IX
finale abbiamo dato spazio ai diversi vantaggi che si hanno quando si passa da una
società-atomo a una società-gruppo (diminuzione del rischio, raggiungimento di elevate
economie di scala, di scopo e di esperienza, nonché una diminuzione dell’imponibile
fiscale), rilevando altresì il fatto che questo fenomeno si può manifestare sotto
molteplici spoglie (gruppi orizzontali, verticali, economici, finanziari, pubblici, privati)
e nel mondo assume tante sfaccettature diverse quante sono le peculiarità proprie dei
differenti sistemi legislativi e culturali (il konzern in Germania e il kiretsu in Giappone
solo per fare qualche esempio).
Capitolo Secondo. – In questo capitolo abbiamo ripercorso l’evoluzione della disciplina
in materia di bilancio consolidato in Italia. Siamo partiti dalle prime Direttive del
Ministero delle Partecipazioni Statali rivolte all’I.R.I., all’E.N.I. e agli altri enti pubblici
dei primi anni cinquanta, per passare poi al lungo cammino di approvazione della VII
Direttiva CEE. Cammino che è iniziato nel maggio del 1976, per arrivare al traguardo
finale nel giugno del 1983. La Direttiva in questione (insieme alla IV) ha avuto un
compito molto difficile in quanto parlava di unificazione contabile in un periodo ancora
prematuro; ne è derivato un provvedimento di indubbia qualità ma troppo influenzato da
eccessivi nazionalismi (numerose sono state le opzioni concesse per tenere conto delle
diverse impostazioni contabili dei Paesi più forti). Successivamente siamo rientrati a
casa nostra per seguire l’iter legislativo di attuazione della Direttiva, soffermandoci in
modo particolare sui ritardi cronici con cui l’Italia adempie ai propri compiti. La
Direttiva venne recepita solo nel 1991 con il decreto legislativo n. 127, e al consolidato
venne dedicato il Capo III, in particolare gli art. da 25 a 43. La nostra analisi ha
riguardato il contenuto di tutti gli articoli, dando particolare spazio all’individuazione
dell’area di consolidamento e ai documenti che compongono il bilancio in questione.
Menzione a parte, dato il recente sviluppo comunitario della materia, hanno meritato i
Principi contabili nazionali (soprattutto il Documento n. 17) e quelli internazionali (i
c.d. IAS, International Accounting Standards); senza mancare però di evidenziarne le
principali differenze.
Capitolo Terzo. – Questa è stata la parte più tecnica. Infatti, dopo un incipit rivolto
principalmente a designare i destinatari del consolidato e la sua capacità informativa, ci
siamo occupati delle diverse metodologie che devono (o possono) essere seguite per
poter effettuare il passaggio da singolo bilancio d’esercizio a bilancio consolidato di
X
gruppo. Siamo partiti dal caso più semplice, ovvero dal consolidamento delle
partecipazioni dirette totali con perfetta coincidenza tra il valore iscritto in bilancio della
partecipazione e il valore del patrimonio netto contabile della partecipata. Via via, ci
siamo complicati la vita togliendo dapprima l’ipotesi di uguaglianza tra i valori
contabili prima richiamati, con il conseguente problema di imputazione della differenza,
e successivamente occupandoci delle partecipazioni parziali. Quest’ultimo caso in
particolare ci è servito per vedere praticamente quali sono le principali differenze che
sussistono tra le diverse teorie (della capogruppo, dell’entità e della proprietà) e le
differenti tecniche di consolidamento (integrale, proporzionale e sintetico). Infine,
abbiamo affrontato il tema delle eliminazioni delle operazioni intersocietarie,
soffermandoci sul consolidamento di crediti, debiti, costi e ricavi intercompany.
Capitolo Quarto. – In una fase così di transazione come quella attuale, abbiamo ritenuto
opportuno dedicare un capitolo alla riforma del diritto societario. Partendo dagli aspetti
generali, ci siamo man mano concentrati su ciò che è il filo conduttore di tutta la nostra
opera: il fenomeno dei gruppi. A dir la verità il decreto legislativo n. 6/2003 non parla
espressamente di gruppo né di capogruppo, ma dell’attività di direzione e
coordinamento fra società, ritenuta dal legislatore della riforma quale elemento
caratterizzante del fenomeno. Ci siamo soffermati molto sulla nuova disciplina della
responsabilità per abuso del potere di controllo, sulle nuove forme di pubblicità che
consentono (o meglio dovrebbero consentire) a tutti gli stakeholders esterni di
conoscere il gruppo e le vicende che ne esprimono la politica, e sul nuovo diritto di
recesso per i soci delle società controllate. Ovviamente abbiamo elogiato il legislatore
per alcune sue posizioni davvero innovative, ma al contempo non ci siamo lesinati nelle
critiche sui punti che riteniamo più oscuri. Successivamente, per completare il quadro,
abbiamo tratteggiato per sommi capi (summatim narrare direbbero i nostri padri latini) i
nuovi modelli di amministrazione e controllo (il modello dualistico e quello monistico,
oltre a quello tradizionale-latino), concludendo con un’ampia parentesi sui sistemi di
controllo contabile (da oggi, ben distinto da quello sull’amministrazione) e giudiziario.
