PREMESSA
Questa tesi nasce da due spunti ugualmente rilevanti per la formazione professionale e
personale dell’autrice: la grande passione per l’attività di traduzione e l’interesse per il
processo di integrazione europea; due aspetti importanti della vita di una cittadina
ventiseienne dell’Unione europea, che si riflettono nella struttura binaria di questo lavoro, di
cui vorremmo precisare il proposito e l’impostazione.
L’approccio utilizzato è infatti quello di una studentessa che pratica la traduzione, per la
quale la tesi di laurea ha rappresentato un’occasione importante non soltanto per cimentarsi
per la prima volta nella traduzione di un intero testo, seppur di ridotte dimensioni, ma anche
per accostarsi per la prima volta alla teoria della traduzione. A tal proposito vorremmo
sottolineare che all’origine di tale approccio vi è una sorta di percorso à rebours: dopo aver
ricevuto una formazione professionale quasi esclusivamente tecnica presso la Scuola
Superiore Interpreti e Traduttori di Roma, la tesi di laurea ha fornito una preziosa opportunità
per tentare di completare ed integrare tale preparazione pratica con lo studio della teoria e
della storia della traduzione. A tale osservazione, importante per capire la logica e lo spirito di
questo lavoro, va aggiunto che, per ragioni di tipo pratico indipendenti dalla nostra volontà e
poco rilevanti in questa sede, si è potuto procedere prima alla traduzione del testo francese e,
soltanto in seguito, allo studio della teoria. Tuttavia, quello che potrebbe apparire come un
controsenso, oltre a rispecchiare appunto il processo formativo dell’autrice, ha permesso, a
traduzione ultimata, di rilevare e rivedere le differenti scelte traduttive operate prima e dopo
l’acquisizione di alcuni concetti teorici.
Pertanto, la sezione di questo lavoro dedicata alla storia ed alla teoria della traduzione
non ha certamente la presunzione di illustrare in modo esaustivo l’opera di tutti gli autori che
si sono espressi sulla traduzione nel corso dei secoli, impresa pressoché impossibile di per sé,
data la vastità e la multidisciplinarità della materia, ed ancor più rispetto ai limiti della nostra
ricerca ed alle conseguenti esigenze di spazio. Questa prima parte ha invece lo scopo di
presentare alcuni fondamentali cenni storico-teorici, che possano introdurre ed integrare il
lavoro di traduzione, nucleo principale di questa tesi, sottolineando al contempo i concetti
che, dal punto di vista di chi studia e pratica la traduzione, ci sono parsi più utili ed
interessanti. Tali cenni daranno peraltro maggiore spazio alle teorie e posizioni
contemporanee, e questo per corroborare l’orientamento del lavoro, intrinsecamente volto al
presente ed al futuro. Anche il criterio cui si è fatto ricorso nella selezione dei testi di teoria
della traduzione è coerente con questa impostazione. Infatti, attingere direttamente alle fonti
di tutti gli autori che nella storia contemporanea si sono espressi sulla traduzione avrebbe
comportato uno sforzo al di fuori della portata del nostro lavoro che, come del resto già
spiegato, si proponeva un altro intento. Per questo abbiamo voluto limitare il nostro campo di
indagine a commentatori contemporanei, (alcuni dei quali docenti di traduzione, come Osimo,
Gentzler e Newmark) che, pur non avendo introdotto concetti e scoperte particolarmente
innovativi nella disciplina, hanno esaminato e commentato con occhio “aggiornato” il
pensiero di chi li ha preceduti, fornendoci un contributo attuale e particolarmente utile per
studenti di traduzione digiuni di teoria.
Il testo tradotto sarà preceduto da una presentazione del libro e degli autori e da una
nota sul testo. La prima ha lo scopo di illustrare i motivi, cui si è accennato all’inizio di questa
premessa, che hanno portato alla scelta del testo da tradurre; la seconda, quello di spiegare la
metodologia adottata nel tradurre i titoli di opere e le citazioni presenti nel testo francese.
Al corpo centrale della traduzione fa seguito una postfazione nella quale verranno analizzate
le difficoltà riscontrate nel corso della traduzione e le relative scelte traduttive effettuate.
