4
Nel decennio successivo si cominciava a registrare un graduale incre-
mento del tasso di attività femminile, che interessava specialmente le
classi centrali d’età e il settore terziario, dovuto sia ad una diversa com-
posizione dell’offerta, sia a delle politiche che garantivano una sempre
maggior tutela delle dipendenti pubbliche riguardo alla difesa del posto
di lavoro. A questo proposito bisogna ricordare almeno due leggi di fon-
damentale importanza: la n.1204 del 30/12/1971 sulla tutela delle lavora-
trici madri e la n.903 del 9/12/1977 sulla parità di trattamento tra uomini
e donne, che risentono in maniera abbastanza consistente delle rivendi-
cazioni del movimento femminista. Gli anni settanta furono inoltre carat-
terizzati da importanti novità anche all’interno del settore industriale, che
portarono progressivamente ad una maggiore flessibilità dei ritmi di pro-
duzione; in questo periodo, l’offerta di lavoro femminile non veniva più
scartata dalla domanda, anzi era privilegiata perché considerata in grado
di rispondere in modo adeguato alle nuove esigenze del ciclo economico
e produttivo. Parallelamente anche la cultura andava modificandosi verso
una concezione più aperta e moderna dell’attività extradomestica delle
donne. Come si vedrà meglio soprattutto nell’ultima parte di questo lavo-
ro di tesi, l’iter del percorso lavorativo non risultava più essere quello del
decennio precedente, ma, al contrario era caratterizzato da un ingresso
molto consistente nel mercato del lavoro al termine della formazione
scolastica, una permanenza all’interno di esso nonostante il matrimonio
5
o la nascita dei figli, alcuni tentativi di rientro in età matura. I motivi di
queste profonde trasformazioni nel modo di rapportarsi con il mondo la-
vorativo erano da ricondursi a nuove situazioni di ordine salariale, de-
mografico e sociale che spinsero le donne ad una presenza più continua-
tiva e meno occasionale. Il lavoro rappresentava infatti sempre più un
obiettivo da raggiungere per poter affermare la propria identità indivi-
duale all’interno della società, senza però rinunciare del tutto ai progetti
legati alla sfera familiare.
Con gli anni ottanta il livello d’istruzione delle donne aumenta ulte-
riormente rivelando l’importanza che questa andava assumendo come
bene d’investimento e risorsa strategica per ottenere l’accesso ad alcuni
settori occupazionali. La nuova concezione del lavoro femminile non era
più quella che lo vedeva come un esercito di riserva o come forza lavoro
marginale, ma come uno strumento per ottenere un buon livello di auto-
nomia finanziaria e di realizzazione professionale. Si andava inoltre af-
fermando un diverso tipo di percorso di vita, non più fissato e diviso ri-
gidamente nelle tre fasi di studio, lavoro e pensione, ma articolato in
modo tale da includere intrecci diversi di periodi di lavoro, periodi di
non lavoro, tempi da dedicare alla formazione o riqualificazione, alla vi-
ta dei figli o ai più svariati impegni sociali. La figura femminile era una
figura sempre più dinamica e decisa ad imporsi nel mondo lavorativo,
pur non rinunciando però a quello familiare. L’aumento
6
dell’occupazione femminile si è registrato in Italia proprio a partire dalla
seconda metà di questo periodo e ha interessato soprattutto il settore ter-
ziario. Anche oggi la maggioranza assoluta delle donne occupate lavora
nel ramo dei servizi pubblici e privati e nel settore commerciale, arrivan-
do in molti casi a ricoprire cariche di notevole importanza.
In questo lavoro mi sono proposta di affrontare la questione molto de-
licata della “dualità” famiglia-lavoro nel mondo femminile. A questo
proposito ho ritenuto opportuno analizzare l’istituto del part-time, poiché
in molti casi può rappresentare una valida soluzione ai problemi di tem-
po che caratterizzano alcune fasi della vita di una donna. Quest’ultima si
ritrova a volte a non voler rinunciare definitivamente alle proprie aspira-
zioni professionali da un lato, e a quelle familiari dall’altro.
Partendo da un’analisi storica ho cercato di analizzare l’evoluzione
normativa del part-time approfondendone, in particolare, gli aspetti giu-
ridico-legali. Ho in seguito indirizzato il percorso di questa mia ricerca
verso le varie forme di applicabilità di tale istituto, per poi giungere allo
studio delle nuove disposizioni in materia. Infine, solo dopo questa atten-
ta analisi, ho focalizzato la mia attenzione sul part-time in relazione in
particolare alle donne e alla loro già citata “dualità”.
