5
italiano, la formazione di un gruppo armato, col fine di sovvertire lo
Stato liberal-democratico; successivamente esaminiamo le fasi
operative e di espansione attraversate dal gruppo stesso fino al
raggiungimento del culmine della parabola: il sequestro dell’on. Aldo
Moro.
Nella parte centrale, il lavoro si propone di analizzare come,
attraverso le parole di tre grandi organi di comunicazione di massa, sia
andata formandosi, in quell’eccezionale momento istituzionale e
politico, l’opinione pubblica. Verificheremo infatti come, tramite la
lettura di tre testate giornalistiche di rilevante influenza, quali La
Repubblica, Il Corriere della Sera e l’Unità, il pubblico dei lettori,
spettatori del macabro spettacolo messo in scena dalle Br, abbiano
avuto modo non solo di conoscere con esattezza lo svolgersi dei fatti,
quanto di coglierne i retroscena politici.
Esamineremo il sequestro dell’on. Aldo Moro da diversi punti
di vista, quali il delinearsi della linea della fermezza, l’accoglimento
delle missive inviate dalla “prigione del popolo”, la posizione degli
intellettuali ed altri ancora, dimostrando come la stampa abbia avuto
una funzione determinante per la difesa delle istituzioni.
Alla comparazione tra le diverse maniere della stampa italiana
di riflettere le notizie, nella parte finale, osserveremo come all’estero
viene interpretata la lotta armata ed il caso Moro. Preceduto
dall’inquadramento storico e politico del difficile passaggio alla
democrazia compiuto in quegli anni dalla società spagnola,
l’atteggiamento del quotidiano madrileno ABC, infatti, rappresenta un
6
prestigioso termine di paragone per valutare dall’esterno il
giornalismo nostrano.
Alla fine di questo excursus lungo numerosissimi articoli,
opinioni e notizie, crediamo necessario completare il quadro, con il
parere autorevole della persona probabilmente meglio informata su
quel singolare frammento di Storia italiana: il Sen. Giovanni
Pellegrino, ex Presidente della Commissione parlamentare sul
terrorismo e sulle stragi.
7
Colpire il cuore dello Stato
Capitolo 1
8
1.1 Un soggetto nuovo: l’avanguardia clandestina
Se il sequestro dell’on. Aldo Moro per alcuni versi nasconde
ancora dei lati oscuri, o poco chiari, il processo di formazione delle
Brigate rosse appare molto più trasparente e lineare. Un giudizio che
evince dalle dichiarazioni di coloro che hanno contribuito alla nascita
della sigla terroristica, di gran lunga, più longeva e militarmente
importante che la storia nazionale ricordi.
Complesso fenomeno di origine multifattoriale, ai suoi inizi,
incontra un terreno fertile nell’ambiente metropolitano del periodo
post-sessantottino, quando, all’interno della sub-cultura rossa, la
contestazione giovanile prende le forme del ribellismo culturale e del
radicalismo politico. Si sviluppano le circostanze nelle quali hanno la
possibilità di venire a contatto esperienze provenienti da ambienti
diversi e fino ad allora poco inclini all’avvicinamento.
In una sorta di osmosi culturale si verificano passaggi di
tecniche di lotta, come l’assemblea, dal mondo studentesco a quello
operaio, che porta ad una certa solidarietà tra categorie. Gli studenti
affiancano gli operai davanti ai cancelli delle fabbriche e nascono
varie occasioni d’incontro come il Collettivo Politico Metropolitano,
dove trovano spazio, tra gli altri, anche Renato Curcio
1
, la sua
compagna Margherita Cagol
2
e Alberto Franceschini
3
, da più parti
1
Arrestato a Pinerolo l’8 settembre 1974, evade, grazie all’aiuto di un nucleo delle BR, dal carcere
di Casale Monferrato il 18 febbraio 1975. Viene arrestato nuovamente il 18 gennaio ’76.
2
Detta “Mara”, sposata con Curcio nell’estate del ’69, si laurea in Sociologia col professore
Francesco Alberoni. Organizza l’evasione del marito ma muore pochi mesi dopo durante uno
9
indicati come i fondatori delle Brigate rosse. I primi due provengono
dalla facoltà di sociologia di Trento -al centro del movimentismo
studentesco- e il terzo arriva in città dopo aver abbandonato il PCI di
Reggio Emilia.
