45
4.1- Le matrici culturali del diritto penale Europeo ed il percorso
ideologico di avvicinamento al primo codice penale dell’Italia unita.
Si può ritenere, a buon motivo, che Giuseppe Zanardelli, coll’aver fatto approvare,
nel 1889, il primo codice Penale del Regno d’Italia, avesse portato a compimento una
“colossale” opera di studi sulla materia.
Tale opera era stata finalizzata, oltre che ad inserire concretamente i rilevantissimi
dogmi di stampo illuministico sulla Ragione nelle leggi Statali, in modo da dare
completa legittimazione ad un Sistema istituzionale fondato su delle grundnorm, a
dare seguito a quel “progetto” di liberazione dell’Italia dalla “schiavitù” giuridico-
istituzionale ed ideologico-culturale impostagli, per secoli, dalle vicine Nazioni
europee.
Il primo Codice Penale per il Regno d’Italia fu il frutto dello svolgersi di un lungo ed
articolato percorso che prese le mosse dalla evoluzione delle varie culture ed
ideologie in Europa fra il XVII ed il XVIII secolo, fase in cui si sviluppò quella
concezione liberale dello “Stato di diritto” articolata su di una rigida divisione dei
Poteri, la quale, quest’ultima, s’era affermata in seno alla corrente filosofica del
Giusnaturalismo, diffusasi in Europa agl’inizi del Seicento.
77
Senonchè, è importante puntualizzare un dato decisivo per la nostra indagine: tra la
fine del Settecento e gl’inizi dell’Ottocento si assistette ad un fenomeno di
razionalizzazione del Diritto, frutto di un’operazione di “asportazione”, dall’interno
del Sistema giuridico, dei fondamenti del pensiero religioso, e conducente, peraltro,
alla strutturazione di un Diritto Penale laico.
78
E fu proprio in questa fase storica che si sviluppò, nell’ambito del pensiero giuridico,
77
Il Giusnaturalismo ha, alla sua base, alcuni assunti fondamentali: l’idea dell’esistenza di diritti naturali soggettivi
innati in ciascun uomo, l’idea dell’esistenza di un’originario Stato di natura che abbia precorso alla società civile, l’idea
della sussistenza di un accordo sociale fra individui che abbia legittimato il potere d’imperium dello Stato, e, infine, la
convinzione per cui lo Stato abbia avuto la possibilità di mettere a disposizione dei cittadini un Sistema giuridico su
base scientifica come tale avente valore, in un cero senso, universale. Per approfondimenti si veda A. CAVANNA,
Storia del diritto moderno in europa-Le fonti e il pensiero giuridico, I, Giuffrè, 1982, Milano, pp.319 e ss.
78
Una specifica attenzione a tale specifica tematica nell’ambito del diritto punitivo è stata dedicata da Mauro Ronco, il
quale ha ripercorso le tappe fondamentali della “rivoluzione antropologica” sensista e materialista condotta
dall’Illuminismo “giuridico-penale”, costituente la fase saliente di quell’opera di definitiva cancellazione della
componente spirituale ed etica nella considerazione della personalità umana. L’itinerario dell’autore è rigoroso: per un
verso, egli congiunge, in una coerente tessitura teorica, i fondamenti gnoseologici degli albori del Giusnaturalismo
“profano” − come elaborati dal contrattualismo hobbesiano − agli aneliti di “umanizzazione” dei delitti e delle pene di
Cesare Beccaira e di Voltaire, fino al consolidamento legalistico del general-prevenzionismo frutto dell’opera di Paul
Johann Anselm von Feuerbach; per altro verso, riannoda gli stessi al mutato clima illuministico di riduzione
materialista dell’uomo a mero reticolato di sensi ed impulsi, con radicale annichilimento della componente etica e
spirituale. Sìcche, da un canto, proprio la negazione della libertà, come fondamento della condotta umana, viene a
costituire l’orizzonte filosofico e culturale del nuovo diritto penale dello scopo e dell’utilità sociale, e da un altro canto,
gli stessi principi umanitari assunti − mediante una critica “dissacrante e spregiudicata”− a paradigma di legittimazione
del processo riformistico dagli studiosi illuministi, lungi dal riposare sulla pur ostinatamente conclamata valorizzazione
della “dignità umana”, vanno a costituire in realtà la più rigorosa e radicale negazione già sul piano della fondazione del
Magistero punitivo dello Stato. A tale riguardo, come rammenta l’autore, la radice funzionalistica del diritto penale, in
quanto volto alla prevenzione del danno sociale attraverso la minaccia esercitata sulla volontà e sui sensi, <<è contraria
alla dignità della persona: […] una siffatta fondazione della pena presuppone un modello di uomo la cui essenza
sarebbe un fascio indeterminato di impulsi, e comporta una operatività concreta che considera e tratta il reo come un
mero fattore di insicurezza, e non come un ente capace di autodeterminazione giuridica>>. M. RONCO, Il problema
della pena, Torino, 1996, p.51.
