Introduzione
2
l’agire del Presidente della Repubblica, in particolare il potere di
rinvio dei progetti di legge per un’ampia gamma di motivi di
“convenienza” e le esternazioni. Nel rinvio presidenziale v’è il rischio,
segnalato da molti, di un’ingerenza all'interno del procedimento
legislativo che, se ripetuta e costante, potrebbe determinare un vulnus,
difficilmente riparabile, al sistema di equilibri e di reciproca fiducia
tra i Poteri dello Stato.
Il controllo di merito presidenziale scaturisce sulla base di una
mera interpretazione della norma di cui all’art 74 Cost. L’esigenza è
quella di evitare che il rinvio presidenziale appaia espressione di un
indirizzo politico del Presidente, o di un indirizzo di Stato, o possa
interpretarsi come preferenza per una fra le posizioni contrastanti
manifestatasi in Parlamento, o nel Paese, in ordine alla legge in
contestazione. Nella discrezionalità dei poteri di rinvio e
d’esternazione si rinviene, così, lo "sconfinamento" presidenziale al di
là delle sue funzioni tipiche, "sconfinamento", tuttavia ammesso, anzi
reso necessario, dalla funzione arbitrale che l'assetto costituzionale
continua ad attribuire al Presidente della Repubblica.
Lungo il corso di questo lavoro esce sempre in evidenza il
dubbio se l’attività politica debba essere fatta rientrare soltanto nella
dialettica maggioranza – opposizione, o se, invero, ha di mira la
realizzazione dell’interesse effettivo della Nazione.
Ulteriore problematica è quella relativa all’attività della Corte
costituzionale quando, attraverso alcune sue sentenze manipolative ed
additive, o monitorie tenta di invadere il campo di competenze
riservato al legislatore (merito legislativo). E’ il grande dibattito se sia
possibile una “giustizia” in materia costituzionale o se essa non
costituisca un assurdo e velleitario tentativo di “giuridicizzare la
Introduzione
3
politica. Ci si interroga, in particolare, sulla possibilità di un controllo
sul vizio di eccesso di potere legislativo per incoerenza e per
irragionevolezza.
Quando, infine, si parla di merito, non si può fare a meno di
riferirsi anche alla discrezionalità amministrava e ai criteri secondo
cui tale potere discrezionale si esplica.
L’ordinamento giuridico, infatti, non attribuisce
all’Amministrazione un indifferenziato potere di cura dell’interesse
pubblico, bensì tanti poteri, ciascuno dei quali deve essere impiegato
per il conseguimento di specifici obiettivi.
Si discute se l’inopportunità possa essere considerata come un
vero e proprio vizio, nei casi in cui sia concesso il ricorso
giurisdizionale in sede di merito. Il dibattito si fonda sulla possibilità
di ipotizzare il vizio di merito come incidente sulla validità dell’atto.
Il fondamentale rilievo effettuato è aver assicurato autonomia
concettuale ai due ambiti, rispettivamente, dell’opportunità e
dell’opinabilità. La prima, infatti, afferisce alla sfera della valutazione
soggettiva, giuridicamente irrilevante, mentre la seconda è
riconducibile a valutazioni legate all’applicazione di parametri tecnici,
la cui corretta applicazione può essere oggetto di controllo. Le
difficoltà sorgono proprio dall’impossibilità di riscontrare
obiettivamente il contrasto con una norma giuridica, visto che questa
non sussiste.
Da ultimo, si cerca di porre in relazione merito costituzionale e
merito amministrativo attraverso la disamina dei loro limiti e dello
loro funzioni, nonché mettendo a confronto l’eccesso di potere
legislativo con l’eccesso di potere amministrativo.
