stinto il confine tra arte, intrattenimento, moda e design. […] Da una prospettiva
contemporanea Armando Testa potrebbe essere definito uno dei primi artisti del
commercio”
1
. Questo è quanto scrive Jeffrey Deitch sul catalogo della più com-
pleta mostra dedicata al maestro della pubblicità italiana che si è tenuta al Castello
di Rivoli di Torino nel 2001.
Per questo motivo è utile esordire nell’analisi del percorso creativo di Testa
operando un confronto tra il suo lavoro e le produzioni dei maestri della grafica
pubblicitaria, padri del cartellonismo, ma anche, e soprattutto, con i grandi espo-
nenti delle avanguardie artistiche italiane ed internazionali che costituiscono il
riferimento primario della sua ricerca.
Lungo il percorso di analisi si noterà come Armando Testa abbia codifica-
to una sorta di precisa grammatica della propria creatività artistica e pubblicitaria,
un linguaggio che si è adattato perfettamente ad ogni medium espressivo anche il
più tecnicamente innovativo. Questo linuaggio ha contribuito a creare un’identità
comunicativa netta delle produzioni dell’agenzia che porta il suo nome; non solo,
la pubblicità italiana è cresciuta con Armando Testa e da lui ha ereditato alcune
caratteristiche fondamentali che la distinguono rispetto al modo di fare pubblicità
nel resto del mondo. L’identificazione di queste peculiarità, formali, contenutisti-
che e di metodo consegnate da Testa alla cultura popolare italiana ed alla tecnica
di comunicazione pubblicitaria è l’obiettivo di questo percorso di ricerca.
Ringrazio Maurizio Sala, vice presidente e direttore creativo della
Armando Testa S.p.A. per il prezioso contributo.
_______________________________________
1 J. DEITCH in AA.VV., Armando Testa, catalogo della mostra al Castello di Rivoli a
Torino, Milano, Edizioni Charta, 2001, p. 25.
2
1) LE OPERE DEL PRIMO DOPOGUERRA
I confronti con i movimenti artistici
Un personaggio in frac partecipa ad una festa in un turbinìo di stelle filanti,
l’allegria ed il divertimento sono evidenti in quel segno sghembo sotto il cappello a
cilindro che stilizza un sorrisone. Il corpo dell’uomo sintetizzato in una trottola per-
fetta. Il disegno è tutto giocato sulla sagoma nera della trottola-frac in equilibrio sulla
punta affusolata ed il vortice rosso delle stelle filanti. Quella che oggi viene definita
headline, lo slogan: “oggi é festa!...” è quasi superflua nel completare un disegno
così esplicito ed accattivante per uno spumante da bersi solo in occasioni speciali. Il
concetto è reso con un linguaggio così sintetico e dinamico da non aver bisogno di
altre descrizioni testuali per pubblicizzare le caratteristiche di questo vino.
È un manifesto del 1948 per Asti Spumante Riccadonna (fig. 1), é una delle
prime opere di Armando Testa ma già riassume le peculiarità creative e di comu-
nicazione che caratterizzeranno la sua produzione artistica da ora in poi. C’è la
predilezione per la forma geometrica semplice, netta e dinamica, priva di orpelli
decorativi, c’è l’uso di pochi colori primari (come vedremo questo dettaglio non è
dovuto solamente a vincoli tecnici di stampa). C’è la fusione-trasformazione-meta-
morfosi di due figure, un uomo in frac e la trottola che ruota in un turbinìo dina-
mico, stagliandosi su un fondo bianco neutro. C’è la citazione artistica, qui è il rife-
rimento al futurismo di Sepo, Depero o addirittura Balla: la stella filante è infatti
riconducibile alle sue “linee andamentali” o “velocità astratte”
2
. C’è inoltre quella
caratteristica chiave che in pubblicità si definisce la subalternità delle immagini
sui testi
3
ove il registro visivo sottintende, simbolizza o riassume quello che si
potrebbe descrivere testualmente.
