5
Nella seconda parte vengono analizzate le relazioni internazionali dalla
rivoluzione ai nostri giorni. L’Iran, infatti, per posizione geostrategica e per
ricchezze petrolifere rappresenta una chiave di volta non trascurabile per la stabilità
del Medio Oriente e per il controllo delle risorse del golfo Persico e delle nuove
risorse dell’Asia centrale.
A venticinque anni dalla rivoluzione le basi filosofiche della Repubblica
islamica non sono mutate, mentre è profondamente mutato il quadro internazionale.
Da un mondo bipolare diviso tra Mosca e Washington in cui a Teheran vigeva lo
slogan della rivoluzione “né Est né Ovest”, si è passati, dopo l’implosione
dell’Unione Sovietica, attraverso una transizione decennale in cui le relazioni
internazionali iraniane sono state guidate dal pragmatismo del “sia Est che Ovest”.
La transizione è terminata dopo gli attacchi dell’11 settembre che hanno portato alla
ribalta il fenomeno del terrorismo di matrice islamica creando un nuovo nemico
contro cui costruire il nuovo ordine mondiale.
L’inserimento dell’Iran nel cosiddetto “asse del male” impone oggi
l’interrogativo se sarà Teheran il prossimo obiettivo della lotta al terrorismo. In tale
ottica vengono descritte le dinamiche in atto tra Washington e Teheran divise sul
futuro dell’area dopo le “elezioni” in Afghanistan e in Iraq, sulla questione
nucleare, sul terrorismo internazionale e sull’esportazione della democrazia alla
luce di una sorta di complesso mai sopito che ricorre ormai da venticinque anni nel
subconscio politico degli Stati Uniti.
6
1. L’IRAN NEL XX SECOLO ALLA RICERCA
DELL’INDIPENDENZA NAZIONALE
1. La modernizzazione mancata
A differenza dell’Impero ottomano nell’800 la Persia non riuscì ad avviare il
processo di modernizzazione e la sua economia restò legata a un sistema
tradizionale basato sull’agricoltura, sul pastoralismo e sulla produzione per i mercati
locali. Esercito ed economia sono le parole chiave per spiegare la modernizzazione
mancata dell’Iran nel XIX secolo
1
.
Contraddistinto da un regime centralizzato e da un’efficiente amministrazione
burocratica e finanziaria l’Impero ottomano vantava un’elite militare con un
esercito ben equipaggiato e motivato. Pur ritenendo, al pari della Sublime Porta di
doversi difendere dalle mire espansionistiche russe verso sud, l’Iran non vantava un
esercito disciplinato e rispettato: alla fine del secolo, infatti, le forze armate iraniane
erano composte da qualche migliaio di soldati privi di una divisa dignitosa, mal
retribuiti e peggio equipaggiati; il solo reparto efficiente era la brigata dei cosacchi
costituita negli anni ’70 e formata da duemila soldati al comando di ufficiali russi.
Per quanto riguarda l’economia, l’incremento del commercio permise l’emergere di
una nuova classe sociale di mercanti, i bazari che diventeranno uno dei motori del
cambiamento, ma l’Iran non vantava ancora le infrastrutture necessarie per un vero
sviluppo economico. I sistemi di comunicazione, infatti, erano primitivi: in assenza
di una rete ferroviaria e di porti marittimi degni di nota, non vi era modo di
spostare le merci da una parte all’altra del paese; l’unico sviluppo industriale
significativo fu legato alla produzione di tappeti motivato dalla forte domanda da
parte dei consumatori europei
2
.
1
La denominazione di Iran, che vuol dire “terra degli Ari”, fu introdotta ufficialmente dallo shah Reza Khan
solamente a partire dal 1935.
2
F. Sabahi, Storia dell’Iran, Mondadori, Milano 2003, pp. 1-2.
7
Le cause di questo ritardo sono legate a fattori geografici, religiosi, politici ed
esterni. A differenza dell’Impero Ottomano, che con le potenze europee
condivideva l'accesso allo stesso mar Mediterraneo, l’Iran rimase più isolato e
perciò più legato alle tradizioni. Sempre a causa dei fattori geografici, e in
particolare della conformità del territorio, la costruzione di strade e ferrovie non fu
un’operazione facile: di conseguenza mantenere il controllo del paese fu arduo
mentre l’Impero ottomano si distingueva per un governo forte e centralizzato. In
confronto all’Impero ottomano, dove lo stato vantava un certo controllo sulle elite
religiose, in Iran il clero costituiva un secondo potere latente che gestiva quasi
totalmente l’opera pubblica (istruzione, sanità). Dal punto di vista politico i regnanti
della dinastia cagiara, a differenza dei sultani ottomani che costruivano residenze
sul modello europeo, si ostinarono a vivere come nomadi spostandosi, a seconda
della stagione, da un padiglione all’altro le cui strutture erano più simili a tende che
a veri e propri palazzi: questo stile di vita non poté che tradursi in un ostacolo alla
centralizzazione del potere
3
.
