5
una definizione effettiva e non “presunta” dei concetti di
“rappresentanza” e “rappresentatività” sindacale.
Sarà inoltre considerato un risultato, o meglio una reazione a
quella stagione conflittuale, anche l’imposizione per via legislativa
di una regolamentazione al diritto di sciopero
3
nei servizi pubblici
essenziali.
Vedremo infine, dall’applicazione pratica, che questa legge
non sempre riuscirà a contemperare da un lato l’interesse
dell’utente e dall’altro il diritto del lavoratore.
Focalizzerò inizialmente la mia ricerca sulle motivazioni di
fondo che determinarono la nascita e lo strutturarsi di quel
movimento nell’anno 1987. Dall’esame del quinquennio d’intensa
e pressoché costante conflittualità che contraddistinse l’azione di
questo movimento, tra il 1987 e il 1992, mi soffermerò
particolarmente su iniziative ed azioni rivendicative che
contribuirono a stimolare le profonde modifiche intervenute nel
sistema delle relazioni industriali sul finire degli anni Ottanta.
Fonte d’innesco della vertenza sarà considerato il contratto
di lavoro per gli anni 1987-1989, sottoscritto dalle organizzazioni
sindacali confederali e dall’Ente Ferrovie, ma anche il contratto
1990-1992 avrà notevole rilevanza, perchè porterà alla definizione
sul campo del soggetto contrattuale Comu ed alla concretizzazione
di gran parte degli obiettivi prefissati da quel sindacato.
organizzazione) Le vicende storiche hanno lasciato sospesa la specificazione dei contenuti
attuativi, determinando un diritto sindacale incompiuto.
3
La legge 12 giugno 1990, n 146 detta le norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei
servizi pubblici essenziali allo scopo (l’articolo 1, comma 2) di “contemperare l’esercizio del
diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati”.
6
Il filo di collegamento che permetterà di collocare l’azione
del Comu in un percorso storico temporale sarà fornito dalla
rivista Ancora in marcia.
Questa è una rivista indipendente, ma la sua diffusione
capillare, sia pur limitata all’ambito categoriale dei macchinisti, ha
avuto un ruolo decisivo nell’unificare ed indirizzare il movimento.
Parallelamente, ho ritenuto utile consultare la rivista
Ferrovieri,
4
relativamente a tematiche coinvolgenti più ambiti
lavorativi; quest’ultimo periodico tra gli anni 1987 e il 1992 ha
dato voce alle istanze di base di tutte le categorie ferroviarie.
La pubblicazione sindacale della Cgil Rassegna Sindacale e
la consultazione di fonti quali contratti di lavoro, protocolli
d’intesa e di accordi pre-contrattuali, potranno chiarificare e
rendere meno unilaterale la visione del fenomeno “Comu”.
4
Ferrovieri, giornale cooperativo dell’associazione “Cesare Pozzo”, stampato dalla
Cooperativa tipolitografica, Via S. Piero 13, Carrara, dal gennaio 1987, ultimo numero,
febbraio 1993.
7
CAPITOLO 1
Brevi cenni su radici storiche del sindacalismo ferroviario e
ruolo dei macchinisti.
8
1.1 I macchinisti nella formazione delle prime associazioni tra
ferrovieri.
Il fenomeno Comu non nasce dal nulla; certe peculiarità che
lo caratterizzano quali l’incisività e la determinatezza delle azioni,
la coesione e la compattezza dei suoi attori, modi di fare sindacato
definiti di volta in volta, di “avanguardia”, di “classe”, di
“mestiere”, convivono negli attuali “comitati di base” come
convissero nelle prime società di mutuo soccorso e nel Sindacato
Ferrovieri di fine secolo scorso. Tematiche e rivendicazioni delle
prime organizzazioni ferroviarie riemergono chiaramente in molti
obiettivi del sindacalismo “postconfederale”: la ricerca di una
giusta remunerazione, di maggior sicurezza e tutela della salute, il
rifiuto della logica del profitto e della privatizzazione hanno
esaltato, in modo particolare, la vertenza dei macchinisti tra gli
anni 1987 e 1992.