3
_______________________________________
2 G. VERZOTTI, ibidem, p. 50.
3 Cfr. T. DE MAURO, Un linguaggio subalterno, in “Sipradue”, dicembre 1967.
1.1) L’esordio: il manifesto ICI
Armando Testa nasce a Torino nel 1917. A quattordici anni inizia a lavora-
re come tipografo e la sera frequenta la Scuola Tipografica Vigliardi Paravia dove
ha come maestro Ezio D’Errico, pittore astratto e grande uomo di cultura, che gli
insegna non solo il fascino del lavoro del tipografo, la bellezza dei i colori, le carte,
i caratteri tipografici, ma anche ad amare l’arte moderna e d’avanguardia. Testa,
affascinato dalla grafica Bauhaus sperimenta nuove impaginazioni creando mani-
festini, carte da lettera e pieghevoli per piccole aziende.
Nel 1937, la rivista Graphicus, edita dalla stessa scuola Vigliardi Paravia,
indice un concorso nazionale per lo studio di un manifesto per la casa di colori e
inchiostri tipografici da stampa ICI. Testa ha vent’anni e decide di partecipare con
un disegno astratto semplicissimo su fondo nero (fig.2). Vince il concorso impo-
nendosi su grafici noti e affermati in quell’epoca.
Il manifesto per l’ICI è una pura composizione astratto-geometrica centra-
ta sull’immagine di un nastro con i lembi ripiegati e terminanti con triangoli allun-
gati. L’inseguirsi delle diagonali e degli spigoli stilizza un dinamismo carico di
un’energia confermata dal contrasto cromatico del rosso e del giallo che si staglia-
no sul campo nero come una scossa elettrica. Questo soggetto, orientato verso il
razionalismo visivo di derivazione Bauhaus e apparentato nello stile con la
Konkrete Kunst svizzera di Max Bill o Max Huber, é nuovo nella grafica applica-
ta alla comunicazione commerciale dove impera la figurazione (vedi i contempo-
ranei Dudovich, Cassandre, Seneca, Carboni, ecc.), ma soprattutto appartiene a
quella sensibilità artistica in reazione alla cultura ufficiale del fascismo di quegli
anni che in Sironi ha un geniale e fedele interprete.
Mi trovavo ai primi passi come cartellonista e come pittore astratto e devo
aggiungere che nella grafica italiana di allora l'astrattismo era quasi una novità, solo
pochissimi pittori d'avanguardia dipingevano astratto e devo a uno di questi, il pittore Ezio
D'Errico che insegnava disegno pubblicitario alla Scuola Tipografica Torinese, l'entusia-
4
smo e la passione per la nuova tendenza. Decisi perciò di risolvere astrattamente il car-
tello per evitare ogni dispersione o compiacimento decorativo, mi imposi subito di stu-
diare una forma semplice che raggiungesse il massimo di macchia e di impeto coloristico
e nel contempo tanto elementare da risultare una forma mnemonica. Mi ero creato una
prima legge
4
.
Dopo quella, di leggi da rispettare per ottenere il massimo dell’efficacia
comunicativa, ne aggiunse altre ed altre ancora, suggerite dall'esperienza e valide
tanto nell’opera astratta quanto in quella figurativa.
L’adesione al rigorismo geometrico sarà però di breve durata (anche se
ritroveremo negli anni Sessanta tale sintesi formale nel celeberrimo manifesto
Punt e Mes), la volontà di codificare un linguaggio collegato all’arte, ma popola-
re e comprensibile da tutti, lo porterà ad utilizzare la figura, ma mai pura e sem-
plice, bensì sempre in mutazione: doppia, ibrida e meravigliante, una serie infini-
ta di commistioni tra animali e macchina o uomo e animale, percorso creativo che
parte dalle grottesche romane poi rinascimentali, per arrivare al surrealismo di
Magritte.
