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ad una riappropriazione soggettiva, all’adattamento sociale, al reinserimento,
all’entropatia.
L’intervento educativo ed anche psicologico sono volti ad ampliare l’orizzonte
qualitativo del mondo relazionale del ragazzo, al fine di costruire condizioni di
ripensamento della realtà, con l’obiettivo di rieducare e condurre all’ottimismo
esistenziale e colmare le carenze con pratiche di restituzione, come attraverso
l’educazione al bello, al difficile, all’impegno, al senso di responsabilità.
All’interno del libro “Fare male, farsi male” vengono testimoniati tre livelli
importanti su cui opera l’istituto di analisi dei codici affettivi “Il Minotauro” di
Milano: il livello della formazione ereditato da Franco Fornari che lasciò ai suoi
allievi il compito di portare un’ottica psicanalitica al di fuori del setting, ma di
utilizzare la teoria psicanalitica dei codici affettivi nei contesti gruppali ed
istituzionali. Questa è l’anima originaria del Minotauro, nato intorno al 1985, con
l’obiettivo di cimentarsi in progetti più ampi ed in qualche modo di portare il
soccorso, la consolazione e la comprensione che la figura psicanalitica può dare, in
un ambito culturale più ampio e non prettamente duale e clinico.
In questo libro è testimoniata una forte propensione del centro “Il Minotauro”, a fare
ricerca di base, anche spesso su vari argomenti su cui non è stato scritto nulla e su cui
non si ha un confronto bibliografico di supporto. Questa passione per la ricerca si è
attivata per partire dalla formazione: non si può praticare formazione se non si
conosce il gruppo, l’istituzione, il problema di cui si tratta. Quindi la ricerca è a
sostegno del lavoro istituzionale, ma essa ha assunto anche un significato diverso, di
sostegno alla clinica. In un’ottica psicanalitica classica, quando si tratta di
adolescenza, si considera la riedizione di tematiche critiche della prima infanzia. In
questo senso si reperiscono dei meccanismi così originari e così antichi in qualche
modo fondanti la concezione e costruzione stessa del soggetto infantile, che se si
rivede l’adolescenza come riedizione, non è così importante conoscerla nella propria
fenomenologia attuale, perché se i meccanismi osservabili sono relativamente
invarianti, riguardando la psiche profonda, in un certo senso si può credere, nella
ricerca, all’interno del setting psicoanalitico, di conoscere già ciò che non si conosce,
in quanto nei soggetti analizzati si ritroveranno dispositivi affettivi, modalità di
ripetizione, comportamenti relativi alle difficoltà nel rapporto con le figure primarie
di riferimento. “Il Minotauro” non crede, al contrario, nelle riedizioni. Charmet in un
altro testo corale pubblicato nel 1990 “L’adolescente nella società senza padri”,
nell’introduzione vira decisamente con il discorso verso la clinica, trattando di blocco
dei compiti evolutivi e soprattutto di futuro e non di passato, come regista
dell’evoluzione adolescenziale. Forse lo stesso gruppo de “Il Minotauro” non ha
ancora integrato del tutto le potenzialità di queste affermazioni blasfeme, perché in
ambito psicoanalitico prendere in considerazione il futuro come regista, colloca in
una condizione difficile e critica in cui è rischioso permanere. I consulenti e gli
operatori de “Il Minotauro”, partendo da questi presupposti, sono riusciti ad ampliare
le prospettive come nuova forma mentis ed ulteriori conoscenze. La comprensione e
la visione del futuro, passa attraverso una competenza anche fenomenologica, per cui
risulta indispensabile conoscere le culture adolescenziali, come si declinano
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attualmente le rappresentazioni del sé degli adolescenti, attraverso quali mode e
modalità. Quando di fronte ad un taglio clinico che presenta un nuovo problema, la
mente del gruppo, spesso si attiva, iniziando una ricerca, il nuovo paziente può porre
un ulteriore quesito. Con la clinica classica si potrebbe comprendere , capire e
analizzare quel paziente, svelando le regole di appartenenza ad un determinato
contesto sociale o ad un certo carattere culturale. La consultazione psicologica
sembra l’unica all’interno della quale vaste aree di adolescenti possono transitare
utilmente, essendo la psicoterapia dedicata ad una fetta marginale di adolescenti,
tendenzialmente molto evoluti, e di condizioni particolari.
