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accordi tra Stato italiano e le rappresentanze delle confessioni
religiose così come previsto dall’art. 8, III co., Cost.
La separazione degli ordini dello Stato e della Chiesa, il dovere
di non interferenza e la disciplina bilaterale dei loro rapporti hanno
costituito i due principi che hanno riformato la fase di rinnovamento
della politica ecclesiastica italiana. I due principi, si vedrà, esprimono
rispettivamente la laicità dell’ordinamento statuale, l’autonomia
confessionale e un limite al potere di normazione dello Stato nel
regolare i propri rapporti con le chiese.
Il principio di separazione degli ordini è posto a tutela della
sovranità dello Stato e dell’indipendenza delle chiese, ma si pone
anche come garanzia del diritto inviolabile di libertà religiosa. Per
assicurare il pieno soddisfacimento di questo diritto, lo Stato deve
offrire al cittadino una duplice tutela: ognuno, in quanto cittadino,
deve pretendere l’estraneità delle norme statuali ai giudizi espressi
nell’ordine religioso; e, come fedele, ogni persona deve poter contare
sulla pari estraneità delle regole confessionali rispetto alle norme dello
Stato in modo da salvaguardare allo stesso tempo sia la libertà
religiosa dei cittadini ma anche la libertà dei fedeli.
Si toccherà, inoltre, la problematica della collocazione delle
intese nella gerarchia dell’ordinamento giuridico italiano
concentrando l’attenzione in particolare sui “benefici” di cui godono
le confessioni dotate di intesa. Occorrerà, infatti, ricordare che le
intese, oltre ad abrogare per le confessioni interessate la legislazione
del ’29 – ’30, sui culti ammessi, hanno previsto per esse ampi margini
di autonomia interna in virtù della quale possono regolare le nomine
dei ministri di culto, l’organizzazione comunitaria e gli atti in materia
disciplinare; di effettuare liberamente, senza oneri, autorizzazioni, o
10
altri obblighi statali, propaganda, affissioni, distribuzione all’interno o
all’ingresso dei luoghi di culto; di accedere al servizio radio televisivo
pubblico e di ottenere il riconoscimento dei diplomi e delle lauree
degli studenti di teologia; di avvalersi di disposizioni più favorevoli in
materia di insegnamento e di istruzione religiosa nonché di istituzioni
di scuole parificate; di usufruire di forme di assistenza nelle istituzioni
collettive e segreganti; di disciplinare le proprie forme di matrimonio.
Si cercherà di identificare le peculiarità più importanti del
diritto musulmano e delle differenze che esistono, appunto, tra il
“mondo dell’Islam” e l’Occidente, tematica ora affrontata nel secondo
capitolo della tesi ove si metteranno a fuoco le caratteristiche
principali della religione islamica. A differenza della maggior parte
delle altre comunità immigrate, i cui membri privilegiano strategie di
inserimento individuale e che comunque non pongono alla società di
accoglienza richieste significative sul piano collettivo, la popolazione
musulmana, o almeno molte delle organizzazioni che se ne dicono i
rappresentanti, si distingue in tutti i paesi europei per la sua volontà di
attuare il proprio inserimento ingrandendo la dimensione collettiva e
avanzando complesse richieste di riconoscimento della propria
identità religiosa negli ambiti più diversi della sfera pubblica sociale e
istituzionale.
La situazione è resa più complessa dal fatto che nella tradizione
musulmana i confini tra l’ambito laico dello Stato e l’ambito religioso
sono molto meno definiti di quanto avvenga nella tradizione culturale
europea. Nell’Islam, infatti, la dimensione religiosa è tradizionalmente
il fondamento che legittima la stessa dimensione giuridica e politica.
