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sintetizzato questo processo evolutivo con la frase: la formazione da “fattore di costo” a
“leva strategica”. Cambiando la considerazione che di questa si ha, sono cambiati anche
gli approcci alla stessa, da una formazione “a risposta”, e quindi organizzata ed erogata
in virtù di particolari esigenze avvertite dall’organizzazione, ad una formazione
“programmata”, con una visione più sistemica delle varie fasi che la compongono. Fasi
che si possono classificare in: analisi dei bisogni formativi, definizione degli obiettivi,
progettazione dell’intervento formativo, erogazione e valutazione dell’attività
formativa. Ho ritenuto opportuno riservare particolare spazio, in questa fase iniziale di
descrizione della Formazione, alle varie metodologie didattiche, agli strumenti
utilizzabili nella fase di erogazione, attraverso una distinzione che tenesse presente,
anche in questo caso, l’evoluzione intervenuta in termini concettuali, esperenziali e
tecnologici. Nella “classificazione” ho messo in risalto anche il diverso contesto
ambientale nel quale l’intervento formativo veniva erogato: dall’aula tradizionale, agli
interventi fuori dall’aula (outdoor training), agli interventi “oltre l’aula”, facendo
riferimento all’utilizzo delle nuove tecnologie e nello specifico all’utilizzo di Internet.
Ho descritto, infatti, la nuova frontiera della formazione e cioè l’e-learning, ovvero
l’apprendimento attraverso l’utilizzo della rete, con tutti i suoi vantaggi ma anche
svantaggi.
Con questa prima parte introduttiva, descrittiva della Formazione ho cercato di
rendere più familiare il tema a tutti coloro (me per primo) che vedono nella Formazione
un semplice processo di apprendimento, senza nemmeno immaginare tutto ciò che
l’erogazione di un semplice corso di Formazione presuppone; il lungo percorso che ha
portato a ritenere, ormai da parte di tutte l’organizzazioni, la Formazione come
importante leva strategica, come importante leva competitiva, in un sistema economico
dove le risorse umane vengono considerate una delle poche variabili capaci di far
acquisire, all’azienda, un vantaggio competitivo mantenibile nel tempo.
Nel terzo capitolo del lavoro introduco il tema delle banche mettendo in
evidenza come profondo sia il processo evolutivo dell’intero sistema bancario.
Cambiamenti dettati da un sistema economico dove il livello concorrenziale, a seguito
della globalizzazione dei mercati, si è notevolmente innalzato e al quale gli istituti
bancari, per lo meno i più importanti dal punto di vista delle dimensioni, hanno risposto
attraverso una serie di fusioni, acquisizioni ed integrazioni, sintomatiche di una costante
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ricerca di cooperazione, di diversificazione delle attività e delle aree geografiche nel
quale operare. Ricerca di competitività alla quale si è risposto anche attraverso la ricerca
e l’eliminazione, a tutti i livelli organizzativi, di aree di inefficienza, di scarsa
produttività. Ricerca che naturalmente ha interessato anche le risorse umane, e in modi
diversi; nel corso dell’ultimo decennio si è potuto assistere ad un rallentamento delle
dinamiche occupazionali, anzi ad una vera e propria riduzione del personale, ed inoltre
ad un proliferare di contratti a tempo determinato in luogo di quelli a tempo
indeterminato, proprio in virtù di una ricerca di maggiore flessibilità operativa,
indispensabile in un mercato divenuto altamente instabile.
Questi profondi cambiamenti non potevano non influire sull’attività formativa,
la quale, anzi, ha svolto, svolge e svolgerà un ruolo fondamentale sia nel permettere la
buona riuscita dei processi di fusione, acquisizione ed integrazione, ai quali abbiamo
fatto riferimento, sia per permettere alle risorse umane di rispondere alle crescenti
richieste di professionalità dei vertici aziendali. I quali vedono nel “parco” dipendenti la
risorsa che può permettere alla banca di meglio rispondere alle sollecitazioni
competitive; laddove sempre più facile è divenuto l’imitare i prodotti/servizi offerti sul
mercato, ecco che la competizione si sposta sulla qualità del rapporto che si va ad
instaurare con la clientela. Un rapporto che deve divenire sempre più consulenziale, con
i dipendenti che devono riuscire a mettere la propria professionalità al servizio del
cliente, aiutando lo stesso a muoversi all’interno dell’ampia offerta di prodotti/servizi
della banca.