5
Un brevissimo excursus sulla storia del sindacalismo
ferroviario consentirà di inquadrare affinità tra obiettivi e modalità
di lotta attuali e di allora.
I vari autori che si sono soffermati sul periodo della storia
ferroviaria di fine Ottocento concordano, infatti, nel dare una
rilevanza all’atipicità del lavoro del personale itinerante delle
5
Per un confronto tra rivendicazioni di inizio Novecento e quelle attuali, vedi in particolare
In marcia, anno 1908, n. 3, p. 4, “Le strade ferrate ed i loro disastri”; In marcia, anno 1910,
n. 1 p. 3, “I nostri dormitori”; In marcia, anno 1911, n. 2, p. 1-2, “Competenze accessorie,
punto e da capo”; In marcia 1923, n. 7, p. 1, “I nostri salari privilegiati”; cfr. anche,
Leonardo Coen “Ecco, vi racconto la sporca vita del macchinista”, in La Repubblica, 4 luglio
1987, p. 21 e Roberto Greco, “Una vita difficile”, in Nuova rassegna sindacale, n. 26 del 6
luglio 1987, p. 21.
9
Ferrovie, sottolineandone la durezza delle condizioni lavorative
6
e
l’attivismo di quei lavoratori nell’organizzare le prime forme
associative di mutuo soccorso, le quali precorreranno di poco la
prima vera struttura sindacale organizzata di classe.
In effetti, come dimostrano i dati evidenziati dalla statistica
Cabrini del 1905,
7
l’organizzazione dei ferrovieri rappresentò
l’unica istanza professionale effettivamente ramificata su tutto il
Paese con livelli di compattezza e sindacalizzazione elevatissimi
sia a livello italiano che europeo.
6
Stefano Merli, Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale, il caso italiano, Firenze,
La Nuova Italia, 1972, in particolare alle pagine 195, 212, 244-253, 485-490; è fornito un
chiaro nesso tra lavori anomali nel settore così detto “viaggiante – ferroviario” e la forte
incidenza di suicidi e mortalità precoce ivi presente.
7
Idomeneo Barbadoro, Storia del sindacalismo italiano dalla nascita al fascismo la
Confederazione Generale del lavoro, La Nuova Italia, Firenze; 1973 p. .97-99. Le cifre
desunte dalla statistica Cabrini del 1905, evidenziano per il settore ferroviario il massimo
tasso di sindacalizzazione rispetto alle altre categorie dell’industria o dei servizi (es. Ferrovie
54%, metalmeccanica 21%, edilizia 5%) da un raffronto con altre realtà europee, si nota che
le adesioni ai sindacati dei ferrovieri inglesi corrispondono a meno della metà di quelle dei
colleghi italiani.
10
1.2 Albori del sindacalismo nelle Ferrovie
La figura di maggior spicco del sindacalismo ferroviario
alla fine del secolo diciannovesimo fu Cesare Pozzo.
Con la fondazione della società di mutuo soccorso tra
macchinisti e fuochisti,
8
egli puntava non solo a creare uno
strumento solidaristico e di previdenza, ma a realizzare un mezzo
d’aggregazione che accrescesse la forza contrattuale della
categoria.
I lavoratori, infatti, scoprirono i molti usi che potevano fare
dell’unità organizzativa del “mutuo soccorso”; si cominciava a
parlare di disagiate condizioni dei macchinisti in quanto tali e non
perchè “soci”: ancora non si discuteva di sindacato, ma già si
anticipava il salto di qualità verso l’associazione sindacale.
Le iniziative di quest’associazione non consideravano
ancora l’arma dello sciopero; per avanzare istanze o petizioni essa
si avvaleva di “memoriali”, i quali sollecitavano l’attività
parlamentare.
Tra questi, di notevole effetto fu quello del 1884,
9
il quale,
con un efficace realismo, forniva una completa informazione al
8
Cesare Pozzo, nato a Serravalle Scrivia nel 1853, entrò come macchinista nelle ferrovie
dedicandosi alla lotta di categoria e di classe, fondò la prima società di mutuo soccorso fra
macchinisti e fuochisti il 1 maggio, 1877, morì suicida sotto un treno ad Udine nel 1898.