La laicità dello Stato e del diritto, la reciproca autonomia tra Stato e
religioni, la stessa indipendenza della cittadinanza dall’appartenenza
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religiosa non sono concetti scontati in ambito musulmano. Di qui la
facilità con cui in nome dell’Islam e del diritto alla libertà religiosa
spesso i musulmani in Europa avanzano agli Stati richieste che, da una
prospettiva europea, non riguardano in senso stretto la libertà religiosa
bensì altri ambiti della vita associata, e che talvolta si pongono in
conflittualità con quanto previsto dallo Stato di diritto comune a tutti i
cittadini. Basti pensare alle richieste più estreme in questo senso,
quale quella di ottenere che sia la sharī’a a regolare i rapporti
nell’ambito coniugale e familiare, in deroga al diritto comune e in
aperta conflittualità con esso.
La presenza musulmana pone importanti questioni, spesso
difficili da affrontare. Sono le questioni legate al diritto di famiglia
islamico, alla posizione di subordinazione della donna che esso
esprime (la questione del matrimonio, della poligamia, del ripudio,
anche del rapporto con i figli e via dicendo) e alla stretta connessione
tra norme giuridiche, sociali e religiose che caratterizza l’Islam. Molte
prescrizioni della religione islamica sono, infatti, allo stesso tempo
norme sociali, nel senso che segnano per l’individuo l’appartenenza ad
una comunità e non soltanto l’adesione a una fede religiosa.
Appartenere all’Islam significa in primo luogo aderire ad un insieme
di credenze e tenere comportamenti che toccano varie sfere della vita
dell’individuo. L’Islam non è una religione nel senso che si è abituati
a dare oggi a questo termine; non riguarda soltanto la sfera privata
dell’individuo, ma è un sistema di vita che determina largamente
l’identità sociale.
Altri punti delicati che toccano i rapporti tra lo Stato italiano e
l’Islam riguardano, ad esempio, l’importanza delle festività islamiche,
il problema della macellazione e dell’alimentazione su cui lo stesso
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Corano detta precise regole. I problemi in questione sono, da una
parte, le prescrizioni religiose e, dall’altra, una tendenza normativa
alla protezione degli animali. Inoltre, esiste il problema connesso
all’affermarsi di usi e costumi diversi che riguardano anche
l’abbigliamento, sintetizzabile ricordando la questione del velo
islamico. A parte il tanto clamore mediatico suscitato in questi ultimi
anni da alcuni episodi collegati a questo tema, si pone il problema dei
limiti di rango costituzionale che potenzialmente sono di ostacolo
all’uso del velo. Alcuni limiti si possono trovare nella normativa
generale che si occupa di abbigliamento, e riguardano la pubblica
decenza (concetto che tra le altre cose ha subito nel tempo una
progressiva evoluzione), l’abbigliamento quale elemento idoneo ad
indurre ad una falsa individuazione sociale della persona e
l’abbigliamento quale elemento idoneo ad occultare o ridurre la
riconoscibilità della persona.
Nel terzo capitolo l’attenzione verterà sulla questione della
rappresentanza islamica in Italia. Come previsto dall’art. 8, III co.,
Cost., i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse dalla
cattolica “sono regolati per legge sulla base di intese con le relative
rappresentanze”. In Italia, la presenza islamica si presenta sotto
diverse forme associative, si riscontrandosi, peraltro, diverse tipologie
di appartenenza individuale all’Islam. Il problema cruciale che
riguarda l’Italia ma anche la maggior parte dei paesi europei, consiste
nell’“individuare” una leadership e, quindi, una rappresentanza
ufficiale, in grado di stipulare un’intesa con lo Stato italiano.
