5
Di fatto, però, la trattazione che dell’argomento sino ad ora è stata
fatta dalla dottrina italiana rivela, seppur con qualche eccezione,
un’impronta medico–legale:
di qui l’amplissima analisi del problema dei limiti della
sperimentazione, del suo rapporto con l’interesse terapeutico del
paziente, del consenso di quest’ultimo e di altri profili di valenza
etica.
1
Naturalmente non vi è da dispiacersi di ciò, sia per l’evidenza delle
implicazioni etiche della sperimentazione umana, sia perché la
pretesa di scindere l’aspetto giuridico da quello morale sarebbe una
semplificazione, seppur talora necessaria.
Peraltro questo approccio tradizionale ha già fruttato una
elaborazione quantitativamente vasta e qualitativamente
importante, tanto che non vi è molto da aggiungere alle trattazioni
che compongono l’attuale pubblicistica sull’argomento.
2
1
DUCHI, Aspetti giuridici della sperimentazione umana tra nuove prospettive
ed antichi problemi, in Rass. dir. farmaceutico, 1987, p. 549 ss.
2
Tra le numerose pubblicazioni è da ricordare, per la completezza della
trattazione: MANTOVANI, I trapianti e la sperimentazione umana, Cedam,
1974. Altro contributo importante è quello di BATTAGLINO, Sperimentazione
clinica dei farmaci, Organizzazione Editoriale
Medico–Farmaceutica, 1986; SANTOSUOSSO, Dalla salute pubblica
all’autodeterminazione: il percorso del diritto alla salute, in BARNI –
SANTOSUOSSO (a cura di), Medicina e diritto, Milano, 1995, p. 75 ss.;
BARNI, Medici e pazienti davanti alle cure, in Riv. critica di dir. priv., 1998, p.
53 ss.
6
Tra i problemi giuridici connessi con la sperimentazione dei
farmaci, appare meritevole di attenzione particolare quello della
acquisizione del consenso informato.
La prestazione del consenso da parte del paziente è condizione
essenziale per la liceità dell’atto terapeutico: il consenso deve
essere “informato”, cioè occorre che la volontà espressa sia
davvero consapevole.
Per ciò il soggetto interessato dovrebbe avere preventivamente a
disposizione tutte le informazioni indispensabili per la formazione
della volontà e della decisione; tuttavia, anche l’informazione è
sovente sottovalutata nell’ambiente medico, al punto da mancare
del tutto, oppure da essere fornita in modo parziale e con termini
poco comprensibili per il paziente.
Va perciò sottolineato come la mancanza dell’informazione
adeguata possa rendere invalido il consenso
3
.
Queste regole valgono, naturalmente, già per le terapie
farmacologiche e, a maggior ragione, quando si tratti di
sperimentazione di farmaci.
La riflessione, sia di tipo etico
4
, che giuridico, su alcune questioni
del tema della sperimentazione è sollecitata dal dilatarsi delle
3
Cass. Pen. 22 gennaio 1988, in Cass. Pen., 1990, p. 232.
4
Cfr. DWORKIN, Autonomy and informed consent, in Making Health
Decisions, Washington DC, 1982, p. 63 ss.; ENGELHARDT, Manuale di
bioetica, Milano, 1991; PELLEGRINO – THOMASMA, For the patient good.
7
possibilità della scienza e delle tecnologie di influire sulla sfera
privata delle persone, ampliando sia le possibilità di intervento, sia
il riconoscimento della persona come autentico protagonista di
questi processi
5
.
L’esigenza di riflettere in maniera compiuta sull’incidenza del
progresso medico e scientifico sulla vita dell’uomo ha fatto della
bioetica un luogo di incontro e di confluenza di discipline
filosofiche, giuridiche, antropologiche, scientifiche in senso stretto,
quali altrettanti modi di approccio allo studio di queste tematiche.
In questo senso, il binomio “diritto privato e bioetica” compendia
uno dei metodi favoriti di indagine.