Il lavoro viene poi completato dalle riflessioni conclusive della laureanda sul proprio lavoro,
nelle quali verranno ripresi alcuni concetti teorici “scoperti” en cours de route, con particolare
attenzione all’importanza della conoscenza dell’argomento trattato nel testo tradotto.
RINGRAZIAMENTI
Ringrazio innanzitutto i miei genitori per avermi dato un’istruzione e avermi fatto
apprezzare la possibilità di averla; la mia relatrice, Dott.ssa Anna Lo Giudice, per la sua
disponibilità ed in particolare per avermi “obbligata” a svolgere lo studio teorico, che
altrimenti non avrei probabilmente affrontato di mia iniziativa, perdendo così l’opportunità di
affrontare una sfida stimolante; i correlatori, Dott.ssa Joelle Fontaine e Prof. Leonardo
Rapone per la loro disponibilità ed i preziosi consigli; la Prof.ssa Matilde Boecklin per alcuni
importanti spunti traduttivi; gli autori Umberto Eco e Bruno Osimo per la chiarezza didattica
dei loro testi che, seppur inconsapevolmente e indirettamente, hanno rappresentato un valido
aiuto per il mio lavoro; Luca e Fabio per aver curato alcuni aspetti grafici e Davide per la sua
comprensione ed il suo paziente e amorevole sostegno.
PARTE I – Cenni teorici
INTRODUZIONE
1. Passato e presente
La traduzione è un’attività molto antica, che affonda le sue radici nelle origini della
storia dell’uomo. Tuttavia, come rileva Mounin, “per molti secoli essa è esistita di fatto senza
nessuna regola particolare”1 e solo recentemente si è voluto dare maggior sistematicità allo
studio di questa materia, che si è vista riconoscere lo status di disciplina da sé.
Per molto tempo infatti la traduzione è stata considerata un’attività secondaria,
marginale, praticata quasi esclusivamente per la diffusione della letteratura, rispetto alla quale
occupava una posizione subalterna. È del resto emblematico il fatto che, come fa osservare
Nergaard2, le riflessioni sulla traduzione sviluppate nel corso della storia, nascevano
essenzialmente dall’esperienza personale dei traduttori stessi, che non erano figure
professionali come le intenderemmo oggi, ma letterati, filosofi, linguisti, per i quali tradurre
costituiva un esercizio complementare ed integrativo rispetto alla loro attività principale.
Questi pensatori si dedicavano pressoché unicamente a ciò che veniva definita la “traduzione
artistica”, cioè quella di testi letterari, con i quali in passato si intendevano i classici,
essenzialmente greco-latini, e la Bibbia cristiana.
Ciò spiega perché, per reperire studi e riflessioni sulla teoria della traduzione di testi
tecnico-scientifici, nonché sull’interpretariato, occorra attendere l’arrivo dell’epoca
contemporanea, e, di conseguenza, anche perché, in questa sezione dedicata alla teoria della
traduzione, ci si preoccupi di fornire una breve sintesi storica facendo così poco spesso
1
G. Mounin, Teoria e storia della traduzione, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1965, p. 14.
2
S. Nergaard (a cura di), La teoria della traduzione nella storia, Bompiani, Milano, 1993.
riferimento, poniamo, ad “teoria della traduzione tecnica”. Si potrebbe infatti obiettare che
nell’ambito di un lavoro “orientato al presente e al futuro” sarebbe opportuno includere anche
studi e riflessioni sulla traduzione tecnica. Tuttavia, innanzitutto, si intendeva conservare un
carattere generale a questa sezione, che, come spiegato nella premessa, ha fornito all’autrice
l’opportunità di accostarsi per la prima volta alla teoria della traduzione. In secondo luogo, la
pratica traduttiva ci insegna che ogni settore “tecnico”, ad esempio la traduzione giuridica,
quella diplomatica, amministrativa, commerciale, scientifica ecc., ha una propria terminologia
e le proprie difficoltà dovute a diversi fattori, primi fra tutti l’argomento specifico dei testi e la
combinazione linguistica, per cui una trattazione approfondita ci avrebbe allontanati dal
nostro intento. Infine, parafrasando Folena, una storia della traduzione è essenziale per una
teoria della traduzione, in quanto “La constitution d’une histoire de la traduction est la
première tâche d’une théorie moderne de la traduction”3.