In Italia vi sono diverse associazioni musulmane che reclamano
la rappresentanza islamica e, infatti, sono state presentate allo Stato
italiano diverse bozze d’intesa. Le richieste avanzate nelle diverse
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bozze presentano aspetti sostanzialmente comuni: il venerdì festivo; la
preghiera rituale quotidiana; i permessi di assenza dal lavoro per il
pellegrinaggio; il Ramadan; il matrimonio; la scuola e l’insegnamento
della religione islamica; l’assistenza spirituale nelle carceri, negli
ospedali e nelle caserme. Una prima bozza d’intesa è stata formulata e
presentata nel 1992 dall’Ucoii (Unione delle Comunità e
Organizzazioni Islamiche in Italia); la stessa richiesta è stata avanzata
nel 1993 dal Centro Culturale Islamico d’Italia allo Stato italiano. Nel
1994, l’Ami (Associazione del Musulmani Italiani propose una
propria bozza d’intesa. Infine, nel 1996, l’Associazione per
l’informazione sull’Islam in Italia-Coreis ha presentato un’ultima
bozza. Ma oltre a queste associazioni ne esistono molte altre che o
perseguono un’integrazione individuale, oppure non sono interessati
all’intesa: sono gli sciiti o le forme di Islam radicale, come per
esempio, le diverse confraternite presenti nel territorio italiano.
Infine, il quarto ed ultimo capitolo della tesi sarà incentrato
sulla presenza islamica ed alla sua condizione giuridica in alcuni paesi
Europei.
In Germania, la normativa costituzionale non sfavorisce
l’esercizio della religione per i musulmani, in quanto il diritto tedesco
in materia religiosa è aperto a tutte le confessioni religiose. Si vedrà,
poi, che la forma giuridica che permette una maggiore garanzia delle
posizioni giuridiche di una confessione religiosa è lo status di
corporazione di diritto pubblico, tuttavia, il conferimento dello status
presuppone una chiara determinazione dell’appartenenza, i requisiti
della struttura organizzativa e la garanzia della fedeltà alla
Costituzione. Si esaminerà anche una serie di problemi concernenti le
scuole e l’insegnamento della religione islamica nelle scuole statali; se
14
nelle scuole i docenti, le alunne o gli alunni possano indossare un
abbigliamento che faccia diretto riferimento alla comunità religiosa di
appartenenza; quello relativo all’assistenza spirituale nell’esercito, ai
funzionari della polizia di frontiera; quello dell’assistenza spirituale
negli ospedali e dell’assistenza spirituale dei detenuti; infine, il
problema relativo alla normativa in materia di cimiteri.
Situazione diversa si riscontra in Spagna. L’esperienza spagnola
risulterà interessante per diversi profili: la Spagna è il primo e unico
Stato europeo che, già dal 1992, ha emanato una legge con la quale si
approva l’accordo dello Stato spagnolo con la Commissione islamica
di Spagna. L’Accordo è stato raggiunto dallo Stato spagnolo con la
maggior parte delle comunità islamiche iscritte nel Registro degli enti
religiosi e riunite nelle due federazioni che, a loro volta, costituiscono
la Commissione islamica di Spagna. L’Accordo spagnolo disciplina
molti punti contenuti anche nelle tre bozze d’intesa presentate in
Italia, come il matrimonio, l’assistenza religiosa nei centri pubblici,
l’insegnamento della religione islamica, le esenzioni fiscali, le
festività religiose, le prescrizioni alimentari. Tuttavia esistono alcuni
problemi dati dal fatto che esistono alcune divisioni tra le federazioni
che costituiscono la Cis, divisioni che hanno bloccato la maggior parte
delle disposizioni dell’accordo.
Analizzando la presenza islamica nel Regno Unito si dovrà
tracciare un profilo storico della presenza islamica di quel paese. I
primi principali settori di contatto tra le organizzazioni musulmane e il
Governo locale sono state la pianificazione e l’educazione (in primo
luogo l’educazione religiosa) e questioni pratiche come
l’abbigliamento nella scuola. In questi contatti iniziali entrambe le
parti vennero a conoscersi e svilupparono una certa esperienza.
