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significante con l’utilizzo di una tecnologia oggi largamente impiegata
come l’ipermedia.
Proseguendo il percorso tracciato, ho preso in considerazione la
scrittura creativa, partendo da alcune esperienze di ri-appropriazione
sensoriale (Muel) e prendendo in considerazione poi le proposte di
alcuni fra i maggiori esperti del settore (Rodari, Bing, Mozzi e
Brugnoli, ecc.). Successivamente ho cercato di tradurre queste
esperienze e proposte, adattandole opportunamente al contesto in cui
attualmente lavoro.
Nell’ultima parte propongo l’esperienza sul campo che ha dato
origine alla realizzazione di questo lavoro. Che schematicamente è
riassumibile in tre parti:
1. Esplorare
Andare fuori, esplorare, avere esperienza diretta delle cose,
nominare le cose, toccare, magiare, ascoltare, guardare, costruire,
viaggiare, immergersi.
In questa prima fase come suggeriscono gli autori da noi citati
siamo usciti allo scoperto, abbiamo toccato con mano, abbaiamo avuto
una visione diretta. Quello di cui scriveremo non sarà più qualcosa di
lontano di astratto, ma sarà a noi vicino, familiare, carnale. Ad ogni
cosa che scriveremo la parola sarà strettamente collegata
all’esperienza da noi vissuta.
2. Pensare
Riflettere sull’esperienza, pensare alle emozioni, parlare di noi
stessi, scrivere, giocare con le parole, associare idee, scrivere delle
nostre paure, sentire la nostra voce, scoprire di non essere soli.
Contestualmente, l’emozione si fissa nella scrittura, attraverso il gioco
3
di fingerci poeti. Così facendo possiamo scrivere senza paura di
sbagliare, forti della nostra “licenza poetica”. Riflettiamo su noi
stessi, controlliamo le nostre emozioni prendendone le distanze.
Quello che viene prodotto da ciascuno viene poi condiviso.
Comunicandolo agli altri è come se ognuno dicesse: “ecco, io mi vedo
così”. Ed è in questo confronto che ciascuno riconosce se stesso e
nello stesso tempo l’altro, diverso da se, ma allo stesso tempo simile.
3. Una nuova significazione
Ora che l’esperienza è stata “imprigionata” e la parola è ferma lì
dove l’ho messa prima su carta poi a computer, posso incominciare a
restituire alla parola un nesso visivo o più in generale sensoriale. In
quest’ultima fase le parole, le metafore che ho prodotto, possono
diventare punti caldi, nodi a cui assegnerò un collegamento
ipertestuale, in modo che possano richiamare a sé un’immagine, un
sito, un suono, delle foto personali, dei disegni, dei progetti, degli
indirizzi, strettamente pertinenti, ma anche associazioni bizzarre,
divertenti, fantastiche. Questa nuova significazione, come è ovvio,
non avrà valore assoluto, ma per l’autore che lo ha prodotto, avrà un
significato creativo ed estremamente personale. L’esperienza diretta
diventa parola, viene poi giocata, scomposta, diventa memoria, segno
indelebile della nostra esistenza. In seguito torna con l’utilizzo dei
media, ancora sensoriale, (ri)assegnata ad un significato intimo che
noi chiameremo metafora poetica anzi metafora iperpoetica.
Riassumendo ancora più schematicamente il nostro percorso, possiamo dire che,
attraverso il pretesto della poesia, siamo passati da una comunicazione di tipo
analogico ad una di tipo digitale per poi riconvertirla in analogico, consentendo ai
ragazzi così di mettere in atto un’ “arte totale”, “plurisensoriale”, capace di mettere in
funzione tutte le facoltà dell’uomo.
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INTRODUZIONE
Sono impegnato da circa un paio d’anni come educatore
in una cooperativa sociale.
Il lavoro che qui presento si rifà in parte ad una espe-
rienza formativa che vedeva la realizzazione di un atelier di
scrittura creativa, tramite l’utilizzo dell’ipertesto, per ra-
gazzi affetti da ritardo cognitivo. Il progetto è stato svolto
presso il centro per disabili adulti “Accanto” di Crevalcore
(Bo) nelle giornate del sabato.
Come spesso accade quando si cerca di realizzare un
progetto, mi sono posto molte domande e ho sentito
l’esigenza di un approfondimento della problematica, sia
teorica che pratica, inerente le potenzialità formative della
scrittura.
La convinzione che ha mosso me e gli altri educatori
con i quali ho lavorato fin qui è che ragazzi con una dia-
gnosi medica di ritardo cognitivo medio-lieve, hanno più di
altri troppa consapevolezza dei loro limiti e poca delle loro
potenzialità. Le difficoltà che incontrano questi ragazzi
nell’esprimere quello che provano e sentono, sono, secondo
noi, dovute principalmente ad un senso diffuso di inadegua-
tezza, che li blocca, li fossilizza nella paura di sbagliare.
Il presente lavoro prende l’avvio da alcune considera-
zioni sul nostro modo di percepire la realtà, che non è mai
passivo, ma selettivo e in un certo senso creativo. I vecchi e
i nuovi media non hanno prodotto altro che un allargamento
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e potenziamento delle nostre capacità percettive e quindi
dei nostri orizzonti conoscitivi.
Ma i media influenzano anche il nostro modo di comu-
nicare. L’ipertesto, l’ipermedia, e la rete ci offrono delle
possibilità comunicative impensabili fino a non molto tempo
fa.