Un suo spazio – anche se si tratta di un’altra riforma, quella fiscale – ha meritato anche
il consolidato domestico introdotto grazie al decreto legislativo n. 344/2003.
Capitolo quinto. – L’ultimo capitolo (ultimo come posizione ma non per importanza, o
come direbbero gli americani last but not least) è quello dedicato al caso reale: siamo
XI
passati cioè dalla teoria alla pratica. Infatti, dopo una breve parentesi introduttiva sul
perché della nostra scelta, sugli obiettivi e sulle fasi della ricerca, nonché sulla new
economy, ci siamo preoccupati di analizzare un famoso gruppo italiano: il gruppo
Tiscali. A seguito di una prima fase di conoscenza preliminare e generale (storia della
società capogruppo, compagine azionaria, corporate governance) siamo entrati nel
cuore dapprima della holding e in seguito del gruppo stesso. Partendo dal bilancio di
Tiscali s.p.a. abbiamo seguito un percorso ideale (individuazione dell’area di
consolidamento, omogeneizzazione dei bilanci da integrare, eliminazione dei valori
derivanti da operazioni interne al gruppo, consolidamento delle partecipazioni) che ci ha
portato al bilancio consolidato di gruppo. Una volta raggiunta così la nostra meta, ci
siamo concentrati sulle caratteristiche proprie dell’aggregato cercando di scoprirne vizi
e virtù (ad esempio, anticipiamo il fatto che il gruppo da noi analizzato presenta una
elevata incidenza di immobilizzazioni immateriali). Anche qui siamo stati molto critici:
abbiamo sottolineato – quando era necessario farlo – il buon lavoro svolto dal
management, ma, contemporaneamente, non ci siamo risparmiati nelle critiche quando
la situazione non era di nostro gradimento.
Non anticipiamo altro, speriamo solo di aver fatto un buon lavoro (le nostre intenzioni
erano quelle... ma si sa che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare) e auguriamo a tutti
una buona lettura.
1
Capitolo Primo
Il fenomeno dei gruppi
1.1 Premessa
La forma-gruppo non rappresenta una innovazione organizzativa recente, congegnata
per rispondere a problemi oggi insorgenti nel governo dei sistemi aziendali. Essa anzi
nei suoi tratti fondamentali – caratteristiche strutturali e meccanismi di funzionamento –
è da tempo nota e rappresenta un tema ben presente nella dottrina italiana e straniera.
Una novità è invece rappresentata dal ricorso crescente e pervasivo che a tale forma si è
fatto negli ultimi anni. In particolare, appare oramai riduttivo vedere nella forma-gruppo
unicamente il marchingegno capace di assicurare ai soggetti economici il controllo del
tanto col poco, com’è dimostrato sia dal ruolo che essa ha giocato nel processo di
ristrutturazione del nostro apparato produttivo, sia dall’utilizzo che di essa si fa non solo
a livello di grande impresa ma anche alla scala dimensionale piccola e media.
Su questo punto, però, è nata una piccola polemica tra chi, dati statistici
1
alla mano,
sostiene che il gruppo sia la forma organizzativa propria della grande o medio-grande
impresa
2
(maggiori dimensioni, minori costi: ovvero economia di scala) e chi invece
sostiene che il gruppo possa essere la “veste” anche delle imprese di piccole o medio-
piccole dimensioni
3
(maggiore diversificazione, minor rischio). Problemi questi che
analizzeremo più approfonditamente nel prosieguo della trattazione.
Molti sono gli interrogativi che circondano questo argomento, a titolo di esempio: tale
metamorfosi nell’organizzazione aziendale è stata la causa o l’effetto dei grandi
mutamenti sociali verificatisi in questi ultimi decenni? quali i vantaggi e gli svantaggi di
1
Da una ricerca condotta per conto della Banca d’Italia e riportata in Assetti proprietari e mercato delle
imprese, I, Bologna, 1994, p. 125 ss., emerge che il 50% delle società con almeno 50 addetti appartiene
ad un gruppo, ma – al contempo – appartiene ad un gruppo la quasi totalità delle società con almeno mille
dipendenti.
2
Questa tesi è sostenuta da molti tra cui: Galgano F., I gruppi di società, Torino, UTET, 2002; Terzani S.,
Il bilancio consolidato, Padova, Cedam, 1992.