9
Giuseppe De Lorenzo, La prima organizzazione di classe dei ferrovieri, Coop.srl, Roma,
1977, cfr. p. 118; l’autore dà una sommaria, ma efficace descrizione del memoriale che
Cesare Pozzo e Giuseppe Mariani diffusero tra i membri del Parlamento, della stampa e
dell’Amministrazione Ferroviaria: in lui si denunciavano le cause di morbosità e di mortalità
precoce della categoria dei macchinisti, la loro vita era descritta con crudo realismo, “per un
pezzo di pane, quei lavoratori vedono abbreviarsi la vita e troncare la salute nel fiore della
gioventù”. Enrico Fenzi, Alle origine del movimento sindacale. I ferrovieri, Bologna, Il
Mulino, 1975, la tabella statistica riporta i dati relativi alle categorie professionali dei
11
Parlamento, alla stampa ed all’amministrazione ferroviaria sulle
cause di morbosità e di precoce mortalità della categoria dei
macchinisti.
Nell’ultimo decennio del secolo osserviamo anche la nascita
di una pluralità d’organi di stampa dei ferrovieri a tiratura
nazionale, tra gli altri citerò L’eco degli impiegati ferroviari,
fondato nel 1885, Il treno e Lega dei ferrovieri,
10
quest’ultimo
periodico, organo ufficiale dell’omonima organizzazione, che
arrivò a tirature di 35.000 copie.
I periodici erano strumenti d’educazione e cultura e
dimostravano l’importanza strategica dell’informazione nel creare
temi unificanti tra un personale ancora marcatamente diviso tra
qualifiche, stazioni, officine.
conduttori, frenatori, macchinisti. Si evidenzia un tasso di mortalità per causa di servizio o
malattie professionali pari al 65% ed una percentuale di suicidi, che è superiore del 34% alla
media generale della popolazione; l’autore interpreta quest’ultimo dato come “la protesta
estrema di chi è cacciato dalla vita”.
10
Il periodico sindacale “La lega dei ferrovieri” era fatto e stampato esclusivamente da
ferrovieri, esso era un importante strumento per lo sviluppo dell’associazione e spesso i suoi
propagandisti furono costretti al trasloco o sospesi dal lavoro.
12
1.3 Lotta alla privatizzazione ed alle “convenzioni”, il terreno
unitario di fondazione del primo organismo di classe: la lega
dei ferrovieri.
Il 27 aprile 1885 il governo Depretis approvava le così dette
“convenzioni”.
11
Attraverso un contratto con tre grosse
compagnie private,
12
politica ed interessi privati - finanziari si
saldavano in un legame che già da alcuni anni si andava
evidenziando.
La gestione privata a fini di lucro determinò come effetto
immediato un super sfruttamento dei lavoratori e degli impianti di
produzione.I salari furono decurtati anche del 30%,
13
mentre con i
prepensionamenti di migliaia di agenti la cassa pensioni venne
ridotta alla bancarotta.
14
La privatizzazione
15
della gestione ferroviaria ed il diffuso
malcontento favorirono pertanto il coagularsi di nuove lotte e
11
Cento anni di lotte sociali e sviluppo nei trasporti (1877 –1977), Atti celebrativi del
centenario della Società di Mutuo Soccorso tra Ferrovieri, Milano 27-28 aprile 1977, Milano,
Arti grafiche Fiorin, 1978, p. 25; si definiscono le Convenzioni tra Stato e Compagnie
ferroviarie come uno strumento finalizzato alla ristrutturazione del sistema ferroviario.
Esse avrebbero liberato lo Stato da gestioni obbligate e reso l’attività più produttiva ed
economica, quegli obiettivi non furono mai raggiunti.
12
Le tre compagnie private che si trovarono a gestire la rete ferroviaria tra il 1885 ed il 1905
erano: l’Adriatica, la Mediterranea e la Sicula, queste compagnie costituivano un consorzio
di banche italiane e straniere: attraverso un contratto di esercizio tra Stato e compagnie si
stabiliva la partecipazione agli utili, che si aggirava intorno al 62%: le società avevano a
carico le spese di esercizio, mentre lo Stato si accollava la costruzione di tutte le strutture ed
infrastrutture ferroviarie, nonché l’acquisto del materiale rotabile.
