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D’altra parte, sono numerose le persone che cercano di nascondere i propri redditi
completamente o in parte dallo sguardo altrui, e soprattutto dalle autorità pubbliche
(fiscali, finanziarie, giudiziarie, di polizia). Può trattarsi di redditi percepiti in
maniera lecita, ma con il fine deliberato di sfuggire alle legislazioni fiscali e sociali:
pagare meno imposte e tenere nascosti i profitti stipendiati dell’impresa. Può però
trattarsi anche di redditi illeciti, frutto di traffico d’armi, droga, contrabbando,
abuso di beni societari, etc.
Non sempre gli stati economicamente più potenti hanno adottato misure per
contrastare trasversalmente l’uso di questi paesi, anzi, è prevalso un approccio non
coordinato che si è basato sul diffondersi di misure unilaterali, intese a scoraggiarne
l’uso per ottenere vantaggi fiscali.
Gli Stati leaders dell’economia mondiale sono dotati di sistemi tributari ispirati
prevalentemente al principio della tassazione mondiale del reddito, per cui i
soggetti residenti sono tassati sui redditi ovunque prodotti (o posseduti), mentre
quelli non residenti solo relativamente a quelli prodotti (o posseduti) nel loro
territorio.
Le misure unilateralmente introdotte da questi stati per contrastare l’uso dei
paradisi fiscali, hanno avuto come iniziale obiettivo quello di rendere imponibile in
capo ai soggetti loro residenti l’utile prodotto, ma non distribuito sotto forma di
dividendo, da società ivi localizzate e di cui i loro residenti sono azionisti.
Nell’ambito del diritto tributario internazionale tale normativa è denominata
Controlled Foreign Company legislation (cosiddetta CFC legislation); introdotta
per la prima volta nell’ordinamento tributario americano nel 1962, in Italia ha
trovato invece una sua disciplina solo nel 2000 con l’art. 127-bis del T.U.I.R.
In aggiunta all’obiettivo di scoraggiare il ricorso di società offshore al fine di
produrre utili non tassati nel paradiso fiscale, e nello stesso stato di residenza
dell’azionista (a meno che non previsti sotto forma di dividendi), sono previste
norme volte a disconoscere la deducibilità di costi sostenuti da società residenti in
favore di società offshore. Tale normativa è stata adottata in Italia nel 1992, e trova
una sua disciplina nell’articolo 76 comma 7 bis e ter del T.U.I.R., modificato poi
nel 2000.
6
Il legislatore italiano nell’affrontare queste problematiche ha emanato una black
list, che individua i paesi a fiscalità agevolata, i cosiddetti appunto “paradisi fiscali”
in riguardo ai quali si applicano tali disposizioni.
Tale strumento è stato adottato anche dall’OCSE, la cui lista è stata poi
ridimensionata col tempo ed oggi include 5 soli paesi, gli “irriducibili” che non
hanno prestato alcun’intenzione di collaborare, nemmeno per ciò che attiene allo
scambio di informazioni relative ai contribuenti con le amministrazioni finanziarie
straniere.
E’ importante inoltre ricordare una crescente tendenza dei paesi più industrializzati
ad introdurre norme che disincentivano il trasferimento di residenza delle persone
fisiche verso Stati aventi un regime fiscale privilegiato.
Concludendo, va rilevato come oggi Internet, con i moderni mezzi di
comunicazione, si presta ad agevolare la costituzione di società in paradisi fiscali,
società offshore che non hanno nemmeno uffici, non hanno dipendenti, ma solo
targhette fuori della porta, e spesso neanche quelle.
Un trasferimento elettronico di fondi può infatti essere perfezionato in pochi minuti.
Sino a pochi anni fa si parlava in proposito di venti minuti, ma ormai la tecnologia
ha fatto addirittura dimezzare questi tempi tecnici. Al giorno d’oggi, stando a
quanto pubblicizzato con l’intento di diffondere queste tecniche fra il grande
pubblico, bastano appena dieci minuti.
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II – I PARADISI FISCALI
1. Generalità
L’espressione “paradiso fiscale” trae origine dalla locuzione inglese “tax haven” e
identifica quegli stati o territori che non prevedono affatto l’imposizione fiscale sui
redditi delle persone fisiche o giuridiche, ovvero che assoggettano i redditi
medesimi ad un’imposizione particolarmente limitata.
1
Quest’ultima categoria
costituisce la più importante, quanto meno sotto il profilo quantitativo, posto che
quasi ovunque è possibile riscontrare una forma di imposizione fiscale, sia pure in
termini contenuti.
Resta il fatto che la nozione di paradiso fiscale è tutt’altro che unanime e va ad
identificare una serie piuttosto ampia ed eterogenea di situazioni.
Si dovrà infatti parlare di “paradisi societari” se gli stessi stati prevedono la
possibilità di costituire nel proprio territorio società di capitali senza particolari
formalità (es. l’assenza di un minimo di capitale sociale, la possibilità di avere
azioni al portatore,ecc..).
Altresì si parlerà di “paradisi bancari” se gli stessi stati rilasciano nel proprio
territorio l’autorizzazione ad esercitare l’attività bancaria e finanziaria senza
richiedere stringenti requisiti patrimoniali e di affidabilità e, soprattutto, se
garantiscono il segreto bancario.
Il quadro si può completare con l’attribuzione della qualifica di “paradiso penale”
se alle semplificazioni sopraccitate si affianca un sistema penale che non prevede il
reato di evasione fiscale, di falso in bilancio, di corruzione, di riciclaggio.