15
Un’importante richiesta fu presentata nel 1975 dall’Unione delle
organizzazioni musulmane, che voleva introdurre il diritto di famiglia
islamico nella legislazione inglese. Molto clamore suscitò il caso
Rushdie, subito dopo la pubblicazione del suo libro, Versetti satanici,
nel 1988. Da quel momento in poi, le istituzioni nazionali
incominciarono a prendere sul serio la comunità musulmana a livello
nazionale. Prima il ministro dell’Interno e poi il deputato capo
dell’opposizione tennero discorsi, diffusi a livello nazionale, a membri
della comunità musulmana nella moschea centrale di Birmingham.
Ministri del Governo scambiarono lettere aperte con gli organismi di
coordinamento musulmani. L’Arcivescovo di Canterbury invitò i
leader musulmani a discutere con lui delle loro preoccupazioni. Al
tempo stesso, i media diventarono improvvisamente coscienti
dell’evolvere di una “storia” musulmana e l’Islam fu posto a un posto
più alto nell’agenda dei corrispondenti di affari comunitari e di affari
religiosi.
Per quanto riguarda la questione della presenza dell’Islam in
Francia, bisogna sottolineare i diversi tentativi che vi sono stati di
organizzare l’Islam dell’alto. A causa della loro storia e memoria
collettive, i francesi continuano a provare diffidenza nei confronti
delle religioni in generale, e dell’Islam, in particolare, così come
appare loro al giorno d’oggi. In effetti bisogna ricordare che in Francia
esiste un patto sociale laico. Il modo con cui si presenta attualmente è
il risultato di una lunga storia, iniziata con le guerre di religione
dell’Ancien Régime e le espulsioni degli ebrei e dei protestanti. Il
duplice obiettivo, che si osserverà, è stato quello di realizzare
definitivamente l’integrazione della comunità islamica nel contesto
francese.
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In ultima analisi si osserverà la situazione dell’Islam in Belgio.
Questo Paese, pur dichiarandosi neutrale in materia religiosa, fonda il
suo equilibrio sulle varie comunità presenti sul suo territorio. Il
problema, comune a tutti gli Stati europei, riguardava essenzialmente
quello dell’individuazione di una rappresentanza unitaria dell’Islam.
Sul piano giuridico, già dal 1974 il Belgio ha concesso lo status di
religione riconosciuta all’Islam, ponendola così accanto alle
confessioni cattolica, anglicana, protestante ed israelita. In questo
modo la confessione islamica si è venuta a trovare sullo stesso piano
delle altre religioni riconosciute godendo di tutti i diritti spettanti
secondo la Costituzione e le leggi belghe. Il Belgio ha indubbiamente
avuto il merito di diventare il primo Paese europeo che abbia
organizzato la rappresentanza temporale del culto islamico.
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CAPITOLO PRIMO
L’ORDINAMENTO GIURIDICO ITALIANO E LE
CONFESSIONI RELIGIOSE
La libertà religiosa nel nostro ordinamento giuridico, quale
esperienza individuale e rispondente ad interessi primari dei cittadini,
è sancita, in primis, dall’art. 19 Cost.:
Tutti hanno il diritto di professare liberamente la propria fede
religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e
di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti
contrari al buon costume.
Il rapporto tra Stato italiano e la Chiesa cattolica è sancito
dall’art. 7 Cost.:
Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine,
indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni
dei Patti, accettate dalle parti, non richiedono procedimento di revisione
costituzionale.
e, invece, i rapporti tra Stato italiano e le confessioni diverse
dalla cattolica sono consacrati dall’art. 8 Cost.:
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla
legge.
Le confessioni religiose diverse della cattolica hanno diritto di
organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con
l’ordinamento giuridico italiano.
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I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di
intese con le relative rappresentanze.
Questo capitolo cerca di mettere a fuoco il concetto di laicità e
di neutralità dello Stato italiano in materia religiosa, facendo
riferimento ai principi sopra enunciati ed alle garanzie che
l’ordinamento riconosce ai cittadini in merito alla libertà religiosa.