46
la nota corrente dell’ “Illuminismo Giuridico”.
Tale corrente avrebbe dato corso ad una Teorica del reato e della pena basati su di un
criterio utilitaristico
79
, consistente, nel dettaglio, nella conclusione di un patto
80
tra
Istituzioni e Popolo al fine di assicurare, contestualmente, ai primi, la difesa sociale,
e, ai secondi, la libertà individuale.
81
Da tale dato, dunque, è necessario prendere le mosse per poter cogliere quelle che
sono state le vicende politico-ideologiche nella fase di preparazione del nuovo Codice
per il Regno, così, poi, da poter apprezzarne i contenuti tecnico-giuridici in seno alle
sue norme.
Solo un breve cenno, però, va fatto, per richiamarne l’importanza in seno al percorso
di formazione del Codice, all’influenza che ebbe la figura di Giandomenico
Romagnosi rispetto all’impegno sul “fronte” gius-penalistico di Zanardelli.
Quegli, in particolare, dette uno “sbocco” alla riflessione critica sul sensismo
illuministico, inserendola all’interno della concezione positivistica della realtà e della
storia.
Dallo studio sui suoi scritti politico-giuridici, dedicati ai concetti di uguaglianza e di
libertà (in particolare, per quel che ci riguarda, la sua Genesi del diritto penale del
1791), era emerso come la sua grande dote fosse stata quella di aver impostato le idee
con un metodo prettamente razional-sistematico.
Tornando, però, ora, all’analisi critica relativa alla corrente dell’ “Illuminismo
Giuridico”, si deve rammentare come tra i suoi esponenti di primo piano vi sia stato,
certamente, il grande Cesare Beccaria, il quale avrebbe avuto il merito di aprire un
discorso nuovo e d’impronta liberale sulla materia penale in Italia.
Questa ventata d’innovazione trovò riscontro nel notissimo suo libro “Dei delitti e
delle pene”, in cui veniva sottolineato come la prerogativa dello ius puniendi non
potesse risiedere che presso il legislatore, il quale rappresentava tutta la Società unita
in virtù di un contratto sociale, e come tale prerogativa avesse a fondamento quel
79
All’interno del filone del Giusnaturalismo si sarebbe sviluppata in Inghilterra, tra il XVII ed il XVIII secolo la
corrente dei cd. utilitaristi di cui si ricordano qui due fra i più grandi esponenti come Jeremy Bentham e John Stuart
Mill. Tale dottrina filosofica, assimilando la morale a una scienza esatta, riconosceva nel piacere il movente delle azioni
umane, facendo coincidere la felicità con l'utilità dell'individuo o della società. L'utilitarismo, poi, influenzò il
liberalismo e le dottrine economiche di Ricardo e Malthus. Questa considerazione del «modello di uomo», in un cero
senso, capovolta, ha pesato sull’edificazione del diritto Penale di impostazione cd. liberale, e ciò lo si può verificare non
solo in relazione alla fondazione giustificativa della pena come rimedio funzionale al conseguimento di finalità
utilitaristiche di carattere «estrinseco» rispetto alla giustizia del rapporto interpersonale, ma anche considerando come,
alla sequela della medesima, il liberalismo penale sia giunto ad assegnare al diritto punitivo “lo scopo […] della
protezione dei beni e degli interessi sociali”. Il principio di «utilità penale», quale fu formulato da Grozio, da Hobbes,
da Pufendorf, da Thomasius, da Beccaria e, più diffusamente, da Bentham, avrebbe infatti giustificato la delimitazione
della sfera delle proibizioni penali − coerentemente alla funzione preventiva della pena come “precautio lesionum et
injuriarum”, non dettata da passione di vendetta ma diretta soltanto “acerbitate sua homines a peccatis deterreri” − alle
sole azioni riprovevoli per i loro “esterni e fisici effetti” per i terzi. Su tale importante tematica si veda U. GROZIO, De
jure belli ac pacis libri tres, 1625, Brill, Lugduni 1939; S. PUFENDORF, De jure naturae et gentium, libri octo (1672),
ex officina Knochio-eslingeriana, Frankfurt, 1759; ID., De officio hominis et civis juxta legem naturalem, libro duo,
1673, Brandmulleri, Basileae; C. THOMASIUS, Institutiones Jurisprudentiae Divinae, 1688, rist. Scientia Verlag,
Aalen 1963; J. BENTHAM, Principes du code pénal, I partie, ch. I, in Traités des preuves judiciaires, Paris, 1823; G.