7
I CAPITOLO: IL PART-TIME NELLA SUA
EVOLUZIONE NORMATIVA
1 IL PART-TIME PRIMA DELLA CODIFICAZIONE LEGALE
Il lavoro è stato da sempre uno degli argomenti più dibattuti dalle di-
verse parti sociali nella storia della Repubblica Italiana. Basti semplice-
mente pensare all’articolo di apertura della Costituzione
1
, che definisce
l’Italia una Repubblica democratica fondata sul lavoro, per capire come
questo stia alla base di tutta la vita sociale ed economica non solo del no-
stro paese, ma della maggior parte degli stati contemporanei.
Nell’articolo 4
2
si delineano due aspetti fondamentali del lavoro: da una
parte il lavoro viene definito come un diritto riconosciuto e garantito a
tutti i cittadini, dall’altro come dovere di ogni cittadino di apportare, at-
traverso la propria attività, contributi significativi al progresso materiale
o spirituale della società.
Il lavoro si può quindi intendere da un punto di vista economico come
un’attività di impiego di energie fisiche e intellettuali dell’uomo per la
1
«L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al po-
polo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Articolo 1 della Costituzione
della Repubblica Italiana, approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947, pro-
mulgata dal capo provvisorio dello Stato il 27 dicembre 1947 ed entrata in vigore il
1°gennaio 1948.
2 «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che
rendano effetti vo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie
possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale
o spirituale della società». Articolo 4 della Costituzione della Repubblica Italiana.
8
produzione o lo scambio di beni e servizi
3
e da un punto di vista giuridi-
co come l’oggetto di un rapporto tra la volontà di due soggetti, quella del
datore da una parte e quella del prestatore dall’altra
4
.
Nel corso della storia, peraltro, si è dovuto attendere parecchio prima
di avere una regolamentazione precisa e organica di questo particolare
rapporto giuridico e dei suoi tempi di esecuzione. Nell’antichità, per e-
sempio, neppure nella cultura greca ed egizia, che erano fra le più evolu-
te per quanto riguarda l’organizzazione sociale, si trovano riferimenti e-
spliciti al rapporto di lavoro; con la cultura romana, la nozione di attività
lavorativa aveva preso corpo, anche se non esisteva alcuna specifica li-
mitazione giuridica riguardante l’orario di lavoro, sia per ciò che concer-
ne il numero delle ore che per il tempo di prestazione. Erano probabil-
mente presenti delle norme consuetudinarie che, in relazione a determi-
nate condizioni meteorologiche e ambientali, governavano le attività
umane all’interno della società
5
. Sono inoltre pervenute ai giorni nostri
alcune leggi, ordinanze e disposizioni normative di vario tipo che rego-
3 Come si può dedurre anche dall’articolo 2082 del Codice Civile che definisce
l’imprenditore come colui che «esercita professionalmente un’attività economica organizzata
al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi».
4 Questa definizione giuridica è applicabile sia al lavoro subordinato, che consiste in
un’attività svolta all’interno di una stuttura gerarchica, sia al lavoro autonomo, in cui non è
presente una struttura di questo tipo e in cui gli effetti della produzione ricadono direttamen-
te sul lavoratore.
5 Mele L., «Il part-time», Giuffrè Editore, Milano, 1990, p.1.
9
lavano alcune forme lavorative, fra cui il lavoro notturno, il lavoro indi-
pendente
6
, quello degli schiavi e dei contadini.