1.2) La pubblicità nel dopoguerra, lo studio Armando Testa
Nel 1938 Armando Testa entra in Aviazione come fotografo e nel 1940 è
destinato prima in Sicilia poi in Africa. Dopo l’8 settembre torna a Torino e ripren-
de la sua attività di tipografo e di grafico disegnando cartoline, marchi e piccoli
stampati, Luigi Firpo lo chiama per realizzare la copertina e le illustrazioni di
Novantatréun romanzo di Victor Hugo. Il tratto è sicuro ed i colori vivaci, le
inquadrature e la tecnica grafica rimandano al linguaggio dei fumetti.
5
_______________________________________
4 A. TESTA, in "Serigrafia", n. 19, Milano, ottobre 1960.
Finita la guerra, nel 1946 si sposa con Lidia de Barberis, crea un piccolo
studio ed incomincia a lavorare per clienti importanti come Martini & Rossi,
Carpano, Borsalino, Pirelli.
La pubblicità era allora in una fase ancora elementare, in cui continuava
ad avere ruolo centrale la figura ottocentesca del cartellonista che disegnava
manifesti. Tra i disegnatori che continuarono a produrre dopo la guerra va ricor-
dato Gino Boccasile, noto soprattutto per la creazione della Signorina Grandi
Firme protagonista nelle copertine dell’omonima rivista. Nelle opere della secon-
da metà degli anni Quaranta è evidente un notevole rinnovamento orientandosi
verso un realismo quasi fotografico coerente con le esigenze di comunicazione di
quell’epoca, morì però prematuramente nel 1952. Le poche agenzie pubblicitarie
dell’epoca erano ciò che restava degli anni Trenta sopravvissute alla Guerra
Mondiale. Erano in realtà degli studi grafici ai quali gli uffici pubblicità delle
aziende commissionavano i manifesti e gli annunci da pubblicare sui giornali.
Grafici di talento o i maestri ancora attivi creavano i disegni, mentre per il testo
scritto collaborava qualche giornalista.
Il giovane Testa dal punto di vista generazionale è solo, la grande stagio-
ne dei cartellonisti italiani ed europei inaugurata da Cappiello (1875-1942),
Dudovich (1878-1962) e Nizzoli (1887-1969) che ha visto imperare Seneca
(1891-1976), Sepo (Severino Pozzati, 1895-1983), i futuristi Depero (1891-1960)
e Sironi (1885-1961) è stata spazzata via dalla guerra. Anche Bruno Munari
(1907-1998) socio nel più grande studio di grafica degli anni Trenta, lo studio
Boggeri, che ha attraversato tutto il secolo con le sue opere, smette di fare pub-
blicità negli anni Quaranta. Solo Erberto Carboni (1899-1984) riesce a rinnovar-
si nel dopoguerra ed a lavorare prolifico fino agli anni Ottanta. In ogni caso, la
nuova generazione (Rossi 1909-1994, Grignani 1908-1999, Pintori 1912-1999,
Steiner 1913-1974, Castellano 1932, ecc.), si affaccerà solo nella seconda metà
degli anni Cinquanta alla grande produzione grafica che accompagnerà l’epoca
del boom economico.
Nel 1946 la Martini e Rossi commissiona a Testa un poster per lo spu-
6
mante Riserva Montelera (fig. 3), il risultato è un’elegante bottiglia che indossa
uno smoking incorniciata da un foulard bianco che le dona regalità. Il fondo nero
è sopravvissuto ma verrà subito sostituito dal caratteristico bianco nel manifesto
seguente sempre per lo stesso prodotto (fig. 4). Qui una mano con guanto sostie-
ne una coppa di vino, sullo sfondo, in basso nel foglio, una quinta di figure sti-
lizzate ci contestualizzano in una festa dell’alta società. Il tessuto blu del guanto
si avviluppa a vortice crescendo in alto nel foglio fino all’apice del bicchiere scin-
tillante.
1.3) L’analisi sulle avanguardie storiche
[...] la passione per le tendenze più nuove in campo grafico e pittorico e l'amore
istintivo per l'arte astratta hanno contribuito a formarmi una cultura. Una cultura non
razionalmente costruita, ma che proprio per questo mi consente oggi di trovarmi in una
situazione di assoluta libertà rispetto alla "cultura ufficiale". Davanti all'immagine non ho
preconcetti basati sul contenuto o sul contesto storico; guardo opere millenarie con gli
stessi occhi e lo stesso approccio con cui giudico l'arte dei miei tempi: guardo la forma,
il colore, il segno
5
.