Una conoscenza preliminare di affetti sociologici, di rappresentazioni culturali
tramite cui gli adolescenti esprimono il loro disagio e l’identità confusa, è un
passaggio davvero cruciale e fondamentale.
In questo testo, rispetto ad altri libri corali pubblicati, si avverte una presa di distanza
nel modo tradizionale di fare clinica, in particolare riguardante ragazzi con maggiore
difficoltà di simbolizzazione. Forse si tratta proprio di una clinica che consente di
operare in generale con gli adolescenti tramite un modello analitico che può dare un
contributo anche ad altre fasce d’età.
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ADATTAMENTO APPRENDITIVO
La dimensione cognitiva nel processo percettivo
Elaborato di ricerca
su parte del saggio di R. Canestrari, Psicologia generale e dello Sviluppo, Bologna
La percezione è un processo mediante cui traiamo informazioni sul mondo in cui
viviamo. L’atto percettivo può essere primitivo e immediato (non intellettuale),
oggettivo (legato a condizioni esterne al percipiente), globale e unitario. Esistono
situazioni in cui le realtà fisiche (suoni, vibrazioni) non hanno il loro corrispondente
percettivo in situazioni di assenza fenomenica di realtà fisiche senza percezione. Le
nostre possibilità percettive non sono in grado di cogliere tutta la gamma di onde
elettromagnetiche, o ultrasuoni oppure lo spettro visibile dai 400 ai 700 millimicron.
Esistono situazioni in cui in assenza di realtà fisica avviene la percezione in situazioni
di presenza fenomenica, per esempio il silenzio e il buio sono sensazioni che
percepiamo diverse dalle realtà fisiche.
Come si ricostituisce a livello fenomenico l’unità dell’oggetto fisico?
Wertheimer mostra i principali fattori di campo percettivo: vicinanza, somiglianza,
continuità di direzione, esperienza passata.
Come l’identità, la grandezza, la forma di un oggetto possono rimanere invariate
anche quando la proiezione retinica dell’oggetto varia al variare dei rapporti spaziali?
La grandezza dell’immagine retinica è sempre uguale, varia solo la distanza tra
occhio e oggetto.
Perché percepiamo il mondo tridimensionalmente quando sulla retina l’immagine è
piatta?
Perché percepiamo gli indizi di profondità fisiologici (meccanismi oculari),
psicologici (indizi pittorici) nella sovrapposizione di luci e ombre in prospettiva aerea
o lineare.
La psicologia associazionistica sostiene che riusciamo a cogliere l’espressività dei
comportamenti altrui tramite il confronto con il nostro comportamento quando ci
troviamo nello stesso stato d’animo dell’altro (empatia). Ma se la percezione delle
qualità espressive è vera, possiamo cogliere nel prossimo solo i comportamenti e i
sentimenti da noi esperiti. La psicologia dice che la comprensione dell’espressione è
un fatto percettivo primario perché basato sulla struttura-evento e non
sull’apprendimento.
Esistono meccanismi che trasformano i passaggi fisici del tempo, in segnali
sensoriali. L’uomo è capace di orientarsi temporalmente secondo percezione e
prospettiva temporale. Questo è il vissuto psicologico della persona che può avere
rappresentazioni del passato e del futuro, vivendo nel presente in cui le
rappresentazioni temporali dirigono il suo comportamento.
Esistono fattori innati o appresi. La percezione è innata. Il bambino distingue colori,
forme diverse, profondità, toni diversi per cui la pratica e l’esperienza dei vissuti
influiscono la percezione.
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L’apprendimento
Il meccanismo che permette all’individuo di adattarsi alle molteplici richieste
dell’ambiente, presenta diverse tipologie.
Condizionamento classico stimolo-risposta
La nutrizione del neonato è una catena di azioni in cui non vi sono elementi appresi
perché l’azione è attivata da uno stimolo di contatto. Dopo alcune settimane il
comportamento del bambino non è più un riflesso istintivo in quanto egli apprende a
succhiare e anche a nutrirsi. Accanto al meccanismo innato subentra quello derivato.
Pavlov è il primo a studiare la genesi dei meccanismi derivati. Scopre che le
ghiandole salivari dei cani entrano in funzione non solo per ingestione di cibo con
stimolo incondizionato, ma per il suono di un campanello e l'accensione della luce
come stimoli condizionati. Le connessioni tra stimolo e risposta sono riflessi
condizionati. Le reazioni condizionate sono divise in acquisite, che si stabiliscono
dopo l’addestramento e quelle naturali che si attuano in modo spontaneo. In assenza
di stimoli le relative reazioni condizionate cessano.
