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Dalla Normativa di cui al Codice della Strada, Art. 77 (Art. 39 Cod. str.) (Norme generali sui
segnali verticali) si legge:
“Al fine di preavvisare i conducenti delle reali condizioni della strada per quanto concerne
situazioni della circolazione, meteorologiche o altre indicazioni di interesse dell'utente i segnali
verticali possono essere realizzati in modo da visualizzare di volta in volta messaggi diversi,
comandati localmente o a distanza mediante idonei sistemi di controllo. Tali segnali, detti a
"messaggio variabile", anche se impiegati a titolo di preavviso e di informazione, devono essere
realizzati facendo uso di figure e scritte regolamentari e cioè riproducenti integralmente per forme,
dimensioni, colori e disposizione le figure e gli alfabeti prescritti nei segnali verticali di tipo non
variabile. Il passaggio da un messaggio all'altro deve avvenire in maniera rapida per non
ingenerare confusione o distrazione nell'utente”.
La scelta della localizzazione, dei testi, la durata di questi, ha un’importanza rilevante affinché i
pannelli siano veramente efficienti; tutte queste variabili devono essere opportunamente studiate per
garantire velocità di comprensione da parte dell’automobilista, al quale in determinate circostanze è
chiesto un coinvolgimento attivo (svolte, deviazioni, scelta di percorsi alternativi, ecc).
SCOPO DELLA RICERCA
Dall’analisi della bibliografia si può constatare come gli studi sinora svolti sui pannelli a
messaggio variabile riguardino principalmente:
La messaggistica: ossia la scelta delle informazioni da inviare;
La psicolinguistica: ossia i termini da utilizzare all’interno dei messaggi.
Nel corso della presente tesi si è potuto mettere in luce, grazie all’indagine diretta sugli utenti,
quale sia il reale comportamento del conducente di fronte ai pannelli a messaggio variabile.
Si è intervenuto principalmente modificando la tipologia di messaggi e la durata degli stessi;
successivamente sono stati ricercati gli effetti prodotti da tali modifiche.
Il comportamento degli automobilisti è stato analizzato tramite un’indagine diretta attraverso
questionario opportunamente “codificato” al fine di determinare le relazioni fra le differenti
variabili.
Lo scopo della ricerca è stato fondamentalmente quello di determinare se il tempo impiegato per
l’acquisizione dei messaggi potesse essere influente dal punto di vista della sicurezza stradale e
quali accorgimenti potessero essere introdotti per rendere più efficace e sicuro il messaggio stesso.
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La tesi è così strutturata:
- Al primo capitolo si trova una descrizione del fattore uomo, delle caratteristiche
dell’occhio dal punto di vista anatomico e fisiologico, del fenomeno visivo con tutte le
sue peculiarità e della relazione che esiste tra qualità della visione e sicurezza di guida.
- Al secondo capitolo si trovano descritti gli studi svolti sui pannelli a messaggio variabile
per quanto riguarda la scelta della tipologia di messaggi da inviare, la psicolinguistica e i
problemi di leggibilità dei pannelli per persone con difetti alla vista; infine una
descrizione dei problemi di interfaccia all’interno di un’autovettura, per quanto riguarda
la scelta dell’illuminazione e colorazione dei tachimetri.
- Al terzo capitolo si trovano gli studi che riguardano le tecnologie: cioè i pannelli a
messaggio variabile; come sono fatti, a quali normative sono assoggettati ed alcune
applicazioni nei sistemi complessi di regolazione del traffico: a Cagliari, a Ferrara e
negli Stati Uniti.
- Al quarto capitolo si trova la descrizione dei metodi e degli strumenti utilizzati nel
lavoro.
- Al quinto capitolo i risultati ottenuti tramite l’applicazione dell’analisi delle
corrispondenze multiple.
- Al sesto capitolo si trovano le conclusioni alla luce dei risultati ottenuti e degli studi
analizzati.
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1 DESCRIZIONE DEL FATTORE UOMO
1.1 DESCRIZIONE DEL FATTORE UOMO IN INGEGNERIA
Il campo di ricerca di questa tesi riguarda la “sicurezza attiva”; nella quale predominano le
ricerche basate sulla simulazione dei processi biodinamici del corpo umano, dei processi di
acquisizione delle informazioni e di quelli connessi all’assunzione delle decisioni.