3
Anche questa tesi ha diversi sostenitori, tra cui: Caselli L.- Ferrando P.M.- Gozzi A., Il gruppo
nell’evoluzione del sistema aziendale, Milano, Franco Angeli, 1990.
2
tale fenomeno? quali sono gli effetti che tale trasformazione ha portato nel nostro modus
vivendi? A questi e a tanti altri interrogativi cercheremo di dare una risposta nel corso di
questo lavoro.
1.2 L’evoluzione del gruppo, dall’impresa al gruppo di
imprese: le motivazioni storico-sociali.
La risposta agli interrogativi su esposti va preliminarmente collocata nel quadro delle
grandi trasformazioni che hanno caratterizzato e che caratterizzano tuttora gli odierni
sistemi economico-sociali.
Tra i principali fattori che hanno contribuito al mutamento indichiamo:
- complessità e accelerazione crescente dei fenomeni socio-economici (l’impresa è tante
cose allo stesso tempo: una macchina, un organismo, un cervello, un insieme di cultura,
un insieme politico, una struttura psicosociologica, un flusso di trasformazioni, uno
strumento di trasformazione e di dominanza
4
. Tutte queste variabili sono coessenziali.
Non si può, pertanto, procedere impiegando modelli semplificati e riduttivi, alla
complessità dei fenomeni si associa l’accelerazione del cambiamento tecnologico,
economico e sociale. Si accorciano i cicli di vita dei prodotti, dei processi, delle
conoscenze. L’intervallo tra mossa e contromossa diventa sempre più breve, la gestione
del fattore “accelerazione del tempo”, con le sue caratteristiche intrinseche di incertezza
e di rischio, assume oggi un’importanza cruciale. Si richiedono pertanto nuovi modelli
organizzativi e comportamentali: adozione di criteri tanto di flessibilità quanto di
impermeabilità rispetto alle varianze ambientali; assunzione di logiche assicurative
rispetto ad eventi inevitabili ma non conosciuti (ad esempio, la diversificazione);
interiorizzazione di sufficienti gradi di libertà organizzativa, tecnologica, commerciale,
finanziaria, ecc. spendibili sia per giocare in anticipo rispetto ai concorrenti sia per
minimizzare i tempi di reazione e di apprendimento rispetto alle novità delle
situazioni.)
5
;
- allargamento degli orizzonti di riferimento, la “globalizzazione” (nella seconda metà
di questo secolo l’economia mondiale è andata assumendo sempre più marcatamente i
4
Cfr. Caselli L., Impresa e ambiente. Cambiamenti dei fenomeni produttivi, in Kybernetes, n. 13, 1988.
5
Cfr. Caselli L.- Ferrando P.M.- Gozzi A., Il gruppo, op. cit., p. 10.
3
caratteri di una economia globale, che tende a superare i confini politici degli stati e a
ridurre il pianeta ad un’economica unità. L’economia globale si è sovrapposta all’antico
commercio internazionale; in passato la produzione era sempre nazionale, erano
internazionali i mercati d’approvvigionamento delle materie prime e del collocamento
dei prodotti finiti. Nell’economia che si dice globale, non sono solo le merci a circolare
oltre i confini nazionali, in ambiti internazionali si disloca e si ramifica la stessa
organizzazione produttiva e distributiva
6
. Le grandi imprese assumono dimensioni
mondiali, collocano le proprie unità di produzione direttamente sui mercati di consumo,
oppure articolano in paesi diversi – secondo criteri di convenienza – le diverse fasi e i
diversi settori della propria attività, traendo vantaggio dalle diverse opportunità che vi
trovano offerte. Come, per esempio, il più vantaggioso mercato del lavoro, o il più
vantaggioso mercato dei capitali, o il preferibile sistema fiscale. Così si possono
osservare grandi gruppi dislocati per tutto il mondo: con gli stabilimenti di produzione
nei paesi del sud-est asiatico, la sede legale nei c.d. “paradisi fiscali”, mentre nei paesi
industrializzati, che pur rappresentano il loro sbocco naturale, possiedono solo qualche
sede secondaria o qualche ufficio di rappresentanza. Tutto ciò è confermato da recenti
rilevazioni statistiche, eseguite nel corso del 1995 e relative ai maggiori gruppi
mondiali, che hanno evidenziato risultati quanto mai illuminanti. Un dato solo per
capire il fenomeno: la Nestlè ha un patrimonio estero pari all’86,9% del totale e
un’occupazione estera del 97% sul totale
7
. Al tempo stesso l’economia globale, di cui le
multinazionali sono le principali protagoniste, produce un effetto sconvolgente sugli
assetti politici e giuridici degli stati: ne frusta la politica economica e ne esautora le
leggi. Le multinazionali concorrono alla formazione di quella nuova lex mercatoria,
altrettanto universale
8
quanto fu universale la lex mercatoria dell’era preindustriale cui
si tende ormai a riconoscere il carattere di originario e soprannazionale ordinamento
giuridico, quale ordinamento della business community o, come preferisce qualificarla
la nostra Cassazione, della societas mercatorum, che non conosce nazionalità e si
estende oltre ogni confine politico all’interno del villaggio globale.) Sono questi temi
6
Coerente con questa impostazione teorica, è la nozione di economia globale che si trova nella letteratura
economica: cfr. Quadrio C., Globalizzazione: profili economici, Bologna, Il Mulino, 1999, p. 41.