Analizzando gli artt. 7 e 8 Cost., osservando la loro fase di
elaborazione e di attuazione, si riscontrano alcuni interrogativi ed
alcune serie problematiche che riguardano proprio la libertà di
religione; il principio della bilateralità dei rapporti tra Stato e
confessioni religiose; il problema che sorge alla stipulazione delle
intese tra le confessioni religiose e lo Stato italiano: le intese
assumono la connotazione di accordi “a ricalco” o accordi “fotocopia”
andando così verso un mimetismo delle stesse confessioni che, pur di
stipulare un’intesa con lo Stato italiano, rinunciano al riconoscimento
delle loro caratteristiche più peculiari.
Infine, si toccherà il punto che riguarda gli enti ecclesiastici e le
agevolazioni fiscali date dagli ultimi provvedimenti in materia
religiosa.
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1. LAICITÀ E PLURALISMO NELL’ORDINAMENTO
GIURIDICO ITALIANO
La Costituzione italiana non qualifica la posizione dello Stato
nei confronti della religione e delle Chiese. Nonostante questo, però,
la Costituzione è ispirata a valori di laicità e pluralismo che in più
punti si traducono in precisi indirizzi di politica ecclesiastica.
I costituenti, nella fase di elaborazione della Costituzione,
discussero formule e proposizioni che, ove accettate, avrebbero
impresso una connotazione confessionale all’ordinamento ed a
determinati istituti dell’assetto sociale.
Si affermò la convinzione che la Costituzione dovesse essere
“una Costituzione non ideologica, che in essa e per essa fosse
possibile una libera azione non soltanto delle forze politiche, ma
anche di tutti i movimenti ideologici che stanno nello sfondo delle
forze politiche stesse”
1
. Si delineò una prospettiva nella quale la
qualificazione laica del testo costituzionale non derivasse da una
definizione dottrinale, ma da un più generale impianto pluralista nel
quale Stato e società civile svolgessero ciascuno la sua parte.
Questo spiega perché l’analisi della dimensione laica della
Costituzione non possa limitarsi alle norme della carta fondamentale
che specificamente disciplinano il fenomeno religioso, ma debba
muovere dai caratteri essenziali che lo Stato democratico sociale ha
assunto in contrapposizione allo Stato autoritario, ed anche in
un’ottica di superamento dello Stato liberale ottocentesco.
1
Sull’argomento cfr. N. Occhiocupo, Liberazione e promozione umana nella Costituzione,
Milano, 1984, in particolare pp. 27 ss.
20
Lo Stato sociale non si limita ad dichiarare i diritti fondamentali
di libertà ed eguaglianza come garanzie individuali dati ai singoli, ma
esprime l’interesse della collettività e si impegna per raggiungere
l’effettivo sviluppo dei diritti
2
. Le norme costituzionali che assicurano
il diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e
ogni altro mezzo di diffusione, il diritto di libera organizzazione
sindacale, e associazionismo politico, la piena parità dei cittadini ai
fini dell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive,
l’eguaglianza e la pari dignità sociale dei cittadini
3
, delineano una
cornice normativa nella quale la neutralità dello Stato si afferma in
diversi momenti della vita istituzionale e comunitaria, e in cui il
concetto di Stato laico finisce per avere gli stessi confini dello Stato
democratico.
Al tempo stesso, la categoria della socialità, che distingue lo
Stato interventista da quello garantista, non soltanto si afferma nei
meccanismi economico-sociali di sviluppo della persona, ma investe
le stesse libertà fondamentali e le aggregazioni elementari della
società civile, come la famiglia, la scuola e l’assistenza. Cardine della
disciplina costituzionale in materia scolastica è il principio per il quale
“l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”,
contenuto nell’art. 33, I co., Cost. Con la conseguenza che la libertà di
insegnamento esclude che i programmi scolastici possano essere
ispirati ad una particolare concezione ideologica: ne verrebbero
contemporaneamente lesi, il diritto dei docenti ed il diritto dei studenti
a sviluppare l’apprendimento e la ricerca in strutture pluralistiche.