Infine alla modernizzazione mancata del paese contribuirono le potenze
straniere, in particolare la Russia e l’Inghilterra che consideravano la Persia uno
stato cuscinetto peraltro ricco di risorse come argento, tabacco e petrolio. Da una
parte San Pietroburgo si oppose allo sviluppo dell’Iran in quanto avrebbe costituito
una minaccia sotto il profilo commerciale e strategico; tenuto conto soprattutto delle
mire espansionistiche russe in Asia centrale abitata da popolazioni di fede
musulmana. Dall’altra Londra temeva il rafforzamento della Persia e la sua
eventuale espansione verso l’Afghanistan e il Golfo Persico dove erano invece
dominanti gli interessi britannici
4
.
3
Ivi, pp 9-12.
4
Ivi, pp 15-16.
8
2. La penetrazione occidentale
Nella seconda metà del XIX secolo la Persia fu sottoposta, quindi, ad una
duplice pressione esterna: quella dell’Impero Russo che estese la dominazione al
Turkmenistan e quella dell’Impero Britannico che interessò il Beluchistan.
L’arretratezza tecnologica e militare rese inutile ogni tentativo di resistenza,
pertanto a partire dal 1890 i sovrani appartenenti alla dinastia cagiara non si
opposero più alle influenze europee. Il finanziere inglese di origine ebraica Reuter
fondò la Banca Imperiale di Persia, ottenne concessioni minerarie ed il diritto di
riscuotere dazi doganali nei porti del golfo Persico mentre la Banca dei Prestiti
Russa ebbe l’incarico della costruzione delle ferrovie. L’inglese William Knox
d’Arcy ricevette una concessione per la ricerca e lo sfruttamento del petrolio su
tutto il territorio persiano con la sola eccezione delle province settentrionali che
interessavano la Russia.
La penetrazione coloniale e il dispotismo monarchico suscitarono, però, una
reazione che si manifestò apertamente nel 1906 con la rivolta costituzionale di
Teheran guidata dall’alleanza tra bazari e gerarchie religiose. Lo shah regnante,
Muzaffar al Din fu costretto a promulgare nel 1907 una Costituzione e ad istituire
un’assemblea parlamentare, denominata Majlis segnando l’inizio della fine della
dinastia cagiara
5
.
Il movimento nazionalista non fu comunque in grado di imporsi agli interessi
colonialistici stranieri, infatti il 31 agosto 1907 fu firmato a San Pietroburgo un
trattato segreto tra Inghilterra e Russia che prevedeva la divisione della Persia in tre
zone: il Nord sottoposto all’influenza della Russia, il Sud a quella inglese e la parte
centrale all’autorità iraniana, ma di fatto aperta all’influenza di ambedue le
potenze
6
.
5
Sull’argomento cfr. V. Martin, Islam and Modernism: the iranian revolution of 1906, Syracuse University
Press, Syracuse 1989.
6
F. Sabahi, op. cit., p. 41.
9
L’importanza del petrolio persiano divenne tale che l’Ammiragliato britannico,
rappresentato da Winston Churchill, nel 1914 acquistò la maggioranza delle azioni
dell’Anglo-Persian Oil Company (poi divenuta AOIC, Anglo-iranian Oil Company)
che aveva rivelato i diritti di sfruttamento petrolifero di William Knox d’Arcy
7
.
Durante la Prima Guerra mondiale la Persia dichiarò la propria neutralità e alla
fine della stessa ottenne dall’Unione Sovietica la denuncia unilaterale del Trattato
vessatorio di spartizione del 1907
8
.