13
Libertario Guerrini, Organizzazione e lotte dei ferrovieri italiani (1861- 1907), Firenze, La
Nuova Italia, 1972, cfr. pp. 42 - 43; l’autore mette in risalto come in detto periodo si
appesantì la giornata di lavoro del macchinista: come conseguenza si ebbe una recrudescenza
degli incidenti ferroviari.
14
E. Fenzi, cit. p. 8; l’autore evidenzia come gli enti che garantivano indennità e sussidi di
assistenza o previdenza si avviassero verso la bancarotta a causa della politica dei
pensionamenti anticipati perseguita dalle compagnie, al fine di sfoltire il personale.
15
Giuseppe De Lorenzo, La prima organizzazione di classe dei ferrovieri, Ed. cooperativa
s.r.l., Roma, 1977, in particolare p. 66.
13
sollecitarono la nascita dei primi organismi sindacali,
comprendenti una pluralità di categorie ferroviarie.
Nacque così a Milano nel 1894 la “lega dei ferrovieri”, una
formazione strettamente legata al contesto politico del partito
socialista; essa rappresentava il primo organismo esteso a tutto il
settore ferroviario, che superava i confini di categoria.
La Lega fu sciolta dopo la “rivolta del pane” ed i disordini di
Milano del 1898, come effetto della militarizzazione ferroviaria.
L’associazione si ricostituiva nel 1900, con un nuovo statuto (in
cui non si accennava esplicitamente all’adesione al partito
socialista) come confederazione sindacale.
Questa confederazione unificava le preesistenti strutture
sindacali di mestiere: “Il riscatto”, “Sindacato conduttori”,
“Sindacato operai”; era concepita come organo col compito di
dirigere agitazioni generali, superiori al confine di categoria e con
valenza anche per la collettività in genere.
Lo spirito unitario della federazione trovava ulteriore vigore
nel 1905, in connessione allo scadere del contratto
16
ventennale di
concessione ferroviaria ai privati; il congresso unitario della lega,
tenutosi a Genova il 9 novembre 1904 nella piattaforma metteva
come prioritaria l’esigenza di una nazionalizzazione del servizio
ferroviario e la creazione di un’azienda autonoma, nella quale
fossero rappresentati anche gli interessi dei consumatori.
17
16
E. Fenzi, cit. p. 10, cfr. pp. 106-107
17
I. Barbadoro, Il sindacato in Italia, dalle origini al 1908, Teti editore, Milano, 1979, in
particolare p. 318.
14
La linea unitaria
18
si era dimostrata vincente in occasione
delle agitazioni del febbraio-marzo 1902; la compattezza del
movimento poteva piegare l’intransigenza delle compagnie
dinanzi alle rivendicazioni salariali e di migliori condizioni di
lavoro.
La prima grande agitazione di categoria su scala nazionale
nella storia del movimento operaio italiano si concludeva con una
vittoria di tutta la categoria. Quest’affermazione sarà confermata
nel 1905 con l’approvazione della legge n. 137/1905, per la quale
la rete ferroviaria sarebbe stata gestita direttamente dallo Stato
attraverso l’Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato.
18
Giuliano Procacci, La lotta di classe all’inizio del secolo XX, Roma, Editori Riuniti, 1970,
cfr. pp. 32-39; l’autore rileva il contributo fondamentale dei ferrovieri nella storia del
proletariato italiano come le ferrovie furono strumento di unificazione dell’economia, così i
ferrovieri contribuirono a rendere unitario il movimento operaio italiano. Renzo Del Carria,
Proletari senza rivoluzione, storia delle classi subalterne in Italia, vol. II, Savelli, Roma,
1975, (cfr. pp. 264-269) vede invece i ferrovieri sotto una luce completamente diversa, uniti
solo in funzione di rivendicazioni corporative che li accomuni, infatti, quando nel settembre
1904 le classi proletarie furono scosse dallo sciopero generale, essi non assunsero un ruolo di
avanguardia e dichiararono solo tardivamente uno sciopero di solidarietà con le altre
categorie, sciopero che però fu subito revocato.