ROMAGNOSI, Genesi del diritto penale, 1791, Silvestri, Milano 1836, 6° ed.
80
Su tale aspetto si faccia riferimento a quanto detto al capitolo 1, par.1.4.1.
81
Per approfondimenti si veda R. MAZZOLA, Le radici cristiane e laiche del diritto penale statuale, Commenti e
Dibattiti in Rivista It. di dir e proc. Pen. (1998).
47
principio della rappresentatività parlamentare costituente la consacrazione del
Sistema democratico.
Peraltro, lo stesso Beccaria aveva precisato come la materia Penale avesse un’essenza
di extrema ratio all’interno dell’Ordinamento legale.
82
Egli stesso, poi, s’era espresso dettagliatamente sulla classificazione dei reati, e, nello
stesso frangente, aveva affrontato il tema centrale della definizione
dell’ambito epistemiologico della materia penale: <<Abbiamo veduto qual sia la
vera misura dei delitti, cioè il danno alla società…Alcuni delitti distruggono
immediatamente la società, o chi la rappresenta; alcuni offendono la privata
sicurezza di un cittadino nella vita, nei beni, o nell’onore; alcuni altri sono azioni
contrarie a ciò che ciascuno è obbligato dalle leggi di fare, o non fare, in vista del
ben pubblico…Dopo questi seguono i delitti contrari alla sicurezza di ciascun
particolare…Le azioni morali, come le fisiche, hanno la loro sfera limitata di attività
e sono diversamente circonscritte, come tutti i movimenti di natura, dal tempo e dallo
spazio; e però la sola cavillosa interpretazione, che è per l’ordinario la filosofia
della schiavitù, può confondere ciò che dall’eterna verità fu con immutabili rapporti
distinto>>
83
.
Infine, lo stesso Beccaria aveva fatto un importante richiamo alla necessaria
collocazione del diritto penale nell’ambito del diritto Pubblico: <<…perché ogni
pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev’essere
essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date
circostanze, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi>> .
84
Ma, la parte caratterizzante del suo “saggio” sarebbe risultata quella in cui egli
avrebbe preso posizione contro la pena di morte.
85
Intanto, in seguito alla diffusione della cultura illuministica nell’Italia d’inizio
Ottocento, s’andavano affermando, in ambito penale, tre diversi filoni di pensiero: la
cd. Scuola Classica, il filone dei cd. Utilitaristi ed infine la cd. Scuola Positiva.
La prima scuola di pensiero (quella Classica)
86
ebbe il merito di stabilire i limiti dello
82
A tal proposito egli si espresse in questo modo: <<Ogni pena che non derivi dall'assoluta necessità, dice il grande
Montesquieu, è tirannica; proposizione che si può rendere piú generale cosí: ogni atto di autorità di uomo a uomo che
non derivi dall'assoluta necessità è tirannico...Consultiamo il cuore umano e in esso troveremo i principii fondamentali
del vero diritto del sovrano di punire i delitti, poiché non è da sperarsi alcun vantaggio durevole dalla politica morale
se ella non sia fondata su i sentimenti indelebili dell'uomo. Qualunque legge devii da questi incontrerà sempre una
resistenza contraria che vince alla fine, in quella maniera che una forza benché minima, se sia continuamente applicata,
vince qualunque violento moto comunicato ad un corpo>>. C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, a cura di A.
BUGIO, Feltrinelli ed., 2004, § II. Diritto di punire, p.38.
