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L’intima comprende uno strato monocellulare, l’endotelio, presente in tutte le parti del
sistema circolatorio; le superfici di quest’ultimo sono a diretto contatto col sangue dal quale
trae le sostanze nutritive. L’endotelio è un epitelio pavimentoso semplice piuttosto fragile ma
con una grande capacità di rigenerazione e di crescita; si rigenera, infatti, continuamente e
può formarsi su protesi naturali o artificiali inserite chirurgicamente. Variazioni nel diametro
dell’arteria, nella forma del vaso (curvature e restringimenti) e nell’influenza del moto
pulsatorio della parete vasale, possono far assumere alle cellule endoteliali una diversa forma,
facendo in modo che non ci sia discontinuità nel monostrato. Infatti, le EC (cellule
endoteliali) delle arterie nelle quali il flusso sanguigno è uniforme e laminare, hanno forma
allungata e sono allineate nella direzione del flusso, mentre quelle posizionate nelle regioni
del vaso che presentano diramazioni o curvature, in cui il flusso è turbolento, presentano
forma poligonale e non assumono particolari orientamenti. L’endotelio gioca un ruolo critico
nel regolare l’entrata, l’uscita ed il metabolismo delle lipoproteine e di altri agenti che
possono partecipare alla formazione di lesioni di tipo aterosclerotico.
L’endotelio è circondato da un sottile strato subendoteliale costituito da cellule generatrici di
collagene (i fibroblasti) e da fibre di collagene (le prime costituenti fondamentali della parete
dei vasi). Infine, nella parte più esterna, lo strato che confina con la media è la lamina elastica
interna, che risulta essere fenestrata per favorire il passaggio delle sostanze nutritive dal
sangue fino alla tunica media.
Lo strato endoteliale presenta numerose connessioni tra la lamina elastica interna e le stesse
cellule che lo compongono. Queste ultime sono legate da giunzioni strette che contribuiscono
alla stabilità dell’intima, impedendo la denudazione del vaso indotta dallo “shear stress” o da
altre forze meccaniche (Ross & Glomest, 1976).
La media è lo strato più spesso della parete, tipicamente costituita da strati concentrici di
elastina, separati da sottili strati di tessuto connettivo, fibre di collagene e cellule di muscolo
liscio (SMC). Le SMC contengono filamenti di actina contrattili che si attivano in risposta
alla depolarizzazione della membrana cellulare e generano tensione. Nelle grandi arterie
tendono ad essere allineate longitudinalmente o obliquamente, sono circondate da una
comune lamina basale e si associano con fibre collagene strettamente intrecciate. In aggiunta
la media è composta da fibre elastiche disposte in strati compatti che si alternano a strati di
cellule muscolari lisce (Clark & Glagov, 1979). Le fibre elastiche sono relativamente
estensibili e permettono la contrazione e la distensione della parete dell’arteria in relazione
all’andamento del flusso sanguigno durante il ciclo cardiaco. Le SMC, oltre a sintetizzare
fibre elastiche e collagene, determinano le proprietà meccaniche della parete arteriosa e sono
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attivamente coinvolte nei processi metabolici che contribuiscono al tono della parete; in
condizioni in cui sono aumentate la pressione pulsatoria, la motilità e la tensione della parete
il metabolismo delle SMC della media è incrementato.
Infine l’ultimo strato è caratterizzato dalla tunica avventizia che si estende dalla lamina
elastica esterna fino a connettersi col tessuto circostante. È costituita da tessuto connettivo
contenente fibre sparse di elastina e collagene in cui vi si possono trovare fibrocellule
muscolari lisce e plessi nervosi. Grazie alla limitata elasticità delle fibre collagene, questo
strato pone un limite alla dilatazione dei vasi. In genere, nelle arterie di grosso calibro
l’avventizia riceve le sostanze nutritive dai vasa-vasorum che rappresentano una rete di
capillari che forniscono nutrimento fino allo strato più esterno della tunica media.