Il regolamento dei rapporti di lavoro rimase comunque ad un livello
embrionale non solo nel Medioevo, ma anche, cosa ancora più strana, in
seguito alla rivoluzione francese, i cui sostenitori si erano fatti portatori
di ideali profondamente democratici, senza però riuscire ancora a ricono-
scere la forza del più alto di questi valori e il bisogno conseguente di si-
stemarlo organicamente. Con Napoleone il principio della libertà, filo
conduttore della rivoluzione, venne applicato al concetto di contratto di
lavoro che fu visto come creazione di due volontà indipendenti, come un
accordo che non limita le parti nello svolgimento del rapporto nel pieno
rispetto di detto principio di libertà. Questa fase “liberale” della regola-
mentazione dei rapporti di lavoro era destinata a durare poco, in quanto
ben presto si sviluppò una tendenza opposta caratterizzata da una sempre
crescente ingerenza dello Stato in materia. Intorno alla metà del secolo
scorso, infatti, anche in Italia si cominciò a parlare di una legge limitati-
va dell’orario di lavoro che, dopo gli ultimi sviluppi della rivoluzione in-
6 De Robertis F.M., «I rapporti di lavoro nel diritto romano», ed. Giuffrè, 1946. Ci si riferi-
sce qui agli artigiani e agli esercenti le arti liberali che, in quanto lavoratori indipendenti, a-
vevano la possibilità di disporre della giornata lavorativa come meglio credevano. Una cu-
riosità riguarda il metodo usato dai romani per stabilire una sorta di orario di lavoro: poiché
dividevano la giornata in due parti nettamente distinte, dall’alba al tramonto e dal tramonto
all’alba, era naturale che il lavoro in genere venisse prestato durante la prima metà, suddivisa
a sua volta in dodici ore non equinoziali, e che la rimanente parte fosse riservata al riposo e
allo svago (es. le cure termali). Essendo quindi le ore lavorative regolate dalla nascita e dal
tramonto del sole, esse non potevano essere uguali per tutte le stagioni, ma variavano da un
minimo di 44’ e 30’’, ad un massimo di 75’ e 30’’, per raggiungere i 60’ in concomitanza
degli equinozi (21 marzo e 23 settembre).
10
dustriale, era diventato sempre più insostenibile per la maggior parte de-
gli operai occupati nelle fabbriche della filatura e tessitura, per lo più co-
stituita da donne e bambine costrette a lavorare anche fino a sedici ore al
giorno. Nel 1886 fu emanata per la prima volta una legge che limitava la
durata dell’orario di lavoro e della utilizzazione dei bambini negli opifi-
ci
7
; a questa seguì nel 1902
8
un altro provvedimento che limitò la giorna-
ta lavorativa delle donne e che fu modificato con il Testo Unico 10 no-
vembre 1907 n.818, rimasto in vigore fino al 1934. Per quanto riguarda
la classe operaia costituita dai maschi e dai lavoratori adulti, si può solo
dire che questa inizialmente rimase estranea alla discussione relativa alla
necessità di una legge che regolasse la giornata lavorativa, ma a partire
dall’inizio di questo secolo, si avviarono, in diversi paesi europei, alcuni
movimenti che proponevano la distribuzione dell’orario in otto ore gior-
naliere e quarantotto settimanali
9
. In Italia il primo intervento legislativo
in tale direzione può farsi risalire al 1919, quando furono emanati due
decreti luogotenenziali che fissavano la durata della giornata lavorativa
in otto ore, l’uno per il personale di tutte le società esercenti linee tran-
viarie, ferroviarie e di navigazione interna e l’altro per il personale delle
7 Legge 11 febbraio 1886, n.3657.
8 Legge 19 giugno 1902, n.242
9 Il riferimento è in particolare alla Grand National Consolidated Trade Union creata in In-
ghilterra nel 1833 da Robert Owen e la cui filosofia si può riassumere nel principio «otto ore
di lavoro, otto ore di sonno e otto scellini al giorno».
11
Ferrovie dello Stato
10
. L’orario di lavoro andava acquistando una siste-
mazione legislativa sempre più coerente in tutto il settore privato, grazie
anche ad una serie di altri provvedimenti avutisi negli anni immediata-
mente seguenti
11
.
In origine, quindi, la richiesta della riduzione della durata della giorna-
ta lavorativa era giustificata soprattutto dalla faticosità e penosità delle
condizioni di lavoro, ma, a partire dagli anni Sessanta, cominciarono a
presentarsi, da parte di alcune categorie di lavoratori, ulteriori esigenze
di maggior tempo libero tali da condurre all’introduzione, in alcuni casi,
della settimana corta. Negli anni Ottanta, la questione dell’orario di lavo-
ro è diventata una delle più significative vicende sociali e sindacali, tanto
più che la si associava facilmente all’altro grave fenomeno della disoc-
cupazione, che proprio in quegli anni toccava livelli già abbastanza ele-
vati. I sindacati premevano continuamente per una soluzione di questo
problema attraverso degli interventi rivolti a ridurre l’orario standard di
lavoro e favorire così la creazione di nuovi posti. “Lavorare meno per la-
vorare tutti” e “la lotta umana per la vita e la lotta per la vita umana” e-
rano solo alcuni degli slogan che hanno segnato la battaglia sindacale per
la riduzione dell’orario di lavoro, richiesta non tanto per ovviare alla sua
10 Decreto luogotenenziale 15 maggio 1919 n.775 e decreto luogotenenziale 8 giugno 1919
n.412
11 R.d.l. 15 marzo 1923 e i decreti 10 settembre 1923 nn.1955,1956,1957.
12
gravosità o per favorire maggiori spazi di tempo libero, quanto per alle-
viare la morsa sempre più stringente della disoccupazione
12
.