83
C. BECCARIA, op. cit., § VIII. Divisione dei delitti, pp.48-49.
84
C. BECCARIA, op. cit., § XLVII. Conclusione, p.115.
85
<<Non è dunque la pena di morte un diritto...è una guerra della nazione con un cittadino, perché giudica necessaria
o utile la distruzione del suo essere>>, C. BECCARIA, op. cit., § XXVIII, Della pena di morte, p.80. E’ da sottolineare
come altri grandi esponenti dello “Illuminismo Giuridico” si schierarono a favore della pena di morte. Tra questi vi
furono Gaetano Filangieri e Francesco Mario Pagano. Per approfondimenti sul loro pensiero su tale tema si veda
rispettivamente G. FILANGIERI, La scienza della legislazione, Napoli, 1898 e F. M. PAGANO, Principi del codice
penale, ed. milanese del 1858. In particolare, in quest’ultima opera si veda come Pagano giustifica a livello teorico il
diritto di punire con la legge del taglione, per cui al reato di omicidio doveva corrispondere necessariamente la pena di
morte.
86
Tale Scuola aveva alla base un indirizzo politico-sociale tipicamente liberale, per cui si propose di offrire una
campagna per l’umanizzazione del sistema penitenziario, oltrechè di definire i singoli delitti e di ricercare le espressioni
più rigorose per eliminare le incertezze interpretative.
48
ius puniendi dello Stato, si oppose alla ferocia delle pene, e rivendicò delle forme di
garanzia per l’individuo.
Essa s’impegnò nell’apprestare una classificazione “scientifica” delle pene, sostenne
la necessarietà della efficacia retroattiva della legge penale più favorevole al reo,
studiò ambito e limiti dell’imputabilità e significato e valore del tentativo delittuoso.
Senza dubbio, i precetti della Scuola Classica assunsero particolare evidenza nel
primo trentennio post-unitario, allorché essa si contraddistinse per l’opposizione
all’autoritarismo in nome del trionfo dei diritti naturali degli individui, e per aver
introdotto all’interno del Sistema penale i corollari dell’individualismo.
87
Uno degli artefici della nascita di questa Scuola fu l’insigne giurista Francesco
Carrara, il quale impartì delle lezioni memorabili a più generazioni di penalisti
nell’Ottocento (ed i suoi insegnamenti sono restati intatti sino ad oggi).
88
87
La (dottrina) penalistica italiana del periodo post-unitario, in ragione del suo oggetto e delle radici, era quella che, più
di ogni altra, aveva mantenuto un ancoraggio a referenti filosofici, progetti, programmi e punti di riferimento esterni
alla dimensione del giuridico. Ricerca e discussione si articolavano assai più sui presupposti e sui fini del sistema
punitivo che non sul versante tecnico della sua gestione. All’indomani dell’unificazione nazionale obiettivo primario
sembrò ai penalisti, che avevano fatto una lunga esperienza di opposizione sotto regimi illiberali, quello di assicurare
libertà e garanzia nell’agire politico, quello, poi, di creare uno spazio efficace per la “giustizia” nella vita sociale, e,
soprattutto, quello di arricchire il processo di incivilimento del quale la centralità del diritto penale li rendeva
protagonisti primari. Il grande penalista Enrico Pessina attribuiva questa attitudine originaria della penalistica italiana al
fatto che il carattere scientifico del dibattito ideologico-culturale nel Paese si era risvegliato nel vivo delle nuove
questioni politiche e pratiche che lo avevano investito. A differenza di quanto sarebbe rapidamente avvenuto nel campo
civilistico ed in quello pubblicistico, infatti, il settore Penale non era programmaticamente avviato verso una progressiva
autonomizzazione, o -meglio ancora- verso una deliberata auto-referenzialità sistematica. Esso non alzava steccati che
lo rendessero impenetrabile da parte degli altri sistemi del sapere sociale e dalle dinamiche della vita politica del Paese:
non si leggeva come “apolitico”, non si considerava “avalutativo”, ed i paradigmi elaborati dai penalisti si mantenevano
fortemente ancorati ad una assiologia esterna al giuridico che continuava a dare senso e centralità politica alla questione
penale. La dimensione filosofica del diritto penale era, allo stesso tempo, il fondamento ed il limite nel quale i penalisti
della prima Scuola italiana collocavano la loro scienza: l’apertura che da essa derivava, faceva del Penale un sapere
complesso, nel quale il momento giuridico manteneva la sua priorità (in quanto forniva la logica e la lingua), ma
contenuti, ragioni e fini si rapportavano a opzioni politiche, a programmi di riforma e ad obiettivi sociali attinti in ambiti
che giuridici non erano. Per approfondimenti si legga E. PESSINA, Dei progressi del diritto penale in Italia nel secolo
XIX, Firenze, 1868.