In conclusione, gli elementi cellulari principali della parete arteriosa sono le cellule endoteliali
e le cellule muscolari lisce; entrambe svolgono un ruolo determinante nelle patologie
vascolari e in modo particolare nell’aterosclerosi che costituisce la più frequente patologia che
colpisce le arterie di grande o medio calibro.
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L’ATEROSCLEROSI
L’aterosclerosi è oggi la più frequente causa di morte del mondo occidentale. Alla fine
dell’800, questa affermazione era valida per le malattie infettive acute, ma, con la loro
scomparsa e la conseguente longevità della popolazione, le malattie cardiovascolari sono
divenute uno dei più importanti fattori di mortalità umana. Oggi circa il 50% dei decessi in
Inghilterra è da attribuirsi a malattie cardiovascolari, contro il 16% dovuto al cancro, che
rappresenta la seconda causa di mortalità. L’aterosclerosi è una condizione patologica che
coinvolge principalmente le arterie di grosso e medio calibro di specifici distretti circolatori. È
la causa principale dell’infarto del miocardio e dell’infarto cerebrale o ictus e contribuisce in
misura preponderante alla cancrena e alla perdita di funzionalità degli arti.
Il termine “atero” (dal greco athere = pappa) deriva dalle caratteristiche della lesione
ateromatosa che contiene al suo interno una zona ricca di lipidi e residui necrotici a
consistenza pastosa.
Le sedi maggiormente colpite dalla malattia sono rappresentate dall’aorta e dai suoi rami
principali, dai vasi del circolo cerebrale e degli arti inferiori, ma soprattutto dalle coronarie,
dove questo deposito provoca ischemia cardiaca come conseguenza della mancanza di
ossigeno determinata dal ridotto flusso sanguigno nei vasi aterosclerotici.
In ogni distretto circolatorio vi sono poi localizzazioni preferenziali delle placche
aterosclerotiche in gran parte dovute alle condizioni emodinamiche di flusso. Infatti, la placca
si forma più facilmente nelle zone dove il flusso non è laminare, ma vorticoso, come nei siti di
diramazione, nelle biforcazioni e nelle curvature dei vasi (Gimbrone, 1999).
Benché, durante gli ultimi 10 anni, siano state formulate diverse teorie o ipotesi
sull’aterogenesi, nessuno può completamente spiegare il complesso processo della patogenesi
dell’aterosclerosi perché questa malattia è associata a molteplici fattori di rischio (J. Fan & T.
Watanabe, 2003).
Esiste una predisposizione ereditaria alla malattia ma spesso l’aterosclerosi è la conseguenza
di uno stile di vita non corretto.
Le possibili cause di disfunzione endoteliale che portano all’aterosclerosi sono:
- l’accumulo di LDL modificate per ossidazione, lipolisi, proteolisi;
- i ridotti livelli di HDL;
- l’elevata pressione sanguigna;
- i bassi livelli di sostanze antiossidanti;
- le alterazioni genetiche;
- la presenza di radicali liberi prodotti dal fumo;
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- l’ipertensione e il diabete;
- l’iperomocisteinemia, un accumulo di omocisteina dovuta a cause genetiche o a
situazioni di ridotto apporto alimentare di acido folico, vitamina B12 e B6.
(L’omocisteina sarebbe infatti in grado di produrre un danno endoteliale di tipo
ossidativo, favorendo la formazione di specie reattive dell’ossigeno interferendo con le
funzioni vasodilatanti dell’ossido nitrico) (C. Van Guldener & C. D. Stehouwer, 2000);
- lo stress, l’obesità, una vita sedentaria;
- le infezioni provocate da alcuni microrganismi come l’Herpesvirus o il batterio
Chlamydia pneumonia. (Quest’ultimo, ad esempio, è presente in molte placche
aterosclerotiche e i suoi componenti cellulari possono indurre risposte infiammatorie da
parte dei macrofagi, dell’endotelio e delle cellule muscolari lisce) (Celotti, 2002).