In questo contesto la Gran Bretagna puntò ad aumentare ancora di più la sua
influenza nella regione per evitare un’espansione sovietica. A tal fine scelse di
appoggiare l’uomo forte del momento, il colonnello Reza Khan che nel febbraio del
1921 attuò un golpe sciogliendo il Parlamento ed esercitando il controllo diretto sul
Governo. Il 31 ottobre del 1925 il Majlis ricostituito decretò la decadenza della
dinastia cagiara e proclamò Reza Khan sovrano col nome di shah Reza Pahlavi
9
.
Il nuovo shah diede inizio ad una politica di modernizzazione modellando sugli
schemi europei l’esercito e l’amministrazione governativa, introducendo un Codice
Civile ed uno Penale ed avviando la costruzione di una rete di trasporti ferroviari e
stradali
10
.
Questa politica di modernizzazione forzata fu ispirata all’analoga linea adottata
in Turchia da Mustafa Kemal. Anche in Persia un editto impose un’uniforme
europeizzante agli uomini e il divieto alle donne di indossare il tradizionale velo.
Queste misure causarono una rivolta popolare nel 1935 a Mashad che venne
duramente repressa dall’esercito
11
.
Reza Shah diede così inizio ad una lotta contro le tradizioni e le forze religiose
conclusasi solo nel 1979 con la vittoria di queste ultime.
7
R. Khosrovi e G. Leuzzi, L’Iran dopo la rivoluzione, Lerici, Cosenza 1979, pp.49-51.
8
Ivi, p. 52.
9
M. Ledeen, Debacle, il fallimento americano in Iran, Nuova, Milano 1981, p.14.
10
Il “pahlavi” era la lingua utilizzata dagli antichi Parti, che governarono la Persia dopo Alessandro il
Grande: assumendo questo nome lo shah voleva collegarsi più che alla tradizione islamica al più antico
passato iraniana
11
A. Taheri, Lo spirito di Allah: Khomeini e la rivoluzione islamica, Ponte alle Grazie, Firenze 1989, p. 83.
10
Durante la seconda metà degli anni ’30 lo Shah dimenticando che aveva preso il
potere grazie all’aiuto della Gran Bretagna, ricercò una politica estera più
indipendente: cercò, quindi, di stringere legami soprattutto dal punto di vista
economico-commerciale con la Germania nazista. Non si era reso conto che tanto
l’Inghilterra quanto l’Unione Sovietica avrebbero calpestato la sovranità iraniana se
avessero ritenuto che i loro interessi vitali erano in gioco
12
.
Allo scoppio della Seconda Guerra mondiale l’Iran si dichiarò neutrale e tale si
riconfermò in occasione dell’attacco tedesco all’Unione Sovietica nel giugno 1941.
Ma nell’agosto dello stesso anno l’ambasciatore inglese e quello sovietico, dopo
aver ingiunto l’espulsione di numerosi tecnici tedeschi, comunicarono allo shah un
duro ultimatum cui seguì immediatamente l’occupazione militare da Nord a Sud del
paese
13
.
L’Iran, infatti, aveva un’importanza strategica nella guerra: oltre ai suoi immensi
giacimenti petroliferi attraverso il suo territorio si potevano minacciare sia l’India
(importantissima per Gran Bretagna) sia l’Unione Sovietica: proprio attraverso la
ferrovia Transiraniana viaggiavano i rifornimenti anglo-americani a quest’ultima.
Quindi Reza Khan fu costretto ad abdicare in favore del figlio e costretto
all’esilio nelle isole Mauritius
14
.
Il 29 gennaio 1942 venne firmato un accordo tripartito tra Londra, Mosca e
Teheran che garantiva la sovranità iraniana e prometteva il ritiro delle truppe
straniere sei mesi dopo la fine del conflitto; in cambio l’Iran doveva concedere
libero transito alle truppe Alleate e rompere ogni relazione con la Germania e
l’Italia
15
.
A conferma dell’importanza che l’Iran aveva per la conduzione della guerra, gli
Alleati svolsero proprio a Teheran nel dicembre del 1943 uno dei vertici in cui
vennero tracciate le sfere d’influenza del mondo post bellico
9
.
12
R. Graham, Iran the illusion of power, St. Martin’s Press, New York, p. 53.
13
F. Sabahi, op. cit., pp. 94-95.
14
M. Ledeen, op. cit, p.16.
15
F. Sabahi, op. cit., pp. 98-99.
9
Ivi, p. 101.