L’aumentata considerazione che si ha della Formazione, all’interno del mondo
bancario, è stata ratificata dai nuovi contratti collettivi nazionali del lavoro che,
appunto, avvalorano la tesi della sempre maggiore centralità della Formazione nella vita
aziendale, attraverso la previsione di un numero maggiore di ore di Formazione che
l’azienda deve erogare a vantaggio dei propri dipendenti, e sottolineando come la
Formazione sia uno strumento essenziale per la tutela dell’occupazione, la mobilità, la
crescita e lo sviluppo professionale. Viene inoltre evidenziato lo stretto rapporto fra
Formazione, strategie aziendali, gestione strategia delle risorse umane e sviluppi di
carriera.
Della centralità della Formazione si può dar prova attraverso dei dati, e nello
specifico ho utilizzato quelli della ricerca Excelsior, promossa dal Ministero del Lavoro,
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nella quale risulta chiaro come sia per le nuove norme contrattuali, sia per una ormai
diffusa convinzione comune all’interno del mondo bancario, la Formazione ha assunto
un ruolo imprescindibile per lo sviluppo delle risorse umane e quindi delle stesse
organizzazioni.
Per concludere il lavoro ho ritenuto necessario, interessante constatare come
effettivamente si operasse in merito alla Formazione all’interno di un’importante
organizzazione, all’interno di uno dei più grandi gruppi bancari italiani: il Sanpaolo
IMI. Caso studio con il quale ho voluto accertare nella pratica se effettivamente la
Formazione ha assunto un ruolo così centrale nell’economia di un’azienda.
Confrontando quanto ho imparato sulla Formazione con questo lavoro, con la realtà
dell’attività formativa offerta dal Sanpaolo IMI, ho rilevato che di fatto tante sono le
risorse dedicate a questa attività, risorse professionali, strutturali e naturalmente
finanziarie.
Grazie alla collaborazione del Sanpaolo IMI, che mi ha permesso di entrare nel
suo Centro di Formazione (struttura ad hoc dedicata alla formazione), sono venuto a
conoscenza di come il Gruppo organizza la funzione formazione; nel corso del quarto
capitolo infatti descrivo le strutture dedicate alla Formazione, l’organizzazione del
Centro di Formazione all’interno del quale sono riconoscibili componenti dedicate alle
varie fasi del processo di formazione, ai diversi modi di erogare la Formazione,
attraverso le aule e attraverso l’utilizzo di una piattaforma informatica propria. Centro di
Formazione che quindi è il “cuore pulsante” di tutta la macchina formativa, con sede
centrale a Torino presso il Lingotto e con sedi secondarie presenti a Milano, Roma e
Napoli, oltre a prevedere aule dislocate presso le varie Aree territoriali.
Particolare rilievo ho voluto dare ad una delle peculiarità del Sanpaolo IMI in
materia di Formazione, e cioè al cosiddetto progetto PSP (Pianificazione e Sviluppo
delle Professionalità), con il quale il Gruppo suddivide l’intero “portafoglio” risorse
umane in Aree professionale, Famiglie professionali, e Profili professionali. Questo
progressivo processo di segmentazione viene effettuato sulla base dell’individuazione
delle competenze e capacità professionali che le risorse umane devono possedere per
poter svolgere in maniera appropriata l’attività professionale di loro competenza. Oltre a
questa classificazione, con l’identificazione di quali competenze, con il progetto si
determina anche il livello “quantitativo” delle competenze da possedere per poter
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svolgere in maniera efficiente la propria attività. Determinato il livello quali-
quantitativo richiesto per ogni Profilo professionale si passa a rilevare il livello
effettivamente posseduto da ogni risorsa, e conseguentemente alla rilevazione
dell’eventuale gap. Dopo questo processo si interviene con il processo formativo,
intervento che sarà sicuramente più efficace in quanto si è stabilito con precisione dove
intervenire, quale è l’obiettivo formativo, e cioè il raggiungimento del livello di
competenze rilevato attraverso il progetto PSP.