6
Oltre a descrivere un approccio metodologico, questo binomio
esprime anche un nesso sostanziale, che è dato dal rapporto
biunivoco tra i principi generali dei più noti sistemi giuridici e i
canoni fondamentali dei principali modelli bioetica: questi ultimi
sono in una qualche misura derivanti dai primi, in virtù del fatto
che i principi giuridici rimangono una “lente2 per leggere i “fatti
The restoration of Beneficience in Health Care, New York, 1988, trad. it.,
CIPOLLA, Per il bene del paziente. Tradizione e innovazione nell’etica medica,
Cinisello Balsamo, 1992; ORSI, Il consenso informato: il prezzo della libertà e i
possibili equivoci nella sua applicazione, in Bioetica. Rivista interdisciplinare,
1995, p. 55 ss.
5
RODOTA’, Tecnologie e diritto, Bologna, 1995, p. 125 ss.
6
Per l’illustrazione di un altro punto di vista, v. CLOUSER, Bioethics and
Philosophy, 23 Hastings Center Report 1993, Special Supplement, The Birth of
Bioethics, S 10. Cfr. inoltre i saggi Bioetica e filosofia di BORSELLINO,
Bioetica e diritto di SANTOSUOSSO, Bioetica, medicina legale e deontologia
di BARNI, in Medicina e diritto. Prospettive e responsabilità della professione
medica oggi, a cura di Barni e Santosuosso, Milano, 1995, rispettivamente alle
pp. 3, 21 e 47.
8
della vita materiale”
7
di cui si occupa il sapere bioetica. Di
rimando, la riflessione filosofica sugli interrogativi proposti dagli
sviluppi della medicina e della biologia, così come la descrizione
scientifica dei fenomeni biologici, consentono di rimeditare gli esiti
di interpretazioni consolidate dei principi giuridici esistenti allorché
si tratta di applicarli a vicende nuove per il diritto. Questa mutua
corrispondenza è meglio compresa se inquadrata nel contesto del
rapporto tra diversi approcci bioetici, quello predominante nel
sistema nordamericano
8
e quello rappresentato dal “manifesto”
della via europea alla bioetica – la Convenzione sui diritti
dell’uomo e la biomedicina
9
- da un lato, ed i corrispondenti
modelli costituzionali di riferimento, da un altro lato.
7
Il riferimento è a FALZEA, I fatti giuridici della vita materiale, in Riv. dir. civ.,
1982, I, p. 473 ss. ed agli altri lavori che, presentati nel corso del Congresso
Linceo su Il diritto e la vita materiale (Roma, 23-25 maggio 1982), trattano della
comprensione giuridica di altrettanti aspetti della vita umana: OPPO, L’inizio
della vita umana, ivi, p. 499 ss.; TRABUCCHI, La procreazione ed il concetto
giuridico di paternità e maternità, ivi, p. 597 ss.; RESCIGNO, La fine della vita
umana, ivi, p. 645 ss.
8
Esso può dirsi tratteggiato, nella sua versione più complessa ed approfondita,
dall’opera di ENGELHARDT, The Foundations of Bioethics, 2nd, New York-
Oxford, 1996 (Manuale di bioetica, Milano, 1999, nella trad. it. A cura di Rini).
9
Convention pour la protection des droits de l’homme et de la dignité de l’être
humain à l’égard des applications de la biologie et de la médecine, DIR/JUR
(96)14, firmata a Oviedo il 4 aprile 1997 ed entrata in vigore il 1° dicembre
1999, con la ratifica di cinque dei Paesi firmatari. Con legge approvata il 14
marzo 2001 anche l’Italia ha ratificato la Convenzione.
9
CAPITOLO PRIMO
IL CONSENSO INFORMATO ALL’ATTO MEDICO
1.1: Informazione e consenso
L’informazione del paziente, la richiesta e la ricezione del suo
consenso, si presentano come requisiti ai quali deve attenersi
l’attività medica. L’obbligatorietà di assumere il consenso, data
ormai da un cinquantennio, richiede di fornire una informazione
chiara ed esaustiva che ne sostanzi la validità, e ciò risulta in modo
inequivoco dal dettato costituzionale
1
.