Il movimento ludico-politico rappresentato dal Collettivo
Metropolitano, nel quale erano confluiti anche alcuni nuclei politici di
fabbrica come i Cub della Pirelli ed i gruppi di studio della Sit-
Siemens e della Ibm, fornisce loro la possibilità di acquisire le
dinamiche proprie del mondo extraparlamentare di Milano e di tessere
una rete di relazioni che li porta anche alla conoscenza di Corrado
Simioni
4
, sospettato di essere il “grande vecchio” del terrorismo ai
tempi del caso Moro.
Dal Collettivo, in un clima in continua evoluzione e
caratterizzato da forti tensioni sociali a causa anche del rinnovo del
contratto dei metalmeccanici, in pochi mesi nasce in una pensione di
Chiavari un gruppo più centralizzato e meno eterogeneo, con un
servizio d’ordine interno: Sinistra Proletaria.
Siamo alla fine del ’69. Sono appena esplose le bombe di piazza
Fontana ed all’interno del movimento il clima è diventato
improvvisamente teso. Per molti, nel gruppo, il momento delle scelte
scontro a fuoco con i Carabinieri alla cascina Spiotta, in seguito al sequestro dell’imprenditore
Gancia.
3
Nato in una famiglia profondamente comunista di reggio Emilia, nel 1962 entra nella Fgci e ne
diviene membro del direttivo. Durante la sua permanenza nel partito, in qualità di responsabile
della Commissione fabbriche, dirige molte lotte negli stabilimenti della sua città. In dissenso con
la linea ufficiale del partito, ne esce nel ’69. Viene arrestato nel 1974 insieme a Curcio a Pinerolo.
4
Di origine veneta, alla fine degli anni ’50 entra nella Gioventù Socialista a Milano, insieme a
Bettino Craxi. Nel ’70 forma un gruppo clandestino chiamato “Superclan”. In seguito lascia
l’Italia per fondare a Pragi un istituto di lingue chiamato Hyperion insieme a compagni del
Superclan.
L’Hyperion viene indicato da vari magistrati impegnati nella lotta al terrorismo, come una centrale
internazionale per il rifornimento di armi ai vari gruppi.
10
arriverà dopo pochi mesi ad un altro convegno, questa volta a
Pecorile, dove si parlerà apertamente di lotta armata e di avanguardie
clandestine.
Comincia così, nell’autunno ’70, un’esperienza che col tempo
diventerà totalizzante per i giovani che immaginano la propria scelta,
quella della “propaganda armata”, come l’unica via praticabile contro
il rifiuto di qualsiasi mutamento sociale che il “blocco del sistema
politico” andava perpetrando
5
.
Come afferma Mario Moretti
6
, che all’attività delle Br
parteciperà dall’inizio, le loro prime azioni non sono così lontane da
quelle più aspre del movimento operaio tradizionale: l’unico elemento
che le rende dirompenti è la rivendicazione . Senza ombra di dubbio, è
questo salto fondamentale che quel gruppo di giovani compie. Il
problema non era l’entità del danno provocato al nemico, ma la nuova
posizione in cui queste azioni li collocavano all’interno dei movimenti
di lotta operai.
L’assunzione di responsabilità, se pur di semplici atti vandalici
quali furono le prime imprese, significa rendere palese la propria
scelta politica: lo scontro come unico strumento di affermazione dei
propri principi.
Si diffondono, quindi, i primi volantini rivendicativi con quello
che da lì a qualche anno diventerà un marchio riconosciuto e temuto:
Brigate rosse.
5
Donatella, Della Porta, Il terrorismo di sinistra, Il Mulino, Bologna, 1990, pag. 53.
6
Nato a porto S.Giorgio, nelle Marche, nel ’67 si trasferisce a Milano per lavoro. Partecipa al Cpm
e guida, in funzione di dirigente, le Br fino al suo arresto, nel 1981.
11
Esistono varie versioni sulla paternità della sigla, ma quello che
coincide nei racconti dei testimoni è la volontà di riferirsi a certi tratti
politici sia nazionali che internazionali, come ad esempio il simbolo -
la stella a cinque punte - che riprende in tutto quella dei guerriglieri
sudamericani Tupamaros
7
, dai quali tra l’altro prenderanno in prestito
anche varie tecniche di clandestinità urbana negli anni a venire. La
parola “brigate”, mutuata invece dal mondo partigiano, doveva
rappresentare un ideale passaggio di consegna, come sarebbe piaciuto
a Franceschini
8
, la materializzazione di un filo rosso tra la vecchia e la
nuova generazione. Per completare il quadro dei riferimenti, infine,
era stato scelto l’aggettivo “rosse”, non solo come colore-simbolo, ma
anche per richiamare l’unico gruppo di guerriglia urbana esistente in
Europa fino ad allora: la tedesca Raf, frazione armata rossa.
