3
stessa, nelle fotografie e nella musica. (…). Se vedono una certa emozione
nella fotografia, capiranno la musica”
2
.
oppure:
“Nella maggior parte delle persone, gli occhi sono molto più sviluppati delle
orecchie. Per la maggior parte delle persone, la musica è qualcosa di
piuttosto astratto. (…). Le parole e le immagini sono come dei cartelli
stradali, un mezzo per descrivere le canzoni, perché voglio comunicare”
3
.
Ogni canzone, poi, rappresenta un piccolo mondo a parte (però,
sempre compreso in quell’universo che è l’album), una storia o
l’espressione di un sentimento o di uno stato d’animo che, in alcuni
casi, vengono poi traslati in immagini in movimento. Queste possono
ricollegarsi alla musica, al testo o a entrambi, ma:
“In ogni canzone che faccio, c’è una storia dietro e spesso la canzone finisce
per essere solo la punta dell’iceberg”
4
.
Questa storia rappresenta il punto di partenza di ogni collaborazione
con i registi dei suoi videoclip.
Per questi motivi, prima di soffermarci sui singoli lavori, sarà
fondamentale dare un quadro d’insieme, sottolineando e mostrando
come ogni album (e, di conseguenza, ogni personaggio) sia
rappresentato da un determinato tipo di videoclip o, comunque, come i
tratti caratterizzanti del prodotto musicale possano essere chiaramente
rinvenuti anche nei rispettivi clip. Da questo excursus, speriamo
2
Dichiarazione di Björk, riportata nella sezione “Facts” del suo sito Web ufficiale:
www.bjork.com.
“The reason I do photographs is to help people understand my music, so it’s very important that I
am the same, emotionally, in the photographs as in the music. (…). If they see a certain emotion in
the photograph, then they’ll understand the music”.
3
Ivi.
“For most people, the eyes are a lot more developed than the ears. For most people music is a
pretty abstract thing. (…). The words and the images are more like signposts, a tool to describe the
songs, because I want to communicate”.
4
Dichiarazione di Björk nel DVD C. Walker, Inside Björk, One Little Indian Limited 2001.
“Every song I do there is a story behind it and the song often ends up being just a tip of the
iceberg”.
4
risulterà chiaro come, nel lavoro di Björk, musica e immagini siano
sempre legate in modo pressoché inscindibile, nonostante il primo
aspetto sia sempre quello prevalente, a cui il secondo è sottomesso.
Infatti, il percorso dei suoi sei album si sviluppa dal massimo
dell’estroverso (Debut e Post) all’estrema introversione (Vespertine),
fino a quando l’interiorità “scoppia”, arrivando all’equazione “musica
= vita” (Medúlla). I videoclip, seguendo questo sviluppo, lo illustrano
però con un meccanismo uguale e contrario: la cantante, man mano
che si chiude sempre più in se stessa, si mostra, fisicamente, sempre
più al mondo, anche se poi, fare della musica “introversa” significa
aprirsi agli altri, donando loro la parte più intima di se stessi.
Allontanandoci per un momento dal caso specifico che stiamo per
analizzare, ci preme fare una breve riflessione generale su alcuni
aspetti del videoclip, che saranno i nostri impliciti elementi guida
nelle pagine che seguiranno (delle “fondamenta” su cui costruire il
nostro discorso), per chiarire il punto di vista da cui abbiamo
analizzato il nostro oggetto di studio.
Molti dei più famosi studiosi di questa forma breve (Frith, Peverini,
Reiss e Feineman) hanno, a ragione, sostenuto che, in essa, l’aspetto
estetico non può essere scisso da quello commerciale, in quanto si
tratta comunque di spot, anche se atipici, visto che non “vendono” un
prodotto (ma un artista e il suo lavoro) e che mettono in primo piano
la confezione piuttosto che il contenuto
5
. I video fanno pubblicità a se
stessi e non implicano una esplicita esortazione all’acquisto, tant’è
vero che il loro successo è valutato nei termini del processo di
costruzione divistica e non solo di vendita di dischi. Pur trovandoci
d’accordo con questo punto di vista, abbiamo deciso di metterlo
parzialmente tra parentesi. Riteniamo che sia un aspetto fondante del
mezzo stesso e, quindi, implicitamente, sempre alla base di ogni
analisi e interpretazione possa essere fatta su questo argomento.