A tale nitida impostazione normativa, però, ha fatto costante
riscontro, nel nostro paese, una opposta operatività quotidiana,
secondo cui il consenso era sostanzialmente opzionale a fronte di
un trattamento necessario e ben condotto, e soprattutto i contenuti
dell’informazione erano assunti come prerogativa assoluta del
medico, che si attribuiva una sorta di diritto a scegliere se, come e
in quale misura fornire l’informazione adeguata, presupposto
essenziale del consenso valido.
1
Oltre che dall’art. 32 Cost., i principi costituzionali relativi all’ambito dei
trattamenti e ricerche medico-scientifiche emergono anche dal combinato
disposto degli articoli 2, 9, 13, 33 e 41 Cost. Si tratta di principi per i quali
occorre stabilire una gerarchia di valori onde evitare l’inutile sacrificio di diritti
soggettivi inviolabili, come ad es. quello alla salute, o anche quello di
determinarsi liberamente in rapporto ad uno specifico trattamento.
10
Il consenso costituisce dunque l’atto di autonomia con cui il
paziente esercita il suo diritto alla salute.
L’accento posto sul diritto alla salute e sul consenso come
espressione dell’autonomia della persona nell’esercizio di questo
fondamentale diritto contribuisce a un superamento della
concezione del consenso al trattamento medico in termini di
“consenso dell’avente diritto”
2
, vale a dire come causa di
giustificazione di una condotta altrimenti illecita.
La pratica del consenso informato costituisce in primo luogo il
mezzo per far acquisire al paziente consapevolezza della propria
condizione, per renderlo partecipe del processo terapeutico, e
quindi protagonista attivo di esso. Si può ancora sottolineare come
il problema dell’informazione del paziente abbia un’area di
rilevanza più ampia di quella che in senso stretto attiene al
consenso. In occasione del rapporto terapeutico possono, ad
esempio, venire acquisite informazioni che non influiscono
direttamente su di esso, e qui vengono in primo piano altre
questioni, come quelle inerenti al “diritto di sapere”, alla tutela dei
dati personali e altre ancora.
3
2
“Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto con il consenso della
persona che può validamente disporne”: art. 50 cod. pen.
3
Al riguardo, v. RODOTA’, Tecnologie e diritto, cit., p. 219 ss.; In proposito la
legge 675/1996, nel predisporre una tutela rispetto al trattamento dei dati
personali, reca una disciplina particolare per i c.d. dati sensibili, tra i quali sono
ricompresi quelli idonei a rivelare lo stato di salute. Per questo tipo di dati è
prevista una tutela rafforzata, in quanto per la loro raccolta, registrazione e
11
Altre volte l’informazione riguarda piuttosto la condotta che il
paziente deve tenere per verificare il buon esito dell’intervento, per
evitare rischi e complicanze che successivamente potrebbero
insorgere
4
; in ogni caso il paziente, per orientare consapevolmente
le proprie scelte, deve poter disporre di quelle informazioni
rilevanti per decidere: informare è dare la possibilità di scegliere,
consapevole dei rischi e delle conseguenze a cui si va incontro,
perciò il paziente deve essere posto in grado di conoscere il suo
stato di salute, le caratteristiche evolutive spontanee della malattia,
le possibilità terapeutiche, mediche e chirurgiche, i risultati
prevedibili, gli effetti collaterali, i rischi rispettivamente connessi.
5
conservazione non è sufficiente il consenso dell’interessato, ma occorre anche
l’autorizzazione del Garante istituito dalla legge medesima (art. 22). Il problema
è conciliare il trattamento di questi dati, da un lato, con il “diritto del soggetto a
non sapere”, cioè di ignorare, o addirittura non acquisire dati che contengono
informazioni sulle proprie future condizioni di salute; dall’altro, con le esigenze
di segretezza connesse al rischio di discriminazioni che possono essere
perpetrate a causa della divulgazione di questi dati in ambito lavorativo, o in fase
di conclusione dei contratti assicurativi.