Condizionamento operante
Esistono molteplici forme di adattamento all’ambiente: sono attività spontanee
dell’organismo che entra in interazione con molti stimoli. Skinner perfeziona con
molti esperimenti la sua teoria. La Skinner Box è una gabbia fornita di una leva che
fa cadere il cibo a seconda della pressione che esercita l’animale che viene premiato
con questo. Così avviene il rinforzo che può essere positivo (premio) e negativo
(punizione).
Apprendimento verbale
Erbinghaus attua le prime ricerche sull’apprendimento verbale. In base a gruppi di
sillabe senza significato, con lettere e numeri, il criterio di apprendimento era
raggiunto quando ogni elemento della lista permetteva di evocare l’elemento
successivo.
Apprendimento cognitivo
Secondo Tolman il comportamento è guidato dalle aspettative originate dalle
esperienze già fatte.
La memoria
La memoria è una struttura psichica che organizza l’aspetto temporale del
comportamento. L’evento passato lascia una traccia che influenza l’evento
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successivo. Lo studio della memoria concerne nell’osservazione di come le tracce
degli eventi si organizzano, nella fissazione o apprendimento, nella ritenzione e nel
ricordo in cui si vede cosa il soggetto ha ritenuto e come..
Modelli generali della memoria
Il modello associativo è il più antico per spiegare il funzionamento della memoria. Si
caratterizza per il fatto di poter descrivere le relazioni associative tra le informazioni
in memoria.
Il modello stimolo-risposta si richiama alle teorie comportamentiste che si basano
sulla connessione tra stimolazione ambientale e risposta comportamentale.
Il modello HIP (Human Information Processing) si propone di considerare l’uomo
che opera sull’informazione esterna codificandola e distingue due tipi di memoria,
memoria a breve termine STM e memoria a lungo termine LTM.
Il modello costruttivistico pone l’accento sul ruolo determinante delle operazioni
compiute dal soggetto. La memoria è un insieme di processi che selezionano,
organizzano e rielaborano informazioni esterne, per cui l’organizzazione
dell’informazione è soggettiva, dipende dall’individuo.
Nel modello pluricomponenti la memoria non conserva uno stimolo in una sola
maniera, ma sotto forma di diverse componenti. Esistono due sistemi di codifica degli
stimoli, il sistema verbale e il sistema per immagini. Se lo stimolo è la figura di un
oggetto, il soggetto lo codifica con sistema per immagini.
Elaborazione delle informazioni in memoria
Nella struttura della memoria, in tutti i modelli è presente la distinzione per fasi
nell’elaborazione delle informazioni. Lo stimolo esterno al soggetto può essere
rappresentato da una frase descritta sotto forma di onda sonora. La trasduzione
sensoriale avviene quando la frase è un evento fisico per il soggetto per cui le onde
sonore vengono convertite in impulsi elaborati dal sistema nervoso centrale. Il
registro sensoriale è il magazzino dell’informazione in cui il soggetto conserva lo
stimolo per poco tempo. E’ una memoria immediata che conserva informazioni in
submagazzini, quali la memoria ecoica (conserva informazioni sensoriali) e la
memoria iconica (informazioni visive). Il riconoscimento percettivo permette di
attribuire significato allo stimolo registrato. La memoria a breve termine STM
conserva l’informazione a breve tempo in un magazzino cerebrale. Così ogni nuovo
elemento immesso potrebbe essere dimenticato, ma sottoposto a un processo di
reiterazione, passa dalla memoria primaria alla secondaria. Con la memoria a lungo
termine LTM l’informazione elaborata nella STM è conservata per tempi più lunghi.
Sono diversi i fattori che contrastano la ritenzione mnestica. Le cause dell'oblio
risiedono nelle interferenze che scaturiscono dal materiale da apprendere e dalle
attività realizzate prima o dopo la fissazione. La ritenzione mnestica è migliore
durante il sonno quando il livello di attività generale è più basso.