Il campo della sicurezza attiva si prefigge di mettere in luce le caratteristiche e gli accorgimenti
di progetto atti a ridurre il rischio dell’accadimento di eventi ledenti o di condizioni di marcia
scomfortevoli per l’abbassamento della qualità della prestazione di guida da parte dei conducenti.
Per questo motivo risulta necessario utilizzare apparecchiature e sistemi di controllo e guida del
mezzo, compatibili con le caratteristiche psico-fisiche e attitudinali degli operatori che dovranno
svolgere un determinato compito.
Viceversa la “sicurezza passiva” si prefigge di verificare la qualità del progetto del veicolo, con
i suoi arredi interni e gli apparati di ritenzione, nonché delle infrastrutture comprensive di
sovrastrutture ed arredi finalizzati, a ridurre la lesività a seguito di eventi ledenti.
Quindi studiare i “fattori umani” significa studiare quella disciplina che si occupa del progetto
di sistemi che hanno consistenza con le capacità, i limiti, le trasformazioni e gli stereotipi delle
persone che li utilizzeranno.
Da tale disciplina vengono derivati molti criteri, parametri e scale di valutazione degli effetti
per le diverse soluzioni di progetto connesse alle aree di meta relative a:
- Sicurezza;
- Comfort degli ambienti interni del sistema ivi compreso lo spazio a bordo dei mezzi;
- Appetibilità e gradimento del servizio;
- Accessibilità al sistema ed ai veicoli.
La questione più importante risulta quella della “responsabilità” per un servizio non idoneo a cui
si legano i premi assicurativi delle aziende di trasporto; infatti questa stessa questione è importante
per quanto riguarda gli aspetti connessi al servizio all’utenza, ai sistemi utilizzati per la produzione
del sistema stesso (si pensi alla programmazione delle attività di manutenzione in riferimento alle
prestazioni specifiche che dovranno essere espletate ed in funzione del progetto del sistema e delle
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sue componenti “veicolo”,”infrastrutture”,”gestione”) ed alle apparecchiature (sub-componenti)
utilizzate per fornire il servizio (come i “sistemi di informazione” e le possibili conseguenze
derivanti dal suo utilizzo).
Le indagini tengono conto della estrema variabilità delle reazioni umane che variano a seconda
dell’età, sesso, grado di affaticamento, stereotipi, cultura, consuetudini ecc dei soggetti coinvolti;
quindi nelle analisi si deve tener conto di queste variabili ed eseguire appropriate indagini che
tengano conto di una casistica di situazioni molto ampie.
Nel campo della sicurezza attiva vi sono fattori che incidono direttamente sul livello di
incolumità di viaggio dei trasportati ed altri di natura differente, che regolano la qualità della
prestazione degli operatori ed indirettamente, come conseguenza, il livello del rischio per i
trasportati stessi.
L’uomo deve quindi essere considerato componente del sistema.
Lo studio della compatibilità delle mansioni richieste con le caratteristiche, le capacità ed i
limiti del sub-sistema uomo-macchina è uno degli aspetti che maggiormente incide sulla sicurezza,
sul comfort e sulla accettabilità del sistema stesso da parte degli utenti. Il miglioramento delle
caratteristiche operative dell’uomo ha avuto un’incidenza elevata rispetto ad altri fattori; in generale
si può dire che la prestazione dell’uomo è causa primaria dell’insorgere degli eventi ledenti, come
pure delle scadenti qualità di viaggio dei trasportati.
La prassi è determinare le caratteristiche individuali da associare all’evento, le quali sono:
- Le caratteristiche degli organi sensoriali;
- Le aspettative del soggetto;
- La personalità,l’educazione e l’esperienza;
- L’età.
L’organo sensoriale che nello specifico è stato studiato in questa tesi è la vista; attraverso la quale
avviene l’acquisizione delle informazioni provenienti dai pannelli a messaggio variabile.(
1
)
1.2 L’OCCHIO
L’occhio contiene i recettori per la visione, oltre a un sistema di rifrazione che focalizza i raggi
di luce sui recettori posti sulla retina.
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1.2.1 Palpebre e apparato lacrimale
Le palpebre contengono un muscolo che consente loro di chiudersi e di coprire la parte frontale
del bulbo oculare. Le ciglia lungo il bordo di ogni palpebra tengono la polvere lontano dall’occhio.
Le palpebre sono rivestite da una fine membrana detta congiuntiva, che è anche presente sulla parte
bianca dell’occhio.
Le lacrime sono prodotte dalle ghiandole lacrimali, localizzate nell’angolo superiore del globo
oculare all’interno dell’orbita (fig 1.2.1).