7
Sono dati UNCTAD, pubblicati su The Economist il 22 novembre 1997, p. 108.
8
Per ulteriori approfondimenti in materia: cfr. Galgano F., Lex mercatoria, Bologna, Il Mulino, 2001.
4
che esulano dalla materia di questa trattazione, ma ne costituiscono il naturale sfondo e
per questo abbiamo voluto inserire queste brevi riflessioni.
- propulsività e pervasività del sapere scientifico e tecnologico (la scienza si rivela oggi
quale forza direttamente produttiva, potenzialmente in grado di trasformarsi in
tecnologia, processo, prodotto, organizzazione, secondo dinamiche plurisequenziali che
creano, a loro volta, stimoli ed opportunità per l’ulteriore progredire della scienza e
delle sue applicazioni. Nello sviluppo della scienza e della tecnologia sono riscontrabili
logiche di autopropulsività e multidirezionalità. Le loro potenzialità sono cioè sfruttabili
in modi plurimi, non sempre prevedibili o rigidamente pianificabili. Le opportunità di
“fertilizzazione” possono dispiegarsi tanto verticalmente – lungo cioè una specifica
filiera produttiva: chimica di base, applicata e fine – quanto in orizzontale da settore a
settore, da funzione a funzione. In questa ottica tendono a saltare sia la separatezza dei
campi tecnologici tradizionalmente intesi, sia la rigida distinzione temporale tra
comparti avanzati e comparti arretrati o maturi. Le stesse barriere all’entrata possono
essere aggirate, in taluni casi assumono addirittura un valore negativo in quanto le
conoscenze scientifiche e tecnologiche per competere in un dato settore, innovandolo
profondamente, si formano e si acquisiscono in altri ambiti produttivi
9
. L’impresa si
trova ad operare in una situazione a “molti gradi di libertà” e occorre per questo creare
le condizioni favorevoli per le ibridazioni scientifico-tecnologiche per poter cogliere le
ricadute e le applicazioni dei processi innovativi intrapresi. Così, innovazioni finalizzate
al processo, ai materiali, al controllo possono acquisire una loro autonomia e tramutarsi
in prodotti o servizi vendibili, creando così le premesse per possibili diversificazioni.);
- dematerializzazione e despazializzazione (alle funzioni materiali e tradizionali del
produrre si affiancano oggi quelle immateriali e innovative. Il layout visibile si
compenetra con un layout invisibile, ma non per questo meno pregnante. Nel contempo,
muta drasticamente la combinazione tra fare e saper fare, tra cose e informazioni, tra
investimenti hard e investimenti soft, tra lavoro diretto e lavoro indiretto, tra azioni
concrete e azioni astratte, tra prodotto acquistato e prodotto venduto. Tra domanda e
offerta, coerentemente con quanto fin qui osservato, si instaura una logica interattiva. In
luogo di una mera transazione mercantile, sancita dal pagamento di un prezzo, si assiste
alla realizzazione di sistemi partecipati e coinvolgenti, cioè beni e servizi vengono
9
Cfr. Volpato G., Concorrenza, impresa, strategie, Bologna, Il Mulino, 1986, p. 66.
5
scambiati sulla base di processi collaborativi con utilizzatori e fornitori. Si parla al
riguardo di dematerializzazione. Il prodotto incorpora dosi crescenti di sapere, di
conoscenza, di organizzazione; si propone come veicolo di un servizio o meglio di una
famiglia o linea di servizi finalizzati alla soddisfazione di bisogni interdipendenti,
esplicati e specificati attraverso comuni linguaggi
10
. Le funzioni e le fasi del produrre si
collocano in punti diversi rispetto al passato, muta il peso e il ruolo delle funzioni
dentro l’impresa, muta la divisione del lavoro tra le imprese e il vincolo spaziale alle
attività nel mentre si allenta – decentramento informatico e telematico – al tempo stesso
si densifica con l’emergere di nuovi elementi localizzativi fatti di interazione, sinergia,
relazionalità tra i diversi soggetti coinvolti nei processi produttivi).