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LE TEORIE DELLO SVILUPPO
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Alla fine dell’800, Hall intuisce che il mondo mentale del bambino si discosta
totalmente dalla struttura psichica adulta. Durante gli anni ’80 del ‘900 nasce la
psicologia del ciclo di vita, secondo cui si deve considerare il soggetto in tutto l’arco
dell’esistenza. Negli anni ’40 Piaget diviene il teorico della psicologia dello sviluppo
cognitivo, seguendo un’impostazione biologico-genetica che si differenzia da
Vygotskij. L’intelletto –secondo la teoria piagetiana- rende possibili sequenze di
adattamento nei bambini, tramite l’assimilazione e l’accomodamento di schemi
mentali cognitivi.
Piaget diviene il teorico della teoria stadiale dello sviluppo cognitivo. Gli stadi sono:
-sensomotorio (caratterizzato dall’interazione con l’ambiente e dalla creazione di
rappresentazioni simboliche. Il pensiero è egocentrico caratterizzato da animismo,
realismo e finalismo.
-concettuale (preoperatorio, preconcettuale con rappresentazioni interne e gioco
simbolico)
intuitivo (operazioni mentali, operazioni concrete, operazioni formali) Il bambino con
la rappresentazione mentale dell’oggetto supera l’egocentrismo.
Vygotskij si discosta da Piaget perché non si riferisce ad un modello stadiale, ma
ammette anche involuzioni. Le funzioni psichiche dipendono da fattori socioculturali
in cui cresce il bambino. La relazione parte dal primario rapporto con la madre, per
cui si supera la fase dell’egocentrismo.
Bowlby elabora la teoria dell’attaccamento, per cui sono importanti i primi legami
affettivi nell’acquisizione del comportamento sociale e dell’adattamento nel bambino.
Negli anni ’50 Bruner conosce Piaget e Vygotskij. La percezione non consiste in una
risposta a uno stimolo, ma è un processo interno influenzato da valori, motivazioni,
credenze personali. L’uomo possiede intenzioni e aspettative nei confronti della
realtà. L’elaborazione di informazioni presuppone una categoria, inferendola dalla
realtà. Da dove viene questa capacità? Dalla svolta narrativa. Il pensiero narrativo,
che si differenzia da quello paradigmatico, permette di vivere i rapporti
interindividuali tramite la comunicazione sociale. La narrazione consiste nella
capacità di attribuire senso e significato alla realtà.
La psicologia dello sviluppo che si è venuta a determinare negli ultimi decenni, prima
era connotata come psicologia dell’età evolutiva (evoluzione, stabilità, involuzione)
per cui il bambino era considerato come l’adulto imperfetto. Così, attualmente, l’età
adulta non è stabile ma subentrano continui cambiamenti ed involuzioni nel processo
di crescita, quindi lo sviluppo avviene in un lasso di tempo maggiore.
Con la progressione delle scienze umane, si sviluppano modelli deterministici
unicausali, per cui si individuano le cause comportamentali nell’ambiente o in fattori
biologici, si determina la corrente del comportamentismo basata sul modello stimolo-
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Articolo tratto dal corso di Psicologia dello Sviluppo – Prof.ssa C. Antoniotti, Università degli studi di Milano
Bicocca.
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risposta e le teorie psicanalitiche fondate sul determinismo psichico, in quanto il
comportamento deriva dalla pulsione istintiva.
I modelli probabilistici multicausali affrontano la visione sistemica delle variabili nel
tempo e la visione dinamica dell’evoluzione di sé nel tempo.
Il modello probabilistico olistico, con l’interazione costruttivista, mutuata dalla
psicanalisi contemporanea, individua nella relazione individuo e ambiente un sistema
integrato e dinamico. Si determina così lo studio della complessità della situazione e
dell’individuo in interazione con l’esosistema e non più isolato.
Lo sviluppo cognitivo è la modalità con cui il bambino conosce e percepisce il
mondo e la realtà. Si individuano 6 riflessi neonatali che scompaiono con la crescita:
-rotazione del capo
-suzione dito
-marcia automatica
-abbraccio virtuale
-ritrazione dita del piede
La Gestalt, corrente psicologica fondata da Wertheimer, spiega la percezione come
modalità che viene prima dell’esperienza. La teoria comportamentista di Skinner,
negli anni 30 negli Stati Uniti, sosteneva che determinati rinforzi potevano sviluppare
il linguaggio del bambino che era imitazione del linguaggio dell’adulto. A questa
teoria si contrappone Chomsky per cui l’espressione vocale e poi verbale è un sistema
complesso appreso tramite un dispositivo innato, ossia il language acquisition device,
grazie a cui il bambino diviene in grado di padroneggiare gli enunciati. Il linguaggio
è un processo attivo e creativo secondo Chomsky e non imitazione come per Skinner.