88
Carrara studiò la materia Penale in un contesto in cui a suo dire <<…le libere e feconde idee, le quali dall’Inghilterra
si erano propagate in Italia e in Francia, apparecchiavano una dottrina di giure pubblico nuovissima>>. Egli, dopo
aver studiato ed assimilato il pensiero di grandi umanisti e giuristi come Beccaria, Rossi, Romagnosi, fissò le regole
dell’agire umano, distribuendo le azioni le in classi e ordini; definì matematicamente i delitti e le pene; dette (per primo)
al settore penale un ordinamento compiuto. Tali studi andarono a formare la materia prima di un mirabile suo libro
intitolato “Elementa juris criminalis”. Circa i requisiti che necessariamente dovevano sussistere in un codice Penale, il
Carrara si esprimeva così: << Più specialmente un codice penale deve essere il catechismo della coscienza civica, ove si
raccolgano le tradizioni della giustizia pratica e si conservino con più solenne sanzione e con autorità più gagliarda.
Finchè un codice non può farsi tale, è vanità tentarne la prova; e se tale non vuol farsi per segrete cagioni che
prevalgono appo coloro cui pertiene il reggimento della cose pubblica, ella è una ipocrisia, è un tradimento darsi vanto
di codicizzare le leggi di uno Stato. Si ripari allora con leggi provvisorie ai bisogni dei tempi nelle materie del diritto le
quali portino in fronte la dichiarazione della loro precarietà e rechino contemporanea alla propria nascita la speranza
della loro abolizione. Ad una Nazione che sente la propria dignità si può inculcare la tolleranza di un provvedimento
temporaneo quantunque meno buono, scusandolo con le tristi condizioni di una fase transitoria in cui versi lo Stato, e
temperandone la innormalità con la precarietà della sua sanzione. Ma è un insulto porgere a lei col nome di codice (e
così come supremo effato della coscienza giuridica) precetti e sanzioni che alla suprema ragione giuridica non siano
conformi, e che trovino la genesi loro nelle vedute di un partito dominante, o nei bisogni di una politica transitoria>>.
F. CARRARA, Codicizzazione (Studi legislativi), in Opuscoli di diritto criminale, Lucca, 1870 (documento distribuito
in formato digitale dal sito www. Trani-ius.it). Si noti però che, ad oggi, non tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere
il Carrara fondatore della Scuola Classica. Si legga ad es. M. SBRICCOLI, Caratteri originari e tratti permanenti del
sistema penale italiano (1860-1990), documento distribuito in formato digitale sul sito www.dex1.tsd.unifi.it, pp.504-
505, in cui l’autore si esprime così su tale questione: <<La …forzatura sta nella mera identificazione della”scuola” con
il pensiero di Francesco Carrara, operazione compiuta, peraltro, isolando il Carrara”‘filosofo penale” da tutto il resto
49
Egli evidenziò, innanzitutto, l’immoralità della carcerazione preventiva, precisando
come tale strumento sanzionatorio dovesse essere adoperato vincolativamente al
criterio della stretta necessità.
Ancora, richiamò l’importanza del principio di legalità e sottolineò quelle ch’erano
le prerogative essenziali del processo penale: in particolare quest’ultimo era da
ritenersi, allo stesso tempo, strumento di garanzia per l’imputato e sicura “cautela”
contro le strategie dilatorie difensive, finalizzate queste ultime ad ottenere l’impunità
per (mezzo della) prescrizione.
Analizzando le ripercussioni dell’operato della Scuola Classica, è possibile notare
che vi fu nei suoi riguardi, da un lato, un forte tentativo di censura delle basi teorico-
ideologiche da parte degli Utilitaristi
89
, e, dall’altro, l’opposizione dell’Ancien
Régime.
Secondo la teorica degli Utilitaristi, in particolare, la pena si giustificava per i
vantaggi che arrecava alla società e le caratteristiche di essa da evidenziare erano
altre e diverse rispetto a quelle indicate dalla Scuola Classica.