Figura 1.2.1 - Apparato lacrimale di destra visto dal davanti
Piccoli dotti raccolgono le lacrime nella parte anteriore del globo oculare, dove il movimento
delle palpebre spande il liquido e deterge la superficie dell’occhio.
Nell’angolo mediale delle palpebre vi sono due piccole aperture verso il canale lacrimale
superiore ed inferiore. Questi dotti portano le lacrime nel sacco lacrimale (nell’osso lacrimale) e da
qui al dotto nasolacrimale, che versa le lacrime nella cavità nasale.
1.2.2 Bulbo oculare
Il bulbo oculare è in gran parte situato all’interno dell’orbita e da questo protetto. L’orbita è
formata dalle ossa della mascella, dall’osso zigomatico, dal frontale, dallo sfenoide e dall’etmoide.
I sei muscoli estrinseci dell’occhio sono fissati all’orbita e alla superficie del bulbo oculare.
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Vi sono quattro muscoli retti che muovono il globo oculare verso l’alto, verso il basso e
lateralmente. A questi si aggiungono i due muscoli obliqui che fanno ruotare l’occhio (fig 1.2.2).
Figura 1.2.2 - Muscoli estrinseci dell’occhio. Veduta laterale dell’occhio di sinistra (i muscoli retto mediale e
obliquo superiore non sono mostrati)
I nervi cranici che innervano questi muscoli sono gli oculomotori, i trocleari e gli abducenti (III,
IV e VI paio di nervi cranici). La complessa coordinazione di questi muscoli per entrambi gli occhi
è un fenomeno che non richiede un pensiero volontario; essa è molto importante per prevenire la
visione doppia (diplopia).
1.2.3 Strati dell’occhio
Nella sua parete l’occhio possiede tre strati: l’esterno, che è detto sclera, lo strato di mezzo,
detto coroide, e l’interno che è la retina (fig 1.2.3).
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Figura 1.2.3 - Anatomia delle parti interne del globo oculare.
La sclera è lo strato più spesso, è formato da fibre di tessuto connettivo ed è visibile come parte
bianca dell’occhio. La porzione più anteriore è detta cornea, la quale differisce dal resto della sclera
in quanto è trasparente e non presenta capillari. La cornea è la prima parte dell’occhio che rifrange
(cioè devia) i raggi di luce.
La coroide contiene vasi capillari e un pigmento scuro derivato dalla melanina che assorbe la
luce all’interno del bulbo oculare e, perciò, previene l’abbagliamento (come avviene per la parte
interna della macchina fotografica).
La porzione anteriore della coroide è formata da più strutture specializzate: il corpo ciliare e
l’iride.
Il corpo (muscolo) ciliare è un muscolo circolare che circonda il bordo della lente ed è connesso
alla lente tramite i legamenti sospensori.
La lente (o cristallino) è costituita da una proteina trasparente ed elastica che come la cornea,
non possiede capillari. La forma della lente viene modificata dal corpo ciliare, il quale permette
all’occhio di mettere a fuoco gli oggetti a varie distanze.
Appena davanti alla lente vi è l’iride circolare, la parte colorata dell’occhio; il suo pigmento
dipende dalla melanina, il colore dell’iride è una caratteristica genetica, proprio come il colore della
cute. Due fibre di muscoli lisci modificano il diametro della pupilla, che è l’aperture centrale. Le
contrazioni delle fibre radiali dilatano la pupilla; questa è una risposta di tipo simpatico.
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La contrazione delle fibre circolari restringe la pupilla; questa è una risposta di tipo
parasimpatico (nervi oculomotori). La contrazione della pupilla è un riflesso che protegge la retina
dalla luce intensa o permette una visione più precisa degli oggetti vicini come ad esempio quando si
legge. La retina riveste i due terzi della parte interna del bulbo oculare e contiene i recettori per la
visione, i bastoncelli e i coni.
I bastoncelli avvertono semplicemente la presenza della luce, mentre i coni percepiscono i colori
i quali rappresentano, come ci insegna la fisica, differenti lunghezze d’onda della luce visibile. I
coni sono più abbondanti nel centro della retina, in particolare in un’area nota come macula lutea,
posizionata direttamente dietro la parte centrale della lente. La fovea, che contiene solo i coni, è una
piccola depressione nel contesto della macula ed è l’area preposta a una migliore visione dei colori.