Lo sviluppo delle emozioni è parallelo allo sviluppo sociale e cognitivo. La teoria
dell’attaccamento esplicita un sistema motivazionale di interazione tra individui in un
contesto ambientale, mediante stimoli, segnali e scatenatori sociali. La motivazione
parte da uno stato interno all’organismo di carattere
-biologico
-emotivo
-cognitivo
La motivazione è la guida dei comportamenti complessi finalizzati ad una meta, per
esempio, tra le motivazioni primarie vi è l’alimentazione, il riposo, la sessualità,
mentre fra i sistemi motivazionali complessi elenchiamo l’accudimento, l’agonismo,
la cooperazione.
L’attaccamento che appartiene ai sistemi motivazionali complessi, è la relazione con
una figura significativa di riferimento che presiede all’accudimento. Secondo Freud
l’affetto del bambino per la madre rientra in una motivazione secondaria perché la
figura genitoriale provvede ai bisogni fisiologici. Bowlby ritiene che l’attaccamento
avviene per una motivazione intrinseca e implicita, ossia la necessità del contatto.
L’attaccamento si manifesta in base ad un processo omeostatico con l’ambiente. Il
bambino quando avverte un pericolo esterno, immediatamente, per istinto, cerca la
madre. Le caratteristiche dell’attaccamento sono:
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-sicuro
-evitante
-resistente
-disorientante
L’indice di un attaccamento sicuro consiste nell’accentuata ansia di separazione e nel
conforto della madre. Quando il bambino cresce l’attaccamento non dipende più dalla
distanza fisica, ma dalle qualità astratte interiorizzate, nel rapporto primario. Le
rappresentazioni interne di relazione, sono i modelli operativi interni che influenzano
nuove esperienze e strutturano la personalità.
Lo stile di attaccamento è influenzato dal tipo di relazione che da bambina la madre
ha instaurato con i propri genitori.
Lo sviluppo sociale è un processo di cambiamento della relazione in tre principali
contesti:
-convenzionale
-storico
-biologico
-sociale
e si suddivide in:
-età prescolare, la vita sociale si svolge nella scuola dell’infanzia
-età scolare, in cui si svilppano progressi sociocognitivi
-età preadolescenziale, la conflittualità in famiglia porta alla gruppalità. Si
manifestano comportamenti a rischio con conseguenti crisi d’identità
-fase adulta, il lavoro occupa un ruolo importante nell’equilibrio dell’identità. Si
sperimenta la separazione dal nucleo famigliare ed il continuum apicale della
generatività.
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ADOLESCENZA STUPEFACENTE.
I giovani e le droghe
Elaborato dell’incontro con Alfio Maggiolini ed Elena Rosci del ciclo
IL DISAGIO INVISIBILE presso LA CASA DELLA CULTURA di Milano- novembre
2004
Il problema “droga” riguarda una certa invisibilità dove si determina e si manifesta
l’assenza di regolamenti specifici su come la scuola deve agire e comportarsi per
intervenire circa la questione spinelli e droghe. L’assenza di una regolamentazione di
questo tipo significa che persiste la mancanza di cultura, di modi di ragionare e di
porsi, su come affrontare la situazione “droga” tra i giovani. Gli insegnanti tendono a
vedere determinate condizioni e situazioni in modo abbastanza condiviso, ad
esempio, per quanto riguarda il problema spinelli: la questione va trattata all’interno
dell’interazione e relazione educativa dell’intervento pedagogico, mentre la famiglia
va convocata in un secondo tempo, come se il primo passo fosse un trattamento della
questione all’interno della relazione educativa con lo studente, che agisce un
atteggiamento generale riguardante una “scarsa motivazione”. Il trattamento
educativo dovrebbe essere regolato tramite un attento controllo, se la scuola tiene
presente che la questione va trattata anche con l’aumento della prevenzione,
probabilmente si otterrebbero dei risultati motivanti anche indipendentemente da
denunce, da sanzioni, da multe. Le risposte dei ragazzi rispetto a quali provvedimenti
adottare sono orientate verso la dimensione sanzionatoria che gli insegnanti
esercitano meno, privilegiando appunto l’intervento educativo. I ragazzi sono sempre
più rigidi quando si ragiona sulle trasgressioni e si pongono dal punto di vista di chi
deve intervenire. Tutti manifestano l’idea che l’intervento della denuncia, delle forze
dell’ordine, sia qualcosa che viola la cittadella della scuola e la preziosità della
relazione educativa. Spesso l’idea di ricorrere alla denuncia concerne gli spacciatori
esterni, fuori dalle mura della scuola e dall’alveo della famiglia. Questo orientamento
si scontra con questioni legali molto complesse sul consumo e lo spaccio di droghe.