Nonostante, quindi, la volontà di legarsi idealmente ad
esperienze passate, i protagonisti della fondazione delle Br elogiano il
proprio tentativo cercando di dare alla lotta dei connotati inediti per
l’ambiente politico-culturale italiano ed europeo, subendone il fascino,
cercano di ricalcare l’impronta dei nuovi movimenti presenti
soprattutto in Sudamerica: i già citati Tupamaros, i Black Panthers, i
rivoluzionari cubani e boliviani, Che Guevara, il Brasile di Marighela.
Gli stessi Curcio e Moretti, nelle interviste rilasciate durante e dopo la
detenzione in carcere
9
, cercano di dare l’idea che l’organizzazione
rappresenti il superamento di certe concezioni care ai gruppi
7
Guerriglieri urbani del Movimento de Liberacìon Nazionale dell’Uruguay, fondato all’inizio
degli anni ’70.
8
Alberto, Franceshini, Mara, Renato e io, Mondatori, Milano, 1988, pag.6.
9
Rispettivamente: Renato, Curcio, a cura di Scialoja, A viso aperto, Mondatori, Milano, 1993,
pag. 60; Mario, Moretti, a cura di Mosca e Rossanda, Brigate rosse: una storia italiana, Baldini e
Castaldi, Milano, 1994. pag. 49 e 50.
12
extraparlamentari come Potere operaio o Lotta Continua, legati ancora
ad una struttura di coordinamento caratterizzata dal “doppio binario”,
una direzione prettamente politica ed un servizio d’ordine più o meno
militarizzato, una sorta di braccio armato in grado di svolgere compiti
su richiesta.
La nuova organizzazione deve fondere il momento politico e
quello militare in un unico organismo decisionale ed operativo, un
nucleo ristretto di uomini responsabili di compiere
contemporaneamente operazioni di lotta armata e lavori di
approfondimento politico, come l’elaborazione dei comunicati
successivi agli attentati. Rivendicano, in poche parole, l’unità politico-
militare sostenendo che i due momenti siano inscindibili e
reciprocamente funzionali.
Nei primi mesi degli ani ’70 la situazione sociale, agli occhi
degli osservatori, appare come un fiume in piena, le agitazioni operaie
sono numerose e spesso raggiungono un alto livello di scontro; i
sindacati, essendo l’unico interlocutore istituzionale, all’interno delle
fabbriche sono forti e ben radicati ma causano il più delle volte
malcontento ed indignazione. Inoltre non manca che è pronto a
migliorare la propria condizione lavorativa “punendo i capetti”, coloro
che controllano la produttività dei manovali cronometrando i lavori.
Ed è in questo contesto -nel crudele fraintendimento del crepuscolo
scambiato per aurora
10
- che cerca di incunearsi e farsi spazio l’opera
dei brigatisti, riscontrando spesso l’accondiscendenza di una certa
classe operaia.
10
Giorgio, Bocca, Noi terroristi, Garzanti, Milano, 1985, pag. 22.
13
Quindi, formato un gruppo ristretto, ma risoluto, di militanti,
scelta la sigla, decisa la forma organizzativa, ed il metodo nuovo di
lotta politica, si cominciano ad individuare gli obiettivi che, per forza
di cose, si trovano all’interno dell’universo capitalistico e di fabbrica.
Ha così avvio quella sorta di propaganda effettuata tramite atti
intimidatori come gli attentati alle auto dei dirigenti e dei capireparto e
tesa non già al proselitismo, ma alla capacità di suggestionare il
movimento operaio, che assicurerà il ricambio generazionale ed una
vasta area di consensi.
Probabilmente la formazione universitaria di Curcio,
particolarmente interessata alle dinamiche sociali, nei primi anni
settanta ha permesso alle Brigate rosse di muoversi agevolmente in
vari ambienti, rappresentando un punto di vista alternativo in realtà
disagiate, senza mai avvertire la sensazione del terreno bruciato
attorno. A questo fine l’anima “movimentista” dell’organizzazione
impianta radici nelle zone alla periferia di Milano, combatte la
presenza dei “neri”, cavalca la lotta popolare per l’occupazione delle
case, tanto che si ritaglia nei quartieri periferici del Lorenteggio,
Quarto Oggiaro, Il Giambellino e Sesto San Giovanni, una posizione
riconosciuta. Quei quartieri diventeranno oltre che serbatoi per il
reclutamento di dirigenti come Pierino Morlacchi
11
e giovani militanti
come Walter Alasia
12
, qualcosa di simile ad un laboratorio dove le
Brigate rosse sperimentano il loro ascendente sulle masse in fermento.
