72
Galeno, considerava la medicina e la ginnastica come le due componenti
dell’arte salutare, cioè quella che procura la salute, alla quale dà il suo apporto
anche la dietetica
2
.
Pitagora, che fu a stretto contatto con l’atleta Milone e fu egli stesso atleta,
contemplava nell’ambito del suo sistema filosofico, la ginnastica medica
3
e la
ginnastica educativa. La sua filosofia di vita spingeva i pitagorici a svolgere una
vita quotidiana equilibrata, tra un’alimentazione sana e un allenamento svolto su
basi pseudo-scientifiche.
Si trattava, dunque ed in genere, di una ginnastica medica più che di una
medicina della ginnastica (…dello sport), una ginnastica intesa come terapia
preventiva volta alla realizzazione di una vita sana ed equilibrata che realizzasse il
detto: mens sana in corpore sano.
Questa tradizione ebbe seguito anche tra i romani, che però non furono
eccelsi nella medicina come i greci. Ed anche tra i romani continuò la tradizione e
la tendenza degli atleti ad alterare le proprie prestazioni fisiche, soprattutto tra i
gladiatori che erano soliti utilizzare forti stimolanti.
Successivamente, per lunghi secoli, non si trovò più menzione storica della
pratica del doping, probabilmente anche in relazione al fatto che le competizioni
olimpiche, al pari di altre attività agonistiche, vennero interrotte o persero
d’importanza dopo la caduta dell'Impero Romano.
È solo alla fine dell’Ottocento con la reintroduzione dei Giochi Olimpici
Moderni e con una medicina ed una ricerca chimica ben più avanzata, moderna,
che nel ciclismo, nel nuoto e nella maratona si attesta l’uso di eroina, cocaina,
stricnina, nitroglicerina, oppio e caffeina. Ciò avviene adesso in modo mirato è
2
Cfr. TEJA A., Esercizio fisico nell’antica Roma, Editrice Studium, Roma, 1988.
3
Cfr. DI DONATO M. – TEJA A., Agonistica e ginnastica nella Grecia antica, Editrice Studium,
Roma, 1989 (pp. 135 ss.).
73
consapevole e non più secondo convinzioni legate a supposizioni o credenze
popolari.
Le conseguenze potevano sortire effetti collaterali talora gravemente
invalidanti se non addirittura mortali. È infatti alla fine del XIX secolo che
risalgono le prime morti per abuso di sostanze eccitanti: è il caso del ciclista
Arthur Lindon nel 1886 e del maratoneta Tom Hicks ai giochi di Saint Louis del
1904. Erano pur sempre casi limitati alla sola sfera sportiva di vertice del tempo.
Dopo il secondo conflitto mondiale, tuttavia, si ha un vero e proprio salto di
qualità, con l’impiego di nuovi metodi e di nuove sostanze, come le anfetamine e
l’efedrina, consuetamente assunte dai militari impegnati sui fronti di guerra per
fronteggiare i forti condizionamenti psicologici e le disumane condizioni di vita.
I primi casi sospetti vennero accertati nel 1949 ed ai giochi di Helsinki
vennero segnalati casi di ciclisti che si ammalavano per l’assunzione di
anfetamine. Durante le Olimpiadi del 1960 a Roma morì il ciclista danese Kunt
Enemark Jensen, al Tour de France del 1967 analoga sorte toccò al ciclista inglese
Tom Simpson, avvenuta sul Mont Ventoux, ascritta allora all’effetto additivo di
anfetamina e grande caldo, e nel 1968 fu la volta del calciatore francese Jean-
Louis Quadri. Da qui emerse alla ribalta delle cronache e all’attenzione del grande
pubblico il problema dello sport connesso con l'uso di sostanze potenzialmente
mortali da parte degli atleti.
Particolare attenzione bisogna dare al cosiddetto modello Sovietico, che
molto influì sull’evoluzione delle pratiche del doping. Per tutto il periodo della
Guerra Fredda, in funzione d’una visione ideologico-utilitaristica dell’attività
sportiva, il regime reclutò giovani fin dalla più tenera età che, per decisione
dell’autorità politica, vennero avviati all’esercizio dell’attività sportiva ritenuta
più adatta alla loro costituzione fisica. I migliori venivano introdotti nell’esercito
74
o in apparati istituzionali. Essi non potevano trarre profitti dalle competizioni
sportive, ma potevano assentarsi dal lavoro per allenamenti e competizioni senza
perdere il salario; la stessa norma valeva per gli studenti che ricevevano dallo
Stato una regolare retribuzione. Pur di apparire vincenti sul palcoscenico
mondiale delle Olimpiadi, anche lo sport era stato irreggimentato in quel che
potremmo definire “professionismo di stato”, ma questo era l’aspetto meno
cruento del modello.