Obiettivi raggiungibili attraverso un’ampia offerta formativa dal punto di vista
sia qualitativo che quantitativo (ho riportato alcuni dati che meglio di qualunque
aggettivo rendono l’idea dell’importanza dell’impegno che il Gruppo assume in materia
di Formazione); il Sanpaolo IMI offre tradizionali corsi in aula, corsi erogati a distanza
(FAD), anche, attraverso l’utilizzo della piattaforma Campus 2000 (piattaforma
informatica di proprietà del Gruppo) e dell’intranet aziendale, e corsi che prevedono
l’utilizzo integrato delle metodologie tradizionali e di quelle tecnologicamente
innovative.
Per concludere ho riportato un esempio di intervento formativo; la scelta tra
l’immane offerta formativa del Sanpaolo IMI è stata difficile, ma con i responsabili
della Formazione del Gruppo abbiamo scelto di descrivere un percorso che, sia per la
tematica trattata, sia per il modo di farlo, è di assoluto interesse: abbiamo scelto
l’intervento relativo alla nuova normativa sul credito Basilea II.
Ho dapprima presentato cosa prevede la nuova normativa e le conseguenze
sull’operatività delle banche, come è cambiato il modo di operare per il Sanpaolo IMI,
e quindi come è cambiato il lavoro quotidiano per i dipendenti impegnati nei processi di
concessione del credito. Cambiamenti che sono stati implementati attraverso, appunto,
un processo formativo ad hoc, che si è avvalso, e questa è una delle peculiarità, di una
metodologia formativa mista, che prevede l’utilizzo sia dell’aula tradizionale sia della
rete, la quale in questo caso viene adoperata come supporto ai corsi erogati in aula.
L’obiettivo che intendevo raggiungere con questo lavoro era quello di imparare
qualcosa in più sulla Formazione, e sul modo di intervenire su questa funzione in banca;
la collaborazione del Sanpaolo IMI in questo senso è stata impareggiabile e
determinante, spero, senza presunzione, di aver fornito uno strumento utile a chi voglia
avere un primo approccio a tale argomento
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Capitolo I La Formazione da “fattore di costo” a “leva strategica”
1.1. Definiamo la formazione.
Il tema della formazione, se ci fermiamo un attimo a pensare, è più vicino e
presente nella nostra vita di quanto riusciamo ad immaginare. Basta tornare indietro con
la memoria, alla nostra infanzia, per capire come la formazione pervada tutta la nostra
esistenza sin dai primi anni della nostra storia. Le prime persone, i nostri primi
formatori, che ci hanno indicato come muovere i primi passi nella giusta direzione, sono
stati i nostri genitori; dopo di loro è stato un susseguirsi di persone che ci hanno
accompagnato, seguiti, guidati nelle nostre prime esperienze: a scuola, nel lavoro, nella
vita di tutti i giorni.
Pensando a tutto questo, e sommando la considerazione che oggi il bisogno di
formazione è avvertito in misura maggiore in tutti i campi della vita, non solo nei luoghi
istituzionalmente predisposti, non solo nelle aziende, se osserviamo come la
considerazione della formazione sia aumentata negli anni, elevando questa a leva della
gestione d’estrema importanza anche strategica, capiamo il perché ho voluto affrontare
questo tema.
La formazione la possiamo intendere come un processo d’apprendimento che
riguarda l’individuo, le organizzazioni e, nel suo concetto più ampio la società. Essa
concerne l’individuo in tutte le sue fasi della vita, dalla formazione istituzionale iniziale
all’avviamento al lavoro, alla formazione post-experience di chi già lavora, fino alla
formazione permanente, lungo tutto l’arco della vita. ( Boldizzoni, 2003)
La formazione, intesa come percorso educativo, non ha come unico obiettivo
l’acquisizione, lo sviluppo ed il consolidamento dei saperi, ma è anche itinerario
creativo capace di destrutturate ciò che precedentemente è stato appreso per
ristrutturarsi in modo innovativo ed efficace.