Dunque, come dicevamo, dopo essere stata per lungo tempo relegata in secondo piano
rispetto alle altre discipline cui è afferente, la traduzione è stata rivalutata, e recentemente ha
subito un forte sviluppo, a tal punto che Margherita Ulrich, nella sua prefazione all’opera di
Gentzler4 afferma che essa “attraversa indubbiamente un momento di grande splendore”.
Dal 1932 e soprattutto dal 1948 in poi, vi è stato infatti un aumento esponenziale del numero
dei testi tradotti, come emerge chiaramente dai dati registrati dall’Index Translationum
pubblicato dall’UNESCO fino al 19705. Un fenomeno che va di pari passo con un accresciuto
interesse per gli studi traduttologici e dovuto a fattori di via natura. Innanzitutto, le maggiori
necessità di comunicazione tra le varie culture, legate in particolare ai progressi in ambito
3
L’espressione è di Berman, L’épreuve de l’étranger, Gallimard, Paris, 1984, citato da Nergaard (a cura di),
La teoria della traduzione nella storia, op. cit.; quanto al rimando a Folena, Nergaard cita direttamente il saggio
Volgarizzare e tradurre, nella riedizione del 1991.
4
E. Gentzler, Teoria della traduzione Tendenze contemporanee, UTET, Torino, 1998.
5
Per un’analisi più dettagliata dell’evoluzione della produzione di testi tradotti in termini assoluti e relativi fino
agli anni cinquanta-sessanta, rimandiamo a G. Mounin, Teoria e storia della traduzione, op. cit., pp. 14-17.
tecnologico, che, come osserva Newmark6, hanno portato ad una maggiore produzione di
brevetti, dati tecnici, documentazioni varie, ma anche al tentativo di esportare il progresso
tecnologico nei paesi in via di sviluppo. A ciò si aggiungano lo sviluppo delle comunicazioni
e la globalizzazione in genere, che favoriscono una sempre maggiore interazione tra individui
e comunità di lingue e culture diverse, creando società sempre più poliglotte. Vi sono poi
fattori quali la crescita d’interesse per la semiotica ed i nuovi studi che ne sono derivati, per i
quali il concetto di traduzione acquisisce una valenza importante, pur non occupando una
posizione centrale nell’ambito di questa disciplina; come vedremo nel capitolo 2 infatti, non è
un caso che semiotici come Charles Sanders Peirce abbiano apportato interessanti contributi
alla teoria della traduzione. Non ultima, l’espansione dell’informatica ha dato un forte
impulso alle indagini ed agli sforzi tesi all’elaborazione ed alla messa a punto di nuovi
modelli di traduzione artificiale. Infine, negli ultimi decenni si è verificata una proliferazione
di centri e gruppi di ricerca, corsi e strutture dedicati allo studio della traduzione, che ha loro
volta hanno contribuito alla fondazione di numerose scuole per interpreti e traduttori nonché
all’istituzione di nuove facoltà di traduzione all’interno degli atenei già esistenti7.
2. Traduzione, lingua e cultura
Il nuovo impulso dato allo studio della traduzione sembra aver contribuito, tra l’altro,
alla comprensione della correlazione esistente fra traduzione e cultura. Se infatti nel 1981
Newmark8 lamentava che l’apporto della traduzione al formarsi delle lingue nazionali fosse
uno degli aspetti maggiormente trascurati dagli scritti su questa disciplina, dodici anni dopo,
Ulrich, nella prefazione cui si è già accennato sopra, parla dell’“attuale consapevolezza dello
stretto rapporto tra cultura e traduzione espressa dalle teorie traduttive contemporanee”.
6
P. Newmark, La traduzione: problemi e metodi, Garzanti, Milano, 1988.
7
Cfr. U. Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Bompiani, Milano, 2003.