Queste caratteristiche erano: la divisibilità, la certezza, l’uguaglianza, la
commensurabilità, l’analogia con il delitto, l’esemplarità, l’economia, la
remissibilità, l’efficacia contro il potere di nuocere, la convertibilità in profitto, la
semplicità e la popolarità.
Tali asserzioni non vennero accettate dagli esponenti della stessa Scuola Classica, in
quanto ritenute non ancora assimilabili dall’ambiente culturale e sociale dell’Italia
post-unitaria.
I più autorevoli esponenti di Essa
90
si opposero tenacemente alle teorie utilitariste,
nelle quali notarono una sovversione rispetto ai punti di riferimento da essi fissati per
la costruzione del Sistema penale e, tra l’altro, per il fatto che avrebbero dato vita ad
un diverso assetto dei rapporti tra Stato e Cittadino.
Il quadro politico dell’epoca, poi propiziò, in un certo senso, la nascita della terza
della sua opera, quella dogmatica, quella professionale, quella politica, e semplificando oltre il vero la sua complessa,
ricca, ed anche contraddittoria, personalità. E così che è stato possibile comprimere una “scuola” che non esisteva
dentro un penalista solo, e il penalista dentro un formulario di mera creazione, peraltro anch’esso di rigorosa
provenienza positivista: fondandosi su di un astratto giusnaturalismo - si è detto e traslatiziamente ripetuto- il diritto
penale “dei classici” ha carattere metafisico è trascendente, viene da Dio, oppure discende dalla Ragione immortale,
assoluta ed impassibile, è quindi antistorico, viene dedotto da verità immutabili che promanano dalla legge di natura,
prescinde dal diritto positivo, lo trascende, poggia su leggi eterne, è astratto. Non si può dire che niente di questo sia
vero, anche se mi sento di aggiungere che quanto ci fosse di vero non sarebbe comunque granché rilevante. Il fatto è
che io non trovo niente di tutto questo nel codice Zanardelli che sarebbe il capolavoro di quella ”scuola classica” e
quindi il prodotto squisito del pensiero di Francesco Carrara>>.
89
Si veda quanto detto in precedenza alla nota 3.
90
Secondo taluni altri studiosi la Scuola Classica, contro cui si sviluppò la critica dei positivisti, non era affatto una
scuola. Era stato invece il tipo di scontro, spesso aspro, imposto dalla Scuola Positiva, a ridurre ad un’unità apparente
posizioni anche molto diverse fra di loro, accomunate solo dalla condivisione di alcuni principi fondamentali e
dall’essere proprie di giuristi non appartenenti al “nuovo” indirizzo; e del resto anche fra i seguaci della scuola positiva
(a cominciare dai tre fondatori) le differenze non mancavano e non tardarono anzi ad accentuarsi. La visione manichea
e la virulenza polemica, poi, avevano finito coll’imporre, anche a livello di ricostruzione storiografica, lo schema
semplificante e semplicistico della contrapposizione fra due scuole, rappresentate come due plotoni compatti e “l’un
contro l’altro irriducibilmente armati”, che era fuorviante perché annullava le diversità all’interno dei due schieramenti,
che invece esistevano, e faceva scomparire «le omologie di fondo che la penalistica italiana continua ad avere, malgrado
le divisioni e gli scontri di superficie». Per approfondimenti si veda M. SBRICCOLI, Dissenso politico e diritto penale
in <<Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno>>, 2, 1973, Firenze, pp. 637 ss.; Id., La
penalistica civile, pp.189 e ss.
50
corrente di pensiero su elencata: la Scuola Positiva, i cui esponenti si proposero,
preminentemente, di applicare l’approccio positivista al Diritto Penale e alla
Criminologia.
91
Il positivismo, nell’ambito del diritto, oltre ad essere un metodo di ricerca, implicava
una concezione del mondo basato sul realismo primitivo. Tale filone, in pratica, cercò
di spostare l’interesse da una visione astratta del problema ad una concreta.
Analizzando le idee di questa Scuola è possibile notare come, innanzitutto, il centro
dell’attenzione si venne a spostare dal Delitto al delinquente, e poi, in secondo luogo,
come si assegnò al Diritto Penale il compito di elaborare gli strumenti idonei per
un’efficace difesa del Corpo sociale.