15
1.4 L’unificazione nel Sindacato Ferrovieri Italiani (Sfi) e
l’avvento del fascismo.
Il 12 giugno 1906 i tre sindacati ferroviari confederati
19
si
riunirono in “assemblea costituente” del sindacato unico dei
ferrovieri.
I dissensi non mancarono, ma subito rientrarono, ed il 1
maggio 1907 si tenne a Roma il congresso di fondazione dello Sfi,
il sindacato unitario dei ferrovieri.
Veniva pertanto raggiunto l’obiettivo di congiungere tutti i
lavoratori delle strade ferrate in una struttura sindacale unitaria.
Tale risultato era quanto mai denso di significato, perché
l’industria dei trasporti su rotaia, all’inizio del Novecento, era al
centro dello sviluppo economico nazionale; inoltre quel settore si
poteva scomporre in molteplici figure professionali
20
comportanti
diverse condizioni di lavoro e quindi differenti interessi
rivendicativi.
21
Una minoranza riformista si prodigò ripetutamente per
l’adesione alla Cgdl (la confederazione generale del lavoro sorta
19
I sindacati confederati nella “lega” erano: il “Sindacato conduttori,” “Riscatto”, il
“Sindacato operai”.
20
La cultura professionale, in “L’Ordine nuovo”, n. 15 del 23 agosto 1919, p. 1, l’articolo
evidenzia come, nell’ambito dello Sfi, la categoria dei macchinisti elaborasse autonome
piattaforme rivendicative; queste esprimevano una cultura professionale che aspirava ad una
organizzazione del lavoro diversa che “esaltando la specificità di quella professionalità
facesse rivivere quei valori che lo sviluppo capitalistico aveva distrutto; si dimostrava quindi
che quell’autonomia non era di carattere corporativo e che quel particolare sindacalismo di
mestiere non era in antitesi con le metodologie della lotta di classe.
21
Dallo “Statuto del Sindacato ferrovieri italiani”, in La tribuna dei ferrovieri, 1 giugno 1907
“Gli scopi del sindacato sono: difendere e migliorare le condizioni economiche, morali e
sociali dei ferrovieri, preparare questi ad assumere la gestione dell’azienda dei trasporti
16
nel 1906), ma lo Sfi conservò sempre una posizione
d’autonomia.
.22
Dopo dieci anni di vita lo Sfi contava oltre 115.000 adesioni
ed un tessuto organizzativo attivissimo, anche nel far funzionare
fondi di solidarietà o cooperative di consumo.
Dimostrava inoltre una combattività particolarmente incisiva
nelle lotte operaie, culminate con lo sciopero dal 20 al 30 gennaio
1920; furono così conquistate le otto ore di lavoro giornaliere per
tutto il personale esecutivo.
23
Dal 1922, ed in particolar modo dopo l’approvazione della
legge del 1923 che limitava le libertà sindacali, la consistenza e la
capacità di mobilitazione del sindacato si sgretolarono.
Nel 1924 si contavano appena 6.000 adesioni ed uno degli
ultimi atti formali dello Sfi era stata, nell’ottobre 1923, l’adesione
alla Cgdl.
24
Da quella data, la voce sindacale dei ferrovieri si fece sentire
sempre più flebile; il maggior deterrente alla partecipazione
ferroviari secondo il principio “gli strumenti del lavoro ai lavoratori” Per raggiungere i suoi
scopi il Sindacato segue il metodo della lotta di classe.
22
Augusto Castrucci, Battaglie e vittorie dei ferrovieri Italiani, Zero in condotta, Pisa, 1988,
Biblioteca Franco Segantini, cfr. p. 68; l’autore spiega le motivazioni che impedirono
l’adesione alla Confederazione Generale del lavoro ed evidenzia che essendo lo Sfi composto
da un mosaico politico, l’unità interna a quel sindacato sarebbe potuta resistere solo tenendo
lontano quel sindacato da confederazioni con chiari atteggiamenti politici di parte (es. quello
della Cgdl).