Il mondo del lavoro, oggi, è in continuo cambiamento; è infatti carat-
terizzato da tutta una serie di situazioni che difficilmente possono rien-
trare negli schemi della normalità e ordinarietà dei rapporti di lavoro così
come essi sono stati raffigurati per tanto tempo. Si possono individuare
delle fattispecie in cui la prestazione lavorativa ridotta risponde a deter-
minate esigenze sia del datore che del lavoratore e per le quali è maggio-
re il ricorso a forme flessibili di occupazione: basti pensare, da un lato, ai
casi in cui l’imprenditore necessita di prestazioni limitate a poche ore del
giorno oppure a qualche giorno della settimana o ad alcuni mesi e
dall’altro alla necessità di maggior tempo libero per chi è già occupato, e
in particolare per le donne in determinate fasi delle loro vita, o di iniziale
inserimento nel mercato del lavoro per chi non lo è. La lotta per la dimi-
nuzione dell’orario, come modo migliore per rispondere a differenti ri-
chieste della società moderna, ha portato le parti sociali, all’inizio degli
anni Ottanta, a sottoscrivere dapprima un accordo, e in seguito un proto-
collo d’intesa
13
, nei quali emerge chiaramente l’impegno di accogliere e
diffondere alcune nuove forme più flessibili di impiego, quali il contratto
a tempo determinato e quello a tempo parziale. Il parlamento, dopo una
serie di decreti-legge, ha provveduto a trasformare il contenuto di tali ac-
12 Mele L., «il part-time», Giuffrè Editore, Milano, 1990, p.9 e ss.
13
cordi nella legge 19 dicembre 1984, n.863 dal significativo titolo “misu-
re urgenti a favore dell’occupazione”. L’articolo 5 di questa legge con-
tiene la prima vera definizione giuridica di lavoro a tempo parziale, dopo
alcune definizioni "anomiche" che erano state date a questo particolare
istituto, fra le quali vale la pena richiamarne brevemente almeno due. La
prima è quella fornita nel 1963 dal Bureau International du Travail, in
occasione della quarantottesima sessione tenutasi a Ginevra, secondo la
quale “deve intendersi per lavoro a tempo parziale il lavoro effettuato re-
golarmente durante una parte della giornata e della settimana, sensibil-
mente inferiore alla durata normale del lavoro, per accordo volontario tra
il datore di lavoro e il lavoratore”
14
; la seconda invece risale al 1980,
quando la Comunità europea definì il lavoro a tempo parziale come
“un’attività lavorativa, regolare e volontaria, con un numero di ore infe-
riore alla norma ed una corrispondente retribuzione ridotta”
15
. Il legisla-
tore italiano ha ripreso da queste e da altri contributi provenienti dalla
dottrina, dalla magistratura e da diverse proposte di legge antecedenti
l’entrata in vigore della legge n.863/84, alcuni elementi fondamentali per
l’elaborazione della nozione giuridica di lavoro a tempo parziale, meglio
conosciuto come part-time e in particolare, come si deduce dal I° comma
13 Accordo del 22 gennaio 1983 e protocollo d’intesa del 14 febbraio 1984
14 B.I.T., «le travail des femmes dans un monde en èvolution», Rapporto VI della Conferen-
za internazionale del lavoro, 48° sessione, Ginevra 1963, pp.96-97.
15 Commissione delle Comunità Europee, «il lavoro volontario a tempo parziale», Bruxel-
les, 1980.
14
dell’articolo 5 poco sopra citato, quello della riduzione dell’orario di la-
voro e della volontarietà dell’accordo fra le parti.