11
3. L’Iran strumento e vittima della Guerra Fredda
Se ufficialmente non si può parlare di un effettivo coinvolgimento statunitense
prima del 1953, già prima di tale data esistevano delle dichiarazioni di ufficiali e
diplomatici statunitensi riguardo alla necessità di un Iran “forte” capace di
salvaguardare il paese dall’ingerenza sovietica. Un paese allo sfacelo,
l’incoraggiamento esplicito dei sovietici per la creazione di una repubblica
indipendente in Azerbajan e soprattutto la forte presenza in territorio iraniano del
Tudeh, il partito comunista iraniano, mettevano seriamente a rischio gli interessi
occidentali; l’eventualità di uno spostamento del paese nella sfera di influenza
sovietica poneva quindi la priorità di trovare una figura che desse stabilità al
paese
10
. Fu allora che Washington e Londra si rivolsero al giovane shah perché
facesse dimettere il primo ministro Qavam (ottobre 1946) nel cui governo erano
entrati tre membri del Tudeh. Da questo momento iniziò quindi la strada del nuovo
shah verso il governo vero e proprio del paese, percorso che dopo aver visto come
unica fermata la parentesi nazionalista del 1951-53, sarebbe arrivato direttamente
alla caduta del reggente nel gennaio del 1979. Dallo stesso momento gli Stati Uniti
sarebbero stati sempre più coinvolti nella vita dell’Iran, paese che diventava
fondamentale insieme con Israele nella politica strategica della Guerra Fredda nel
Medio Oriente.
Le proteste contro l’ingerenza straniera furono un fenomeno comune ai paesi
dell’area mediorientale: basti ricordare l’alleanza tra liberi Ufficiali e Fratelli
Musulmani in Egitto che portò al colpo di stato di Nasser nel 1952 o quello
iracheno di Kassem supportato nel suo putsch militare del 1958 dall’anomala
alleanza di sciiti, comunisti e curdi. Ma tra nazionalismo arabo e nazionalismo
iraniano vi sono differenze che spiegano il motivo della scomparsa del primo negli
anni settanta e della sopravvivenza del secondo fino alla rivoluzione. Il comune
denominatore dei diversi movimenti nazionalisti arabi è rappresentato dal duplice
10
M. Gasiarowsky, Security relations between United States and Iran 1953-1978, in N. Keddie e M.
Gasiarowsky (eds.), Neither east nor west, Yale University press, New Haven 1990, pp.146-147.
12
ruolo dell’Occidente da un lato l’opposizione alla colonizzazione occidentale
dall’altro dall’importanza della cultura occidentale come stimolo all’elaborazione di
dottrine nazionaliste. La dottrina nazionalista all’interno degli stati arabi o si è
completamente secolarizzata o non ha retto ai duri colpi inflitti dall’integralismo
islamico (a partire dalla guerra del Kippur del 1973) mentre il nazionalismo
iraniano, nonostante sia nato da presupposti laici come quelli propugnati da
Mossadeq, si è in seguito sviluppato unendosi e integrandosi con l’Islam e con il
clero sciita
11
. Qui sta la peculiarità del nazionalismo iraniano, questo è lo sfondo in
cui nascono origini e presupposti della rivoluzione e il clero come attore
fondamentale nel processo di mobilitazione delle masse.
Dal punto di vista economico la risorsa più importante dell’Iran è il petrolio e
proprio la questione della sovranità nazionale su questa risorsa fece scoppiare
all’inizio degli anni ’50 una grave crisi politica determinata da coloro che volevano
porre fine allo sfruttamento dell’Iran.
Durante il dibattito parlamentare del 1947 per la denuncia di un accordo
petrolifero firmato dopo la guerra con l’Unione Sovietica, venne stabilito il
principio di evitare di dare nuove concessioni petrolifere a imprese straniere e di
rinegoziare o revocare le precedenti. Successivamente una della tante controversie
tra l’Anglo-Iranian Oil Company ed il Governo iraniano sull’ammontare delle
entrate che la Compagnia doveva assicurare a quest’ultimo fece crescere nel
Parlamento la convinzione, sotto la spinta dell’opposizione nazionalista guidata dal
Fronte Nazionale di Mossadeq, che la nazionalizzazione del petrolio fosse il
provvedimento più conveniente. Durante una seduta parlamentare Mossadeq disse
“Io sono contrario a qualunque concessione sia dal punto di vista economico che
politico, perché la separazione dei problemi politici da quelli economici è
estremamente difficile […] non vedo perché noi dobbiamo concedere contratti ad
una società o governo straniero affinché poi essi creino altri stati nel nostro stato”
12
.