I bastoncelli sono proporzionalmente più abbondanti verso la periferia, o bordo della retina. La
migliore visione a luce bassa o di notte, dovuta ai bastoncelli, è assicurata dai bordi del campo
visivo.
Figura 1.2.4 - I segmenti esterni dei bastoncelli e dei coni, sensibili alla luce, entrano in contatto con l’epitelio
pigmentato. Si notino i tre diversi tipi di coni sensibili ai colori (rosso, verde e blu).
Già all’interno della retina ha luogo una prima elaborazione dei segnali. I segnali vengono trasmessi attraverso
due sinapsi, mentre due diversi tipi di cellule, le cellule orizzontali e le cellule amacrine, associano aree retiniche più
estese. (“Anatomia e fisiologia dell’uomo” Johann S.Schwegler)
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I neuroni gangliari veicolano gli impulsi generati dai coni e dai bastoncelli. Questi neuroni
convergono tutti nel disco ottico (o papilla ottica) e passano attraverso la parete del bulbo oculare
come nervo ottico.
Non vi sono coni e bastoncelli nel disco ottico, così questa parte della retina è anche chiamata
“punto cieco”. Non si è coscienti del punto cieco del proprio campo visivo poiché gli occhi sono in
movimento costante e anche perché il cervello “riempie” gli spazi vuoti per creare un immagine
completa.
Figura 1.2.5 - Il campo visivo di un occhio potrebbe essere, in linea di principio, una perfetta emisfera (90° in
ogni direzione). Sono d’intralcio,però , la cavità orbitaria, le palpebre e in modo particolare il naso. Solo lateralmente
si raggiungono i 90°. La sovrapposizione dei campi visivi dei due occhi copre all’incirca un territorio di 50°. Il punto
cieco si trova a 15° lateralmente, precisamente nel punto di uscita del nervo ottico, dove non si trovano fotorecettori.
(“Anatomia e fisiologia dell’uomo” Johann S.Schwegler)
1.2.4 Camere del bulbo oculare
Vi sono due camere all’interno dell’occhio: la camera posteriore e quella anteriore. La più
grande, la camera posteriore, è fra la lente e la retina e contiene l’umor vitreo.
Questa sostanza semisolida tiene la retina al suo posto.
Se il bulbo venisse forato e l’umor vitreo uscisse, la retina si staccherebbe dalla coroide, si
avrebbe quindi un caso di distacco della retina.
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La camera anteriore è fra la parte anteriore della lente e la cornea e contiene l’umor acqueo: il
liquido del bulbo oculare. L’umor acqueo è formato dai capillari nel corpo ciliare, fluisce
anteriormente attraverso la pupilla ed è riassorbito dal canale di Schlemm (piccole vene definite
anche seno venoso sclerale) alla congiunzione dell’iride con la cornea.
Dal momento che l’umor acqueo è un liquido, ci si potrebbe aspettare che esso svolga una
funzione nutritiva, ed è infatti è così.
E’ da ricordare che la lente e la cornea non hanno capillari; essi sono nutriti dal continuo fluire
dell’umor acqueo. (
2
)
La visione è possibile se i raggi di luce sono focalizzati sulla retina e se l’impulso nervoso
risultante viene trasmesso all’area della visione dalla corteccia cerebrale.
La rifrazione dei raggi di luce è la curvatura o flessione del raggio di luce non appena questo
passa da un oggetto a un altro avente minore o maggiore densità. La rifrazione della luce
nell’occhio interessa la cornea, l’umor acqueo, la lente e l’umor vitreo.
Quando si osserva un oggetto lontano, il muscolo ciliare è rilassato e la lente è stirata e sottile.
Quando si osserva un oggetto vicino, il muscolo ciliare si contrae a formare un piccolo cerchio, la
lente, che è elastica, si ritrae e diviene convessa al centro, acquistando un alto potere di rifrazione.
Quando i raggi di luce colpiscono la retina, stimolano una reazione chimica a livello dei coni e
dei bastoncelli. Nei bastoncelli l’agente chimico rodopsina si modifica formando scotopsina e
retinale (un derivato della vitamina A). Questa reazione chimica produce un impulso elettrico e la
rodopsina è poi risintetizzata tramite una reazione più lenta. Le reazioni chimiche nei coni sono
dovute alle diverse lunghezze d’onda della luce. Si pensa che esistano tre tipi di coni: quelli che
assorbono la luce rossa, quelli che assorbono la luce blu e quelli che assorbono la luce verde.