Nell’ambito dell’argomento della visibilità o invisibilità, della comunicazione o non
comunicazione, su queste problematiche sussistono molte riflessioni, ma il problema
consiste nel confrontarsi vicendevolmente. I ragazzi producono rappresentazione e
idee sempre in movimento rispetto alla cultura delle droghe che risale agli anni ’70.
Nella transizione adolescenziale le sostanze possono costituire una prima esperienza
che ad un’età più avanzata può portare al consumo di sostanze più gravi e mortali. I
fattori motivazionali che determinano la scelta delle varie sostanze sono differenti.
Quando pensiamo all’uso in adolescenza di sostanze, siamo culturalmente invasi da
uno stato d’allarme e di ansia perché la nostra cultura ha recepito il fatto che nell’arco
degli ultimi venti anni, l’utilizzo delle sostanze in adolescenza è aumentato in modo
molto consistente. Questo tipo di allarme che compare spesso sulla stampa, nei testi
divulgativi, tra le conversazioni, non produce una vera conoscenza del fenomeno.
Affermare che l’uso di sostanze in adolescenza è aumentato in modo vertiginoso, non
significa sapere molto su qual è la relazione fra gli adolescenti e l’assunzione di
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sostanze. Da un lato l’utilizzo della cannabis è davvero diffusissimo, dall’altro la
relazione tra l’adolescenza e queste droghe può essere di tipi diversi. L’uso di
sostanze in adolescenza non è dipendente, ma nel corso evolutivo giovanile sono
presenti degli stili di utilizzo delle sostanze tra cui l’assunzione dipendente risulta
assente. L’uso di sostanze di tipo dipendente si presenta maggiormente nella fascia
d’età giovane-adulta ossia dai 20 ai 30 anni. D’altra parte è vero che le sostanze
illegali subiscono un andamento di utilizzo che presenta il suo apice tra i 20 e i 30
anni e poi decade drasticamente. Mentre le sostanze legali come alcool, nicotina e
psicofarmaci sono droghe dell’età adulta, ossia permangono nell’utilizzo per tutto il
corso della vita. Nell’universo dell’assunzione di sostanze sussiste una gamma di
vicinanza alle droghe che va da un contatto episodico, sporadico, di poco peso, in
modo progressivo, differenziato, fino ad un utilizzo molto critico che riguarda un
numero di soggetti limitato, prefigurando una situazione per cui nel corso della prima
adolescenza l’uso più frequente è di tipo esperienziale, ossia il contatto con la
sostanza riguarda la possibilità di praticare nuove esperienze in tutti gli ambiti della
vita tramite l’evasione e le trasgressioni. L’utilizzo della cannabis, insieme all’alcool
e alla nicotina, sono talmente diffuse tra i giovani anche se spesso in forme appunto
non gravi, così da diventare degli elementi della costruzione dell’identità giovanile.