5
S. Frith, Il rock è finito. Miti giovanili e seduzioni commerciali nella musica pop, EDT, Torino
1990.
5
Concretamente, questo significa che quando parleremo di una
qualsiasi caratteristica estetica di un videoclip o della poetica di un
autore, avremo sempre presente la valenza commerciale del nostro
oggetto di studio e le implicazioni che questo comporta, ma non
vogliamo metterli troppo in risalto. Il nostro punto di partenza è,
quindi, così riassumibile: posto che Björk è una musicista pop e
un’artista, il cui scopo è quello di vendere dischi e comunicare con il
pubblico attraverso l’arte, e posto che, da più di vent’anni a questa
parte, il mezzo più efficace per fare entrambe le cose è il videoclip;
come, nei fatti, questo avviene? Quale poetica c’è alla base? Quali
collaboratori sceglie? Per quali motivi? E, soprattutto, come essi
traducono in immagini la sua musica e le sue parole?
Seguiremo, quindi, il punto di vista di Bruno Di Marino
6
, secondo il
quale, chi analizza un videoclip deve essere interessato primariamente
all’immagine, perché siamo convinti che, nonostante l’attuale e
sempre più massiccia volgarizzazione del mezzo, esso, in molti casi,
resti un’interessante luogo di sperimentazione artistica, che si rifà ad
altre forme d’arte e, allo stesso tempo, le influenza.
Prima di fare questo, però, è necessaria una premessa. Riteniamo che,
in questo caso specifico, la musicista e i registi abbiano la stessa
importanza. In certi casi, registi di talento, con un videoclip, riescono
a dare un valore aggiunto ad un brano che, altrimenti, potrebbe
facilmente passare inosservato. In altri casi, al contrario, la canzone è
di tale valore (o talmente rispecchiante il gusto comune) che riscuote
un grande successo, nonostante un video banale (o, addirittura, senza
che ve ne sia uno). Infine, c’è il caso in cui entrambi i gli elementi
sono dello stesso livello. E riteniamo sia il caso di Björk. La quasi
interezza dei videoclip che analizzeremo, al di là di specifiche
caratteristiche attinenti tecniche, idee, messaggi, citazioni e
riferimenti, hanno la caratteristica fondamentale di legarsi
perfettamente alla canzone che rappresentano. Questo, ovviamente, è
6
B. Di Marino, Clip. 20 anni di musica in video (1981-2001), Castelvecchi, Roma 2001.
6
merito della sensibilità e del talento dei registi, ma anche dell’intuito e
della lungimiranza della cantante della scelta di essi.
L’artista islandese, infatti, è celebre per essere sempre riuscita a
reinventarsi, rimanendo, però, sempre fedele a se stessa (a differenza,
per esempio, di Madonna, un’altra artista che ha fatto del
cambiamento il suo “marchio di fabbrica”). Essendo Björk in primis
una musicista o, come lei stessa sostiene, “a sonic person”, questi
cambiamenti avvengono prima a livello musicale e, di conseguenza,
anche a livello visivo. Quando diciamo che è rimasta “fedele a se
stessa”, intendiamo dire che mai, analizzando la sua carriera, si ha
l’impressione che ci sia stato un sia pur minimo cambiamento che sia
potuto sembrare “innaturale” e improvviso, ma, al contrario, che ogni
elemento possa trovare il suo giusto posto in un’evoluzione graduale,
sia artistica che personale.