8
P. Newmark, La traduzione: problemi e metodi, op. cit., p. 18.
Del resto, Nergaard, riprendendo Berman, ci ricorda che non è pensabile scindere la
storia del tradurre dall’evoluzione delle lingue, delle culture, delle religioni e delle nazioni e
che “la traduzione è un luogo privilegiato per far incontrare le lingue, le letterature, le
culture”9, mentre Osimo la definisce “cultura del confine, […] cultura dello scambio fra
culture”10; definizioni di grande carica esplicativa che ci hanno fortemente colpiti, in quanto
esplicitano la principale ragione della nostra personale passione per questa disciplina.
I testi tradotti introducono nuovi modelli, stili e parametri nella cultura ricevente,
contribuendo quindi ad arricchirla, a trasformarla, rinnovandone la lingua e ampliandone il
sistema letterario. Nel capitolo 1 vedremo quale influenza abbia avuto il greco delle
traduzioni sulla cultura romana, o, ancor di più, la traduzione della Bibbia ad opera di Lutero
sulla formazione del tedesco moderno.
Bruno Osimo, nel sintetizzare il pensiero di numerosissimi autori nel suo Storia della
traduzione, dà particolare enfasi al concetto di traduzione come mezzo di arricchimento della
cultura, e cita diverse figure in merito. Ma egli non è il solo ad insistere su questo punto11.
Anche Peter Newmark, sottolinea che “non solo tutte le culture intellettuali ed artistiche
fiorenti sono in larga misura debitrici della traduzione, […] ma che molti fra i più grandi
scrittori, soprattutto i poeti, hanno tradotto o scritto sulla traduzione”, parlando poi di
traduzione come “elemento attivo” e “fonte di diffusione di qualsiasi tipo di conoscenza”.12
Even Zohar, insieme a Gideon Toury uno dei principali esponenti della teoria polisistemica
(cfr. capitolo 2, par. 3.1), giunge persino ad effettuare una distinzione fra due tipi di pressione
che i testi tradotti possono esercitare sul polisistema letterario di arrivo, uno innovativo,
l’altro conservatore.
9
S. Nergaard (a cura di), La teoria della traduzione nella storia, op. cit., p. 7.
10
B. Osimo, Storia della traduzione, Hoepli, Milano, 2002, p. 23.
11
Si noti che la maggior parte dei linguisti, pensatori, critici letterari ecc. che hanno posto in risalto questo
aspetto dell’attività traduttiva appartengono al XX secolo, segno che questa consapevolezza, come vedremo
quando ci occuperemo delle teorie contemporanee, è il frutto dei più recenti sviluppi in questo settore.
12
P. Newmark, La traduzione: problemi e metodi, op. cit., p. 312-313.
Nell’interazione con la cultura di destinazione, le traduzioni riescono quindi a
mantenere un certo livello di autonomia; dietro ogni operazione traduttiva vi è infatti
un’interpretazione del testo e di conseguenza un’azione in qualche modo “manipolatoria”, che
può avere implicazioni ideologiche o politiche. Ma tale margine di autonomia è anche la
ragione per cui la traduzione è stata spesso oggetto di controlli e censure in passato (si pensi
alla posizione della Chiesa nei confronti dei vari traduttori della Bibbia e dei testi religiosi,
di cui parleremo nel capitolo 1, parr. 3 e 4) e lo è tuttora, quando ad esempio un committente
imponga una versione differente per diversi motivi, primi fra tutti quelli editoriali13.
Levefere e Bassnett, due dei principali studiosi dei Translation Studies, hanno dedicato
particolare attenzione al rapporto tra traduzioni, istituzioni di potere e manipolazione,
sottolineando la necessità di considerare l’influenza e la pressione esercitate dalle istituzioni e
da altri soggetti della società sulla produzione culturale, di cui i testi tradotti fanno parte.
Se infatti da un lato la critica letteraria e quella traduttiva trasmettono determinati valori
culturali, escludendone o marginalizzandone altri, ed esercitando quindi di fatto una
manipolazione, dall’altro la politica culturale nel suo insieme implica una selezione che
determina quali autori e quali opere esterni verranno rappresentati nella cultura ricevente14.