2. LA NOZIONE GIURIDICA DEL PART-TIME E IL PROBLEMA
DELLA NON ESCLUSIVITÀ
Il primo comma dell’articolo 5 della legge 19 dicembre 1984 n° 863
definisce il rapporto di lavoro a tempo parziale come quel rapporto che
nasce “allorché il lavoratore sia disponibile a svolgere un orario di lavoro
inferiore rispetto a quello ordinario previsto dal contratto collettivo di la-
voro oppure eseguibile in periodi predeterminati nel corso della settima-
na, del mese o dell’anno”.
Questa nozione normativa è stata ripresa da diversi autori, tra cui Ni-
colini
16
, che ritenendola incompleta per difetto del criterio della non e-
sclusività della prestazione hanno finito per adottare la definizione di
Loy
17
, il quale, in uno dei suoi primi articoli sul part-time, partendo dalla
definizione proposta dal BIT, aveva concluso che “il lavoro a tempo par-
ziale è quello svolto in maniera non esclusiva per una durata inferiore a
quella normale”.
Il problema delle prestazioni esclusive e non esclusive di lavoro – in-
tese, le prime, quelle che prevedono la completa incompatibilità con qua-
lunque altro lavoro retribuito subordinato o autonomo – è stato posto dal-
16 Nicolini, «il lavoro a tempo parziale», Giuffrè Editore, Milano, 1988, (2), 6
15
la dottrina prima della codificazione legale dell’istituto, e quindi senza
alcun riferimento ad un testo normativo, al solo scopo di trovare la solu-
zione per il superamento dell’obbligo stabilito in materia di retribuzione,
in quanto il divieto di altre attività avrebbe reso insuperabile il criterio di
proporzionare la retribuzione all’orario effettuato. Veniva affermato, in-
fatti, che le prestazioni di lavoro esclusive, quantunque ad orario ridotto,
non potevano essere considerate rapporti di lavoro a tempo parziale con
la conseguenza, anzi, che ad esse, sia che si trattasse di impiego pubblico
e sia che si trattasse di impiego privato, si doveva applicare l’art.36 Cost.
e tutti gli altri istituti tipici del rapporto di lavoro subordinato a tempo
pieno.
A parte il settore pubblico, vi sono alcuni contratti nel settore privato,
per esempio metalmeccanici, bancari, assicurativi, lavoratori dello spet-
tacolo ecc., nei quali è contenuta una speciale clausola di esclusività che
vieta il secondo lavoro.
Per la dottrina questa clausola ha diverse funzioni:
– Interesse negativo del datore alla prestazione in favore di terzi in
vista del reintegro delle energie psicofisiche del lavoratore;
– Potenziamento dell’obbligo di fedeltà e diligenza;
– Rafforzamento della responsabilità contrattuale del lavoratore in
vista di un adempimento utile per il datore;
17 Loy, «le nuove leggi civili commentate», Cedam, Padova 1985, n.4.
16
– Eliminazione del cosiddetto datore di lavoro accessorio, ossia di
quello che può usufruire di particolari prestazioni lavorative a più
basso costo essendo il lavoratore disponibile a svolgere il secondo
lavoro in nero;
– Tutela di interessi generali quali quello alla salute oltre che al dirit-
to al lavoro, voluto dai sindacati stipulanti.
Contro la clausola della esclusività si sono espressi non solo il CNEL
secondo il quale, questa, propria del rapporto di pubblico impiego, dove-
va considerarsi un requisito eccezionale nel settore privato, ma anche di-
versi importanti autori, fra i quali Morgera
18
e De Cristofaro
19
che ave-
vano sottolineato il fatto che una clausola di esclusiva impedirebbe al la-
voratore di ottenere quella retribuzione “sufficiente a garantire a sé e alla
sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”
20
.
La giurisprudenza, dal canto suo precisa che il part-time si caratterizza
per la programmabilità del tempo libero, o meglio del tempo di non lavo-
ro, ribadendo che “deve essere salvaguardata anche all’ovvio fine di con-
sentire al lavoratore di percepire, con più rapporti a tempo parziale, una
retribuzione complessiva che sia sufficiente a realizzare un’esistenza li-
bera e dignitosa”
21
.
18 Morgera P., «il rapporto di lavoro a tempo parziale», Giuffrè, Milano, 1982, p.147.
19 De Cristofaro M. L., «lavoro part-time», in Dig.Disc.Priv.,Sez.Comm., vol.VIII, Torino,
Utet, 1992, p.419 e ss.
20 Art.36, comma I° della Costituzione della Repubblica Italiana.
21 Cass., 17 luglio 1992, n.8721, in RGL, 1992, II, 966 e ss.