4
CAPITOLO I
INDIRIZZO POLITICO E
MERITO COSTITUZIONALE
Capitolo I - Indirizzo politico e merito costituzionale
5
SOMMARIO:§1.1 Indirizzo politico e teorie razionali ed arazionali dello Stato; §1.2
Rapporto fra Stato e politica: il problema dell’unità politica; §1.3 Da Kelsen a Schmitt tra
diritto e potere: l’introduzione della discrezionalità nell’ordinamento; §1.4 Indirizzo politico
come attività o come funzione alla luce della divisione tripartita dei poteri; §1.5 La dottrina
normativa della Costituzione materiale: l’unità politica costruita dalla società; §1.6 Indirizzo
politico costituzionale, indirizzo politico di maggioranza, discrezionalità e merito; §1.7 La
nozione convenzionale di merito costituzionale
1.1 INDIRIZZO POLITICO E TEORIE RAZIONALI ED
ARAZIONALI DELLO STATO.
Il concetto di “indirizzo politico” è stato introdotto negli studi
italiani di diritto costituzionale alla fine degli anni Trenta, come
specificazione e parziale modificazione di un altro concetto
innovativamente formulato agli inizi di quel decennio: quello di
“funzione di governo”, intesa come quarta e distinta funzione dello
stato, precedente le tre funzioni tradizionali e su di esse
preminente
.
Insieme con l’altro concetto di costituzione in senso
materiale
1
, hanno rappresentato lo strumento con cui in Italia è stata
consumata la rottura con le teorie razionali dello Stato.
La funzione di governo, l’indirizzo politico e la costituzione in
senso materiale, sono, infatti, concetti che si ricollegano e s’ispirano a
quel gruppo di teorie che, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del
Novecento, configurano un nuovo modello di politica, non
riconducibile né a quello per cui la politica esprime un ordine che
deriva dall’ordine della natura, né a quello per cui essa instaura un
1
Sul concetto di costituzione in senso materiale v. la bibliografia portata in calce a S. BARTOLE,
Costituzione materiale e ragionamento giuridico, in Dir. e Soc. , 1982, 4, p. 605 ss.
Capitolo I - Indirizzo politico e merito costituzionale
6
ordine artificiale contro il disordine della natura
2
. In entrambi i
modelli lo Stato viene definito in relazione ad una realtà che lo
precede di un ordine/disordine naturale ed è il punto terminale di un
processo. Le teorie razionali dello Stato fanno derivare la definizione
dello Stato dal rapporto che lo lega al sistema delle relazioni
interumane, per cui lo Stato non è comprensibile come fatto
organizzativo in sé, come struttura chiusa, ma solo assumendone come
elemento essenziale e costitutivo questo rapporto. Volendo articolare
il quadro dei diversi modi di concepire lo Stato, combinando la
distinzione naturale/artificiale (relativa alle ipotesi del suo rapporto
con il binomio stato di natura – società civile) e il giudizio bene –
male, si possono prospettare due classificazioni.
La prima si rifà a teorie nelle quali l’ordine naturale e quello
politico sono reciprocamente oggetto di giudizio di valore, in un
rapporto di contraddizione. Teorie suddivise principalmente in due
modelli principali, che esprimono le anime del giusnaturalismo
settecentesco, e nei quali il giudizio sullo Stato è articolato su cio’ che
esso è e su ciò che esso dovrebbe essere:
1) l’ordine di naturale è un bene e lo stato di natura è male (il
modello hobbesiano);
2) lo stato di natura è un bene, l’ordine politico è male (Saint –
Simon, socialismo utopistico);
3) l’ordine politico è male, se contrasta artificialmente con
l’ordine naturale (ad esempio le oggettive leggi di ragione),
che è bene. Ma, l’ordine politico pur essere buono, se è
conforme a quello naturale (il modello di derivazione
2
Sui due modelli contrapposti, quello aristotelico e quello hobbesiano, v. S. VECA, Politica, in
Enc. Einaudi, vol. X, Torino, 1980, p. 855.
Capitolo I - Indirizzo politico e merito costituzionale
7
lockiana);
4) l’ordine naturale è sfigurato e corrotto, e pur essere
volontaristicamente modificato, da un ordine politico
artificiale, ma conforme a ragione (il modello rousseauiano).