La Scuola Positiva cercò di raccordare alla realtà “uomo” e alla realtà “carcere” i
problemi sulla natura, l’esperienza e la funzione della pena.
Il reato, invece, venne descritto non come un concetto, ma come un fenomeno
naturale, psicologico e sociale. Allo stesso modo, il delinquente venne visto come un
soggetto <<socialmente pericoloso>>, per la possibilità che vi fosse stata ch’egli
avesse potuto compiere azioni nocive alla società. La delinquenza, in tale ottica,
avrebbe corrisposto ad una sorta di <<inclinazione al delitto>>.
Un esponente di tale scuola, Cesare Lombroso, analizzò la figura del delinquente e
sostenne come esso risultasse simile al malato al pazzo.
92
Un dei più grandi esponenti, poi, fu Enrico Ferri, il quale indirizzò i suoi studi su quei
fattori sociali che erano in grado di scatenare la delinquenza.
93
L’ideologia positivista, dato il notevole impatto prodotto sui differenti contesti sociali
dell’epoca, ebbe riconoscimenti anche al di fuori dei confini italiani.
E, in Italia, la “propaganda” operata dalla Scuola Positiva indusse molti a concludere
che le innovazioni inserite all’interno del sistema della Giustizia Penale avessero il
carattere di una vera e profonda rivoluzione.
In questo ampio ed articolato contesto ideologico-giuridico, Giuseppe Zanardelli, pur
facendo parte (in senso politico-ideologico) del filone positivista
94
, avrebbe aderito
sicuramente alla Scuola Classica. E, non potrebbe argomentarsi diversamente,
91
Verosimilmente, sarebbero state le difficili condizioni politiche e sociali dell’epoca (la presenza-ritenuta ingombrante-
dell’Aristocrazia terriera e dello Stato Pontificio ed i conflitti a sondo socio-economico) a permettere, in un certo senso,
il rapido e crescente sviluppo di questa scuola.
92
Lombroso, insigne teorico delle Scienze criminalistiche dell’epoca, che nel 1876 pubblicò L’uomo delinquente,
individuava la causa dei reati in un complesso di anomalie di carattere organico. I delinquenti erano considerati una
“specie” del “genere” uomo e riproducevano caratteristiche somatico-biologiche tipiche di una primitiva fase attraverso
la quale – secondo le leggi dell’evoluzione – l’umanità sarebbe passata prima di arrivare all’attuale stadio. Egli,
rinvenendo nelle anomalie di carattere organico del reo la causa del reato, assolveva la società. Per approfondimenti si
legga C. LOMBROSO, La scienza infelice, a cura di G. COLOMBO, Bolinghieri, Torino, 1975. Giovanni Bovio,
insigne giurista originario di Trani, fu uno degli acerrimi oppositori di tale tesi del Lombroso. Egli nutriva sospetti
(tutt’altro che infondati) sulla natura conservatrice e antidemocratica del pensiero di matrice positivista del Lombroso,
ritenendola tra l’altro un ulteriore fattore scatenante dell’acuirsi dei pregiudizi tra il Nord e il Sud e del mantenimento
dell’enorme divario tra le “due Italie”. Per approfondimenti si veda G. ANGELINI, Trent’anni di battaglie. Bovio
Meridionalista., in “Nuova Antologia”, a. 133, 1998, fasc. 2205, pp. 291-307. Sempre Bovio parlava del Diritto Penale
come di… <<un assurdo necessario nella vita sociale, assurdo che deve sempre più attenuarsi come vada integrandosi
nella regione civile>>.
93
Interessante potrebbe essere approfondire il pensiero del Ferri mediante la lettura di un suo libro che, già per il titolo,
risulterebbe opera di rilevante valore scientifico: E. FERRI, La teorica dell’imputabilità e la negazione del libero
arbitrio, Firenze, 1878.
94
Si veda quanto detto al Capitolo 1, paragrafo 4.1.
51
avendo lo Zanardelli fatte sue talune profonde convinzioni liberali, formandosi
nell’ambito delle dottrine giuridiche rientranti nel filone del Giusnaturalismo.
95
A conferma, poi, di quanto detto, bisogna accennare a come egli si sarebbe
fermamente opposto a talune idee degli autorevoli giuristi della Scuola Positiva
96
,
anche se avrebbe fatto sì che talune soluzioni giuridiche patrocinate dai positivisti
trovassero posto nel Codice.