L’estrema diffusione di queste sostanze fa diventare le droghe psicoattive appunto,
uno dei tanti elementi su cui ogni adolescente si confronta. Nella generazione degli
anni 70 un ragazzo che voleva fare uso di cannabis doveva cercarla attivamente con
una forte motivazione per reperire un gruppo adatto con cui condividere l’esperienza
e naturalmente uno spacciatore. Invece ai ragazzi di oggi questo tipo di
sperimentazione avviene in modo facilitato perché sempre nella loro cerchia amicale,
scolastica e sociale possono accedere a queste sostanze senza dover fare scelte molto
motivate e drastiche. E’ più difficile per gli adolescenti dover decidere di non provare
l’esperienza, piuttosto che accettarla, perché provare la cannabis è un rituale assai
diffuso. I soggetti impulsivi, poco riflessivi, con scarsi supporti famigliari possono
avere più occasioni e possibilità di scadere nella devianza con l'utilizzo di sostanze
come esperienza fondamentale nella propria vita, ma se si osserva il fenomeno in
un’ottica clinica, la discriminante principale tra un utilizzo sporadico, blando,
occasionale, che si potrebbe definire come non significativo, e un utilizzo
problematico, frequente che può mettere in difficoltà un soggetto, riguarda
essenzialmente la questione della decisione di una strategia d’azione per cui la
sostanza con effetto psicoattivo viene a far parte di una forma di cura di sé che
permette di integrare il principio psicoattivo nella propria vita, quasi come se si
assumesse uno psicofarmaco. Questo elemento di cura di sé prevede una certa
frequenza e assiduità nell’assunzione. Il giovane senza un uso continuativo e
consistente non muta il suo equilibrio fisico e psichico, ma trasforma solo la propria
immagine sociale. Si intende per cura di sé un palliativo alla difficoltà di tollerare
l’ansia e i pensieri turbolenti del processo di crescita, nell’ambito di un senso di
fragilità e vulnerabilità della propria immagine interna che genera il dolore mentale
della percezione di sé come personaggio incerto, instabile, insicuro in continua
transizione.
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AUTOBIOGRAFIA PER ACCOMUNARE CULTURE E SUBCULTURE
DIFFERENTI.
LA COMPLESSITA’ INTROSPETTIVA
Spazi e tempi di racconti in evoluzioni narrative.
Le trame della narrazione.
L’approccio biografico, in ambito sociologico, rimanda come scenario all’America
degli anni ’20 e ‘30 con la Scuola di Chicago, la cui prassi veniva espletata tramite la
raccolta di autobiografie relative al disagio urbano, con lo scopo di mettere in
comunicazione culture e subculture diverse. La ricerca è supportata da interviste,
testimonianze, schede autobiografiche. L’utilizzo delle storie di vita si trasforma in
strumento d’indagine e di conoscenza autonomo, in una metodologia qualitativa con
un’autonomia epistemologica di sfida scientifica dell’uso di storie di vita
nell’assegnare alla soggettività un valore di conoscenza.
La narrazione autoriflessiva racconta vicende che si svolgono nella prassi umana. La
vita è praxis di rapporti sociali trasformati in struttura psicologica e narrativa. Il
metodo biografico fa scaturire un’ingente potenzialità relazionale che rivoluziona
l’impostazione tradizionale dell’analisi epistemologica, come l’interazione tra
soggetto e ricercatore che si collocano attivamente nel contesto della ricerca e sono
implicati nel processo riflessivo e metabletico.
L’approccio autobiografico, nell’ambito delle scienze dell’educazione, diviene
strumento di ricerca qualitativa perché si basa sulla soggettività, intesa come unicità e
specificità. Con il pensiero della complessità, supportato dall’epistemologia
sistemica, subentra la “qualità” come categoria significativa nella ricerca del metodo
autobiografico, che diviene esperienza euristica ed insieme ermeneutica, in un
approccio che si configura quale strumento, non solo di ricerca, ma anche di
formazione. L’autoformazione derivante dalle esperienze di vita sono fondamenti del
processo formativo. L’autoriflessione biografica è una modalità di apprendimento
dall’autobiografia, perché permette di riscoprire se stessi tramite l’analisi di aspetti
dell’esperienza troppo spesso relegati all’oblio. La pratica autoformativa del metodo
narrativo costituisce un mezzo di autoriflessione e autoconoscenza quale
ricostruzione e riedificazione della personale identità nella ricerca dei diversi sé del
passato, grazie ad un consapevole ritorno interiore e autoriflessivo, tramite la
narrazione di sé, con la possibilità di attribuire significato anche al presente, di
esplicitare connessioni e rimandi del testo di una vita, per riformulare un progetto di
sé. Il passato del vissuto personale trascorso non è sempre lineare e continuo, ma
frammentario e discontinuo, per cui subentra la necessità di cogliere i nessi di
interdipendenza o connessione, armonizzando la molteplicità dei diversi tempi di
vita. Il sé, la vita, narrati dalla soggettività del narratore si declinano verso la ricerca
di senso e significato nelle esperienze personali esplicate durante il rapporto tra
uditore-ricercatore e soggetto-narratore, impegnati a ricercare un senso e costruire un
significato dell’identità proiettata nelle tracce dei percorsi dell’autobiografia che
permettono di ristrutturare immagini di sé destinate a mutare e formare, in modalità