11
Uno dei fondatori delle Br. Fa parte del primo esecutivo insieme a Curcio, Franceschini e
Moretti. Viene arrestato a Bellinzona nel febbraio 1975.
12
Militante clandestino della colonna milanese. Viene ucciso, il 15 dicembre 1976, dalla polizia
durante un conflitto a fuoco in casa dei genitori. Negli anni successivi la colonna di Milano
prenderà il suo nome.
14
L’organizzazione vive una sorta d’incubazione attiva. Come
visto prima, nei quartieri popolari partecipa alle agitazioni, inserita
come un accettato interlocutore, contemporaneamente, nelle
fabbriche, diffonde i propri proclami tra gli operai attuando delle
azioni dimostrative nei confronti degli odiati capi. Ma ad un certo
punto bruciare le auto o i pneumatici della Pirelli appare come uno
strumento riduttivo per le aspettative programmate dal gruppo, un
dispositivo inadeguato a scardinare i rapporti di produzione. Si rende
necessario un salto di qualità, un’azione incruenta, che venga capita
dalla classe operaia e che non comporti una reazione repressiva
violenta. Ancora una volta si guarda alle esperienze latinoamericane,
si sceglie il sequestro di persona.
Il 3 marzo 1972, all’uscita della Siemens, alcuni uomini armati
costringono l’ingegnere Idalgo Macchiarini, direttore di uno
stabilimentop e responsabile della ristrutturazione aziendale, a salire
su di un furgoncino. Sarà il nuovo traguardo brigatista, il congegno
punitivo che sostituisce e scavalca le logiche della concertazione.
Ciò non comporta miglioramenti all’interno della fabbrica, non
suscita neanche grosso scalpore, ma questa breve operazione - durata
un’ora in giro per le strade di Milano – reca in nuce tutte le
caratteristiche di ciò che l’organizzazione sarà in grado di compiere.
Le Brigate rosse quel giorno capiscono di avere a disposizione
un’arma il cui effetto è travolgente: la cassa di risonanza che
forniscono, loro malgrado, i mass media. Perché il messaggio sortisca
i suoi effetti ha bisogno di tutti gli ingredienti, così l’esecutivo decide
15
di fotografare il malcapitato sotto la stella a cinque punte, con degli
slogan appesi al collo ed una pistola puntata alla tempia.
Come ricorderà Renato Curcio: “La pistola in sé non è
rilevante. Quello che contava era la sua immagine-messaggio diffusa
da tutti i media: la lotta è armata”
13
.
Come vedremo, quel rituale farà parte del codice comunicativo
delle Brigate rosse.
Ciò nonostante, l’attenzione dell’opinione pubblica rimane
concentrata su altri avvenimenti che si succedono in quei giorni.
L’operazione Macchiarini si trova, cronologicamente, al centro di un
periodo costellato di episodi politicamente rilevanti come il processo
contro Valpreda, accusato per la strage di Piazza Fontana, iniziato il
23 febbraio a Roma, lo scioglimento delle Camere e quindi la scelta di
elezioni anticipate, in seguito alla bocciatura del governo Andreotti, il
ritrovamento del corpo mutilato di un attentatore, ad un traliccio
dell’alta tensione, presso Segrate. Si scoprirà poco dopo che quel
corpo appartiene al noto editore Giangiacomo Feltrinelli, stravagante
giramondo, affascinato dalle rivoluzioni del Sudamerica e deciso a
riprendere l’esperienza delle brigate partigiane -tanto da fondare a
Genova i Gruppi di Azione Partigiana-. In quei giorni si svolge, a
Milano anche il XIII Congresso del PCI ed il rumore dell’attentato
dinamitardo fallito, riecheggia in tutta la sinistra.
Il PCI, già in quella occasione, dimostra la sua sordità, verso ciò
che gli sta intorno. Non riesce a rispondere né tanto meno ad
interrogarsi sul perché un uomo ricco, culturalmente attrezzato ed
13
Renato, Curcio, a cura di Scialoja, A viso aperto, cit., pag. 70.
16
apprezzato, spenda la sua vita giocando a fare il rivoluzionario, sia il
prima persona sia finanziando terzi. Intanto, mentre ancora non si è
placata l’eco della morte di Feltrinelli, un altro sasso viene lanciato
nello stagno. Il 17 maggio viene ucciso davanti casa il Commissario di
Polizia Luigi Calabresi.
Questo è il clima tumultuoso dei primi mesi del 1972, quando le
Br imprimono un cambio di velocità allo “sviluppo della prassi” ed
abbandonano il proprio stato embrionale.