I problemi teorici connessi alle grandi trasformazioni sono stati da noi sommariamente
tratteggiati e non sono di agevole soluzione. La realtà che abbiamo di fronte non può
essere più semplificata attraverso poche variabili (impresa, mercato, struttura, strategia),
ma si impone uno sforzo innovativo con cui approcciarsi alla nuova realtà. All’impresa
intesa come categoria concettuale universale (quasi platonica) si affiancano nuove
tipologie di imprese, viene progressivamente meno l’archetipo della grande impresa
come realtà monolitica (nel senso della grande corporation manageriale) ed emerge
quello più complesso ed articolato di gruppo. Si fanno largo nella realtà aziendale nuove
forme organizzative: imprese industriali no-manufactoring, sistemi di imprese a
costellazione, sistemi di imprese ad albero, sistemi reticolari di imprese, consorzi,
cartelli, distretti, joint venture e, soprattutto ciò che è oggetto della nostra disamina, i
gruppi. L’elencazione delle forme con cui tentare di rappresentare la varietà e la
variabilità delle situazioni in gioco potrebbe continuare. Ma, ciò che premeva far capire
in queste prime battute iniziali era che con le trasformazioni avutesi negli ultimi decenni
i confini delle imprese, un tempo ben definiti e fisicamente percepibili, diventano fluidi
e sempre meno individuabili in maniera univoca, l’impresa si adatta alla realtà che la
circonda e assume mille sfaccettature e mille sfumature differenti. E il gruppo
rappresenta uno dei tanti volti di questa nuova realtà
11
.
10
Cfr. Gozzi G.- Vaccà S., Esiste il consumatore universale?, in Economia e politica industriale, n. 52,
1986.
11
Per approfondimenti sull’argomento, consigliamo: Cinque E., I gruppi economici, profili aziendali e
strumenti di informazione contabile, Padova, Cedam, 2000; ma anche, Galgano F., I gruppi di società, op.
cit.
6
1.2.1 Le motivazioni economico-aziendali
Adesso effettuiamo uno spostamento di visuale, passiamo cioè da un contesto storico-
sociale ad una prospettiva economico-aziendale. Partendo da un contesto economico
generale, concentreremo la nostra analisi sul sistema azienda, esaminato per così dire
dall’interno. Ciò ci porterà inevitabilmente al ricorso di principi, concetti e strumenti
propri di tale settore, ma cercheremo comunque di essere chiari e semplici.
Le circostanze che spingono le aziende a sperimentare percorsi rivolti all’aggregazione,
sono numerose e possono essere osservate da diverse angolazioni. La prima prospettiva
d’indagine inquadra il fenomeno dei gruppi aziendali (anche se sarebbe preferibile
parlare di gruppi di imprese
12
) nell’ambito della vasta e multidisciplinare teoria
dell’organizzazione economica. L’attenzione viene rivolta, principalmente, verso le
ragioni che conducono allo sviluppo di determinate forme organizzative attraverso cui si
sceglie di compiere l’attività economica. In questa ottica, i gruppi sono percepiti come
espressioni intermedie delle tipiche istituzioni economiche del mercato, delle imprese e
delle relazioni contrattuali; pertanto, i modelli interpretativi proposti mirano ad
individuare i confini reciproci delle organizzazioni economiche e le variabili che
agevolano la creazione dei rapporti istituzionali di integrazione. Gli studi di questo
genere, percorrono due grandi direttrici, che del resto rappresentano anche le principali
finalità attribuite ai gruppi. Un primo filone di ricerca si muove all’interno del noto
paradigma struttura-condotta-performance nelle sue varie formulazioni. Esso premia la
chiave di lettura della concentrazione industriale, quale elemento della struttura del
settore di riferimento che, insieme ad altre variabili, concorre ad influenzare i
comportamenti delle aziende che operano in quel settore e i risultati economici
conseguiti dalle stesse. Il fenomeno dei gruppi aziendali viene collocato tra le forme di
concentrazione finalizzate a limitare la pressione competitiva presente in un certo
settore produttivo.
Un secondo percorso di studi interpreta, invece, lo sviluppo dei gruppi come modalità di
sfruttamento di economie di vario genere. L’osservazione si sposta sulla natura dei
processi economico-produttivi attuati e sulle conseguenze, in termini di efficienza dei
12
Su questo punto torneremo più approfonditamente nel prosieguo della trattazione, comunque per un
primo saggio dell’argomento: cfr. Terzani S., Il sistema dei bilanci, Milano, Franco Angeli, 2002, p. 292
ss.
7
medesimi, dei rapporti di collaborazione e di integrazione. In questo caso l’analisi viene
soprattutto filtrata attraverso strumenti concettuali quali, ad esempio, le economie di
scala
13
, le economie di scopo
14
(o di raggio d’azione), le economie di transazione
15
e le
economie di esperienza
16
.