Nel manifesto Superga del 1947 (fig. 5) la ricerca grafica conferma l’in-
tento di codificare un’immagine pubblicitaria che sia icona, praticamente nuovo
marchio per l’azienda commitente. Come vedremo questo obiettivo verrà perse-
guito in quasi tutta la produzione pubblicitaria di Testa. L’influenza del cosid-
detto Secondo Futurismo traspare in quest’opera dai profili sinuosi, le sagome
scattanti e dai cromatismi netti giocati per contrasto. La silohuette rossa del cicli-
7
_______________________________________
5 A. TESTA, in Armando Testa, catalogo della mostra al Castello di Rivoli a Torino, op.
cit., p. 93.
sta si piega su un ricciolo che diventa un manubrio-freccia, la bicicletta è resa
con volute nere che diventano strada per un’automobile inscritta nella freccia
stessa. La stilizzazione della figura umana è ottenuta integrando delle sinuosità
calligrafiche con geometrismi meccanici che in fine danno al ciclista l’aspetto di
un robot.
Al primo Futurismo invece sembra ispirato il manifesto Asti Gancia del
1949 (fig 6). L’energia centrifuga e la potenza dei cromatismi accesi, festosamen-
te artificiali, è la caratteristica sostanziale di quest’opera. Lo spumante si sprigio-
na festosamente in un vortice centrifugo dall’instabile coppa scossa da un’energia
che potremmo definire “elettrica”. Piccoli tratti colorati accompagnati da spirali di
piccoli puntini scattano secondo uno stile riconducibile a certo divisionismo di
Balla ed alle nature morte di Boccioni. La conferma ulteriore è la disposizione
delle lettere della parola ”brindate” che escono tra i tratti del vortice, disordinate,
anch’esse scosse e colorate dalla medesima energia.
Del 1951 è un interessante bozzetto a tempera per il sapone da bucato
USO (fig. 7). Su un fondo nero si staglia netta la figura di una donna avvolta in
un lenzuolo bianco tra le pieghe del quale esce la confezione del detersivo. Il tes-
suto ricopre interamente il corpo femminile tanto da farla sembrare una simpati-
ca donna araba; a confermare questa impressione sono i lembi inferiori ripiega-
ti a mo’ di scarpine orientali. Questa volta l’attitudine citazionista di Armando
Testa si rivolge alla grande tradizione cartellonista italiana del Ventennio. La tec-
nica pittorica si riconduce allo stile plastico di Boccasile o del primo Carboni,
ma esplicito è il riferimento a Federico Seneca alle sue figure plastiche tornite
nettamente su accesi sfondi monocromatici. In particolare il manifesto per la
Lotteria di Tripoli (fig. 8) sembra essere la principale fonte di ispirazione for-
male per quest’opera.
Una serie di opere molto note di questo primo periodo del dopoguerra
(quando il pubblicitario era ancora un cartellonista ed il marketing era in embrio-
ne soltanto negli Stati Uniti) sono le affissioni realizzate per il vermuth Carpano.
Scorrendo le innumerevoli campagne realizzate per reclamizzare questo prodot-
8
to, possiamo risalire al primo Ottocento: Testa decide di celebrare questa storica
tradizione ritraendo Re Carpano mentre brinda con noti personaggi storici come
Vittorio Emanuele, Cavour, Verdi, ecc. (fig. 9). “ Questo accostamento suggeri-
va costantemente l'anzianità della casa e la nobiltà del prodotto. Appariva sui
muri, nelle confezioni, al cinema e sulla stampa”
6
. Il trattamento grafico a tinte
piatte, i toni cromatici, i dettagli decorativi e l’impostazione simmetrica riman-
dano alle carte da gioco ed alle illustrazioni popolari, ma dai riferimenti ad una
cultura iconografica “bassa”, possiamo risalire all’arte ufficiale come ci fa nota-
re Arturo Carlo Quintavalle:
[...] ecco i riferimenti sottili alle culture artistiche che evocano, agli inizi del
secolo, i primitivi, a Malevich, alla Goncharova e a tanti altri; ecco i riferimenti al primo
Kandinsky, ma ecco anche il rapporto con l’illustrazione e soprattutto con Rubino, un rap-
porto che deve essere sottolineato perché, senza questo, la chiave ironica che anima gran
parte della produzione di Testa non si potrà mai capire
7
.