Fatte queste generali premesse sul ruolo e lo status della traduzione all’interno della
società, nel capitolo 1 verranno ricostruite le principali fasi della storia della traduzione.
13
Cfr. S. Nergaard (a cura di), La teoria della traduzione nella storia, op. cit., pp. 21-22 e B. Osimo, Corso di
traduzione Volume 1, Guaraldi Logos, Modena, 2000, p. 192.
14
Cfr. E. Gentzler, Teoria della traduzione Tendenze contemporanee, op. cit., pp. 206-208 e B. Osimo, Storia
della traduzione, op. cit., pp. 5-6.
1.
LA TRADUZIONE NELLA STORIA: UNA SINTESI
Prima di delineare le principali caratteristiche delle varie fasi della storia della
traduzione, è opportuno definire i limiti spazio-temporali di questa sintesi. Come già
accennato nella premessa, voler riprodurre una storia della traduzione nell’ambito ristretto del
presente lavoro sarebbe un’assurda presunzione, dunque ci limiteremo a ricostruire i tratti
salienti della teoria della traduzione nelle varie epoche storiche.
La nostra indagine si concentrerà sulle riflessioni teoriche svolte essenzialmente in
Occidente, in un arco temporale di circa duemila anni, da Cicerone al XX secolo.
Fatta eccezione per un breve accenno alla traduzione proto-storica, seguiremo le orme
tracciate da Siri Nergaard nella sua introduzione a La teoria della traduzione nella storia.
Si tratta di un arco di tempo che Nergaard definisce “trattatistica pre-scientifica”15, mutuando
l’aggettivo da Folena, e che sembra riconducibile a quella che Newmark chiama invece “fase
pre-linguistica della traduzione”16 .
Già prima dell’inizio di questa fase però, si hanno tracce dell’attività di traduzione.
Sono stati infatti rinvenuti glossari bilingui e multilingui incisi in Asia Minore su tavole di
terracotta e risalenti all’epoca delle prime testimonianze scritte, cioè al III millennio a.C.
A questo stesso periodo, durante l’Antico Regno della civiltà egiziana, risalgono anche le
prime tracce di traduzioni, rilevate nell’isola di Elefantina. Del resto, sono proprio alcuni
membri della famiglia dei principi di quest’isola a tramandare di generazione in generazione il
15
S. Nergaard (a cura di), La teoria della traduzione nella storia, Bompiani, Milano 1993, p. 11.
16
P. Newmark, La traduzione: problemi e metodi, Garzanti, Milano, 1988, p. 19.
titolo di capo-interprete, che veniva attribuito ad alcuni alti funzionari ed era simbolo di
prestigio e privilegio.
Sempre in Asia Minore, nel II millennio a.C., presso le società assire, babilonesi e ittite
esistevano cancellerie dove lavoravano scribi specializzati in aramaico, egiziano ecc.;
il termine francese che verrà utilizzato fino al XVII per indicare l’interprete, truchement
(dragomanno, turcimanno) deriva appunto dall’arabo targoman o tardjouman e dall’aramaico
targum17.
1. La traduzione nell’antichità
Nella civiltà romana, la traduzione acquisisce importanza nel processo di assimilazione
di parte della cultura greca, caratterizzata al contrario da un notevole scetticismo nei confronti
di ciò che veniva dall’esterno e quindi scarsamente interessata alla traduzione, cui si ricorreva
essenzialmente per necessità pratiche di comunicazione18.
La letteratura romana deve molto, se non alla traduzione propriamente detta, certamente
al rifacimento. Susan Bassnett19 spiega che “il processo di arricchimento è parte integrante del
concetto romano della traduzione” e motivo del valore ad essa attribuito dai romani, il cui
attingere alla cultura greca è stato spesso male interpretato come mancanza di originalità.
Ad ogni modo, il primo traduttore della Roma antica è stato Livio Andronico
(284-204 a.C. ca.), cui dobbiamo la traduzione dell’Odissea in latino, seguito da Ennio, che si
occupò delle tragedie, Nevio, Terenzio e Plauto, che invece tradussero le commedie di
Menandro e di altri autori greci. Tuttavia, più che di traduzioni, si trattava di libere
rielaborazioni, che si curavano poco della fedeltà al testo e miravano piuttosto alla
17
Cfr. G. Mounin, Teoria e storia della traduzione, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1965 e P. Newmark, ibidem,
p. 17.