11
Cfr. G. Kepel, Jihad ascesa e declino. Storia del fondamentalismo islamico, Carrocci, Roma 2001, pp.67-
93.
12
R. Khosrovi e G. Leuzzi, op. cit.,p.67.
13
Egli voleva sottrarre l’Iran alle ingerenze straniere delle due superpotenze che lo
rendevano uno Stato a sovranità limitata e porlo in una condizione indipendente di
neutrale equidistanza che denominò “equilibrio negativo” in contrapposizione ad un
equilibrio positivo ossia con concessioni alle potenze
13
.
Mossadeq divenne Primo ministro nel 1951 e nell’aprile dello stesso anno il
Parlamento decise all’unanimità la nazionalizzazione dei giacimenti petroliferi
iraniani e degli impianti di raffinazione che passarono alla neo costituita National
Iranian Oil Company.
L’AIOC si oppose e Londra inviò delle cannoniere davanti al porto di Abadan,
che ancora oggi è uno dei più importanti terminal petroliferi del Golfo Persico. Il 5
ottobre 1951 la Corte Internazionale dell’Aja diede temporaneamente ragione
all’AIOC, ma il governo di Teheran non accettò la decisione in quanto interferiva
con affari di politica interna. Si dichiarò, tuttavia, disponibile ad entrare in negoziati
sulla base della legge di nazionalizzazione, ma tali negoziati non potevano che
essere infruttuosi dal momento che Londra si rifiutava di riconoscere la legittimità
del provvedimento. Sopravvenne quindi una fase di dura guerra economica
scatenata dalla Gran Bretagna che dichiarò l’embargo sul petrolio iraniano requisì i
carichi navali destinati all’Iran e congelò tutti i depositi iraniani nelle banche
inglesi. Su richiesta di Londra il Consiglio di Sicurezza dell’Onu discusse il
provvedimento di nazionalizzazione nella primavera del 1952: si stabilì di rinviare
ogni decisione in attesa del giudizio definitivo della Corte Internazionale di giustizia
la quale concluse di non avere poteri di giurisdizione in quanto il caso riguardava
gli affari iraniani
14
.
Nello stesso periodo la posizione statunitense si volse a favore di una guerra non
dichiarata nei confronti del governo nazionalista di Teheran. L’adesione americana
era essenziale alla politica di boicottaggio economico per tagliare ogni fonte di
finanziamento all’Iran e prevenire l’assunzione da parte di Tehran di tecnici e
compagnie di servizi per il settore petrolifero negli Stati Uniti.
13
Ivi,p. 69.
14
F. Sabahi, op. cit., pp. 112-113.
14
In realtà Washington non era mai stata indipendente dalle pressioni delle proprie
compagnie petrolifere le quali avevano aderito immediatamente all’embargo
commerciale nella speranza di poter finalmente entrare a loro volta in Iran una
volta che la loro battaglia fosse stata vinta
15
.
La tendenza non interventista dell’amministrazione Truman si invertì con
l’elezione alla presidenza del generale Eisenhower: contro Mossadeq furono
concepiti ben due colpi di stato. Il primo il 15 agosto del 1953 fallì per una fuga di
notizie: Mossadeq fu avvertito e grazie a violente manifestazioni costrinse lo Shah il
15 agosto a fuggire all’estero prima e Beirut poi a Roma. Il secondo, quattro giorni
più tardi andò a buon fine: sotto la direzione del generale Zahedi vennero
organizzate manifestazioni filo monarchiche con sovvenzioni americane che
chiedevano il ritorno dello Shah e la caduta del governo del Fronte Nazionale;
Mossadeq fu arrestato mentre lo scia rientrò in Iran il 22 agosto
16
. Veniva così
soppresso il tentativo di dare all’Iran una politica nazionale indipendente dal
duopolio sovietico e statunitense. Proprio per questa sua equidistanza il Fronte
Nazionale non fu aiutato né dall’URSS nè dal Partito Comunista Iraniano, il Tudeh.
Con il colpo di stato del 1953 si concluse quindi la parentesi istituzionale del
nazionalismo iraniano: alcuni elementi come l’antiamericanismo che hanno
caratterizzato gli esiti rivoluzionari del 1978-79 nascono in tale periodo, se, infatti
Mossadeq non fosse stato rimosso e se lo shah non fosse stato rimesso sul trono
probabilmente non si sarebbero generate tutte le premesse che hanno in seguito
portato alla Rivoluzione
17
.