Che ci sia un rapporto stretto tra la musica e le immagini è un altro
punto su cui molti hanno avuto da ridire. Infatti, secondo “puristi”
come Castaldo, Frith
7
e alcuni dei più autorevoli critici musicali della
rivista Rolling Stone, non solo il videoclip non ha alcuna valenza
artistica, ma, addirittura, avrebbe il grande demerito di limitare le
infinite possibilità immaginative che suscita la musica, oltre a essere
qualcosa di innaturale e, addirittura, un “ulteriore
congelamento/mercificazione di una cultura autentica in un prodotto
inautentico”
8
. Non neghiamo che, soprattutto negli ultimi anni, molti
siano i casi in cui i videoclip assomigliano sempre più a dei banali
spot, piuttosto che ad una forma d’arte, ma non si può certo
generalizzare.
Quando si parla di pop, c’è la diffusa tendenza a credere che si tratti
solo di musica “commerciale” e senza alcuno spessore artistico, ma
siamo convinti che, in molti casi, non sia così. In particolare, ci
riferiamo a Björk, che ha più volte esplicitamente dichiarato di voler
fare musica pop, musica per tutti, per poter comunicare con il maggior
7
G. Castaldo, Le terra promessa. Quarant’anni di cultura rock (1954-1994), Feltrinelli, Milano
1994 e S. Frith, Op. Cit., 1990.
8
D. Hebdige, La lambretta e il videoclip, EDT, Torino 1991, p. 251.
7
numero di persone e, soprattutto, perché è contraria ad una visione
elitaria dell’arte. Nonostante questo, la sua musica (e, di conseguenza,
tutto ciò che ad essa si lega, quindi anche immagini e videoclip) non è
mai banale, rappresentando un caso di quella che Ennio Simeon
definisce “musica artistica d’uso” o “musica funzionale d’arte”,
ovvero la fusione dei due poli che caratterizzano la musica del ‘900 e
che possono sembrare opposti: la musica d’uso (il cui significato viene
spiegato attraverso riferimenti extramusicali) e la musica d’arte (che
trova in se stessa il proprio significato)
9
. Detto questo, non si può
assolutamente negare che l’immagine sia da sempre un elemento
fondamentale nella musica pop. Come nota Andrew Goodwin, infatti,
il problema principale dell’atteggiamento della maggior parte di
coloro che criticano il videoclip è che:
“esso accetta acriticamente una visione mitica e Romantica dell’industria
musicale e si basa sulla relativa idea che l’enfasi sull’aspetto visivo sia un
nuovo sviluppo del pop. Questo è un punto di vista difficile da sostenere alla
luce di quello che sappiamo della storia del pop. Esso ha sempre messo in
rilievo il campo del visivo come una parte necessaria del proprio
apparato”
10
.
Per questo, come sostiene Jean-Marc Lalanne:
“I miti più popolari (e più credibili, n.d.a.) della musica pop sono quelli che
meglio si sono saputi pensare come icone visuali”
11
.
9
E. Simeon, Dalla musica visuale al video musicale, in E. Kermol, M. Tessarolo (a cura di), La
musica del cinema, Balzani, Roma 1996, p. 261-2.
10
A. Goodwin, Dancing In The Distraction Factory. Music Television and Popular Culture,
University of Minnesota Press, Minneapolis 1992, p. 8.
“It uncritically accepts a mythical, Romantic vision of the music industry, and is based on the
related assumption that the emphasis on imagery is a new development in pop. This is a difficult
view to sustain in light of what we know of pop history. Pop has always stressed the visual as a
necessary part of its apparatus”.
11
Jean-Marc Lalanne, « Changements à vue. Vingt ans de cinéma e de clips », Cahiers du cinéma,
numero speciale Aux forntières du cinéma 2000, p. 62.
“Les mythes les plus populaires de la musique pop sont ceux qui ont su le mieux se penser en
icônes visuelles”.
8
Non si può escludere che in tutta questa cura per l’immagine ci sia
anche una ovvia e imprescindibile dose di vanità, ma anche la volontà
di comunicare qualcosa attraverso essa, qualcosa che può anche essere
semplice provocazione, ma che ha lo scopo di rivendicare uno “state
of freedom”, piuttosto che uno “state of difference”
12
.