Assistiamo oggi ad una vera e propria rivoluzione concettuale, tanto negli aspetti
teorici quanto in quelli pratici, frutto dello spostamento dell’attenzione della
formazione, da processo al quale si dedica una particolare fase della vita,
all’apprendimento ed alla sua facilitazione durante l’intero corso della stessa. La forza
di tale ribaltamento rende necessario aggiungere al sistema della formazione nuovi
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attori, nuovi modi di agire, nonché nuove e decisive fonti di risorse. La concezione
tradizionale della formazione improntata prevalentemente all’analisi dei bisogni,
all’insegnamento ed alla conseguente verifica dei risultati raggiunti rispetto a quelli
attesi, non è più in grado di fornire risposte efficaci alle nuove esigenze quantitative e
qualitative di coloro che apprendono.
La formazione non può più essere delegata esclusivamente a specialisti e
concentrata in tempi specifici, deve essere svolta in una quantità più ampia e variegata
di tempi, di luoghi e modalità. ( ISFOL – Botta – Montedoro, 2001)
Le incessanti trasformazioni degli ambienti sociali, economici, organizzativi e
lavorativi rilevano, inoltre, l’esigenza che gli individui acquisiscano maggiori capacità e
possibilità di continuare ad apprendere, permettendo loro di rinnovare più
frequentemente le proprie conoscenze e capacità. Ciò pone indubbiamente una concreta
sfida alla formazione, che è a riflettere e a rispondere alle domande di nuove
competenze.
Sistemi di formazione efficaci e ben organizzati sono fondamentali per lo
sviluppo dell’economia basata sulla conoscenza e per il miglioramento del livello e
della qualità dell’occupazione. L’esigenza dell’apprendimento per tutta la vita è, inoltre,
riconosciuta anche a livello istituzionale come strumento efficace per favorire lo
sviluppo di risorse umane dotate di quelle competenze che permettano di reagire
positivamente ai mutamenti sociali ed economici.
1.2.L’evoluzione storica della Formazione
1.2.1. I pionieristici anni ‘60
Nonostante sia una leva gestionale relativamente giovane, soprattutto nelle
aziende italiane, è possibile riconoscere un’evoluzione della formazione; in Italia il
fenomeno è introdotto a metà degli anni sessanta, sulla base di modelli
1
che vengono
importati prevalentemente dagli Stati Uniti.
Nel corso di questi anni la cultura della “posizione” (del job) è stata prevalente.
Il bisogno del mercato di approvvigionarsi ancora di prodotti standard a basso costo,
1
Per esempio il TWI, Training Whithin Industry. Vedi Autieri E. (2001), Management delle risorse
umane. Fondamenti professionali, Guerini e Associati, Milano
14
l’esigenza conseguente di organizzare le imprese produttive intorno alla funzione
produzione, l’importanza di specializzare il contenuto delle mansioni e l’abilità degli
operatori hanno richiesto una notevole opera di formazione. Essa era erogata a livello di
fabbrica, riguardava in modo particolare la “posizione” e puntava ad ottenere un
operatore il cui intervento fosse il più aderente possibile alle caratteristiche delle
operazioni prescritte. L’obiettivo era quindi quello della specializzazione.
1.2.2. Gli anni ’70: fase di “consolidamento e tecnicistica”
2
.
In questi anni la “professionalità” ha il sopravvento sulla posizione. I giovani
lavoratori, a più alta scolarità e con un bisogno di consumo meno cospicuo rispetto ai
due decenni post-guerra, rifiutano le condizioni più stressanti di parcellizzazione del
lavoro e contestano di dover legare la propria retribuzione alla posizione a cui
l’organizzazione del lavoro li confinava.
Stimolati da una contestazione sociale più ampia sviluppatasi nel mondo
studentesco e avente per oggetto il potere e la gerarchia, i lavoratori rifiutavano i sistemi
gestionali che legavano la classificazione dei lavoratori ai contenuti delle mansioni e la
gerarchia sia professionale che gestionale che presidiava il sistema.
L’azione formativa in questo contesto doveva assecondare la rivisitazione
dell’organizzazione del lavoro che veniva effettuata dalle parti in causa: azienda,
lavoratori, e rappresentanze sindacali. Successivamente essa doveva intervenire sui
lavoratori per accrescere la loro professionalità potenziale, cioè la loro capacità di
lavorare su più posizioni di lavoro d’importanza crescente e sulla loro disponibilità a
lavorare sui processi produttivi in modo flessibile e con una logica di gruppo.