In questo quadro totalizzante, molto efficace era il controllo sanitario
effettuato nei diversi ambulatori ad opera di vari specialisti di quella branca della
medicina ufficiale che era ormai diventata la “medicina dello sport”. Ad essi
venivano inoltre affidate le ricerche farmacologiche destinate a migliorare il
rendimento degli atleti. È nota infatti, la pratica di sperimentazioni spregiudicate
che si rivelarono in seguito gravemente dannose sia per il fisico, sia per la psiche
degli atleti. Più di una volta certe vittorie olimpiche furono contestate, soprattutto
nelle discipline femminili, quando fu denunciata la mascolinizzazione di alcune
atlete, ottenuta mediante somministrazioni di ormoni che garantivano un
rendimento superiore ma che alteravano a fondo il fisico e la personalità. Si venne
a determinare, dunque, un “doping di stato” che aveva come motivo predominante
il prevalere, sul palcoscenico delle Olimpiadi, delle vittorie Sovietiche su quelle
Statunitensi, e vi riuscirono quasi sempre!
Ma col “doping di stato” si realizzò l’aspetto più aberrante del modello
sovietico, l’idea di atleta come “cavia sociale”
4
spendibile per le esigenze
ideologico-politiche del regime. La sua dignità, la sua stessa dimensione umana fu
4
Cfr. BROHM J. M., Corps et povoir: à propos du fascisme ordinaire, in “Quel Corps?”, 1976 (n.
6 – autunno); CALMUS M. C., Où est passé l’humain?, Soisy-sur-Seine, 1998.
75
annientata da sperimentazioni che, alla stregua delle sperimentazioni naziste sugli
ebrei, vollero sostituirsi alle leggi naturali, a Dio.
Sulla scia dell’URSS, un caso particolare riguarda la Germania Orientale,
che piccola, poco popolata e piuttosto povera, riuscì spesso a vincere la
competizione con la più potente Germania Occidentale. Nella DDR infatti venne
creato un perfezionatissimo laboratorio sportivo che sfornò grandi campioni nelle
varie competizioni mondiali anche grazie all’uso di sostanze e metodi che in molti
casi hanno gravemente danneggiato la salute degli atleti. Per migliorare le
prestazioni, essi ingerivano cocktail di sostanze chimiche; nelle donne, come in
Unione Sovietica, venivano alterati i cicli biologici con bombardamenti ormonali,
stravolgendo la loro femminilità e trasformandole in esseri dal sesso ibrido.
Emblematico in questo senso il caso di Heidi Krieger. Ai tempi in cui la
Germania Orientale era una potenza agonistica prodotta da fantasmagorici
laboratori di medicina sportiva, praticava il lancio del peso ad alto livello. Col
trascorrere degli anni, sottoposta al bombardamento di ormoni, Heidi scoprì che il
suo corpo la mise nelle condizioni di diventare Andreas. Uomo da un punto di
vista biologico, donna dal punto di vista psicoantropologico
5
.
Tali tecniche si estero a tutti i paesi del blocco comunista europeo e in
seguito anche alla Cina, dove in più si aggiunsero, in alcune discipline ginnico-
atletiche, discutibili metodi pedagogici d’allenamento che spesso, a seguito di
errori nell’effettuazione dell’esercizio, portavano gli allenatori ad assegnare
severe pene corporali agli atleti caduti in errore.
Purtroppo, anche al di qua della cosiddetta “cortina di ferro”, nei paesi
occidentali, tra gli ’70 e ’80 l’assunzione di ormoni e anabolizzanti si era diffusa
al punto da diventare un “tratto culturale” di molti sportivi, specialmente tra i
5
Cfr. RUSSO P., Sport e Società, Carocci, Roma, 2004 (pp. 110).
76
cultori del body-building dove si configurava come una sorta di rito obbligato;
anche la metà dei giocatori del football americano ammise di fare uso regolare di
anfetamine e anabolizzanti; e alle Olimpiadi di Seul del 1988 il corridore
centometrista Ben Johnson, che realizzò il record mondiale poi non ufficializzato,
fu trovato positivo alla ricerca di sostanze anabolizzanti. Si era così affermata
l’epoca dei più diversi ed eterogenei anabolizzanti ed ormoni, di facile
reperimento e assunzione.