Infatti, la cantante di Reykjavik è, tra i musicisti contemporanei, una
delle più celebri, oltre che per la sua musica, anche per l’importanza
che riserva all’aspetto visuale, tanto che è ormai diventata una
consuetudine aspettarsi da lei video sempre più creativi e innovativi.
Questo si è quasi sempre puntualmente verificato grazie, soprattutto,
all’apporto creativo di registi geniali come Michel Gondry, Chris
Cunningham, Spike Jonze, Lynn Fox, Floria Sigismondi; di artisti di
grande esperienza come Jean-Baptiste Mondino, Sophie Muller, Lars
Von Trier, John Kricfalusi e all’applicazione delle proprie capacità in
un campo non ben conosciuto da parte di creativi provenienti da
mondi diversi da quello del videoclip, come Alexander McQueen,
Nick Knight, Inez Van Lamsweerde e Vinoodh Matadin ed Eiko
Ishioka.
Björk rappresenta, quindi, anche una sorta di “collante” tra diversi
mondi: tra quello della musica e quello delle immagini e, all’interno di
quest’ultimo, tra quelli dei diversi artisti:
“Penso che il mio ruolo sia quello di una sorta di mezzo di comunicazione
tra tutti i diversi mondi”
13
.
In effetti, studiare ed analizzare i videoclip delle canzoni di Björk dà
la possibilità, oltre a mettere in risalto la capacità di questo medium di
“costruirsi come sguardo incrociato del regista e del musicista”
14
,
anche di confrontarsi con il lavoro di quasi tutti i migliori artisti e
videomaker degli ultimi anni. Questi ultimi sono coloro i quali fanno
sì che questa forma d’arte continui a sopravvivere in quanto tale,
12
“Condizione di libertà” e “Condizione di differenza”.
13
Dichiarazione di Björk nel DVD C, Walker, Inside Björk, One Little Indian Limited 2001.
“I think my role is more to be some sort of communicator between all sorts of different worlds”.
14
B. Di Marino, Op. Cit., 2001, p. 19.
9
resistendo all’attacco sempre più forte dei video come semplici
operazioni commerciali (che, d’altronde, sono sempre esistiti e, anzi,
all’inizio erano semplicemente questo): banali, ripetitivi, omologati ed
omologanti, ma, soprattutto, privi di una qualsivoglia vena creativa e
per niente attenti al rapporto musica-testo-immagini, ma solo al
mostrare, nel modo più accattivante possibile, la star. Questo processo
si è svolto in un arco di tempo piuttosto limitato: infatti, quando non è
ancora stato universalmente accettato come forma d’arte, il videoclip
già vive una sorta di crisi. O meglio: le opere di un certo valore sono
sempre più numerose, ma viene data loro sempre meno visibilità dai
canali mainstream, forse perché considerati troppo poco
“commerciali”. Facendo ciò, dimostrano di non aver capito ciò che
intendeva Walter Benjamin,
“secondo cui le masse rifiutano le sperimentazioni artistiche e le giudicano
‘incomprensibili’ quando sono presentate come arte d’avanguardia, mentre
le accettano e apprezzano quando sono inserite all’interno della cultura di
massa”
15
.
Di questo sono convinti anche molti altri studiosi, da Sibilla a Di
Marino, da Walker a Simeon.
Questa tendenza negativa ha finito per “penalizzare” anche il lavoro di
Björk e dei suoi collaboratori, visto che la sempre maggiore
sperimentazione dei suoi videoclip è stata freddamente accolta da
canali a larga diffusione come MTV, che le dedicano uno spazio
sempre minore e in orari abbastanza improbabili. Al contrario, però,
sono sempre più apprezzati in ambienti come gallerie, musei e festival
specializzati. Infatti, come ha sottolineato Stéphane Sednaoui:
“Björk stabilisce un ponte tra il mondo della musica e il mondo dell’arte”
16
15
J. A. Walker, L’immagine pop. Musica e arti visive da Andy Warhol alla realtà virtuale, EDT,
Torino 1994, p. XII.