4
Un obbligo di informazione di questa natura afferisce al contenuto delle stesse
prestazioni mediche relative ai trattamenti obbligatori, come sottolinea Corte
cost. 22 giugno 1990, n. 307, in Corr. giur., 1990, p. 1018.
5
Per i profili di responsabilità del medico in caso di mancata o scorretta
informazione, v. BILANCETTI, La responsabilità penale e civile del medico,
CEDAM, Padova, 1998, p. 197 ss.; BARNI, Diritti-doveri e responsabilità del
medico, Giuffrè, Milano, 1999, p. 188 ss.
12
1.2: Fondamenti normativi
In materia il primo e fondamentale riferimento nel testo
costituzionale si rinviene nell’art. 32 Cost., per il quale “la
repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo
e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli
indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato
trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto
della persona umana”.
In questo articolo, come si rileva fin da una prima e superficiale
lettura, non è solo sancito il principio di tutela della salute, ma si
detta anche una disciplina piuttosto minuziosa dei trattamenti
sanitari.
6
L’attenzione di dottrina e giurisprudenza si è concentrata sul
problema del consenso, specialmente in collegamento con la
“riscoperta” dell’art. 32 cost. (fino agli anni Settanta interpretato in
via restrittiva), avvenuta a seguito degli orientamenti della scienza
medica e medico-legale, che ha evidenziato anche profili
6
Per un commento all’art. 32 cost. cfr. MONTUSCHI – VINCENZI AMATO,
Art. 32, in Commentario della Costituzione. Rapporti etico – sociali, a cura di
Branca, Bologna – Roma, 1976, p. 146 ss.; cfr. MORTATI, La tutela della salute
nella Costituzione italiana, in Scritti, III, Problemi di diritto pubblico
nell’attuale esperienza costituzionale repubblicana, Milano, 1972, p. 436 ss.
13
deontologici
7
, e a seguito di importanti analisi di diritto
comparato
8
.
Questa norma va letta alla luce dell’art. 13 Cost., sulla inviolabilità
della libertà personale: con ciò si vuol dire che al cittadino è
riconosciuta anche la libertà di non curarsi, salvo che il trattamento
sanitario – appunto – sia imposto come obbligatorio da una
specifica disposizione di legge
9
; dunque la regola è che, salvo
eccezioni di legge
10
, non può essere praticato alcun trattamento
medico-terapeutico senza il consenso del paziente.
Quest’ultimo, tuttavia, non ha l’arbitrio assoluto sul proprio corpo,
poiché l’art. 5 cod. civ. afferma che “gli atti di disposizione del
proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione
permanente dell’integrità fisica o quando siano altrimenti contrari
alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”
11
: in questi casi
il consenso dell’interessato appare del tutto ininfluente
12
.
7
V. nell’ampia letteratura BARNI, in Medicina e diritto, cit., p. 47 ss., 53 ss.
8
GAMBARO, La responsabilità medica nella prospettiva comparatista, Milano,
1982, p. 67 ss.
9
Anche l’obbligo di cura e di prevenzione imposto dalla legge è però oggetto di
contestazione: v. la sentenza 23 giugno 1994, n. 258 della Corte costituzionale,
in tema di vaccinazione obbligatoria (G. U. n. 27 del 29 giugno 1994).
10
Tra le quali sono certamente da ricomprendere tutte le ipotesi in cui il medico
agisca in stato di necessità, quale delineato ex art. 54 cod. pen.
11
Per una trattazione sul tema, v. RESCIGNO, Libertà del trattamento sanitario
e diligenza del danneggiato, in Studi in onore di asquini, IV, Padova, 1965, p.