97
Proseguendo, però, ora nell’analisi dei fondamenti teorici del Diritto Penale, bisogna
specificamente esaminare quella che era stata l’evoluzione storica dei sistemi di pene,
sottolineando come tra la fine del secolo XVIII e l’inizio del XIX s’era avuta, anche
in questo campo, una svolta per la nascita di una nuova legislazione basata sul
principio cardine della privazione della libertà.
Questa privazione aveva lo stesso valore per tutti i soggetti rei, e, avrebbe avuto la
natura, di fatto, di <<castigo egualitario>>. In più, avrebbe permesso di quantificare
la pena specifica da scontare secondo la variabile temporale.
I sostenitori di tali tesi (i cd. retribuzionisti) sottolinearono, al di là di ogni
considerazione pratica sulla utilità della pena in generale, la doverosità morale
dell’opera per ristabilire l’ordine che il reato avessero violato.
98
Tuttavia, in seguito, grazie ai fautori delle teorie cd. Relative, emerse che un secondo
aspetto da non trascurare sarebbe stato da individuarsi nella funzione rieducativa
della pena stessa.
Secondo questa “impostazione” le pene costituivano uno strumento per trasformare
gli individui e, oltre ad avere la funzione di privare la gente della propria libertà in
conseguenza del compimento di determinati atti delittuosi, sarebbero state, sin
dall’inizio, utilizzate dall’Istituzione giudiziaria come supplemento correttivo per i
soggetti autori di reati.
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Su ciò si veda il contenuto della nota 1.
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Su tale argomento si veda più avanti nel capitolo.
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Sul tema della “poliedricità” delle influenze ideologiche nel codice Zanardelli si può richiamare il pensiero di Sergio
Moccia, il quale osserva: <<In una società aperta, il diritto si trova di fronte ad una pluralità di ideologie differenziate,
tra loro concorrenti, il che, però, non esclude la possibilità di interazione e, quindi, di scambievoli completamenti.
Infatti, considerate in relazione le une con le altre, esse accanto ad elementi differenziali, o addirittura contrastanti,
possono presentare anche componenti convergenti, da cui, conseguentemente, deriva la possibilità di sperimentare in
rapporto ad un singolo problema, un’articolata gamma di soluzioni, tutte più o meno coerenti>>. S. MOCCIA,
Ideologia e diritto nelle sanzioni del codice Zanardelli, in Diritto penale dell’ottocento cit, p.564.
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Tali argomentazioni si rifacevano alle teorie retributive classiche di Kant e Hegel. Essendo queste teorie interessate
(più che altro) alla <<giustificazione della pena in termini di principio>>, s’erano scarsamente occupate delle concrete
modalità di esecuzione della stessa. Nella prospettiva di una pena proporzionale al male commesso, il carcere poteva
essere considerato astrattamente come una modalità punitiva rigorosamente quantificabile sia in base alla misura (durata
della pena), sia in base al grado di afflittività (sottrazione della sola libertà di movimento del condannato). Ma se dal
piano dei principi si passava al livello delle concrete prassi dell’esecuzione penale, si presentavano notevoli problemi
sotto entrambi le prospettive. Rispetto al tempo, al di là della sua percezione che poteva variare da individuo a individuo,
esistevano casi (ad esempio, i malati a prognosi infausta o i condannati molto avanti negli anni) che mettevano in
discussione il principio egualitario della durata della pena. Rispetto poi al profilo del grado di afflittività, molte ricerche
sociologiche avrebbero dimostrato che in realtà la pena della detenzione andava molto al di là della mera privazione
della libertà di movimento, in quanto incideva pesantemente anche sulle condizioni fisiche e sulle relazioni sociali del
condannato e colpiva anche individui, come i familiari del condannato, che non si erano macchiati di alcun delitto. Per
ulteriori approfondimenti si veda C. SARZOTTI, Percorsi didattici sul carcere, (documento distribuito in formato
digitale sul sito www.comune.torino.it/sez. cultura/centro interculturale).
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A tale impostazione si contrapponeva il rigido conservatorismo del Romagnosi il quale così si esprimeva: <<Essi
pretendono di sostituire un sistema penitenziario che in sostanza si è quello dell'espiazione, coll'aspettativa di un
ravvedimento senza sussidi. Il Lucas poi spinge la cosa persino a negare alla sovranità il diritto di punire colla morte.