Un’altra prospettiva di analisi, complementare a quella appena richiamata, consiste nel
focalizzare l’attenzione sulle variabili proprie del sistema aziendale, sui caratteri
distintivi di questo ultimo e sulle sue modalità di interazione con l’ambiente economico
di riferimento. In tal caso, oggetto di osservazione non sono più gli elementi strutturali
dei settori cui le aziende appartengono, né le tipologie dei mercati nei quali le stesse
attuano relazioni di scambio, e nemmeno la natura dei processi economico-produttivi
che in esse si svolgono: il fenomeno dei gruppi viene piuttosto sistemato tra le
condizioni di esistenza e le manifestazioni di vita delle aziende
17
. Ne consegue che, ai
fini della costruzione di un modello interpretativo della realtà dei gruppi aziendali,
assumono un ruolo fondamentale l’individuazione della specifica figura del soggetto
economico, il grado di autonomia di ciascuna unità osservata, l’estensione e
l’articolazione delle combinazioni economiche d’azienda, la natura e l’intensità dei
legami con altre aziende, gli strumenti per l’apprezzamento dell’equilibrio economico,
finanziario e patrimoniale delle singole componenti e dell’intero complesso. L’azienda
diventa un sistema aperto: in quanto tale, interagisce continuamente con l’ambiente
economico circostante, ponendo in essere relazioni di diversa natura con altre aziende
18
.
Si va dagli sporadici rapporti di scambio di beni e servizi, a forme di collaborazione
economica più o meno estese e durature, fino a giungere a relazioni di tipo istituzionale
13
Si è in presenza di economie di scala ogni qualvolta al crescere delle dimensioni della capacità
produttiva installata si riduce il costo unitario dei beni prodotti. Di fronte ad una situazione di questo
genere, un’azienda deve perseguire un aumento della propria dimensione, così da raggiungere almeno la
dimensione ottima minima, cioè il minimo livello di produzione che consente di sfruttare le economie di
scala. Sull’optimum aziendale sarebbe interessante leggere le teorie del Terzani, in Il bilancio
consolidato, op. cit. p. 4 ss.
14
Tali economie si riferiscono ai casi in cui la produzione o la commercializzazione congiunta di più beni
differenti consente di ridurre i costi complessivi, rispetto all’ipotesi in cui tali beni siano prodotti da
economie distinte.
15
Sono legate al risparmio dei costi (di transazione appunto) che si manifestano in qualsiasi relazione tra
imprese. In alcuni casi, esse possono essere sfruttate mediante il passaggio da un sistema di contrattazione
di libero mercato ad uno di tipo gerarchico.
16
Si realizzano all’aumento del volume di produzione cumulata e sono legate principalmente alla curva di
apprendimento del fattore lavoro.
17
Cfr. Zappa G., Tendenze nuove negli studi di ragioneria, Milano, Istituto editoriale scientifico, 1927, p.
30 ss.
18
Cfr. Cinque E., I gruppi economici, op. cit.
8
che implicano la piena condivisione del medesimo sistema dei fini, in un continuum di
manifestazioni e condizioni che rende quanto mai arduo il compito di tracciare il
confine tra relazioni di tipo semplice, che lasciano pressoché inalterata la morfologia di
ciascuna azienda, e legami più complessi, che incidono invece in maniera determinante
sulla struttura e sulla gestione del sistema aziendale
19
. Infine, va precisato che,
nonostante siano molteplici e di vario genere le possibili ragioni all’origine dei gruppi
aziendali, il filone degli studi economico-aziendali propone in definitiva – quale filo
conduttore unificante – il raggiungimento, il mantenimento e il miglioramento
dell’equilibrio economico durevole ed evolutivo
20
.
1.2.2 La dottrina e la giurisprudenza, dalla società per azioni
al gruppo di società.
Le imprese di gruppo si sono sviluppate nel corso del XX secolo. La loro comparsa ha
rappresentato, sul terreno dell’organizzazione giuridica dell’attività economica, una
innovazione altrettanto profonda quanto l’avvento – nel XIX secolo – della società per
azioni, quale tipo di società caratterizzato dalla divisione del capitale sociale in azioni e
dalla responsabilità limitata dei soci. Fra l’uno e l’altro evento c’è un evidente rapporto
di continuità, e tuttavia c’è una sensibile differenza, che è poi all’origine delle difficoltà
che si incontrano nella sistemazione concettuale e nella comprensione stessa di questa
nuova realtà dell’organizzazione imprenditoriale. La società per azioni era stata una
creazione legislativa; e solo con norma di legge si era potuto dare vita ad un tipo di
società nel quale la partecipazione dei soci era tramutata in valore di scambio,
liberamente circolabile come cosa mobile, ed a tutti i soci era dato di fruire del
beneficio della responsabilità limitata al capitale conferito. Nell’epoca precedente
queste prerogative erano state eccezionalmente concesse, come nel caso della
Compagnia delle Indie del XVII e del XVIII secolo, con graziosi provvedimenti
sovrani; nel XIX secolo esse diventano i caratteri propri di un ordinario tipo di società,
19
Cfr. Galassi G., Concentrazione e cooperazione interaziendale, Milano, Giuffrè, 1969, p. 171-172.