18
Cfr. B. Osimo, Storia della traduzione, Hoepli, Milano, 2002, p. 13 e S. Nergaard (a cura di), La teoria della
traduzione nella storia, op. cit., p. 25.
19
S. Bassnett, La traduzione: teorie e pratica, Bompiani, Milano, 1993, p. 67.
romanizzazione sia del contenuto, che dell’espressione, per affinare ed arricchire la lingua
latina attraverso l’imitazione dei modelli greci; tradurre veniva infatti considerato una pratica
retorica, non uno strumento di divulgazione.
Col De optimo genere oratorum, scritto nell’ultimo secolo a.C., Cicerone (106-43 a.C.)
crea il più antico testo contenente riflessioni teoriche sul tradurre, una sorta di manifesto nel
quale l’autore prende posizione a favore della traduzione libera e contro quella letterale.
Egli effettua una distinzione fra la traduzione ut interpres e quella ut orator, contrapponendo
il metodo dell’interprete che traduce letteralmente, parola per parola, a quello dell’oratore, che
traduce invece il senso. Si tratta di una distinzione di grande interesse, che rimarrà una
costante nella storia della traduzione, a tal punto che George Steiner, uno dei più grandi
studiosi contemporanei della traduzione, giungerà a definire l’evoluzione del tradurre fino a
Jakobson una costante rielaborazione della distinzione fra traduzione letterale e traduzione
libera20.
Anche Orazio, Quintiliano, Aulo Gellio confermano quanto sostenuto da Cicerone in
precedenza. In particolare Orazio, nella sua Ars poetica, mette in guardia contro una
riproduzione troppo letterale del testo di partenza, incoraggiando il traduttore ad arricchire la
lingua latina con neologismi, seppur con moderazione. Quintiliano, autore di Institutio
Oratoria (I secolo d.C.), non distingue chiaramente fra traduzione e parafrasi, ma le consiglia
entrambe come esercizio oratorio.
L’orientamento generale non mirava quindi alla fedeltà al testo originale, ma ad una
rielaborazione creativa del modello originario; del resto va ricordato che il greco era la lingua
della cultura ed i traduttori sapevano che le traduzioni erano destinate a lettori colti capaci di
comprendere entrambe le lingue e di confrontare testo di partenza e testo di arrivo, elaborando
un giudizio sulla capacità di rielaborazione del traduttore. Questi fattori rendono la traduzione
20
Cfr. E. Gentzler, Teorie della traduzione. Tendenze contemporanee, UTET, Torino, 1998, p. 8.
romana un fenomeno unico, per capire il quale va anche ricordato che, con l’ampliamento
dell’Impero romano, il bilinguismo e il trilinguismo si diffusero sempre più21.
2. L’era cristiana e la traduzione della Bibbia
La traduzione biblica ha svolto un ruolo fondamentale nella storia della traduzione
occidentale, in quanto la Bibbia è il testo più tradotto al mondo, come sottolineato dal noto
studioso della traduzione biblica Eugene Nida. Già nel III secolo a.C., l’Antico Testamento
venne tradotto in greco in quella che viene definita la versione dei Settanta22, impresa di
notevole impegno, di cui però sappiamo ben poco, ad eccezione delle critiche espresse da San
Gerolamo alcuni secoli più tardi.
Nell’era cristiana, già Evagro, traduttore di una Vita di sant’Antonio, nonché amico e
contemporaneo di San Gerolamo, anticipa le affermazioni di quest’ultimo riprendendo quanto
affermato da Cicerone, e schierandosi a favore di una traduzione non troppo letterale, che non
nasconda il significato completo del testo.