Con il colpo di stato, caduto il governo nazionalista, una personalità filo-
americana Alì Amini, ministro delle finanze del nuovo governo Zahedi e futuro
Primo Ministro, condusse i negoziati con l’AIOC (ora Brithish Petroleum) e il
governo statunitense che si conclusero con la costituzione di un consorzio
petrolifero internazionale a maggioranza anglo americana che fu riammesso nel
15
M. Ledeen, op. cit, p.40.
16
Per la documentazione sul coinvolgimento dei servizi segreti americani nel colpo di stato del 1953, cfr.
www.nytimes.com/library/world/mideast/041600iran-cia.
17
J. Bill, The eagle and the lion, Yale University Press, New Haven 1988, p. 86.
15
possesso delle vecchie concessioni petrolifere
18
. Dopo la caduta di Mossadeq
l’influenza Usa in Iran crebbe enormemente e sostituì definitivamente quella
britannica nel Medio Oriente con il ritiro della Gran Bretagna dal Canale di Suez.
4. Reza Pahlavi e la “rivoluzione bianca”
Nel seguire degli anni ’50 l’Iran cominciò ad assumere in politica interna i
connotati di un vero e proprio regime autocratico e dittatoriale mentre in politica
estera cementò la propria alleanza con Washington tanto da essere considerato il
bastione statunitense in Medio Oriente. Nel febbraio del 1955 Iraq e Turchia
firmarono il Baghdad Pact al quale pochi mesi più tardi si unirono Regno Unito,
Pakistan e lo stesso Iran. Il Patto aveva principalmente valenza difensiva e
prevedeva una collaborazione di tipo militare ed una mutua garanzia di non
aggressione. Nonostante gli Stati Uniti non ne fossero formalmente membri, ebbero
un ruolo fondamentale nella nascita e nel controllo dell’alleanza
19
. E’ utile
osservare come nello stesso anno nascesse il Movimento dei Non Allineati guidato
dalla Yugoslavia di Tito, dall’Egitto di Nasser e dall’India di Nehru, per cui
praticamente ogni stato sceglieva di avere o non avere un partner strategico. Furono
proprio Nasser per i non allineati e Mosca per il blocco sovietico ad avanzare forti
riserve sull’alleanza mediorientale capeggiata dagli Stati Uniti cercando di
destabilizzare i regimi membri della stessa: trattative segrete del 1955 tra Egitto e
Cecoslovacchia per la vendita di armi, l’attacco congiunto di Israele, Francia e
Regno Unito allo stesso Egitto, i tentativi di Nasser di destabilizzare l’Iraq
fomentando la rivolta contro il regime monarchico. Nel 1958 con il rovesciamento
del trono iracheno e l’instaurazione della dittatura del generale Kassem, l’Iraq si
ritirò dal Patto di Baghdad entrando nell’orbita sovietica
20
. I membri rimanenti si
18
F. Sabahi, op. cit., p. 123.
19
J. Bill, op. cit., p. 116.
20
Kassem, esponente degli ufficiali liberi che rovesciarono il torno di Faysal II, propugnava un nazionalismo
cosiddetto irachista fonadato sull’appartenenza allo stato iracheno in contrapposizione al panarabismo di
Nasser. Cfr. P. Luizard, La questione irachena, Feltrinelli, Milano 2003, pp. 46 e segg.
16
accordarono nel 1959 per fondare un altro patto militare il Central Treaty
Organization (Cento) con gli stessi obiettivi del Patto di Baghdad
21
.
L’interesse dell’Iran era guidato dall’ambizione dello shah che mirava ad
ottenere il più forte esercito del Medio Oriente mentre quello degli Stati Uniti era
rappresentato dal fatto che la difesa della monarchia iraniana eguagliava
l’imperativo delle difesa dello Stato di Israele. Da parte statunitense, infatti,
l’insieme dei legami instaurati con l’Iran e con gli altri alleati doveva garantire il
conseguimento di almeno tre obiettivi: il già citato bisogno di contenere l’avanzata
sovietica, l’assicurazione del flusso costante del petrolio, l’esistenza e
l’indipendenza dello Stato di Israele
22
.