16
In C. Walker, Inside Björk, One Little Indian Limited 2001.
“Björk establishes a bridge from the music world to the art world”.
10
Proprio tenendo conto di questo ragionamento sulla produzione video
della cantante, abbiamo deciso di escludere dal nostro lavoro, in
quanto poco interessante e assolutamente non rappresentativo, il
videoclip di Play Dead, in quanto, come avviene per la maggior parte
delle canzoni facenti parte di colonne sonore di film, si tratta di una
semplice alternanza di scene estratte dal film The Young Americans
(Danny Cannon, 1993) e di immagini della cantante che interpreta il
brano in una specie di hangar. Per la stessa ragione, al contrario,
parleremo dell’operazione webeo, realizzata in collaborazione con
Floria Sigismondi, nonostante non si tratti di un vero e proprio
videoclip e anche se poche persone hanno avuto la fortuna di vederlo:
esso è rappresentativo sia della continua voglia di sperimentazione e
innovazione della cantante e della regista, sia di uno dei possibili
sviluppi di questo testo dalla natura “sfuggente, onnivora e
metamorfica”
17
.
17
B. Di Marino, Op. Cit., 2001, p. 6.
11
I. DEBUT
(Foto: Jean-Baptiste Mondino)
12
Debut: perchè questo titolo? Tecnicamente, non si tratta assolutamente
di un debutto per Björk Gudmundsdóttir, visto che il suo primo album
risale al 1977, quando aveva solo 11 anni. Però, è come se lo fosse. In
quella sua prima prova aveva collaborato alla stesura di un solo pezzo
e, in seguito, aveva sempre fatto parte di gruppi, in cui, com’è
inevitabile, non era riuscita a esprimere completamente il suo
potenziale, ma, soprattutto, la sua particolare idea di musica e di arte
in generale.
Questo album segna anche la nascita del suo (o dei suoi) alter-ego:
come se volesse “nascondersi” dietro alle sue canzoni, Björk “affida”
di volta in volta la loro creazione, la loro interpretazione e la loro
visualizzazione a un personaggio diverso, che poi non è altro che la
sintesi di se stessa in quel particolare periodo della sua vita.
Chi è, quindi, il personaggio creatore di questa opera prima?
“Il personaggio di Debut della fotografia sulla copertina è una ‘nuova
arrivata’ timida ed educata, e credo che sia come mi sentivo io”
18
.
Una nuova arrivata, ma dove? Non certo nel mondo della musica,
come abbiamo già accennato. A livello più strettamente geografico, la
chanteuse si era appena trasferita a Londra e, per quanto con gli
Sugarcubes
19
avesse già girato il mondo in tour, per lei questo aveva
comportato un completo cambiamento. Dalle distese di natura
incontaminata e dalle piccole città dove tutti si conoscono
dell’Islanda, era stata catapultata in un ambiente assolutamente
opposto: la metropoli, dove culture, tradizioni, musiche e immagini
diverse vivono l’una affianco all’altra, si influenzano, si scontrano e si
contaminano. Inoltre, stiamo parlando dell’inizio degli anni Novanta,
un periodo in cui Londra sembrava essere il centro del mondo, in cui
18
Dichiarazione di Björk nel DVD C. Walker, Inside Björk, One Little Indian Limited 2001.
“The Debut character from the photograph on the cover is sort of a very shy, slightly polite
newcomer and I think this is how I felt”.
19
L’ultimo gruppo di cui aveva fatto parte e anche quello che aveva avuto il maggior successo,
soprattutto a livello internazionale.
13
nascevano e da cui si diffondevano tutte le nuove “tendenze” in ogni
campo: musica, arte, moda.