Dal punto di vista tecnico il Divisionismo ha sempre affascinato Testa,
soprattutto il lavoro sulla percezione ottica. Seurat è stato studiato ed analizzato a
fondo, un omaggio a questo maestro è il manifesto Borsalino (fig. 10).
Ricordo un mio vecchio cartello degli anni Cinquanta per Borsalino: é quasi in
bianco e nero con un segno ispirato alla pennellata di Seurat. É un’immagine che potreb-
be essere stata creata ieri, oggi, o nel prossimo 2000. Devo confessare che tutte le volte
che mi capita di riguardarlo mi complimento con me stesso per essere riuscito a dise-
gnare un manifesto senza data
8
.
9
_______________________________________
6 A. TESTA, Cartellone romantico e cartellone operativo, in "Pagina", Milano, giu-
gno 1963.
7 AA.VV., Armando Testa. Il segno e la pubblicità , Milano, Mazzotta, 1984 p. 63.
8 A. TESTA, in AA.VV., Armando Testa, catalogo della mostra al Castello di Rivoli,
op. cit., p. 108.
Un bellissimo mezzo busto nell’atto di salutare cordialmente togliendosi
il cappello viene fatto “apparire” dal disegno a frottage che rimanda ai lavori su
carta del maestro divisionista, in alto campeggia come in volo la foto di un ele-
gante e “silenzioso” cappello Borsalino isolata sul fondo bianco, omaggiando
questa volta Magritte. L’elegante marchio Borsalino in un calligrafico carattere
inglese (lettering “borghese” ancora alla Magritte) chiude l’opera. Il tutto ci può
anche ricordare i più recenti lavori di Joseph Kosuth con le sue giustapposizioni
di oggetto, rappresentazione dell’oggetto e nome dell’oggetto.
L’azienda Borsalino ha investito molto in pubblicità sin dall’Ottocento,
ma soprattutto tra le due guerre i più grandi grafici si sono impegnati a creare
pregevoli affiches per promuovere il noto cappello. Dudovich lo ritrae come
segno di status symbol, per Boccasile è un pretesto per realizzare un esercizio di
stile futurista inscrivendolo tra parole che ne sottolineano caratteristiche e valo-
re, anche per Nizzoli l’esercizio è puramente formale (in questo caso orientato al
cubismo). Testa li attraversa tutti in un opera che sembra una sorta di compendio
di diversi registri espressivi: la fotografia realistica a colori, il disegno sintetico,
la definizione testuale di ciò che le immagini ci riferiscono. Sul piano della
comunicazione pubblicitaria vi è il prodotto analiticamente presentato, la sua
destinazione d’uso e i valori che trasferisce sul consumatore che lo acquista: ele-
ganza, distintività e status sociale denotato dal gesto cortese di sollevare il cap-
pello nel saluto.
La corrente artistica che per antonomasia è sorgente d’ispirazione tecni-
ca e tematica per i pubblicitari, anche dei giorni nostri, è il Surrealismo.
Armando Testa è tra i primi a raccogliere la lezione di Magritte degli incroci
semantici, ma l’obiettivo è pur sempre commerciale quindi non ci sarà mai un
reale (surreale) sabotaggio del normale processo denotativo, semmai un lavoro
creativo per far evolvere le capacità di decodifica dello spettatore, attingendo dal
proprio immaginario inconscio per comprendere le associazioni figurative crea-
te dall’artista.