Mentre gli anabolizzanti venivano utilizzati per aumentare la massa
muscolare, negli sport di resistenza ci si rivolse a sostanze e a metodiche capaci di
influenzare la durata dello sforzo, intervenendo soprattutto sulla massa sanguigna.
Accadde così che tra i fondisti dello sci, dell’atletica e tra i ciclisti si diffuse la
pratica dell’auto-emotrasfusione, consistente in un abbondante prelievo di sangue
a distanza dalla gara con successiva manipolazione della parte corpuscolare e
reintroduzione nello stesso atleta alla vigilia della prestazione sportiva; ciò
determinava un aumento dei globuli rossi circolanti (che trasportano ossigeno)
con un conseguente beneficio ed incremento della massima potenza aerobica. La
pratica si rivelò molto pericolosa e nel 1985, quando ormai si era prossimi alla
definizione dell’EPO, che presenta simili caratteristiche, fu messa al bando.
Le pratiche sperimentate ed applicate precedentemente, attraverso quel che
abbiamo definito “doping di stato”, nei paesi del blocco sovietico, con il crollo del
muro di Berlino e quanto ne conseguì, travalicarono ogni confine nazionale e
diedero un ottimale impulso alla ricerca del settore pro-doping soprattutto negli
Stati Uniti che, con lo sfaldamento dell’Unione Sovietica e del blocco ad esso
connesso, divennero i leader incontrastati agli occhi della platea olimpica.
77
Si giunse poi nel 1998 allo scandalo del Tour de France, quando per utilizzo
di EPO venne squalificata un’intera squadra di ciclismo (la Festina)
6
.
Successivamente la bufera raggiunse a più riprese anche il Giro d’Italia. Famosa,
a tal proposito, l’esclusione del corridore Marco Pantani che alla vigilia della
passerella milanese (ultima tappa della carovana rosa) si vide escluso dal Giro
d’Italia del 1999, quando ormai l’aveva vinto, per “precauzione nei confronti
della salute dell’atleta”
7
, presentava infatti, ad un controllo anti-doping di routine,
un ematocrito superiore alla percentuale consentita (≤ 50%) e da qui si suppose
che anch’egli facesse uso di EPO. Vero o no, era solo l’ennesimo episodio di
quella classica punta d’iceberg che nascondeva un mondo oscuro e ben più
corrotto di quanto si potesse immaginare
8
.
Da allora i casi divennero sempre più frequenti. Si ebbe una distribuzione
dei casi di doping in modo orizzontale quasi omogeneo tra le diverse discipline
dello sport di vertice (con una prevalenza per gli sport di resistenza); ma
soprattutto si ebbe una nuova preoccupante tendenza che distribuì i casi di doping
verticalmente fino alle sfere minori dello sport e addirittura alla sfera amatoriale.
Ciò è imputabile a quell’edonismo sportivo dei primi anni ’90 che portò ad
enfatizzare gli aspetti estetici degli atleti favorendo l’affermazione di canoni fisici
di muscolarità; successe così che nelle palestre di tutto l’occidente si trovassero
preparatori senza scrupoli pronti ad offrire, a chiunque lo volesse, facili ricette e
mezzi più o meno consentiti per abbreviare i percorsi della fatica e per essere in
linea con le mode, al punto che l’uso delle sostanze dopanti in questi ambienti
6
Cfr., VOET W., Massacro alla catena, Bradipolibri, 2002.
7
Vedi (www.federciclismo.it).
8
Cfr. AIELLO M., Viaggio nello sport attraverso i secoli, Le Monnier, Firenze, 2004 (pp. 306
ss.).
78
superò di gran lunga l’incidenza delle pratiche di doping degli ambienti sportivi di
alto livello.
Con la commercializzazione dell’ormone della crescita (il GH), che presto
venne considerato dagli inesperti la panacea adatta ad ogni bisogno e scopo, lo
sport amatoriale fu travolto in una spirale consumistica di doping e ciò fu anche
dovuto alle formidabili abilità di convincimento degli spacciatori che spinsero al
consumo una moltitudine di individui sorretti dal motto “tanto non fa male”.
Oggi, il fenomeno del doping nel campo delle attività motorie e sportive
rappresenta una delle più importanti e attuali emergenze direttamente legate al
tema della “tutela della salute”. La spinta data dalla ricerca medico-farmacologica
ha fatto si che: “ormai, si sia di fronte addirittura a sostanze che vengono create
appositamente e che quindi non sono riconoscibili neanche nei controlli
antidoping d’avanguardia. Quindi, ci troviamo ormai di fronte, non vorrei dire
all’ultima fase, perché l’ultima potrebbe essere il ‘doping genetico’, ancora più
mostruoso, ma ad una fase già incontrollabile […]”
9
.