Non meno significative le disposizioni sul matrimonio e sulla
2
Cfr. C. Cardia, Stato e confessioni religiose, Il Mulino, 1998, p. 112.
3
Artt. 21 – 39 – 49 – 51 e 3, I co., Cost.
21
famiglia, si affermano principi e valori meritevoli di tutela da parte
dello Stato: l’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, il diritto
della prole al mantenimento, all’istruzione e all’educazione, anche se
nata fuori dal matrimonio, i diritti della famiglia come entità organica
fondata sul matrimonio
4
. Tra le conseguenze che ne derivano derivare
possono evidenziarsi l’incostituzionalità di eventuali norme tendenti a
limitare, o negare, arbitrariamente il riconoscimento degli effetti civili
di matrimoni celebrati in determinate forme religiose, oltre ad imporre
la precedenza del rito civile rispetto a quello religioso; l’irrilevanza di
elementi confessionali o ideologici nella definizione di eventuali
conflitti coniugali o ideologici nella definizione di eventuali conflitti
coniugali, o nell’affidamento della prole.
Soprattutto ha valore significativo il secondo comma dell’art. 3
Cost., per il quale “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli
di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e
l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana”. Con questa disposizione, l’ordinamento abbandona
la concezione negativa dei diritti di libertà, e delinea una prospettiva
di intervento dello Stato e della legge, oltre che dei pubblici poteri,
volto a tradurre le libertà individuali in libertà sociali alla cui effettiva
realizzazione devono concorrere comportamenti positivi da parte
statuale e pubblica
5
.
Cambia il ruolo dello Stato che si fa garante e promotore del
diritto allo studio che compete ai cittadini, e del diritto all’assistenza
che finisce per toccare i confini della sicurezza sociale. L’art. 34
sancisce che “la scuola è aperta a tutti”, e prescrive l’obbligo
4
Artt. 29, II co – 30 – 29, I co., Cost.
5
Cfr. C. Lavagna, Istituzioni di diritto pubblico, Torino, 1986, pp. 375 ss.
22
dell’istruzione inferiore da impartire per almeno otto anni,
prevedendone la gratuità; agevolazioni e provvidenze sono garantite
per rendere effettivo il diritto allo studio che è riconosciuto, ai capaci
ed ai meritevoli, fino ai gradi più alti di istruzione. Al programma di
assistenza e di sicurezza sociale, invece, provvedono organi ed istituti
predisposti o integrati dallo Stato.
Questo cambiamento non poteva non creare interrogativi sul
rapporto che si delineava tra “pubblico” e “privato” rispetto a quello
consolidatosi nelle precedenti esperienze liberale e autoritaria. La
diarchia tra pubblico e privato ha confermato, e rafforzato, il carattere
pluralistico del progetto costituzionale, ma ha lasciato intravedere una
gerarchia tra i soggetti che concretamente si impegnano nel
perseguimento delle finalità citate, anche se essa è stata interpretata in
diversi modi. Per esempio si è preso spunto dall’art. 33, III comma,
Cost., per il quale “la legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle
scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena
libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello
degli alunni di scuole statali”, e si è segnalato che questa norma non è
mai stata attuata in modo compiuto; nello stesso modo non si è data
attuazione, mediante un’organica legislazione, al rapporto tra
assistenza pubblica e assistenza privata delineata dall’art. 38. Ne è
derivata una molteplicità di orientamenti sul ruolo che spetterebbe alle
strutture private rispetto a quelle pubbliche: se un ruolo di supplenza
dal momento che l’intervento pubblico ha fini generali, mentre
l’iniziativa privata è diretta a soddisfare esigenze settoriali; se un ruolo
“comprimario”, dal momento che il profilo pluralistico della
Costituzione esigerebbe una partecipazione contemporanea dei
soggetti pubblici e privati nell’assolvimento di un compito; se, infine,