23
Remigio Smaldone, “La divisionalizzazione del Duce”, in “Ancora in marcia”, dicembre
2000, cfr. p. 16.
24
Cfr. Congresso confederale, in “Tribuna dei ferrovieri”, 30 settembre 1924, e Franco
Damiani, “il IX congresso”, in Il Sindacato Ferrovieri Italiani, dalle origini al fascismo
1907-1925, Unicopli, Milano, 1979, p 33; in seno al X congresso dello Sfi tenutosi nel
febbraio 1922, fu approvata la proposta d’unificazione alla Cgdl, la decisione fu chiaramente
determinata dalla drammaticità del momento (l’avanzata del fascismo). I ferrovieri, nel
congresso della Cgdl del dicembre 1923, ebbero però unicamente un voto “consultivo”, solo
un loro membro entrò nel consiglio direttivo; essi, inoltre, si distinsero per una tendenza
centrista e moderata.
17
sindacale fu, infatti, la politica degli “esoneri”,
25
in altre parole,
licenziamenti che colpirono inizialmente i partecipanti agli
scioperi del 1921-1922 e che, successivamente, furono estesi a
chiunque dimostrasse attivismo politico e sindacale non conforme
al fascismo.
Tra gli anni 1923 ed il 1926, il personale ferroviario scese da
241.000 a 175.000 agenti; i lavoratori “dimissionati” erano scelti
tra gli attivisti sindacali di sinistra con alta percentuale di
macchinisti.
Nell’arco di quel triennio il sindacato fu quindi svuotato
dalle sue migliori unità e la sua attività dovette svolgersi
clandestinamente.
26
Infine, il 9 aprile 1925, il Prefetto di Bologna, città sede
amministrativa del sindacato, dopo l’uccisione di un ferroviere,
prese lo spunto per sciogliere lo Sfi.
27
L’episodio non fu l’ultimo
25
F. Damiani, ibidem, cfr. pp. 330-333; il 16 agosto 1924 veniva pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale il Regio Decreto legge, 26 giugno, n. 23, col quale si prorogava la facoltà di
esonerare il personale ferroviario; il comitato centrale dello Sfi protestò, ma senza esito,
contro la faziosità del governo “che perseguitava in tal modo i ferrovieri che non abiuravano
la propria fede politica e sociale”. Gli esoneri, in “In marcia” luglio 1923, p. 1; nel primo
scaglione degli esonerati, o meglio “cacciati”, s’individuano personalità rappresentative dello
Sfi. Si attiva, inoltre, una “caccia quasi selvaggia” ai ferrovieri già dimissionati, in cerca di
una nuova occupazione: un “veto” più o meno esplicito era, infatti, imposto ad imprese ed a
commercianti relativamente all’assunzione di quei lavoratori licenziati, ai quali sarebbe stata
interdetta la possibilità di trovare anche un’occupazione all’estero, per ulteriori difficoltà nel
rilascio del loro passaporto.
26
G. De Lorenzo, cit.p.10, cfr. pp.256-258; l’autore evidenzia come i dimissionati siano
scelti tra i ferrovieri indisciplinati e siano normalmente licenziati per scarso rendimento:
l’obiettivo era quello di ristabilire la disciplina; ne conseguì un aumento impressionante dei
carichi di lavoro individuali: dato significativo è che nel 1922 occorrevano 46 agenti per un
milione di assi rimorchiati, mentre nel 1932 ne bastavano 29 (Cfr. anche Ancora in marcia,
dicembre 2000, p.16.)
27
A. Castrucci,, Lo scioglimento del sindacato;cit. p. 16. Motivo per lo scioglimento dello
Sfi fu “ la propaganda ed indirizzo contrari alle istituzioni ed al governo con pericolo per
l’ordine pubblico”. All’atto di scioglimento dello Sfi, furono arrestate tutte le persone
presenti nei locali della sede centrale. Il 24 Aprile 1924 fu comunque inoltrato, da parte
dell’avvocato Boriosi, ricorso al Ministero degli Interni contro il provvedimento di