Tutti questi fattori sono in grado di aumentare notevolmente l’incidenza dei rischi
cardiovascolari e cooperano sinergicamente al manifestarsi della malattia.
Meccanismi di inizio e di progressione dell’aterosclerosi
Sebbene le conseguenze dell’aterosclerosi si manifestino in età avanzata, a partire dai 35-40
anni, gli studi dimostrano che l’accumulo di cellule ricche di lipidi nell’endotelio può avere
inizio nella prima giovinezza o addirittura nell’infanzia.
Infatti, la formazione delle fatty streaks (strie lipidiche) è un indice di uno stadio precoce di
una lesione aterosclerotica (J. Fan & T. Watanabe, 2003). Se permangono le condizioni che
ne favoriscono la formazione, questa stria lipidica può progredire in placche fibrose che si
generano a livello dell’intima dei vasi come risposta ad un’alterazione delle proprietà
omeostatiche. Per spiegare l’insorgenza dell’aterosclerosi, numerose osservazioni portarono
alla formulazione dell’ipotesi della “risposta al danno”, la quale ipotizzava che una
denudazione endoteliale fosse la prima tappa del processo aterosclerotico (R. Ross, 1999).
Invece la versione più recente si focalizza su una disfunzione endoteliale piuttosto che su una
denudazione.
L’accumulo di lipoproteine, soprattutto LDL (Low Density Lipoprotein), è direttamente
proporzionale alla loro concentrazione plasmatica. Le LDL diffondono attraverso le giunzioni
strette delle EC e penetrano nei vasi sanguigni, interagendo per mezzo dell’Apolipoproteina B
con i proteoglicani della matrice dell’intima (Fig. 2). Le particelle lipoproteiche accumulatesi,
possono andare incontro ad una serie di trasformazioni chimiche, le quali comprendono
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ossidazione, lipolisi, proteolisi e aggregazione che hanno un potenziale ruolo patogenetico
(A.J. Lusis, 2000).
Figura 2: Formazione della lesione. In siti specifici, forze emodinamiche alterano la
permeabilità dello strato endoteliale nonché l’espressione genica delle EC. Le LDL entrano
nell’intima, si legano a componenti della matrice extracellulare e vanno incontro a
modificazioni ossidative. Le HDL hanno un ruolo protettivo. Inibiscono l’ossidazione delle
LDL poiché contengono una proteina antiossidante PON1 (paraoxonase1) (modificata da
Lusis 2000).
Tra tutte le modifiche la più importante è l’ossidazione delle LDL che avviene sia a livello
della componente lipidica che di quella apoproteica. L’enzima che catalizza questa reazione è
la lipossigenasi. Questo enzima è in grado di inserire un ossigeno molecolare all’interno di un
acido grasso polienoico producendo a livello dell’intima molecole come l’acido
idroperossieicosatetraenoico (HPETE), che reagiscono con le lipoproteine a bassa densità ed
innescano la reazione infiammatoria.
Un altro meccanismo che può facilitare l’accumulo di LDL modificate è la glicosilazione non
enzimatica delle apoproteine, che può verificarsi nei soggetti diabetici (Hofmann et al., 1999).
Le LDL ossidate giocano un ruolo iniziale nell’incrementare l’aderenza e la migrazione dei
monociti e dei linfociti T nello spazio subendoteliale; esse, infatti, inducono l’espressione di
molecole d’adesione delle cellule endoteliali VCAM-1 (vascular cell adhesion molecole-1),
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ICAM-1 (intercellular adhesion molecole-1), sono chemiotattiche per i monociti e
costituiscono uno stimolo per rilasciare citochine e fattori di crescita (M. Aikawa, P. Libby,
2004). Le LDL ossidate sono inoltre, in grado di inibire la produzione di ossido nitrico (NO,
nitric oxide) che svolge una funzione di vasodilatazione.