La seconda si rifà a teorie nelle quali l’ordine naturale e quello
politico non sono reciprocamente oggetto di giudizio di valore. Le
qualificazioni bene/male non si applicano l’una a un termine, l’altra
all’altro, in un rapporto di contraddizione. Si tratta delle teorie che
concepiscono l’ordine politico come prodotto della storia naturale, o
della ragione oggettiva (ad esempio Stato come momento culminante
di un processo di un processo oggettivamente razionale). L’idea di
fondo è che l’ordine politico faccia parte di un ordine più ampio, che
lo precede e lo ingloba, oppure che sia il prodotto della ragione
individuale che lo realizza contro il disordine della natura.
Le teorie arazionali, invece, non esprimono un giudizio di
valore sui fini, le forme e le fonti di legittimazione dello Stato, perché
considerati assolutamente mutevoli, per cui si limitano ad assumere la
necessità dello Stato (di una struttura di potere vuota), come un dato
autoevidente dell’osservazione positiva.
Il passaggio dalle teorie razionali a quelle arazionali è, dunque,
il passaggio dallo studio della funzione dello stato a quello della
struttura. Le teorie razionali (da Hobbes a Marx fino al positivismo
giuridico) hanno la pretesa di dire ciò che lo Stato è e deve essere (o
non può non fare); quelle arazionali dicono ciò che esso risulta essere,
ma solo come struttura, come tipo di organizzazione, e nulla dicono
intorno a ciò che deve essere e che deve fare
3
. E questo perché tali
3
Sulla classificazioni delle teorie razionali e arazionali v. M. DOGLIANI, Indirizzo politico, Napoli,
Capitolo I - Indirizzo politico e merito costituzionale
8
ultime teorie concepiscono lo Stato come il prodotto di una frattura
permanente che attraversa le società umane (tra dominanti e dominati,
tra amici e nemici), per cui il significato, i fini, la ragion d’essere dello
Stato non possono essere altro che quelli di volta in volta
concretamente imposti dal diverso percorso che a quella frattura viene
impresso dal mutevole atteggiarsi dei rapporti di forza da cui dipende.
Per questi motivi le teorie razionali, essendo fondate sulla
pretesa di dare una definizione vera ed univoca del rapporto che
intercorre tra gli individui, la società e lo Stato (come è tanto nel
modello giusnaturalistico che in quello utilitaristico che in quello
hegelo – marxiano) e dei conseguenti fini dell’organizzazione politica,
danno vita a teorie contenutistiche della Costituzione. Le teorie
arazionali, che non si fondano su quella pretesa, danno vita a teorie
formalistiche della Costituzione. Le teorie contenutistiche della
Costituzione sono quelle che dicono ciò che essa è (nel senso di ciò
che essa, in quanto tale, contiene, di quali sono i suoi elementi
costitutivi, le sue previsioni necessarie). Le teorie formalistiche invece
non dicono ciò che la Costituzione è e ciò che lo Stato deve essere, ma
si limitano a registrare che una serie di contenuti sono stati considerati
storicamente come propri delle Costituzioni, e una serie di fini e
moduli organizzativi come propri degli Stati.
Novene, 1985, p. 155 ss.
Capitolo I - Indirizzo politico e merito costituzionale
9
1.2 RAPPORTO FRA STATO E POLITICA: IL PROBLEMA
DELLA UNITÀ POLITICA.
Schmitt ebbe a dire che il problema decisivo del nostro contesto
storico attuale riguarda il rapporto fra Stato e politica. Una dottrina
formatasi nel XVI e XVII secolo, inaugurata da Nicolò Machiavelli,
Jean Bodin e Thomas Hobbes, attribuiva allo Stato un importante
monopolio: lo Stato classico europeo divenne l'unico soggetto della
politica. Stato e politica furono indissolubilmente rapportati l’uno
all'altra, allo stesso modo come, in Aristotele, «polis» e politica sono
inseparabili. Il profilo classico dello Stato svanì quando venne meno il
suo monopolio della politica e s’insediarono nuovi, diversi soggetti
della lotta politica, con o senza Stato, con o senza contenuto statale.