Succede all’improvviso. Quando la Polizia smette di stare a
guardare e decide di irrompere in una delle cosiddette “basi”
dell’organizzazione, in via Boiardo, molti militanti cadono nelle mani
dello Stato che vogliono sovvertire. Ciò permetterà, a quello che in
seguito verrà enfaticamente definito “il nucleo storico”, di sciogliere
qualsiasi legame col proprio mondo e “darsi totalmente alla causa”,
costruendo la formazione armata più pericolosa ed organizzata della
storia repubblicana. Per essere estraneo alla società circostante
diventare clandestino è la scelta obbligata, il salto nel buio.
La valutazione di quel passaggio Moretti la esprime così:
Non è una decisione in difesa, ma in attacco. Non stiamo
scappando: al contrario. Nella clandestinità costruiremo il potere
proletario armato”
14
.
Nonostante la ridondanza, il leader brigatista esprime ciò che
effettivamente si verificherà: il gruppo si dà una vera e propria
organizzazione, si procura il necessario finanziamento soprattutto
tramite le rapine in banca, concentra tutte le proprie energie per
14
Mario, Moretti, a cura di Mosca e Rossanda, Brigate rosse: una storia italiana, cit., pag. 33.
17
rafforzare il soggetto sociale del cambiamento, affinché maturi una
possibile alternativa di potere.
A tale proposito, proprio in quel periodo, le Brigate rosse
lanciano il guanto di sfida alle istituzioni repubblicane, in procinto di
celebrare il rito delle elezioni politiche, diffondendo un proclama
quanto mai esplicito e diretto.
Le forze rivoluzionarie devono, adesso, osare. Osare combattere.
Combattere armati. Perché nessun nemico è mai stato abbattuto con la
carta, con la penna o con la voce, e a nessun padrone è mai stato tolto il
potere con il voto
15
.
Questo è il punto da prendere realmente in esame per una
ricostruzione storica del fenomeno Br, in quanto viene meno quel
rapporto immediato con le realtà dei quartieri, terminando la strategia
organizzativa della doppia militanza -clandestinità dell’organizzazione
e pubblica attività dei suoi membri- capace di attribuirle delle
caratteristiche diverse da ciò che diventeranno a partire dalla
primavera del 1972.
Da allora, secondo Giorgio Bocca, assumeranno le sembianze di
una setta.
Il punto di non ritorno, dunque, è alle spalle ed i pochi
superstiti, dopo un comprensibile momento di sbandamento, si
ritrovano, nella piena clandestinità, braccati dalla Polizia di Milano,
costretti a dover mettere in piedi l’intera organizzazione. Risulta
chiaro fin da subito che probabilmente per gli agenti non è stato
15
Comunicato dell’aprile 1972, in www.brigate rosse.org.
18
difficile raggiungerli, magari infiltrando qualcuno. L’organizzazione
inizia, quindi, a lavorare con maggiore cautela ed attenzione.
Da Milano, due membri del direttivo -Curcio e Cagol- partono
alla volta di Torino, decisi a trasformare la città nel nuovo avamposto
della lotta armata. Lo stimolo a ricominciare non arriva solo dalla
consapevolezza che la via dell’approccio riformista non è percorribile,
come dimostrano i fatti del Cile, ma giunge concretamente da un
gruppo di operai della Fiat Mirafiori, desiderosi di mettere in pratica la
prassi delle Brigate rosse.
L’organizzazione, a quel punto, poteva contare su due
“colonne”: quella di Milano in via di ricostruzione e quella di Torino.
Comincia, così, la revisione del ruolo delle “brigate”, sia dentro che
fuori la fabbrica, e la suddivisione in “poli”, dando il via alla vera e
propria “compartimentazione” tipica dei gruppi clandestini.
Una struttura, con al vertice il Comitato esecutivo ed una
Direzione Strategica, che col tempo verrà allargata e perfezionata a tal
punto, che prevedendo la presenza di un “fronte logistico”, di un
“fronte massa” e con i primi arresti anche del “fronte carceri”,
assumerà un aspetto quasi scientifico
16
.
Un organigramma che permette ai quadri dirigenti, in ogni caso,
di saldare momento politico e decisione militare, conservando un
limitato numero di militanti “regolari” ma godendo dei servizi e
dell’appoggio di chi rimane nella legalità. Ad essi, inoltre è
demandato il compito di reclutare nuovi simpatizzanti in modo da
16
Patrizio, Peci, Io, l’infame, Mondadori, Milano, 1993. pag. 59.