Ogni tipo assorbe lunghezze d’onda superiori di un terzo dello spettro di luce visibile, così come
i coni del rosso assorbono anche le lunghezze d’onda dell’arancione e del giallo. Anche le reazioni
chimiche dei coni generano impulsi elettrici. Gli impulsi provenienti dai bastoncelli e dai coni sono
trasmessi a neuroni gangliari, i quali convergono nel disco ottico e formano il nervo ottico, che
passa posteriormente attraverso la parete del bulbo oculare. I neuroni gangliari sembrano anche
possedere un fotorecettore chimico (noto come melanopsina) in grado di contribuire alla
regolazione giornaliera dell’orologio biologico.
I nervi ottici di entrambi gli occhi convergono nel chiasma ottico, situato di fronte alla
ghiandola pituitaria. Qui le fibre mediali di ogni nervo ottico passano dalla parte opposta. Questo
incrocio permette ad ognuna delle aree visive di ricevere impulsi da entrambi gli occhi e ciò è
importante per una visione binoculare.
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Le aree visive sono nei lobi occipitali della corteccia celebrale. Sebbene ogni occhio trasmetta
un’ immagine leggermente diversa, le aree visive le integrano per formare un’unica immagine.
Questo è ciò che si chiama visione binoculare.
Le aree visive poi, raddrizzano l’immagine, dal momento che essa, sulla retina è rovesciata.
L’immagine sulla pellicola di una macchina fotografica è anch’essa rovesciata ma in realtà le foto si
guardano capovolte; il cervello evita di farci vedere le cose alla rovescia. Anche per la visione
ravvicinata le pupille si costringono in modo da bloccare i raggi luminosi periferici che altrimenti,
altererebbero la visione dell’immagine; gli occhi convergono per mantenere l’immagine sulle
porzioni corrispondenti di entrambe le retine. L’importanza della costrizione pupillare può essere
dimostrata osservando questa immagine attraverso un piccolo foro fatto su un pezzo di carta:
l’occhio riuscirà a leggere anche se il foglio verrà avvicinato molto all’occhio perché la carta
impedisce il passaggio della luce proveniente dai lati.
Se invece si prova a guardare un dito posizionato sulla punta del naso, si nota che gli occhi si
muovono medialmente in massima convergenza. Se così non avvenisse, ne deriverebbe la visione
sdoppiata. Il cervello in questo caso non è in grado di far convergere due immagini molto diverse in
una sola e si autoregola per mostrane due. Tuttavia si tratta di una sensazione temporanea, in quanto
il cervello non gradisce la visione sdoppiata e alla fine sopprime una delle due immagini. (
2
)
1.3 POTERE DI RIFRAZIONE NELL’OCCHIO
Per riprodurre su una pellicola sia oggetti lontani che oggetti vicini, è necessario un obiettivo
variabile. Tutti gli apparecchi fotografici svolgono una simile funzione in modo tale che la distanza
fra l’obiettivo e il piano focale sia regolabile. Ciò non è possibile per l’occhio, in quanto non esiste
alcun muscolo che possa allungare o accorciare il globo oculare in senso longitudinale. Pertanto, il
potere di rifrazione dell’occhio deve aumentare quando si deve mettere a fuoco un oggetto vicino e
diminuire nel caso in cui l’oggetto sia lontano.
Il potere di rifrazione è un’entità fisica: attraverso una lente biconvessa, i raggi di luce paralleli
provenienti da un oggetto molto lontano si incontrano posteriormente alla lente e producono
un’immagine rovesciata e riflessa dell’oggetto. Il punto in cui si incontrano le proiezioni dei raggi
convergenti dietro la lente è chiamato punto della visione distinta. La distanza tra tale punto e la
lente viene utilizzata per calcolare il potere di rifrazione della lente stessa, che corrisponde al
reciproco della distanza e si misura in diottrie (1 diottria = 1/m). Una lente, che riproduce un
oggetto molto lontano in 10 cm (= 0,1 m) di distanza ha quindi un potere di rifrazione di 1/0,1 = 10
diottrie.
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Il potere di rifrazione totale dell’occhio raggiunge, nel guardare da lontano, circa 59 diottrie. La
parte principale in questo caso è svolta dalla cornea, in quanto qui si incontrano due elementi molto
diversi: aria e “acqua”, la cornea ha un potere di rifrazione pari a 41-45 diottrie, tale valore non è
variabile. Le restanti 15 -18 diottrie sono a carico del cristallino che è invece deformabile.