La sua crescente diffusione non soltanto all’interno del mondo
professionistico, ma soprattutto all’interno della componente dilettantistica
(semiprofessionistica) ed amatoriale costituisce un segnale allarmante che non
coinvolge unicamente l’intervento di un singolo stato bensì si riflette all’interno
dell’intera comunità internazionale i cui moderni sistemi di controllo anti-doping
sono stati messi in difficoltà dal livello di sofisticatezza raggiunto dai preparati,
dalle legislazioni non omogenee tra gli stati e dalle discordanze di applicazione
delle stesse tra le diverse federazioni sportive. Questo ha dato al fenomeno la
possibilità di attecchire socialmente e subire una globalizzazione che ha indotto la
9
Dichiarazione del Prof. Sandro Donati (Sez. di Metodologia dell’allenamento del CONI),
RaiDue, TG2, del 16/02/04
79
crescita di un business criminale miliardario e pericolosissimo: “il doping esiste
nel mondo sportivo di alto livello ed è ormai talmente diffuso da assumere le
dimensioni di un vero dramma sociale pure tra i praticanti più giovani”
10
.
Solo in quest’ottica, si tratta di un problema dei giorni nostri poiché, come si
è visto, da sempre si è cercato di individuare sistemi più o meno naturali di
incremento della qualità della prestazione fisica, che ha assunto nella società
moderna risvolti estremamente preoccupanti. La sua crescita esponenziale, diffusa
equamente all’interno di ogni fascia di popolazione, non incontra ostacoli siano
essi rappresentati dall’età, dalla razza, dalla religione, dalla condizione sociale,
economica e culturale. Problema tipicamente legato alla realtà della società
attuale
11
, società andatasi connotando con taluni precisi caratteri: la competizione,
l’apparenza, l’incoscienza e la solitudine.
In pari tempo, una condizione di ricercato o raggiunto benessere, spesso più
effimero che reale, non costituisce più un deterrente, bensì contribuisce ad andare
oltre facendo perdere equilibrio, maturità e consapevolezza dei propri limiti.
Tali elementi, passioni e spinte sociali hanno portato ad una notevolissima
espansione del fenomeno del doping anche in Italia, ove esso ha avuto un forte
impatto sulla pubblica opinione, in considerazione dell’interesse che i mezzi di
comunicazione di massa del nostro paese hanno dimostrato nel seguire gli
sviluppi e le vicende più delicate legate all’uso di sostanze dopanti da parte di
atleti nazionali e spesso alle morti di alcuni di essi.
Ancora più preoccupante, sull’onda travolgente degli anni ’90, appare oggi
la situazione dei settori sportivi amatoriali e delle palestre dove si pratica body-
10
Cit. Convegno del Ministero della Sanità, “La tutela della salute nelle attività sportive e la lotta
contro il doping”, gennaio 2004.
11
Cfr. ALBORESI A., Tutela sanitaria delle attività sportive, in Rivista di Diritto Sportivo, 1971
(pp. 385).
80
building e fitness, dove diverse forme di monitoraggio ed indagine, seppure
approssimative, hanno dimostrato, in linea con la tendenza della maggior parte dei
paesi occidentali, un crescente orientamento all’assunzione di sostanze dopanti da
parte di giovani atleti e comuni individui, disposti a sacrificare incoscientemente
la propria salute ed a rinunciare al proprio impegno pur di raggiungere l’obiettivo
prefissato
12
. Si è stimato che in Italia siano almeno 400.000 gli individui che ogni
anno assumono regolarmente sostanze dopanti, con un giro d’affari (stimato molto
probabilmente per difetto), ottimamente supportato dalle varie organizzazioni
criminali nazionali ed internazionali, di circa 650.000.000 di euro
(approssimativamente 1.200.000.000.000 delle vecchie lire), anche solo per una
corsa amatoriale o un bicipite più grosso
13
.
È un circo che divora i suoi acrobati. Un circo che quotidianamente propone
soggetti invincibili, capaci di superare ogni difficoltà, pieni di soldi, di successo.
Poi però il circo li divora e nonostante tutto, continua a dare spettacolo!
12
Cfr. BOTTARI C., La tutela della salute nelle attività motorie e sportive: doping e
problematiche giuridiche, Maggioli Editore, Bologna, 2004, (pp. 15 ss.).
13
Fonte ufficiale, Associazione antimafia “Libera” di Don Luigi Ciotti, stime per il 2004, vedi
(www.libera.it).