10
Noi pubblicitari, che siamo artigiani delle idee e che l’ispirazione la cerchiamo
tutti i giorni, mattina e pomeriggio, seduti sul vasino, come possiamo non sentire pro-
fondo rispetto per Magritte che l’invenzione l’ha sempre cercata in sala da pranzo? [...]
La pubblicità, questa Draculona avida di idee, si è impossessata del povero Magritte e
l’ha succhiato più volte sul collo. [...] Povero Renè, depredato dalla réclame, proprio lui
che aveva detto «fare dei disegni pubblicitari è il lavoro più imbecille che possa fare un
pittore»!
9
Negli anni Cinquanta tra i primi esercizi in tale direzione sono noti i
lavori per Pirelli (fig. 11 e 12), i cartelli per Galbani (fig. 13) ed Esso Extra (fig.
14). La tecnica grafica è figlia della scuola francese con a capo Cassandre, ma
anche di Lupot e Sepo, ma il soggetto si arricchisce di quei giochi retorici sug-
geriti dai surrealisti. La potenza visiva, il magnetismo, la spettacolarità di que-
ste figure doppie, ibride, luogo di contaminazione tra animale e macchina, natu-
ra e artefatto, soggetto caldo e oggetto freddo, ha origine nei miti e leggende
che hanno rapito l’immaginario umano in epoche remote: draghi, sfingi, sirene,
fenici, ecc.
Guardando alla comunicazione pubblicitaria dei maestri del cartelloni-
smo fino agli anni Cinquanta, possiamo notare invenzioni fantastiche dal punto
di vista tematico o innovative dal punto di vista tecnico fino all’astrazione, ma
la naturale presentazione del prodotto e l’interpretazione, seppur creativa, della
scena di consumo o utilizzo del prodotto stesso, non venivano mai tradite.
Neanche Fortunato Depero, creatore di figure stupefacenti, riuscì a scardinare i
codici denotativi tradizionali del linguaggio promo-pubblicitario: osserviamo
dunque i bellissimi cartelli per Campari o per il liquore Strega (fig. 15), sono
indubbiamente seducenti dal punto di vista cromatico e innovativi dal punto di
vista tecnico ma ritraggono “semplicemente” una scena di consumo del prodot-
11
_______________________________________
9 A. TESTA, Dalla parte di chi guarda, Torino, Umberto Allemandi Editore, 1992, pp. 14-16.
to (i bar-caffé dove prendere l’aperitivo), o il prodotto interpretato in maniera
fantasiosa (il liquore Strega rappresentato come fosse un burattino costituito da
diversi bicchieri di liquore). Un caso emblematico che si distingue tra gli altri
e che ai nostri occhi potrebbe suscitare un misterioso fascino è un manifesto
disegnato da Marcello Dudovich nel 1921 per Borsalino (fig. 16): una scim-
mietta si interroga pensierosa osservando un cappello fluttuante, nell’aria. Si
scansino gli equivoci, dietro alla figura non c’é nessuna alchimia simbolica o
gioco metaforico: per decenni è stato forte e profondo il legame di amicizia tra
Dudovich e la famiglia del patron della ditta Borsalino, il senatore Teresio, la
scimmia perplessa rappresenta una sorta di sorridente “omaggio” ai Borsalino,
che erano affezionatissimi alla scimmietta Pierrette “ospitata” nella loro resi-
denza in campagna.