1657 ss.; ROMBOLI, Atti di disposizione del proprio corpo, in Commentario del
codice civile Scialoja-Branca, a cura di GALGANO, Libro I, art. 1-10, Bologna-
Roma, 1988, p. 247 ss. Lo stesso articolo 5 cod. civ. pare non contrastare con il
principio costituzionale del consenso del destinatario della prestazione sanitaria:
esso, infatti, verrebbe a costituire un mero limite agli atti di disposizione del
proprio corpo, affermandone ex adverso la legittimità. D’altra parte la
14
Vero è che non sempre il consenso è condizione sufficiente a
legittimare il trattamento terapeutico: quando tale trattamento può
comportare una menomazione, subentra un’altra considerazione, e
cioè la c.d. rilevanza sociale della salute del singolo, nel senso che
l’intervento terapeutico acquisisce rilevanza anche per la
collettività. La liceità dell’intervento quindi diviene possibile per il
prevalere dell’interesse collettivo su quello individuale, sempre che
il singolo presti il suo consenso
13
.
disposizione in esame interdirebbe i soli atti “negoziali” di disposizione, nel
senso di “dichiarare non vincolanti gli atti con cui la persona si impegna a
disporre del proprio corpo”, i quali pertanto sarebbero nulli per illiceità della
causa, con la conseguenza che non ne potrebbe essere pretesa l’esecuzione.
12
Cfr. Cass. Pen. 16 febbraio 1981, in Riv. pen., 1982, p. 235.
13
Cass. Pen. 18 giugno 1987, n. 7425, in Cass. pen., 1988, p. 609.
15
1.3: Caratteri e requisiti richiesti per la validità
dell’informazione e del consenso
L’obbligo di informare il paziente viene fatto dipendere dal
carattere e dalla natura del trattamento, nonché dall’attitudine del
malato a ricevere le informazioni.
L’informazione può essere semplice e approssimativa, ma deve
essere comprensibile e leale
14
.
E’ la stessa Corte costituzionale
15
a sottolineare come il mancato
rispetto dell’obbligo di informazione integri un’ipotesi di colpa
professionale ai fini della responsabilità medica, anche nel caso in
cui si tratti di trattamento obbligatorio.
16
A sentire la Corte, infatti, “il rimedio risarcitorio previsto in via
generale dall’art. 2043 cod. civ. trova applicazione tutte le volte
che la concreta attuazione di un trattamento sanitario non sia
accompagnata dalle cautele, o condotta secondo le modalità, che lo
stato delle conoscenze scientifiche prescrive in relazione alla sua
natura. E tra queste va ricompresa la comunicazione alla persona
che vi è assoggettata, o alle persone che sono tenute a prendere
14
Sul tema del consenso informato si è ufficialmente pronunciato il Comitato
Nazionale per la Bioetica in un parere (20 giugno 1992) che detta le regole della
informazione e della verifica del consenso al fine di una effettiva umanizzazione
del rapporto tra medico e paziente.
15
Corte cost. 22 giugno 1990, n. 307, cit.
16
CARUSI, Responsabilità del medico ed obbligazione dei mezzi, in Rass. dir.
civ., 1991, p. 485 ss.
16
decisioni per essa e/o ad assisterla, di adeguate notizie circa i rischi
di lesione, nonché delle particolari precauzioni che, sempre allo
stato delle conoscenze scientifiche, siano rispettivamente
verificabili e adottabili”.
La mancata acquisizione del consenso rende l’atto medico illecito,
incombendo sul professionista l’onere di dimostrare non solo e non
tanto la realtà di aver acquisito il consenso, ma soprattutto di aver
fornito preliminarmente un’informazione a tal punto idonea e
dettagliata da non potersi dubitare della consapevolezza dell’avente
diritto sull’argomento del consenso medesimo.