1.3.1 Miopia
È l’anomalia che colpisce più di frequente l’occhio, in oltre il 90% dei casi.
Tale anomalia è conseguente all’eccessiva lunghezza del globo oculare in rapporto al potere di
rifrazione (miopia assiale). Quando i raggi luminosi di un oggetto lontano quindi si incontrano
anteriormente alla retina, l’immagine diviene sfocata (Fig. 1.3.1).
Guardando da vicino il miope vede più nitidamente, il punto di accomodazione da lontano in un
miope viene spostato più avanti. Un rimedio possibile è quello di dotare l’occhio di lenti divergenti.
I raggi luminosi rossi si rifrangono sulla cornea e sul cristallino in modo meno intenso rispetto
ai raggi verdi o blu. I raggi rossi si incontrano tuttavia più posteriormente; una leggera miopia si
riconosce dal fatto che al buio le pubblicità luminose di colore rosso risultano più nitide, mentre
quelle di colore blu sono sfocate.
1.3.2 Ipermetropia
In questo caso il globo oculare è troppo corto (ipermetropia assiale) oppure, più raramente, il
potere di rifrazione di cornea e cristallino è troppo debole (ipermetropia da rifrazione). I raggi
luminosi paralleli di un oggetto si incontrano, a muscolo ciliare rilasciato, posteriormente alla
retina (Fig. 1.3.1).
L’ipermetrope può compensare ciò tramite un aumento del potere di rifrazione del cristallino e
quindi vedere bene da lontano.
Un’ipermetrope può compensare il proprio difetto visivo in gioventù tramite l’accomodazione;
la continua accomodazione in particolare da vicino può, però, provocare disturbi quali emicrania,
diminuzione della concentrazione e visione doppia (diplopia). (
3
)
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Figura 1.3.1 - In caso di visione normale (a), i raggi luminosi paralleli provenienti da un oggetto lontano vengono
messi a fuoco sul piano retinico. Se il globo oculare è troppo lungo (b) questo punto cade anteriormente alla retina.
L’immagine diviene sfocata, mentre è ancora possibile vedere gli oggetti vicini (miopia). Come correzione si utilizzano
occhiali che rendono divergenti i raggi luminosi paralleli. L’ipermetrope (c) vede distintamente sia gli oggetti molto
vicini che quelli lontani, in quanto in entrambi i casi i raggi luminosi si incontrano posteriormente alla retina. Le lenti
di convergenza spostano questo punto in avanti e rendono possibile una riproduzione più nitida sulla retina.(
3
)
1.4 IL FENOMENO VISIVO
1.4.1 La percezione visiva
Dopo che gli occhi hanno convertito gli stimoli luminosi in informazioni neurali, il cervello
deve codificare queste informazioni per ricostruire internamente l'immagine acquisita ed
interpretarla al fine di estrarne rappresentazioni utili del mondo che ci circonda.
Infatti non si vedono “gradazioni di luce” o un insieme di linee curve o rette, ma si vedono
facce, persone, oggetti, paesaggi.
Nella retina si forma un'immagine capovolta, ma sin dalla infanzia il cervello impara a
capovolgere questa immagine per interpretarla correttamente.
Questa immagine è una rappresentazione bidimensionale di un’ immagine del mondo
circostante che, come è noto, è a tre dimensioni.
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L'interpretazione del mondo quindi è una trasposizione sotto un'altra forma della realtà: il
cervello aggiunge, sottrae, riorganizza e codifica le informazioni sensoriali per fornire
un'interpretazione il più possibile esatta del mondo esterno.
1.4.2 Il raggruppamento percettivo
Come vengono riconosciuti gli oggetti? Ad esempio, quando si osserva un bicchiere lo si vede
come un oggetto completo e non come un insieme di parti.
Figura 1.4.1
Si tratta del primo principio della percezione visiva: ogni essere umano percepisce le
informazioni che provengono dal mondo esterno non come fatti isolati, ma raggruppandoli in
contesti significativi.
Le regole che il cervello applica per raggruppare degli elementi e considerarli come oggetti
sono:
- Regola della prossimità: gli elementi più vicini sono percepiti come parte di un insieme. A
seconda di come sono sistemati i punti nella figura 1.4.2 si percepiscono più facilmente o le
righe o le colonne anche se la figura contiene lo stesso numero di punti bianchi.
Figura 1.4.2