L’arena politica tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento
è stata occupata dai partiti di massa e dai sindacati. Da questo
momento in poi la politica è stata non più soltanto statale, ma anche e
soprattutto partitica (più precisamente, lo Stato è diventato strumento
della politica di partito); i costituzionalisti sono stati chiamati ad
elaborare la forma dell’unità politica, divenuta problematica in una
situazione di divisione in molteplici partiti politici. Questa forma di
partizione politica apparsa in Europa già negli anni Venti (durante la
prima esperienza europea di democrazia pluralista, durante cioè la
Repubblica di Weimar) ha prodotto uno scontro poderoso e tragico tra
grandi forze antagoniste, portatrici di opposti progetti complessivi di
strutturazione sociale. La giuspubblicistica di lingua tedesca è stata
quella che più di ogni altra ha elaborato le teorie costituzionali
adeguate a questa situazione. Le dottrine della costituzione astratte
(Kelsen) o concrete (Schmitt, Heller e Smend) si sono contese il
terreno definendo lo Stato come un ordinamento normativo o politico.
Capitolo I - Indirizzo politico e merito costituzionale
10
La discussione ha fissato alcuni tra i più rilevanti nodi teorici del
costituzionalismo europeo del Novecento. Ha riguardato
essenzialmente la questione se lo Stato sia un ordine formale, dato da
una costituzione dell’ordine normativo, che stabilisce cioè chi e come
produce il diritto, oppure un ordine concreto, un’unità politica
4
.
In Italia, il problema dell’unità politica sollevato dalla crisi
dello Stato liberale è stato tematizzato come teorizzazione
dell’indirizzo politico. La riflessione italiana che negli anni ’30 scopre
l’indirizzo politico o la funzione di governo idealmente è iniziata nel
1909 con la prolusione pisana di Santi Romano
5
. E’in questo discorso
di Romano, infatti, che emerge la consapevolezza della fine dello
Stato liberale per politicizzazione o ‘corporativizzazione’della società,
la coscienza cioè di una condizione nella quale non c’è più la
possibilità di concepire l’unità statale come un dato presupposto,
come una realtà intrinseca allo Stato. Nello Stato liberale era
impossibile pensare che potesse esistere un centro politico ed un
processo di unificazione extrastatale. La politica era soltanto statale.
Quando perciò la società civile si è politicizzata, quando i molteplici e
diversi interessi sociali (specie quelli operai e popolari, esclusi dallo
stato liberale) si sono organizzati e hanno trovato rappresentazione
politica nei sindacati e soprattutto nei partiti, lo Stato non poteva più
rapportarsi con una società composta di singoli individui, quindi
impolitica, che conosce soltanto la competizione tra soggetti
(formalmente) eguali in un (quasi) libero mercato. In definitiva,
4
L’unità politica è stata concepita come una decisione sovrana (Schmitt) o come un processo di
integrazione (Smend) o ancora come un’organizzazione legittimata da principi giuridico – etici.
5
Cfr. V. P. PINNA,Crisi dello Stato liberale e teoria della Costituzione in Italia, Memorie, in
Diritto@Storia, n° 1, Maggio 2002, par. 2.
Capitolo I - Indirizzo politico e merito costituzionale
11
quando l’organizzazione politica si è socializzata, quando cioè gli
interessi si sono strutturati con ‘corporazioni’politiche, allora lo Stato
liberale si è disgregato.
L’indirizzo politico è una teorizzazione dello Stato come una
realtà politica, che riceve dall’esterno la direzione della sua azione.