Con le opere degli anni Cinquanta, Armando Testa si sbarazza in un colpo
delle consuetudini linguistiche pubblicitarie che fino ad allora avevano dominato
la scena. La meraviglia ora non è solo formale ma ci colpisce nel profondo: le figu-
re scaturiscono dalla contaminazione tra corpi di natura eterogenea, sovrannatura-
li e chimeriche: ciclisti-ruote che si trasformano in frecce, elefanti con proboscide
a pneumatico, rinoceronti con i fari ed il parabrezza, tori con la testa in scatola e
via dicendo, in un luogo “ a metà tra i territori linguistici del realismo e dell’a-
strazione”
10
. Queste figure magiche si definiscono nella carta in un tutto-pieno che
non necessita di scenario alcuno, sono isolate in un fondo bianco che le rende figu-
razioni araldiche, emblemi che danno al prodotto un valore mitico ed eterno. Come
giustamente sottolinea Dorfles “ vi sono forme intimamente connesse alla nostra
costituzione fisica e psichica, sono quindi più facilmente accessibili alle nostre
facoltà percettive... é la parte non consumabile dell’opera d’arte ”
11
. É evidente che
12
_______________________________________
10 G. CELANT in AA.VV., Armando Testa, una retrospettiva, catalogo della mostra al
Palazzo Strozzi a Firenze, Milano, Electa, 1993, p. 7.
11 G. DORFLES, Le oscillazioni del gusto, Torino, Piccola Biblioteca Einaudi,
1970, p. 80.
l’abilità di Testa di scavare nel nostro immaginario collettivo per trarne invenzio-
ni figurative così seducenti permette di innescare un efficace meccanismo persua-
sivo (non dimentichiamo che la persuasione è funzione primaria nella comunica-
zione pubblicitaria).
Tornando al discorso sulle relazioni con le Avanguardie, un altro esempio di
diretto riferimento stilistico con il Futurismo, in particolare con la personalità stili-
stica di Sironi, è il manifesto creato per le olimpiadi di Roma del 1960 progettato
nel ‘58 (fig. 17). Sul consueto campo bianco é ritratto un tedoforo in corsa integra-
to con il Colosseo, la monocromia sui toni del grigio lo fanno sembrare una scultu-
ra in corsa. Le linee di forza della composizione convergono diagonalmente in alto
a destra quasi a comporre una freccia di roccia in salita. Il trattamento pittorico
richiama esplicitamente l’arcaismo dell’amato Sironi (spesso Testa affermò che
Sironi poteva essere attualissimo anche negli anni Novanta). Per quanto immedia-
tamente comprensibile, ma al contempo sofisticato nell’unire sport e pittura moder-
na, il bozzetto fa vincere il concorso per il simbolo delle olimpiadi di Roma, ma
viene considerato troppo ardito per l’italiano degli anni Sessanta così da costringe-
re Testa a pubblicare quella che è diventata l’icona ufficiale, un’immagine molto
semplice in silohuette di un capitello che sorregge la lupa romana (fig. 18).
Ad inserire il Colosseo in un manifesto per un evento sportivo (i mondiali
di calcio) ci é riuscito Burri (fig. 19) tre decenni dopo ma con una soluzione gra-
fica talmente elementare da suscitare le ironie di Testa in un articolo pubblicato sul
Giornale dell’Arte intitolato Burri, non scherzare con il colosseo.“ Anche a me 28
anni fa per il manifesto delle Olimpiadi di Roma venne l’idea di usare il Colosseo,
ma mi guardai bene dal proporlo tale e quale e lo modellai a figura di atleta olim-
pico!” Il colosseo di Burri “ ...è rimodellato al computer e con il campo di calcio
stilizzato in bianco: volontario o involontario, superficiale o subliminale, risulta
un plagio”
12
.
13
_______________________________________
12 A. TESTA, Dalla parte di chi guarda, op. cit., pp. 78-79.
1.3) La ricerca tecnica
Nel 1953 Testa scopre in un colorificio di Milano il flexicrome, un prodot-
to americano appena importato atto a colorare le fotografie in bianco e nero. É il
primo ad utilizzarlo anche tra i pubblicitari milanesi. Con la possibilità del colore
la fotografia irrompe nella produzione artistica di Testa che subito applica questa
nuova tecnica su un cartello per l’Olio Sasso (fig. 20). Il colore e la forma grafica
sono gli elementi sui quali lavorare per ottenere l’efficacia comunicativa, così su
un campo colorato apre una finestra circolare al di là della quale c’è la foto di una
bambina sorridente con una fetta di pane, al di qua, una plastica lattina di olio ne
versa un filo sul pane della bambina. Il realismo della fotografia a colori viene
accentuato da questa distinzione in livelli e dalla geometria piana che si contrap-
pone al volume della lattina che così emerge tridimensionalmente dal foglio.