20
Sul significato dell’espressione si rinvia a Ferraris Franceschini R., L’azienda: caratteri discriminanti,
criteri di gestione, strutture e problemi di governo economico, in Cavalieri E. (a cura di), Economia
aziendale, vol. I, Torino, Giappichelli, 2000, p. 59-66. Sullo stesso punto si veda anche Azzini L., I
gruppi aziendali, Milano, Giuffrè, 1975, p. 20; oppure Cassandro P.E., I gruppi aziendali, Bari, Cacucci,
1988, p. 20.
9
variamente denominato come società anonima o come società per azioni o come
company o come corporation, che si affianca alle tradizionali società di persone, quale
forma di società adatta alle grandi imprese dell’era industriale, richiedenti
l’investimento di ingenti capitali e implicanti l’assunzione di elevati rischi. La divisione
del capitale in valori negoziabili poteva procurare l’afflusso del risparmio alle iniziative
produttive; la responsabilità limitata, rendendo il patrimonio personale dei soci indenne
dai rischi dell’impresa, agiva come incentivo all’investimento azionario
21
.
Il gruppo di società è, all’opposto, frutto dell’inventiva imprenditoriale: non già
creazione legislativa, bensì creazione dell’autonomia privata; e quando la legge è
intervenuta – come in modo diffuso, la legge azionaria tedesca del 1965 o,
frammentariamente, le leggi degli altri paesi – essa è intervenuta solo per prendere atto
di un già consolidato fenomeno e solo per correggerne taluni effetti distorsivi (e la
stessa dottrina tedesca constata che l’Aktiengesetz se ne occupa solo per tutelare gli
azionisti e i creditori delle società controllate). Il gruppo di società nasce dalla
valorizzazione di potenzialità implicite nella forma giuridica delle società per azioni,
che l’inventiva imprenditoriale porta alle estreme conseguenze. La configurazione della
partecipazione sociale come valore di scambio permette il controllo fra società:
chiunque può acquistare o sottoscrivere azioni; così può una società acquistare o
sottoscrivere azioni di un’altra società, ed in misura tale da consentirne il controllo,
ossia l’esercizio di una influenza dominante nell’assemblea dell’altra, che perciò
diventa strumento dell’azione della prima. A questo modo una medesima attività
economica può frazionarsi in una pluralità di società, tutte fra loro legate da un rapporto
di controllo azionario, che ne assicura la guida unitaria, ciascuna destinata ad un singolo
settore dell’impresa o ad uno specifico mercato in cui essa opera. Nei sistemi di
common law, la data di nascita dei gruppi suole farsi risalire ad una legge del New
Jersey del 1896 che, per prima, ammise la possibilità per una corporation di acquistare
azioni di un’altra società, in precedenza esclusa perché atto ultra vires
22
. In civil law, in
assenza del principio anglosassone della capacità speciale delle persone giuridiche
23
, le
21
Cfr. Galgano F., I gruppi di società, op. cit., p. 2 ss.
22
In argomento Tonello, L’abuso della responsabilità limitata nelle società di capitali, Padova, Cedam,
1999, p. 67 ss.
23
Sulla differenza fra i due sistemi, essendo il civil law basato sulla capacità generale delle persone
giuridiche, si è soffermato Martorano F., Capacità delle società e oggetto sociale nel diritto anglo-
americano, Napoli, Jovene, 1961.
10
partecipazioni in altre società, fino al conseguimento del controllo, si erano potute
liberamente sviluppare senza bisogno di alcuna norma di legge permissiva. I gruppi di
società salgono alla ribalta della legislazione in fase oramai avanzata della loro
espansione. Così, in Italia, con il R. D. 13 novembre 1931, n. 1434, che anticipava l’art.
2361 del codice civile del 1942, ammettendo che una società potesse, senza dover
modificare il proprio oggetto sociale, assumere partecipazioni in altre società aventi il
medesimo oggetto. Inoltre l’espansione della responsabilità limitata, propria della
società per azioni, anche alle piccole e medio-piccole iniziative economiche (prende vita
la figura giuridica della società a responsabilità limitata e della società a responsabilità
limitata unipersonale) favorisce la diffusione della forma-gruppo. Le imprese del
gruppo, oltre che la forma, che pure resta dominate della società per azioni, possono
utilizzare anche quella della società a responsabilità limitata.