Tutto questo è visto non sotto il segno della rottura e
della discontinuità, ma come potenziamento di possibilità
umane già affermate e consolidate con la scrittura e la
stampa tradizionali. La scrittura stessa può essere conside-
rata come una forma di comunicazione digitale in cui il si-
stema dei segni non ha nessun rapporto analogico con le
realtà che si vuole significare.
Il difficile rapporto tra significante e significato, che
caratterizza la scrittura tradizionale, oggi può in parte es-
sere eluso servendoci di altri media meno problematici.
L’immagine, ma non solo, diventa il possibile tramite
per riavvicinare significato e significante con l’utilizzo di
una tecnologia oggi largamente impiegata come
l’ipermedia.
Proseguendo il percorso tracciato, ho preso in conside-
razione la scrittura creativa, partendo da alcune esperienze
di ri-appropriazione sensoriale (Muel) e prendendo in con-
siderazione poi le proposte di alcuni fra i nostri maggiori
esperti del settore (Rodari, Bing, Mozzi e Brugnoli ecc.)
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Successivamente ho cercato di tradurre queste esperien-
ze e proposte, adattandole opportunamente al contesto in
cui attualmente lavoro.
Nell’ultima parte propongo l’esperienza sul campo che
ha dato origine alla realizzazione di questo lavoro. Vi e-
sporrò il progetto e i suoi tentativi di realizzazione attra-
verso esperienze molteplici il cui scopo finale era quello di
essere tradotte in brevi componimenti “poetici”. Le parole
più significative dei testi diventavano “metafore ipertestua-
li”, link che, oltre a restituire alle parole il loro nesso sen-
soriale, potevano ampliarne le valenze significative, con-
sentendo ai ragazzi di mettere in atto un’“arte totale”,
“plurisensoriale”, capace di mettere in funzione tutte le fa-
coltà dell’uomo.
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Cap.1
I MEDIA COME ESTENSIONE SENSORIALE
1.1 Percezione e creatività
Un tempo si credeva che la percezione fosse qualcosa di
passivo, che la nostra mente fosse come una lastra fotogra-
fica che si impressiona variamente a seconda degli oggetti
che si trova davanti. Oggi è chiaro che fin dalla prima fase
della nostra percezione del mondo la nostra mente è seletti-
va e creativa.
Ogni secondo giungono dall’ambiente esterno al nostro
cervello migliaia e migliaia di informazioni. Di queste solo
una parte viene accolta, le altre vengono eliminate. È sicu-
ramente vero che i processi di discriminazione seguano del-
le costanti in individui appartenenti ad uno stesso gruppo
sociale, ma quel che è certo è che la scelta appare legata
soprattutto alla nostra storia personale, all’insieme della
nostre esperienze, al nostro vissuto individuale. Un’altra
scoperta che smentisce la teoria della lastra fotografica è
quella secondo la quale noi possiamo percepire soltanto le
relazioni.
Ricerche sul cervello e sugli organi sensori hanno di-
mostrato in modo decisivo che possiamo percepire soltanto
le relazioni e i modelli delle relazioni in cui si sostanzia la
nostra esperienza. Se con un espediente blocchiamo il mo-
vimento dell’occhio in modo che la stessa immagine conti-
nui ad essere percepita dalle stesse zone della retina, non si
può più avere una chiara percezione visiva. Analogamente è
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difficile percepire un suono costante e regolare; è anzi pro-
babile che il suono diventi del tutto impercettibile
1
.
La riprova di quest’ultima affermazione, potrebbe esse-
re la “Casa sulla cascata” dell’architetto statunitense F.
Lloyd Wright (Casa Kaufmann, Ber Run, Pennsylvania). Gli
abitanti della casa non percepiscono più il rumore
dell’acqua che, cadendo, produce un suono continuo e co-
stante.
Non percepiamo dunque il suono “assoluto” o il colore
“assoluto”, la cui realtà oggettiva ci è nota solo attraverso
una misurazione strumentale. Percepiamo una relazione fra
determinati suoni o fra determinati colori.
Queste relazioni sono all’interno di ogni organo di sen-
so, perché ogni organo interroga l’oggetto a modo suo, e
porta con sé una struttura d’essere che non è mai esatta-
mente trasferibile
2
.
La “specializzazione” degli organi di senso è alla base
della specializzazione dei linguaggi artistici creati
dall’uomo come la musica e la pittura. Tentativi di tradu-
zione da un linguaggio all’altro sono stati tentati con risul-
tati spesso ingenui e goffi. Musica e immagini contribuisco-
no a creare spettacoli di grande impatto come quelli detti
“son et lumiere” o nel cinema stesso. Invece, far corrispon-
dere un colore ad una determinata nota con uno strumento
che li riproduca entrambi ha dato esiti alquanto discutibili.
Si è ripetuto spesso che la dimensione della musica è il
tempo, mentre quello delle arti visive (pittura, scultura,
ecc.) è lo spazio. Eppure la musica non è concepibile se non
1
Watzlawick P., Beavin J.H., Jackson D. D., Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei mo-
delli interpretativi delle patologie e dei paradossi, Astrolabio, 1967, p. 21.
2
Merleau-Ponty M., Fenomenologia della percezione, Milano, Il Saggiatore,1965, pp. 300-303.