Quando alla fine degli anni 50 gli Stati Uniti decisero di ridurre gli aiuti bellici e
di espandere quelli economici, lo shah reagì aspramente minacciando di firmare un
trattato con l’Unione Sovietica. Questo suscitò forti preoccupazioni a Washinghton
che cominciò a vendere direttamente e, non più sotto forma di aiuti, armi
all’esercito iraniano. Nel campo dell’intelligence l’intervento statunitense si mostrò
più significativo, soprattutto a partire dal 1953 quando vennero inviati in Iran
uomini dell’esercito statunitense al fine di addestrare e preparare con l’aiuto del
Mossad i nascenti servizi segreti, Savak
23
. La forte collaborazione militare ed
economica proseguì per tutti gli anni ’60 e ’70 se si eccettua la parentesi tra il 1961
e il 1962. Durante la presidenza Kennedy, infatti, lo shah fu costretto a dare priorità
alle riforme
24
.
Le riforme attuate dallo shah sono conosciute sotto il nome di “rivoluzione
bianca”. Suggerita dall’amministrazione Kennedy a diversi paesi come alternativa
alle rivoluzioni di matrice comunista, era condicio sine qua non per l’aiuto
americano.
21
M. Gasiarowsky, op. cit., p. 158.
22
Ibid.
23
A. Cockburn e L. Cockburn, Amicizie pericolose. Storia segreta dei rapporto tra Stati Uniti e Israele,
Gemberetti editrice, Roma 1993, p.138.
24
Le riforme dall’alto fanno parte della politica dell’amministrazione Kennedy, applicata soprattutto in
America Latina. Col fine di evitare rivoluzioni ed insurrezioni nei paesi guidati da regimi autoritari (la
rivoluzione cubana era molto vicina) Kennedy incentivava i dittatori alleati con gli Usa ad implementare
programmi di riforme che coinvolgessero la popolazione alleviando situazioni di povertà.
17
L’obiettivo era portare l’Iran al livello dei paesi più moderni entro la fine del
Novecento. Si trattava secondo lo shah in primo luogo di una rivoluzione
umanitaria, volta in modo particolare a salvaguardare i diritti della masse.
I punti principali riguardavano: la riforma agraria, la nazionalizzazione delle foreste
e dei pascoli, la privatizzazione delle fabbriche di proprietà dello Stato, la
partecipazione dei lavoratori ai profitti delle società, la creazione dell’esercito del
sapere e la riforma del sistema elettorale in modo da concedere alle donne sia il
diritto di voto sia la possibilità di essere eletta
25
.
Il nodo cruciale della rivoluzione bianca era la riforma agraria: a differenza di
altri paesi, in cui era incombente la minaccia comunista, nel caso dell’Iran centinaia
di migliaia di persone appartenenti alla classe media avevano investito i propri
risparmi nell’acquisto di piccoli appezzamenti oppure li avevano ereditati. La
distribuzione della terra li danneggiò notevolmente e la loro collera trovò sfogo
nelle proteste che ebbero luogo nei centri urbani dal 1961 al 1963. Con la riforma
agraria lo shah riuscì quindi a conquistarsi le simpatie dei contadini, ma si alienò
quella della classe media e degli ulema, anch’essi proprietari terrieri. Un ulteriore
elemento importante nell’analisi delle zone rurali negli anni ’60 e ’70 fu l’aumento
di funzionari pubblici. La rivoluzione bianca, infatti, prevedeva l’arruolamento non
solo dei soldati del sapere, ma anche di militari preposti ai controlli sanitari e di altri
funzionari il cui compito era insegnare la “versione Pahlavi” dell’islam sciita,
esautorando così in parte i mullah dei villaggi. Nell’esercito del sapere venivano
arruolati per un periodo di due anni i giovani diplomati appartenenti
prevalentemente alla classe media urbana; tra i loro compiti vi era l’insegnamento ai
bambini. Alla base della creazione di questo corpo speciale vi era la necessità di
manodopera in grado di leggere e scrivere. Dato che mancavano maestri disposti a
prestare servizio nelle zone rurali e i militari costavano meno, l’esercito del sapere
rappresentava per le autorità una soluzione ideale al problema. Le riforme dello
shah prevedevano, inoltre, maggiori diritti per le donne oltre al già citato diritto di
25
Sulla rivoluzione bianca si cfr. U. Spirito, La rivoluzione dell’Iran, Dino editori, Roma 1992. Fu l’ultima
opera del filosofo italiano, scritta affinché le riforme attuate dal sovrano avessero una base filosofica.