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CAPITOLO I
LIBERTA’ PERSONALE E COSTITUZIONE
La Costituzione tutela la libertà personale, intesa come il diritto
dell’individuo a restare indenne nella persona fisica da immobilizzazioni e
altre coartazioni materiali, permanenti o transitorie.
Detta libertà, cresciuta al rango di “diritto soggettivo”
1
, è la regola, mentre
la sua privazione è l’eccezione.
La disciplina fondamentale in tale ambito è contenuta nell’art. 13 Cost., che
sancisce, al primo comma, che “la libertà personale è inviolabile”.
Nel secondo comma vengono poi dettati i principi informatori della
materia, stabilendosi in primo luogo una riserva di legge assoluta quanto ai
“casi e modi” di limitazione della libertà personale: “Non è ammessa forma
alcuna di […] restrizione della libertà personale […] se non nei soli casi e
modi previsti dalla legge”.
Ciò significa che: a) fonti diverse dalla legge possono dettare solo norme
strettamente esecutive di quelle poste con legge o atto avente forza di
legge;
b)le norme di legge, che prevedono i casi e modi di limitazione della libertà
personale, devono essere determinate, così da non consentire spazi
discrezionali all’organo chiamato ad applicarle; tali norme, inoltre, sono
insuscettibili di applicazione analogica
2
.
L’art. 13
2
Cost. pone in secondo luogo una riserva di giurisdizione: nei casi
previsti dalla legge, la limitazione della libertà personale deve essere
disposta con provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria, la quale,
essendo soggetta soltanto alla legge (art. 101
2
Cost.), offre le maggiori
garanzie di imparzialità.
1
A. PACE, voce “Libertà personale”, in Enc. Dir., vol. XXIV, 1974, p. 303
2
V. GREVI, Libertà personale dell’imputato e Costituzione, Giuffrè Editore, 1976, p. 22
5
Di regola tale provvedimento deve essere emesso prima che la limitazione
venga eseguita. Tuttavia, a norma dell’art. 13
3
Cost., la legge può prevedere
che in casi eccezionali di necessità ed urgenza, i quali devono essere
indicati tassativamente dalla legge stessa, l’autorità di pubblica sicurezza
possa adottare di propria iniziativa, cioè senza previa pronuncia dell’organo
giurisdizionale, provvedimenti provvisori limitativi della libertà personale
(uno dei quali, nell’attuale sistema, è l’arresto in flagranza di reato). Va
precisato che, quando si parla di casi eccezionali di necessità ed urgenza, si
vuole significare “quando via sia assoluta urgenza e non sia possibile il
tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria” (come si ricava dall’art. 21
4
Cost., in tema di sequestro preventivo della stampa periodica)
3
.
Poste queste premesse, dobbiamo ora chiederci per quale motivo sia
necessaria, sotto un profilo costituzionale, la convalida dell’arresto.
Orbene, l’arresto in flagranza, regolato e previsto dalla legge (in ossequio
all’art. 13
2
Cost.), è sicuramente una forma di restrizione della libertà
personale posta in essere in via provvisoria dall’ ”autorità di pubblica
sicurezza”, che, come tale, ricade nella previsione dell’art. 13
3
Cost.,
secondo cui “[…] l’autorità di pubblica sicurezza può adottare
provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto
ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive
quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto”.
La convalida assolve, pertanto, a questa funzione di controllo
giurisdizionale successivo dell’attività svolta dalla polizia giudiziaria.
Si è rilevato come “il provvedimento che l’art. 13
3
Cost. chiama
<<convalida>> sia in realtà una <<ratifica>>, perché con esso l’organo
competente fa proprio un provvedimento posto in essere legittimamente,
3
M. SCAPARONE, Elementi di procedura penale – I principi costituzionali, Giuffrè Editore, 1999, p.
138
6
ma a titolo provvisorio, da un diverso soggetto che ha operato in sua
sostituzione”
4
.
Alcuni interrogativi si pongono in relazione agli organi legittimati a
restringere la libertà personale.
Il più importante di questi riguarda l’ambito soggettivo coperto dalla
formula “autorità giudiziaria”: ci si domanda, in specie, se il testo
costituzionale abbia inteso affidare il potere di convalidare i provvedimenti
di polizia, oltre che al giudice, anche al pubblico ministero.
Molti autori interpretano la locuzione come riferibile solo al giudice,
facendo risaltare una “significativa propensione del sistema costituzionale
per l’affidamento di quel potere al giudice, cioè ad un organo
assolutamente super partes, piuttosto che ad una “parte imparziale” quale è
il pubblico ministero”
5
.
Altri aggiungono che la presenza di un conflitto di interessi avente ad
oggetto la libertà personale esige l’intervento dell’organo giurisdizionale, il
quale opera in posizione neutrale e nella Costituzione gode di una più
spiccata autonomia ed indipendenza rispetto al pubblico ministero, che, a
norma dell’art. 112 Cost., è il titolare dell’azione penale
6
.