Reclutamento dei leucociti
Il richiamo dei leucociti nella lesione è il secondo passo nella formazione dell’aterosclerosi.
Molecole di adesione e recettori vengono espressi sulle cellule endoteliali consentendo il
passaggio dei leucociti attraverso la parete vasale (Fig. 3). In vitro, queste molecole sono
altamente innescate dagli elevati livelli di LDL ossidate e citochine (J. Fan & T. Watanabe,
2003). Il processo di adesione consiste nel rotolamento dei leucociti sulla superficie delle EC
attraverso le P- e E-selectine e le VCAM-1 e ICAM-1.
Figura 3: L’Infiammazione. Le LDL minimamente ossidate stimolano le EC a produrre
molecole di adesione (ICAM-1, P-selectina, E-selectina, PCAM-1, VCAM-1), proteine
chemiotattiche (MCP-1) e fattori di crescita (M-CSF) determinando il reclutamento di
leucociti e l’ingresso, il differenziamento e la proliferazione dei monociti nell’intima. Inoltre
le LDL inibiscono la produzione di NO, impedendo la vasodilatazione. ICAM-1, PCAM-1,
VCAM-1: intercellular, plasmatic, vascular cell adhesion molecule; MCP-1: monocyte
chemotactic protein; M-CSF: macrophage colony stimulating factor; (modificata da Lusis
2000).
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Topi mancanti di P- e E-selectine o delle molecole di adesione ICAM-1 hanno mostrato un
passaggio ridotto di agranulociti nell’intima. (Dong et al., 1998; Collins et al., 2000).
Successivamente si stabilisce un forte legame tra l’integrina VLA-4 delle cellule leucocitarie
e le molecole VCAM-1 e CS-1 endoteliali che consente l’ingresso dei leucociti nello strato
subendoteliale, nel quale si verificherà il differenziamento e la proliferazione dei monociti in
macrofagi e cellule schiumose.
La migrazione è indotta da sostanze chemiotattiche che sono presenti nell’intima e agiscono
specificamente sui monociti e sui linfociti T.
Queste sostanze includono:
- LDL ossidate;
- Lp (a) [Lipoprotein (a)];
- MCP-1 (monocyte chemoattractant protein-1);
- IL-1 (interleukin-1);
- TNF- ∆ (tumor necrosis factor- ∆);
MCP-1 è stato trovato nelle lesioni ad uno stadio precoce e può essere prodotto dalle EC e
anche dai macrofagi stessi. La funzione di MCP-1 dipende da uno specifico recettore CCR-2
presente sulla superficie dei monociti. Topi apoE KO mancanti della proteina MCP-1 e del
suo recettore CCR-2 hanno una minore insorgenza di lesioni aterosclerotiche (Fan et al.,
2003) e ciò sottolinea il ruolo primario di questa sostanza chemiotattica nel reclutamento dei
monociti.
Una volta entrati nell’intima, i monociti vengono indotti dalla citochina M-CSF (Macrophage
Colony-Stimulating Factor) a differenziarsi in macrofagi.
Formazione delle cellule schiumose
Le LDL moderatamente ossidate vengono ulteriormente ossidate da specie reattive
all’ossigeno prodotte dalle cellule endoteliali e dai macrofagi, diventando più aterogeniche
delle LDL native. Gli enzimi coinvolti in questo processo sono le sfingomielinasi, le
fosfolipasi e le mieloperossidasi. Le sfingomielinasi promuovono l’aggregazione delle
lipoproteine, incrementandone l’assunzione da parte dei macrofagi (Marathe et al., 1999); le
fosfolipasi sono in grado di ossidare le LDL; infine, le mieloperossidasi producono specie
altamente reattive, come l’acido ipocloroso e radicali tirosilici; inoltre, queste ultime
consentono l’attacco preferenziale delle LDL altamente ossidate a recettori “scavanger” dei
macrofagi (Podrez et al., 2000).