Ed è proprio un famoso fotografo di moda, Jean-Baptiste Mondino, a
realizzare lo scatto con cui Björk si presenta al mondo, ma non si
tratta della solita fotografia patinata. In un virato rosa antico, con un
vecchio maglione d’angora, i capelli spettinati (quasi fosse appena
arrivata dopo una spericolata corsa), due finte lacrime sotto gli occhi e
le mani giunte davanti alla bocca: come se stesse pregando di essere
accolta e, allo stesso tempo, se ne vergognasse, volesse inserirsi “in
punta di piedi”, senza imporre troppo la propria presenza. In realtà,
sarà esattamente il contrario e il “fenomeno Björk” esploderà come un
positivo “fulmine a ciel sereno”.
Björk aveva bisogno di trovare qualcuno che la aiutasse a “raffinare”
ciò che in lei era allo stato “grezzo” ormai da anni, facendo sì che il
suo messaggio potesse arrivare nel modo più diretto e chiaro possibile
al maggior numero di persone e, per questo motivo, aveva sentito la
necessità di “buttarsi” in quel nuovo universo, di non rimanere più
isolata, ma di parlare al mondo dal centro di esso. Molti sono
d’accordo nel considerare Debut la sintesi perfetta di tutto ciò che di
buono c’era sulla scena musicale della Londra del 1993, anno della
sua pubblicazione: musica dance da club, trip-hop e influenze di
musica etnica, che andavano a formare qualcosa che però non si era
mai sentito prima. Letteralmente, un’esplosione di ritmo ed emozioni,
che venivano espresse con una forza tale da non poter essere ignorate,
cosa a cui Björk teneva particolarmente, visto che erano dovute
rimanere in un cassetto per tanti anni.
Le innovazioni portate da Björk, però, non si limitano solo al
campo strettamente musicale.
Già da questa prima prova, la ragazza venuta da lontano, anche se un
po’ timida, dimostra di avere le idee molto chiare su quello che vuole:
ne è testimonianza la sua lungimiranza nello scegliere con chi
collaborare o a chi affidare gli aspetti della sua carriera di pop star che
non sono strettamente legati alla musica. Uno di questi aspetti
14
riguarda la visualizzazione delle sue canzoni, ovvero i videoclip per i
singoli estratti dall’album.
I gruppi in cui aveva militato precedentemente non si erano
particolarmente distinti in questo campo, essendo più legati magari al
mondo letterario (caratteristica tipica della tradizione islandese), ma
Björk era stata sempre molto attenta alla sua immagine, che
rispecchiava piuttosto fedelmente lo “stile” e la poetica di ogni
rispettivo periodo: dal punk dei Tappi Tíkarrass, al dark esoterico dei
Kukl, fino all’ironia e alla provocazione degli Sugarcubes. D’altronde,
ha lei stessa più volte sottolineato l’importanza cha ha sempre
riservato al fatto che la sua immagine esteriore rispecchiasse
esattamente ciò che provava a livello interiore:
“Si tratta di sincronizzare quello che accade all’interno con quello che
accade all’esterno, che poi è esattamente come non essere in grado di
rilassarsi a meno che io non appaia esteriormente come mi sento
interiormente”
20
.
Per quali motivi e in quale modo comincia la sua ”avventura” video?
Prima di tutto perchè, nel mondo discografico di un certo livello di cui
era entrata a far parte, era assolutamente un must la realizzazione di un
video per lo meno catchy (letteralmente, “che cattura”) da mandare in
rotazione su MTV. Inoltre, si era creata una specie di “affinità
elettiva” con Michel Gondry, il regista del suo primo e fortunatissimo
video:
“I video di Gondry rivelavano un atteggiamento positivo, ma non a spese
della sua implicita presa di posizione aggressiva. Björk si rivide in
quell’atteggiamento abbastanza da fidarsi di lui”
21
.
20
Ivi.
“It’s about synchronizing what happens inside and outside, that is the same thing not being able to
relax unless I look on the outside as I feel on the inside”.