Questa teoria va collocata nel contesto in cui il progetto di società
borghese presupposto dallo Stato liberale non era più un progetto di
tutti e che s’imponeva a tutti, perciò obiettivo, insomma non era più
Stato – sovrano. L’unità politica, quindi, non poteva più essere
intrinseca alla statualità, perché essa non era più data da una classe
sociale egemone che era riuscita ad affermare come costituzione il suo
progetto di società e che quindi l’organizzazione statale e il pensiero
giuridico potevano dare per presupposta. In conseguenza, l’unità
politica andava costruita a partire dalla società, cioè dall’esterno dello
Stato, perché lo Stato non era più l’unità politica, ma un mezzo per
realizzarla.
Secondo la teoria della costituzione in senso materiale elaborata
da Costantino Mortati nel 1940, il partito politico è il centro non
statale di direzione politica. Mortati teorizza la costituzione materiale
come istituzione posta e imposta non da tutti gli interessi organizzati
politicamente, ma soltanto dagli interessi vincenti; non da tutte le
forze politiche, ma soltanto dalla forza politica che è riuscita a imporre
alle altre, e quindi all’intera società, la sua idea politica. E’l’unità
raggiunta attraverso la vittoria di una parte degli interessi sociali e la
sconfitta degli altri. In definitiva, è la costituzione della forza politica,
del partito politico dominante. Il partito politico è il soggetto della
costituzione, la sua idea politica ne è il contenuto, ovvero, la materia
della costituzione, lo scopo che dà unità politica alla società,
Capitolo I - Indirizzo politico e merito costituzionale
12
consentendole di elevarsi a Stato. Questo partito politico è totalitario
nel senso che è il portatore di una concezione generale, di un progetto
complessivo, totale di strutturazione sociale. L’unità politica in
conseguenza è il risultato dell’affermazione di un partito sugli altri, di
un progetto di società sugli altri.
In definitiva, la Costituzione è il fine dello Stato imposto dal
gruppo sociale dominante organizzato politicamente in partito.
Sebbene quello di partito sia un interesse o uno scopo di parte, di una
parte sociale, di una classe o di un blocco sociale, esso tuttavia è
“totalitario” nel senso che corrisponde ad un’idea politica generale, ad
una concezione della società, insomma ad una “Weltanschaung
politica”.
Questo punto di vista non è molto diverso da quello decisionista
di Carl Schmitt. Anche Mortati concepisce l’unità statale come un
ordine sostanziale e concreto stabilito sovranamente, con alcune
differenze rispetto a Schmitt. Il pensiero di Schmitt è rivolto contro il
pluralismo partitico, così da costruire un’unità statale, nonostante e, se
necessario, contro i partiti. Mortati invece teorizza l’unità statale
attraverso il partito. La costruzione di Mortati parte dalla società e va
in direzione del superamento della separazione liberale tra lo Stato e la
società civile. Il partito politico è (auto)organizzazione della società e
la sua statalizzazione appartiene ad un processo di socializzazione
dello Stato.
Schmitt milita per la preservazione della neutralità statale, della
decisione statale neutrale, in quanto espressiva della “unità e
globalità”. Egli è per lo Stato estraneo alla partizione politica, tutore
della condizione di unità politica in quanto capace di opporsi alla
Capitolo I - Indirizzo politico e merito costituzionale
13
divisione
6
. Mortati invece accoglie pienamente la tendenza
contemporanea alla partizione politica, cioè al conflitto sociale che si
organizza politicamente e quindi in certa misura si statalizza. La
questione dell’unità politica dello Stato, per lui, è risolta con
l’affermazione di un partito sugli altri, col fatto che l’indirizzo politico
del partito vittorioso diventa l’indirizzo fondamentale dello Stato,
sulla base del quale si unificano tutte le funzioni dello stato,
legislative ed amministrative.
La diversa posizione riguardo alla partizione politica
comprende anche e necessariamente un diverso atteggiamento rispetto
all’integrazione nello Stato degli interessi sociali. Mentre il discorso
di Schmitt è chiuso in un ambito rigorosamente politico - statale,
quello di Mortati è invece aperto alla società, agli interessi sociali nel
momento in cui essi si organizzano in partito, quindi si politicizzano e
si statalizzano. E’questa la componente integrativa della teoria
mortatiana, che la distingue in modo rilevante dal decisionismo
schmittiano. In definitiva, l’aspetto che caratterizza in modo peculiare
l’elaborazione mortatiana, differenziandola, per un verso, dalla
teorizzazione decisionista di Schmitt e, per un altro verso, da quella
dell’integrazione di Smend, è l’idea dell’integrazione realizzata dal
partito politico. Questo è il soggetto che organizza politicamente gli
interessi sociali e li integra nello Stato.