San Gerolamo (IV secolo), cui Larbaud conferì il titolo di patrono dei traduttori, fu il
principale autore della Vulgata23, contenente una revisione di traduzioni preesistenti del
Nuovo Testamento (l’Itala e la Vetus latina) e una traduzione integrale dell’Antico
Testamento dagli originali in aramaico e ebraico. A quest’opera vennero però rivolte pesanti
21
Per le fonti consultate in merito alla traduzione nell’antichità, cfr. S. Nergaard (a cura di), La teoria della
traduzione nella storia, op. cit., pp. 25-28, B. Osimo, Storia della traduzione, op. cit., pp. 13-16, G. Mounin,
Teoria e storia della traduzione, op. cit., pp. 31, S. Bassnett, La traduzione teorie e pratica, op. cit., pp. 65-69.
22
Vorremmo precisare che l’antitesi versione/traduzione esistente in passato non corrisponde a quella odierna
insegnata in scuole per interpreti e traduttori e facoltà di traduzione, secondo la quale con la versione si volge un
testo straniero nella propria lingua madre, mentre nella traduzione si parte da quest’ultima per produrre un testo
in lingua straniera. Secondo l’Encyclopédie di Diderot infatti, la versione è più letterale, più aderente alla lingua
di origine, mentre la traduzione si concentra maggiormente sul significato e sulla sua resa nella lingua straniera,
anche se non vi è una distinzione netta tra i due concetti. L’opposizione versione/traduzione rispecchia quindi
soltanto in parte quella tra traduzione letterale e traduzione letteraria, come venivano intese nel XIX secolo.
In realtà l’uso di un termine o di un altro è essenzialmente riconducibile all’uso storico: si dice infatti “la
versione dei Settanta” e “la versione della Vulgata”, ma la “traduzione di Quinto Curzio fatta da Vaugelas”
(Cfr. Mounin, Teoria e storia della traduzione, op. cit., pp. 19-21).
23
Nell’intenzione di papa Damaso, la Vulgata sarebbe dovuta diventare il testo canonico di riferimento, ma di
fatto venne riconosciuta e autorizzata dalla Chiesa solo nel 1546.
accuse di eresia, in quanto la traduzione presentava notevoli differenze rispetto a quelle
precedenti.
San Gerolamo rispose alle accuse ed ai suoi critici, tra cui Sant’Agostino, scrivendo una
lettera a Pammachio, nota sotto il nome De optimo genere interpretandi, e definita da Mounin
“un vero e proprio trattato organico sulla teoria della traduzione”24. In questo testo il
traduttore spiegava di non aver tradotto parola per parola, ma il senso complessivo, “non
verbum de verbo, sed sensusm exprimere de senso”. Questa frase, divenuta famosissima, si
inscrive nella tradizione metodologica di Cicerone ed Orazio e riassume un concetto rimasto
costante in tutta la storia della traduzione, presente sia in Dolet che in tutti i teorici del XV e
XVI secolo, ed è ancora oggi di straordinaria attualità25.
3. Il Medioevo
Nel Medioevo l’attività di traduzione è stata molto intensa, largamente dovuta a grandi
trasformazioni linguistiche, sociali e geografiche. Si assiste infatti al declino del greco e del
latino ed al passaggio alle lingue neolatine o volgari, transizione in cui i testi tradotti hanno
avuto un ruolo determinante. Inoltre, le lingue asiatiche e, con l’espansione araba, quelle
africane penetrano all’interno del bacino mediterraneo, contribuendo a creare altri centri di
teoria e pratica della traduzione indipendenti dal mondo latino (si pensi alla Scuola di
Toledo)26.
Il primo testo letterario in lingua francese è la Cantilène de Sainte Eulalie (883),
adattamento in lingua volgare di un cantico latino sullo stesso tema, mentre la Vie de Saint
Alexis (1050) è una copia in lingua romanza di decasillabi latini. Parallelamente alla
traduzione religiosa si sviluppa la traduzione profana; ad esempio il documento che sancì la
24
G. Mounin, Teoria e storia della traduzione, op. cit., p. 32.
25
Cfr. G. Mounin, ibidem, p. 32, S. Nergaard (a cura di), La teoria della traduzione nella storia, op. cit.,
pp. 28-31, B. Osimo, Storia della traduzione, op. cit., pp. 15-16.
26
Cfr. S. Nergaard (a cura di), ibidem, p. 31.