Del 1954 è il noto Uomo Facis (fig. 21): è un marchio-icona illustrato che
ritrae realisticamente un personaggio in cappello, sorridente, che corre verso sini-
stra con sottobraccio un abito confezionato.
Un giorno, mentre ero tutto preso a disegnare dei cartelli per una campagna pub-
blicitaria dell'olio Sasso, allora la stampa fotografica a colori non esisteva ancora e tutte
le illustrazioni dei manifesti o dei pieghevoli venivano fatte a mano, venne a trovarmi un
amico, Elio Bravetta... E disse: "C'è per te un'occasione insolita, creare un marchio, un
cartello per la Facis". Io tentennavo: "Guarda, in questo periodo ho tanto lavoro, sono
piuttosto impegnato, non si può rimandare più avanti?" "Sei pazzo" mi rispose Bravetta
"non sai come può essere importante questo cliente, è un'azienda in pieno sviluppo e poi
dal manifesto può nascere tutta una campagna!" E inutile dire che mi aveva convinto;
lavorando anche di notte, presentai il mio primo cartello/marchio: l'omino che corre con
il vestito sotto il braccio... In questi giorni ho riguardato il mio cartello Facis e devo dire
che pensando a cos'è la confezione oggi mi sembrava, nella comunicazione, di tornare
alla preistoria o al Basso Medio Evo. Come ho potuto nella mia vita disegnare un uomo
che corre con sotto il braccio un abito tirato come un merluzzo! Forse però sono ingiusto
14
con me stesso perché allora il 93% degli italiani si serviva del sarto il quale modellava
l'abito a misura dell'ampiezza, delle eventuali protuberanze e cavità del corpo del cliente.
Il plus da evidenziare al massimo nel manifesto era dunque l'idea della velocità offerta
dalla confezione pronta, oltre alla necessità tutta cartellonistica di risaltare sul muro e di
rimanere impressi nella memoria del consumatore. Occorre dire che l'omino che corre
rimase a lungo parcheggiato nella memoria della gente
13
.
Nell’illustrazione, l’abito è rappresentato intero, rigido, come una tavola
orizzontale che taglia a metà la figura in corsa. La tecnica, pur richiamando
Boccasile, é figlia del realismo fotografico consueto nella comunicazione pubblici-
taria degli anni Cinquanta, ma la forma nettamente circoscritta sul fondo bianco
rende l’immagine limpida, pulita facilmente memorizzabile. Il valore dell’opera sta
soprattutto nel messaggio che l’Uomo Facis ha lanciato: l’italiano degli anni
Cinquanta, una volta uscito dal posto di lavoro dove indossa una divisa che lo rende
uguale in tutto e per tutto agli uomini che lavorano con lui (simbolizzata dal vesti-
to nero), riacquista la sua identità e ha il diritto di vestire elegante, in questo l’abi-
to Facis rappresenta il premio di tante fatiche lavorative, il registro verbale del
manifesto infatti recita “ Di corsa a indossarlo, é un abito Facis”. L’uomo Facis
interpretava il desiderio in quegli anni di indossare abiti nuovi per un mondo nuovo.
Dopo quella campagna Testa ha prodotto numerosi cartelli per la Facis e
l’aspetto più interessante che li distingue è l’utilizzo sistematico dei colori fluore-
scenti (fig. 22)
[...] pur con l'obbligo di presentare quasi al vero i modelli, qualche volta mi con-
cedevo delle libertà espressive. Alcuni miei cartelli su fondo nero, con il protagonista rea-
lizzato a tinte piatte fluorescenti, li guardo ancora con amore perché dopo tanti anni sem-
15
_______________________________________
13 A. TESTA, Un merluzzo in doppiopetto, Archivio Storico GFT, fascicolo n. 2,
Torino, ottobre 1989.