21
S. Reiss, N. Feineman, Thirty Frames Per Second: The Visionary Art Of The Music Video,
Abrams, New York 2000, p. 116.
“Gondry’s videos reflected a positive attitude but not at the expense of its underlying aggressive
stance. Björk saw enough of herself in that approach to trust him”.
15
Dall’unione di queste due menti, di questi due spiriti e del loro genio
nasce Human Behaviour. Non poteva esserci presentazione migliore e
più azzeccata per colei che era stata alternativamente etichettata come
“folletto”, “extraterrestre” o qualsiasi altro appellativo che designasse
un qualcosa di quasi irreale, insolito e fiabesco. Infatti, il video è
appunto una fiaba, una sorta di rivisitazione moderna e surreale della
storia di Cappuccetto Rosso, che impone definitivamente
all’attenzione del grande pubblico la “newcomer” e ci introduce nel
mondo visivo a dir poco insolito del videomaker francese.
Ovviamente Björk non è né un folletto, né un’extraterrestre, ma, come
la maggior parte dei suoi biografi è solita dire, semplicemente
islandese. E’ parzialmente vero che molte di quelle che la
maggioranza delle persone considera “stranezze” in lei dipendono dal
suo provenire da questa terra lontana e poco conosciuta, ma non solo.
Come ha detto Elton John, Björk è una “living artist”
22
, il che significa
che non si “limita” a creare arte, ma che c’è arte in qualsiasi cosa
faccia, e questo implica, se non altro, una certa dose di estraneità al
senso comune.
Il fatto che in niente di ciò che fa o crea sia assente dell’arte non
significa, almeno nel suo caso, che tutto sia proprio, come si dice,
“farina del suo sacco”. Per quanto la musicista tenda a non lasciare
mai completamente a nessuno il controllo su ciò che poi viene
presentato al pubblico come una sua creazione, non si può attribuirle il
merito di tutto. Questo è soprattutto vero per i videoclip e, in
particolare, per quelli del periodo di Debut. Il fatto che si possa
individuare una sorta di fil rouge che li attraversa e li unisce è
soprattutto dovuto ai registi che li hanno realizzati e a degli elementi
della loro poetica e del loro modo di girare che li avvicinano. Inoltre,
non possiamo dire con precisione quale sia stato il grado di
coinvolgimento della star nell’ideazione e realizzazione di ognuno di
questi prodotti audiovisivi, ma si può facilmente dedurre che possa
non essere stato ancora grandissimo e questo fondamentalmente per
22
In C. Walker, Inside Björk, One Little Indian Limited 2001.
16
due motivi. Per prima cosa, trovandosi ancora agli inizi della sua
carriera solista, probabilmente non poteva ancora essere
completamente indipendente dalle scelte della sua casa discografica,
ma, soprattutto, è probabile che non fosse nemmeno ancora del tutto
conscia e padrona delle possibilità e potenzialità del mezzo (e di
questo è testimonianza un video come quello di Violently Happy,
realizzato sempre da Mondino, che, per quanto ben fatto e meno
superficiale di quanto sembri, poco si addice a Björk, come vedremo).
Di certo, però, ne aveva già un’idea più che vaga, e il fatto che non
abbia mai commesso dei veri e propri passi falsi in questo ambito lo
dimostra. Di questo però parleremo approfonditamente più avanti.
Sarà proprio il suo essere all’avanguardia nel campo dell’immagine,
sia statica che in movimento (oltre che in quello musicale), a fare di
lei una vera star, ma anche un’icona sempre più multimediale (e, di
conseguenza, anche sempre più “irreale”).
“I can sense it / Something important / Is about to happen”
23
. Queste
sono le parole con cui si apre il suo terzo singolo, Big Time Sensuality,
e anche quelle che meglio descrivono quale potesse essere la
sensazione comune davanti all’apparizione di questa “donna-
bambina” sui palchi e sugli schermi di tutto il mondo.
23
“Riesco a sentirlo / Qualcosa di importante / Sta per accadere”