L’azione formativa si sposta perciò dalle posizioni al processo, dall’uomo al
gruppo:
ANNI ‘60 POSIZIONE
UOMO
ANNI ‘70 PROCESSO
GRUPPO
Fig. 1 Differenza anni ’60-‘70
2
Vedi Quaglino G. P. (2002), Fare Formazione, Il Mulino, Bologna
15
Le persone, quindi, dovevano dimostrare di saper lavorare in più posizioni,
collocate lungo un “processo” e di saper intendere il rapporto esistente tra il proprio
contributo e quello dei colleghi, che appartenendo al medesimo gruppo, concorrevano
alla prestazione complessiva ( Di Gregorio, 1997).
In questi anni, però fare formazione significa ancora prevalentemente progettare
e realizzare corsi di formazione, con in più l’handicap, che l’analisi dei bisogni è
limitata, ed è praticamente assente la valutazione dei risultati.
Alla formazione, in genere non viene dedicato un tempo specifico: di solito
precede o segue la normale attività di lavoro, con l’inevitabile risultato di scarsa
attenzione dei partecipanti oppure assume, di fatto, la natura completamente opposta, di
vacanza in qualche località amena.
1.2.3. Gli anni ’80: introduzione della pianificazione della formazione.
Questi sono gli anni delle grandi ristrutturazioni e razionalizzazioni. Cambiano
le condizioni del mercato perché le crisi energetiche del 1974 e 1979 inducono una
maggiore attenzione all’uso dell’energia e perché la sofisticazione dei consumi, la
contesa dei clienti, l’ampliarsi della concorrenza richiede grandi cambiamenti
strutturali.
Integrazioni aziendali e razionalizzazioni organizzative ne sono le conseguenze.
L’ampliamento dei confini aziendali viene raggiunto con processi d’acquisizione e
scorpori, alcuni dei quali effettuati per salvare le realtà più piccole in difficoltà per le
crisi del mercato di riferimento.
Chi è investito dell’onere dell’operazione di ristrutturazione è il management
delle imprese. I vertici decidono le grandi strategie di riconfigurazione dei business e
dell’organizzazione.
La formazione in questo frangente deve scoprire un altro ruolo. Deve cioè
assistere il management nel far fronte a tale riorganizzazione, aiutandolo peraltro a
trasmettere delle conoscenze e una maggiore sensibilità a ragionare in termini di
risultato economico, di servizio al cliente, d’ottimizzazione delle risorse, in una logica
di business (Di Gregorio, 1997).
16
Proprio in questi anni si comincia a parlare di processo di formazione, articolato
nelle fasi:
ξ d’analisi dei bisogni;
ξ progettazione;
ξ erogazione del processo formativo;
ξ valutazione dei risultati.
Manca ancora però la concatenazione diretta tra valutazione dei risultati e
analisi dei bisogni. Ogni ciclo tende ad essere a sé stante, a chiudersi con la valutazione;
di conseguenza quello successivo riparte da e con un’altra analisi. La formazione è ricca
d’interventi, ma episodici, senza un disegno strategico di coerenza e di continuità.
ANALISI DEI
BISOGNI
PROGETTAZIONE
PROCESSO
VALUTAZIONE DEI
RISULTATI
INTERVENTI
FORMATIVI
Fig. 2 Formazione “a risposta”. ( Fonte: Autieri, 2001)
1.2.4. Gli anni ’90: gli anni del cambiamento.
Sono gli anni della crisi e del cambiamento. La crisi economica e l’apertura dei
mercati dell’Est contribuiscono al ribasso dei prezzi e aumentano la complessità della
competizione.
A questo va aggiunta un’operazione di snellimento delle organizzazioni, la
messa al bando degli sprechi, l’efficienza delle operazioni, il rigore
dell’amministrazione, il realismo delle scelte d’investimento, la finalizzazione degli
accordi di business ad un portafoglio credibilmente gestibile.
Quindi grande crisi, ma anche grande cambiamento nei valori e
nell’organizzazione. Infatti, in una condizione di competizione giocata a livello
mondiale, le differenze non si misurano più solo a livello di prodotto o nella tecnologia
trasformativa utilizzata, ma nella capacità d’innovazione continua e nel processo di
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miglioramento costante dei parametri che presidiano le condizioni di funzionamento
dell’impresa e il suo rapporto con il mercato e il contesto.