In particolare, la mancanza di legittimazione del pubblico ministero è stata
desunta dall’art. 111
7
Cost. (che non può non ritenersi necessariamente
correlato, per la parte che qui interessa, alla disciplina dell’art 13 Cost.) che
prevede la ricorribilità per cassazione per violazione di legge contro tutti i
“provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi
giurisdizionali ordinari o speciali”.
Proprio facendo leva su quest’ultima disposizione si è escluso che gli
organi del pubblico ministero, in quanto non giurisdizionali, possano
4
L. FILIPPI, L’arresto in flagranza nell’evoluzione normativa, Giuffrè Editore, 1990, p. 100
5
V. GREVI, op. cit., p. 72
6
BARILE, Le libertà nella Costituzione, Cedam, 1966, p. 119
7
ritenersi compresi fra quelli competenti all’emanazione degli atti che l’art.
13
3
Cost. affida alla “autorità giudiziaria”
7
.
Ad ulteriore sostegno di tale conclusione si è posto l’accento sull’ambiguità
strutturale del pubblico ministero – cui l’art. 112 Cost. impone l’obbligo di
esercitare l’azione penale, assegnandogli nel processo un ruolo che non può
dirsi neutrale – e se ne è tratto argomento per affermare, da un diverso
angolo visuale, che solo il giudice (soggetto terzo, neutrale e quindi super
partes) potrebbe garantire la necessaria imparzialità in una decisione così
delicata.
“Infatti il principio costituzionale di uguaglianza non consente di
configurare provvedimenti sulla libertà personale che siano emessi da un
organo come il pubblico ministero, il quale nel processo penale non
garantisce l’imparzialità ed inoltre siano sottratti alla garanzia del ricorso
per Cassazione che l’art. 111
7
Cost. assicura contro i provvedimenti del
giudice”
8
Il secondo problema interpretativo sorge intorno alla nozione di “autorità di
pubblica sicurezza” ex art. 13
3
Cost., perché, se intesa in senso strettamente
tecnico, tale locuzione fa pensare agli organi di cui è parola nell’art. 1
ultimo comma t.u.l.p.s. (r.d. 18 giugno 1931, n. 773): prefetto, questore,
funzionari preposti agli uffici di pubblica sicurezza, sindaco dei comuni
dove non esista alcuno di tali uffici. Questa tesi, tuttavia, trova ampia
smentita negli stessi lavori preparatori della Costituzione, essendo stato
autorevolmente precisato che la formula impiegata nel testo in esame
“comprende sia la polizia che ogni altro ramo o settore di forza pubblica”
9
.
Non sembrano esservi dubbi sul fatto che l’art. 13
3
Cost. parli di “autorità
di pubblica sicurezza” in senso lato ed atecnico, così da ricomprendere
7
Vedi V. GREVI, op. cit., p.73 ss.
8
M. SCAPARONE, Costituzionalmente garantito il potere del pubblico ministero di limitare la libertà
personale?, in Riv. Giur. Sarda, 1989, p. 177
9
L’espressione è dell’on. Tupini, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori
dell’Assemblea Costituente, vol. I, Edizione a cura della Camera dei Deputati – Segretariato Generale,
1970, p. 25
8
nella locuzione tutti gli organi della polizia giudiziaria nell’esercizio delle
loro tipiche funzioni
10
.
Se poco prima abbiamo avuto modo di spiegare perché è
costituzionalmente necessaria la convalida, dobbiamo ora soffermarci sulla
disciplina costituzionale del provvedimento che decide sulla medesima.
Il giudice (come avremo modo di chiarire più nel dettaglio
successivamente) pronuncia un’ordinanza con la quale convalida o non
convalida l’arresto. Detta ordinanza deve essere motivata. Infatti l’art. 111
6
Cost. statuisce che “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere
motivati”, cioè corredati dall’enunciazione delle ragioni di diritto e di fatto
che giustificano la decisione espressa dal loro dispositivo. La norma mira
ad assicurare la legalità del provvedimento, imponendo al giudice che ha
deliberato di enunciare le ragioni poste a base del medesimo, sollecitandolo
ad una maggior ponderazione della decisione e consentendo alle parti e al
giudice dell’eventuale impugnazione un puntuale controllo del
provvedimento adottato in relazione alle norme che lo regolano.
I provvedimenti, di cui all’art. 111
6
Cost., sono tutti quelli che il giudice
emette nel corso o a conclusione del processo su questioni sia processuali
sia di merito
11
.