2
1
Peraltro sul concetto di “paradiso fiscale” la dottrina internazionale è concorde sul fatto che “there
is no single, clear objective test which permits the identification of a country as a tax haven”; ossia
non esiste una definizione chiara ed univoca del fenomeno
2
si veda G.MARINO , “La considerazione dei paradisi fiscali e la sua evoluzione”, in “ Corso di
diritto tributario internazionale”, AA.VV., CEDAM , Padova, 2002; pagg 733 ss.;
G.PEZZUTO, I paradisi fiscali e finanziari.; la pianificazione fiscale internazionale; le indagini
internazionali del fisco e della magistratura. Ediz Il sole 24 ore, 2001, 1 ss
8
2. Storia ed evoluzione
Per capire le ragioni in base alle quali questi territori possono operare in piena
legalità, e addirittura pubblicizzare i loro servizi, ne va ripercorsa brevemente la
storia.
In un primo momento questi territori non erano altro che dei porti dove potevano
trovare rifugio le navi dei grandi imperi europei. In tutti gli oceani, con la loro
presenza, essi permettevano alle flotte di mettersi al riparo dalle intemperie e dai
pirati. Quest’epoca corrisponde da una prima fase di attribuzione della bandiera di
nazionalità britannica o francese alle isole dei Caraibi e a quelle che si trovano al
largo dell’America Latina.
Negli anni 20/30 del XX secolo apparvero dei nuovi territori che cominciarono a
specializzarsi nella formazione di legislazioni destinate a sottrarre i patrimoni alle
imposte, come Bahamas, Svizzera e Lussemburgo.
La seconda guerra mondiale segnò una svolta in questa evoluzione. Dopo il 1945, i
territori della prima generazione sotto il dominio europeo non ricevettero l’aiuto
che sarebbe stato necessario per il loro sviluppo, venendo così dimenticati dal piano
Marshall. Alcuni allora si specializzarono nell’accoglimento di flotte cui fornivano
bandiere ombra. Quindi, invece di continuare a produrre materie prime che non
garantivano più la loro stabilità economica, cominciarono a impegnarsi in un’altra
strategia d’integrazione nel nuovo ordine mondiale: trasformarsi in zone a debole
regolamentazione, adottando una legislazione sul segreto bancario che potesse
attrarre capitali internazionali.
L’emergere del mercato degli eurodollari negli anni Sessanta, e successivamente
dei petrodollari negli anni Settanta, fornì un nuovo trampolino di lancio per
l’attività e la tolleranza dei paradisi fiscali. La City di Londra, che attirava tutte le
grandi società finanziarie, fornì il proprio appoggio a quest’idea, così come fecero
le grandi banche, le grandi imprese e tutti quegli stati che avevano tutto da
guadagnare dallo sviluppo di zone con una debole imposizione fiscale.
Grazie alla liberalizzazione finanziaria che ha incoraggiato l’assenza di controllo
sui movimenti di capitali su scala internazionale, il numero dei paradisi fiscali è
cresciuto vertiginosamente nel corso degli ultimi trent’anni.
9
Le innovazioni tecnologiche e l’inesauribile inventiva dimostrata dagli operatori in
fatto di prodotti finanziari che sfuggono ad ogni regolamentazione, hanno dato
l’ultima finitura allo sviluppo del fenomeno.
La peculiare vicenda dei paradisi fiscali rivela dunque come le potenze
industrializzate siano state implicate fin dall’inizio nella creazione di queste oasi
del riciclaggio. Oggi basta poco per accedere a uno di questi sportelli, a una casella
postale o a una sede legale di società: con un minimo di 2 euro di capitale sociale e
un massimo di 30 mila si ottiene qualunque tipo di forma societaria, con un
risparmio sulle tasse e le imposte che può raggiungere l’80% a confronto con i costi
dei paesi d’origine che non presentano particolari vantaggi fiscali.
1
A tal riguardo l'inglese Palan argomenta che " lo sviluppo offshore non può essere
considerato una diminuzione diretta di sovranità, ma un processo più complesso dal
quale la sovranità è sia erosa ed estesa ".
La sua analisi getta un riflettore sulla complessità "offshore" e come quest’ultimo
abbia sviluppato uno spazio regolatorio separato esterno lo stato. Tuttavia, e
paradossalmente, l’ampia esistenza dell’offshore aiuta a mantenere il sistema
internazionale di stato attuale e riduce anche la minaccia di tassazione e di
regolamento.
2
Sempre in riguardo a sviluppo e futuro dei paradisi fiscali è interessante notare
come negli anni Settanta un noto specialista della materia, l’inglese Milton Grundy
sottolineò come a suo giudizio il fenomeno sarebbe proseguito, che alcuni paesi
avrebbero perso importanza a favore di altri e che, comunque, tutto sarebbe dipeso
dall’evoluzione sociale ed economica del mondo e dall’attitudine dei paradisi stessi
di seguire il corso della storia. A distanza di un paio di decenni si può riconoscere
che Grundy aveva centrato la sua previsione.
3
Gli scorsi anni hanno visto il sistema normativo dei principali Paesi industrializzati,
cosi come quello della maggior parte dei paradisi fiscali, subire numerosi
1
ATTAC.IT, I paradisi finanziari ovvero la finanza fuorilegge, Asterios editore, 2001, pag 12 ss;
M.SANTORO, Paradisi fiscali:come riconoscerli; in Forum 5/98; www.santoro.it
2
si veda M.HAMPTON,J.ABBOTT , “Offshore finance and tax havens: The rise of global capital”,
MacMillan Press Ltd, London, 1999, pg.4
3
G.PEZZUTO, I paradisi fiscali e finanziari.; la pianificazione fiscale internazionale; le indagini
internazionali del fisco e della magistratura. Ediz Il sole 24 ore, 2001, 1 ss