è caratterizzata: (1) dalla presenza di un azionariato diffuso e (2) dal
fatto che i titoli della società vengano trattati sui mercati azionari. L’analisi di questa forma
organizzativa ha avuto inizio dallo studio sulla separazione tra azionisti e management di Berle /
Means (1932). Solo in seguito la dottrina ha individuato le caratteristiche che ne hanno favorito la
diffusione.
25
Nel punto 3.1 si espone l’origine storica dell’analisi della separazione tra proprietà e controllo,
mentre nel punto 3.2 si espone la strutturazione dei diritti residuali degli azionisti nella open
corporation. Il punto 3.3 è dedicato all’esposizione dei punti di forza (3.3.1) e del principale punto
debole della separazione tra management ed azionisti: il problema di agenzia (3.3.2).
21
Hofstetter (2002, 7)
22
Per una esposizione della teoria in ottica organizzativa e finanziaria cfr. Donaldson / Preston (1995)
23
Si osservi ad esempio che in Germania una rappresentanza dei lavoratori è prevista dalla legge nell’ “Aufsichtsrat”
(“consiglio di sorveglianza”). In Svizzera la legge non prevede una rappresentanza dei lavoratori nel consiglio di
amministrazione
24
Cfr. Nippa (2002, 13)
25
Cfr. Fama / Jensen (1983a,b)
7
3.1 La separazione tra proprietà e controllo
Nella teoria aziendale classica l’attenzione era accentrata sul singolo imprenditore, mentre la figura
del manager trovava posto unicamente a lato dell’intero sistema. Il proprietario, quale fornitore di
capitale di rischio, e l’imprenditore, quale conduttore dell’attività aziendale, erano identici; così
come controllo dell’azienda, responsabilità, rischio e profitto erano uniti nella medesima persona.
L’analisi empirica di Berle / Means, i cui risultati sono stati pubblicati nel 1932, ridefinisce ed
espone l’azienda secondo un’ottica nuova. L’aspetto innovativo dell’opera ripone
nell’identificazione e nell’analisi della separazione della posizione di proprietario dell’azienda dalla
posizione di direttore delle attività aziendali; ossia del disgiungimento della posizione di azionista
dalla funzione di manager. Per Berle / Means questi due attori aziendali vengono a trovarsi in un
conflitto di interessi nel quale i manager godono di una posizione dominante. Questa sarebbe
correlata alla condizione di insider per il management ed alla struttura atomizzata dell’azionariato
nelle società di grosse dimensioni.
26
Contrariamente a quanto ci si attenderebbe oggi, Berle / Means non hanno dalla loro analisi però
tratto la conclusione che sia necessario trovare meccanismi atti a costringere il management ad agire
in funzione dell’interesse degli azionisti. Per Berle / Means – con la separazione tra azionisti e
management – si getterebbero invece le basi per una responsabilità sociale della società anonima e
per il contemperamento degli interessi di più attori sociali da parte della direzione aziendale.
27
Grazie all’indipendenza dagli azionisti, il management della open corporation viene quindi a
trovarsi nella condizione di agire non più come meri agenti dei proprietari del capitale sociale, bensì
perseguendo gli interessi dell’intera società.
28
Nella moderna letteratura la teoria basilare di Berle / Means sulla separazione tra azionisti e
management viene considerata ampiamente riconosciuta come valida; in termini di politica di
regolamentazione invece le conclusioni non sono ampiamente condivise.
29
26
Berle / Means (1932, 47 e segg.)
27
Ibidem, 345 e segg.
28
Cfr. Demsetz (1983, 375 e seg.)
29
La dottrina economico-finanziaria infatti in generale segue l’approccio “dello shareholder-value”. Vedi supra 1
8
3.2 I diritti degli azionisti: “residual claims”
L’appurazione della separazione tra proprietà e controllo cui ha dato il via l’analisi di Berle / Means
non spiega però le ragioni della diffusione della open corporation; di fondamentale importanza è
per questo la comprensione della strutturazione della proprietà in forma di azioni.
Per la comprensione della strutturazione della proprietà nella forma delle azioni rileva dal profilo
dell’analisi organizzativa la trattazione di Alchian / Demsetz (1972). Questi – che considerano
l’azienda come un nexus of contracts –
30
forniscono una spiegazione per l’esistenza di un monitor
centrale “who receives the residual rewards” (ibidem, 782). Questo monitor che persegue i propri
interessi per mezzo delle attività aziendali, sarebbe un forte stimolo per l’azienda e ne favorisce lo
sviluppo e la sopravvivenza nel tempo. Nell’ottica della open corporation, questo soggetto è
rappresentato dall’azionista che – dando origine al fenomeno di separazione tra proprietà e controllo
– demanda l’attività di monitoring
31
al management.
Dal profilo dell’analisi finanziaria rilevano invece le analisi di Fama / Jensen (1983a, b) secondo cui
la proprietà sui titoli conferirebbe all’azionista (o residual risk bearer) diritti sul risultato residuale
(residual claims). Per Fama / Jensen – mentre le strutture contrattuali delle organizzazioni limitano i
rischi dei fornitori di input per mezzo di contratti che garantiscono loro redditi prestabiliti o legati a
specifiche misure di performance (fixed o incentive payoffs) – gli azionisti si accontentano di ciò
che rimane dalla sottrazione dei pagamenti in uscita dai flussi finanziari stocastici
32
in entrata,
sopportando quindi per intero il rischio aziendale.
33
Fama / Jensen – che distinguono le differenti
forme organizzative proprio in funzione delle caratteristiche dei diritti residuali – giungono alla
conclusione che proprio la “natura illimitata”
34
(unrestricted nature) dei diritti residuali contenuti
nei titoli azionari sarebbe la principale causa della separazione tra proprietà e controllo nella open
corporation.
30
In questo punto la trattazione di Alchian / Demsetz (1972) si basa sulla teoria sviluppata da Coase (1937)
31
Per monitoring Alchian / Demsetz intendono quindi il controllo del nexus of contracts nel suo insieme. Per Jensen /
Meckling (1976, 308) il termine sta invece ad indicare le attività di controllo degli azionisti sul management
32
I flussi sono stocastici a causa dell’imprevedibilità dello stato del mondo nel futuro
33
Cfr. Fama / Jensen (1983b, 331)
34
La natura delle pretese degli azionisti sarebbe illimitata poiché (1) a questi non è richiesto ulteriore ruolo all’interno
dell’organizzazione, (2) i titoli sono liberamente alienabili, e (3) le pretese sui net cash flow si estendono sull’intera
esistenza dell’azienda (Fama / Jensen [1983b, 328]). I costi dei meccanismi per il controllo del problema di agenzia
sarebbero invece parte del prezzo che le open corporation devono pagare per i benefici derivanti (ibidem, 332) e dalla
separazione tra proprietà e controllo che ripone sulla natura illimitata dei diritti residuali
9