L’odierna teoria della società per azioni è frutto di due secoli di elaborazione dottrinale,
condotta a partire dal dettato normativo, che nel succedersi delle riforme legislative ha
manifestato sempre maggiore compiutezza ed organicità. Per il gruppo di società, in
assenza di altrettanto compiuto dettato legislativo, i giuristi si sono prevalentemente
studiati, piuttosto che di dare a questa nuova realtà dell’organizzazione imprenditoriale
un’adeguata sistemazione concettuale, di valutarne la compatibilità con le norme
regolatrici della società per azioni (e delle società di capitale in genere), assunte come il
solo dato giuridicamente rilevante
24
. Piuttosto che costruire in positivo una teoria del
gruppo, la si è costruita in negativo; non ci si è domandati che cosa un gruppo è, ma
piuttosto che cosa non può essere, valutata la sua incompatibilità con il dettato
legislativo. Un simile giudizio di compatibilità è stato, il più delle volte, formulato in
termini quanto mai restrittivi, quasi che il gruppo di società fosse un fenomeno
degenerativo, tale da compromettere i valori protetti dalle norme regolatrici della
società per azioni, e perciò da contrastare il più possibile. Da noi si compie qualche
timido passo quando, per combinare l’unità del gruppo con la pluralità delle società che
lo compongono (concetto che sarà oggetto di approfondimento più avanti nella
trattazione), si parla del primo come di una universalità di imprese; o quando, per dare
conto dei segni rivelatori dell’unità dell’impresa di gruppo emergenti dalla legislazione
successiva al codice civile, si ammette che l’unità vale solo nel diritto speciale. Ci
24
Cfr. Galgano F., I gruppi di società, op. cit.
11
rendiamo conto che il tema è di quelli che possono mettere a dura prova le menti che vi
si accostano: come può una entità essere, al tempo stesso, una (l’unità del gruppo) e
plurima (la pluralità delle società che lo compongono)? Un tema che evoca misteri
teosofici (come il mistero della trinità). Ciò spiega come anche in questa materia ci
siano gli agnostici (quelli che non vedono altro che le singole società) ed i credenti (che
invece credono nella giuridica esistenza di un rapporto di gruppo fra le società); e come
ci sia una proliferazione di eresie (c’è chi parla delle società controllate come di società
a sovranità limitata e chi parla di imprese di gruppo, anziché di gruppo di imprese), e vi
siano anche i mistici (quelli che entificano il gruppo, elevandolo alla dignità di nuova
persona giuridica). Non maggiore fortuna i gruppi hanno riscosso in sede legislativa. Il
progetto di IX Direttiva sui gruppi, elaborato in sede comunitaria nel 1984, non ha
avuto alcun seguito, come è rimasto tuttora allo stato di progetto il Codice di
comportamento delle società transnazionali, elaborato in sede ONU nel 1990
25
.
Bisogna dire che ad una costruzione in positivo dei gruppi di società, piuttosto che la
dottrina o il legislatore, si è accinta la nostra giurisprudenza. È dagli anni sessanta che la
Cassazione ha cominciato a dare rilievo giuridico al rapporto di gruppo instaurato fra
più società e ad offrire contributi originali alla costruzione giuridica di questa nuova
entità. La qual cosa si spiega col fatto che i giudici si sono dovuti occupare dei gruppi a
partire dall’esperienza e per dare risposte agli interrogativi che l’esperienza sollecitava
loro. Essi si sono potuti rendere conto che una società appartenente ad un gruppo non
equivale ad una società isolata e, sebbene nessuna norma di legge imponesse loro di
differenziarle, non hanno mancato di pervenire ad una precisa differenziazione. C’è
stato, da parte della giurisprudenza, uno sforzo di comprensione della realtà dei gruppi
che è, invece, mancato alla prevalente dottrina adagiata sul luogo comune per cui, non
essendo stata prevista dalla legge, l’impresa di gruppo non ha diritto alcuno di
cittadinanza entro il sistema giuridico
26
. Non può destare sorpresa che in un’epoca come
la nostra – che i filosofi descrivono come l’epoca della iurisdictio
27
– siano stati i
giudici, anziché il legislatore, a battere le strade dell’innovazione.
25
E in Italia le cose come vanno? Dobbiamo dire che con la riforma del diritto societario (D. Lgs. n.
6/2003) e l’introduzione del consolidato fiscale (D. Lgs. n. 344/2003) si è fatto qualche passo in avanti
nel riconoscere questa nuova realtà. Ma ritorneremo più approfonditamente sull’argomento nel corso del
quarto capitolo.
26
Cfr. Galgano F., I gruppi di società, op. cit., p. 9.
27
In antitesi con la precedente epoca descritta come della legislatio, cfr. Matteucci N., Positivismo
giuridico e costituzionalismo, RTDPC, 1963, p. 1008.