La speciale valorizzazione del partito politico, in più inserita nel
contesto di una concezione integrativa, coglie sicuramente un
fenomeno caratteristico del costituzionalismo contemporaneo. Infatti,
l’idea dell’integrazione attraverso il partito politico riguarda situazioni
6
Ibidem.
Capitolo I - Indirizzo politico e merito costituzionale
14
costituzionali del Novecento di segno molto diverso: in particolare
concerne tanto l’esperienza fascista quanto quella democratico
pluralista e forse anche quella socialista - sovietica. Quindi,
l’integrazione partitica, verosimilmente, è una tendenza generale che
in Europa ha attraversato tutti i più importanti tentativi di soluzione
delle questioni costituzionali determinate dalla dissoluzione dello
Stato liberale.
Tuttavia, neppure la teoria della costituzione in senso materiale
coglie l’essenza del costituzionalismo del secondo dopoguerra, come
del resto tutte le dottrine della costituzione del Novecento che hanno
teorizzato sistemi costituzionali piramidali e gerarchizzati espressione
di una sottostante omogeneità politica. La costituzione della
democrazia pluralista, infatti, non è un progetto globale di società, non
è un’idea politica totale che non ammette la coesistenza di altri
indirizzi. Non c’è più, e non ci può più essere, un unico principio
ordinatore, una costituzione (unica) data da un sovrano, ma in una
situazione di democrazia pluralista ci sono molte costituzioni, o
meglio, c’è una costituzione complessa che si compone di molti
elementi irriducibili ad unità, ma integrabili. L’unità della democrazia
pluralista non può essere un qualcosa che annulla il pluralismo, una
sintesi della pluralità che riduce i più a uno che li comprende tutti;
insomma non può essere un’unità che vada oltre, che trascenda la
divisione pluralistica; che quindi si affermi oltre, nonostante e contro
le molte e diverse parti politiche. Non è un dato, ma piuttosto un
risultato, ottenuto con le relazioni tra le molte parti, la loro
interconnessione e influenza reciproca; è l’unità raggiunta attraverso
l’integrazione discorsiva.
Capitolo I - Indirizzo politico e merito costituzionale
15
L’organizzazione delle costituzioni democratico - pluraliste è
senza un vertice, un ponte di comando; in esse non c’è alcun processo
decisionale concentrato in un centro, in un’istituzione. Non c’è più
uno Stato - progetto di società da realizzare e quindi neppure un
vertice unitario dal quale muovano i processi di unificazione politica o
normativa, di costruzione di un ordine politico - sociale e di un
ordinamento giuridico.
L’unità del sistema è processuale e dinamica, è il risultato, mai
definitivo, di un processo circolare che coinvolge e comprende
molteplici soggetti e funzioni, che s’intersecano variamente nei diversi
procedimenti decisionali; il sistema pluralista ha trovato nella
diffusione reticolare del potere un modo più adeguato dell’assemblea
elettiva centrale per rappresentare la molteplicità sociale e politica. In
breve, siccome non c'è più un centro, la rappresentanza pluralistica
storicamente affidata all'assemblea parlamentare è oggi assicurata
soprattutto da un sistema istituzionale tanto complesso e dinamico
quasi quanto la società che rappresenta
7
. Deriva da qui la crisi
dell'istituzione parlamentare, cui si connette, in qualche modo, quella
del partito politico di massa, specialmente di quello centralizzato,
come forma sociale di organizzazione politica, come luogo di
organizzazione e di rappresentazione politica di parti della società.
7
Idem, par. 3.