Sia l’innovazione che il miglioramento continuo sono però il frutto dell’impegno
delle risorse umane che lavorano nelle organizzazioni, entrambi sono praticabili se gli
uomini stabiliscono un proficuo e costante dialogo e interscambio con il mondo esterno
che consente d’internalizzare progressivamente le opportunità di mutamento e sviluppo
che questo dialogo suggerisce.
La funzione formazione in questa prospettiva risulta investita di nuovi compiti e
nuove valenze. Intanto la sua collocazione in organico risulta più vicina alla struttura di
vertice; solo in questo modo, infatti, può farsi carico di trasferire ad esso le sensazioni
che la struttura sottostante vive e le indicazioni che vorrebbe fornire per contribuire alla
determinazione di alcune linee di movimento strategico e gestionale in cui riconoscersi
e agire.
Essa si arricchisce poi di nuove competenze metodologiche, in grado cioè di
raccordare con maggiore tempestività e contestualità i diversi strati organizzativi della
piramide aziendale. Le fasi del processo di pianificazione, inoltre, divengono sempre
più un sistema, dove ognuna di essa riceve la giusta importanza, e nel quale la
valutazione dei risultati e l’analisi dei bisogni non sono due eventi lontani nel tempo,
ma un unico momento dalla doppia valenza: si valuta il risultato raggiunto e nel
contempo si programma che cosa occorre ancora fare, in un’ipotesi concreta di
formazione permanente, continua.
ANALISI DEI
BISOGNI
PROGETTAZIONE
SISTEMA
VALUTAZIONE DEI
RISULTATI
INTERVENTI
FORMATIVI
Fig. 3 Formazione “a programma”. (Fonte: Autieri, 2001)
18
1.2.5. Insegnare e apprendere: verso la società della conoscenza.
La Commissione Europea, alla fine del 1995, ha pubblicato un libro bianco dal
titolo assolutamente emblematico: “Insegnare e apprendere: verso la società della
conoscenza”, ponendo all’attenzione dei Paesi europei cinque grandi obiettivi:
ξ Incoraggiare l’acquisizione di nuove conoscenze;
ξ Avvicinare la scuola all’impresa;
ξ Lottare contro l’esclusione;
ξ Promuovere la conoscenza di tre lingue europee;
ξ Porre su un piano di parità gli investimenti materiali e gli investimenti
nella formazione. (Autieri, 2001)
I contenuti del libro bianco europeo rappresentano in buona sostanza il punto
d’arrivo del processo di consapevolezza che si è andato sviluppando e che può essere
riassunto in alcune frasi significative.
Thurow L.C. (1992) afferma: “la preparazione della forza lavoro è destinata a
essere l’arma più importante per la concorrenza del XXI secolo”, e:”le persone
qualificate rappresenteranno l’unico vantaggio competitivo sostenibile”.
Drucker P. F. ha scritto (1993):”la nostra società è postcapitalista perché la
conoscenza è diventata la risorsa, non una risorsa”; egli sostiene poi che in questa nuova
società “si può prevedere con sicurezza che chiunque abbia una conoscenza dovrà
acquisirne una nuova ogni quattro o cinque anni, altrimenti diventerà obsoleto”.
C’è oggi un convincimento diffuso sulla necessità di migliorare le competenze e
di sviluppare l’istruzione e la formazione nell’arco di tutta la vita, anche se poi si stenta
ancora a dare coerenza nell’azione ai convincimenti acquisiti. Questa vischiosità
nell’intervenire con più incisività ha sicuramente varie cause; non è sicuramente facile
superare prassi consolidate, che vedono la formazione realizzata in maniera episodica,
spesso volta a recuperare frettolosamente gap conoscitivi misurati su standard già medi,
vissuta inoltre come un costo dai non chiari ritorni e quindi non sempre sostenibile dai
budget aziendali.
Gli investimenti in formazione, in apprendimento, in conoscenza, non sono mai
stati fra gli obiettivi prioritari per le imprese che sono orientate ai risultati, ai prodotti, ai
servizi, ecc. D’altra parte, le aziende sono prevalentemente valutate sui risultati
gestionali, sul ROI, ROS, ROE, sui dividendi distribuiti, sul patrimonio.