17
La giurisprudenza si limita a ritenere consona l’informazione
“completa” e necessaria in ogni fase dell’intervento medico–
chirurgico, senza indicare comprensibilmente le modalità della sua
espressione. Emblematica, in tal senso, la sentenza della
Cassazione civile
18
, in cui si afferma: “In tema di terapia
chirurgica, il dovere di informazione che grava sul sanitario è
funzionale al consapevole esercizio, da parte del paziente, del
diritto alla scelta di sottoporsi o meno all’intervento terapeutico (ex
artt. 13 e 32, comma 2, Cost.); in particolare, dalla peculiare natura
del trattamento sanitario volontario scaturisce, al fine di una valida
17
Sull’obbligo di informazione del medico, v. Cass. 8 agosto 1985, n. 4394, in
Foro it., 1986, I, c. 121, con nota di Princigalli, Chirurgia estetica e
responsabilità civile. V. anche CASTRONOVO, Profili della responsabilità
medica, in Vita notarile, 1997, p. 1222 ss.
18
Cass. civ., 6 ottobre 1997, n. 9705.
17
manifestazione del consenso da parte del paziente, la necessità che
il professionista lo informi dei benefici, delle modalità di
intervento, dell’eventuale possibilità di scelta tra diverse tecniche
operatorie e, infine, dei rischi prevedibili in sede
postoperatoria…”.
19
Premessa significativa, al riguardo, è, come si è detto, che la
giurisprudenza della Suprema Corte
20
non ha mai mostrato di
privilegiare l’una formula rispetto all’altra (verbale o scritta),
giustamente sottolineando come a ben poco rilevi la sottoscrizione
frettolosa e vaga di moduli aleatori di consenso, quando non risulti
possibile dimostrare di aver soprattutto dato spazio e significato
alla informazione dettagliata, che ne è premessa imprescindibile.
Di fronte alle difficoltà probatorie, gran parte della dottrina
medico-legale
21
ha individuato nella formulazione scritta
dell’informazione, e del relativo consenso, la soluzione migliore
(rispetto a quella verbale) anche per la sua oggettività, dovendosi
peraltro sottolineare che, a fronte della puntigliosa descrizione che
caratterizza l’informazione scritta propria dei paesi anglosassoni,
nel nostro Paese prevalgono spesso formule superficiali e generiche
19
COMPORTI-LORE’, Decisione medica e diritti del malato: l’informazione e
consenso, in Federazione medica, 1984, p. 606 ss.; ROSSI CARLEO, Il diritto
all’informazione nei suoi aspetti privatistici, in Riv. dir. civ., 1984, I, p. 145 ss.;
MORELLO, Obblighi di informazione, in Giur. it., 1985, IV, col. 204 ss.
20
V. ad es. Cass. 29 marzo 1976, n. 1132, in Rep. Foro it., 1976, c. 2460, n. 41.
21
Vedi ad es. NORELLI – MAZZEO, Il consenso informato, Tagete, 1998.
18
che addirittura dimostrano, contrariamente agli intenti,
l’incompletezza dell’informazione resa.
Inoltre, è da ricordare come un testo, anche se completo ed
esaustivo, manchi del requisito della personalizzazione (nel
linguaggio e nel significato dei termini) che è essenziale
presupposto alla comprensione e quindi alla partecipazione alle
scelte
22
.
A ogni modo, considerando che, secondo costante giurisprudenza
23
,
l’informazione può liberamente essere fornita sia in forma scritta,
sia in forma orale, e che deve essere personalizzata così da rendere
il consenso consapevole e valido, una componente di oralità
nell’informazione è elemento essenziale, cosicché la sua
formulazione orale appare l’unico modello del tutto individuale,
originale, esclusivo e commisurabile al singolo soggetto che deve
comprenderla, accoglierla e assimilarla.
22
In modo chiaro, al riguardo, si esprime il Codice Deontologico dei Medici
Chirurghi e degli Odontoiatri, 1998, art. 30.
23
V. ad es. Cass. 12 giugno 1982, n. 3604, in Rep. Foro it., 1982, c. 2367, n. 46.