La motivazione deve enunciare le ragioni della soluzione di tutte le
questioni processuali e di merito, di diritto e di fatto, che il giudice ha
dovuto affrontare per giungere alla decisione, salvo che si tratti di punti
generalmente ovvii e che non sono stati discussi dalle parti nel caso
concreto. Poiché le questioni di diritto e di fatto, che il giudice deve
affrontare nel suo iter decisorio, sono spesso suscettibili di più soluzioni
ragionevoli, la motivazione del provvedimento giurisdizionale deve
10
V. GREVI, op. cit., p. 77
11
L’art. 111
6
Cost., in quanto determina i provvedimenti giurisdizionali che devono essere motivati, si
impone direttamente ai giudici e deve essere applicato da costoro anche se non attuato da disposizioni di
legge ordinaria: Corte cost., 26 giugno 1969, n. 103, in www.giurcost. org
9
indicare i motivi per cui il giudice ha ritenuto di accogliere l’una anziché
l’altra o le altre possibili soluzioni.
“In particolare la motivazione del provvedimento, in punto di diritto deve
indicare perché il giudice ha ritenuto applicabile una determinata
disposizione, l’ha ritenuta conforme a Costituzione e ne ha accolto una
certa interpretazione; quanto alle questioni di fatto deve indicare le prove
che il giudice ha posto alla base del proprio convincimento, i criteri che
esso ha utilizzato nella loro valutazione e i risultati che ha raggiunto in tale
valutazione, nonché le prove contrarie, vale a dire le prove che, se ritenute
attendibili, avrebbero condotto il giudice ad una diversa decisione, e le
ragioni per le quali queste ultime sono state considerate inattendibili”
12
.
12
M. SCAPARONE, op. cit., p. 156
10
CAPITOLO II
L’ARRESTO IN FLAGRANZA
1. Premessa
Il legislatore ordinario ha dato attuazione ai principi costituzionali sopra
esaminati attraverso la legge – delega 16 febbraio 1987, n. 81, poi sfociata
nell’attuale codice di rito (D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447), il quale
prevede misure restrittive della libertà personale, che costituiscono
sostanzialmente un’anticipazione delle misure cautelari disposte dal giudice
e che, per questa ragione, possono definirsi come precautelari. Tali misure
concretano una disciplina di dettaglio in materia di “provvedimenti
provvisori adottati dall’autorità di pubblica sicurezza” (art. 13
3
Cost.).
Sono così stati elaborati gli istituti dell’arresto, che, a seconda della gravità
del reato, può essere obbligatorio o facoltativo, e del fermo di indiziato di
delitto, in virtù del quale, anche al di fuori dello stato di flagranza, quando
sussistono specifici elementi che rendano fondato il pericolo di fuga, il
pubblico ministero dispone il fermo di una persona a condizione che
quest’ultima risulti gravemente indiziata di un delitto per il quale la legge
stabilisca la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo
a due anni e superiore nel massimo a sei anni, ovvero di un delitto
concernente le armi da guerra e gli esplosivi.
La presente trattazione affronterà in primis la nozione di flagranza, in
quanto elemento comune tanto all’arresto obbligatorio quanto a quello
facoltativo e ad essi intimamente connesso.
11
2. Lo stato di flagranza
L’art. 382
1
C.P.P., fornisce una nozione di flagranza, al cui interno sono
ravvisabili tre situazioni tipiche; versa infatti in stato di flagranza:
a)“chi viene colto nell’atto di commettere il reato” (c.d. flagranza stricto
sensu o propria);
b) “chi subito dopo il reato è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla
persona offesa o da altre persone”,
c) “chi è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia
commesso il reato immediatamente prima” (formule, questa ultime,
comunemente note come quasi – flagranza).
Il secondo comma dell’art. 382 C.P.P. individua lo stato di flagranza in
relazione al reato permanente: “la flagranza dura fin tanto che non sia
cessata la permanenza”.
Ci occuperemo, ora, di alcune precisazioni a proposito dello stato di
flagranza operate dalla giurisprudenza.
Secondo la Cassazione esula dall’ipotesi di flagranza stricto sensu il caso in
cui il reo sia colto nell’atto di commettere il reato, ma venga lasciato libero
per qualsiasi motivo, giacché in tal caso si è fuori dalla “sorpresa” (nella
specie la Suprema Corte ha ritenuto che il giudice per le indagini
preliminari avesse correttamente negato la convalida dell’arresto degli
imputati perché costoro, dopo il sequestro delle armi, avvenuto alle ore 8,
furono lasciati liberi in attesa di ulteriori accertamenti ed arrestati alle ore
12.30)
13
.
In materia di “quasi – flagranza”, secondo la giurisprudenza prevalente la
definizione dell’art. 382 dell’attuale codice, pur con terminologia
leggermente differente, ripropone nella sostanza quella dell’art. 273 del
codice previgente.
13
Cass., 4 giugno 1991, Russo, Riv. Pen., 1992, 689