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GNOSI E GNOSTICISMO
Gnosi e gnosticismo sono termini che non indicano necessariamente la medesi-
ma realtà; il primo può essere letto, astraendo dai contesti storico-culturali di prove-
nienza, ed essere utilizzato per accostare fenomeni spesso molto lontani fra loro (e
apparentemente differenti), sia geograficamente che storicamente; diversamente, lo
gnosticismo ha il suo luogo e il suo tempo di appartenenza che, seppur con varie
oscillazioni a seconda degli approcci specialistici, sono gli stessi del cristianesimo
nascente.¹
Questa distinzione presenta un’utilità dovuta alle profonde implicazioni legate
al concetto di “gnosi”, il quale porta inevitabilmente a scorgere manifestazioni gno-
stiche in fenomeni culturali anche molto distanti nello spazio e nel tempo. Cioè, se
per “gnosi” intendiamo il possesso di una verità assoluta ottenuta per vie sopranna-
turali, è chiaro che non solo essa appare restia a cristallizzazioni culturali, ma si può
asserire che la sua stessa identità emerge dalla contrapposizione allo spettro di signi-
ficati riconducibile alle categorie di “tradizione” e “cultura”.
L’aspetto transitorio che accompagna qualunque prodotto del pensiero umano,
non impedisce però a tali testimonianze di mantenere intatto il loro autentico valore.
Anche lo gnosticismo è figlio del suo luogo e del suo tempo, ma dalle opere che ne
raccontano l’identità giunge una delle possibili risposte agli eterni quesiti dell’umani-
tà, la quale, a prescindere dalla sua validità, ha la sua ragion d’essere oltre la storia.
GNOSTICISMO E TARDO ANTICO
Si è detto che lo gnosticismo, essendo in linea di massima contemporaneo al
cristianesimo delle origini, ci offre una testimonianza del clima spirituale presente
agli albori della nuova èra.
Tra Roma e Gerusalemme era tutto un fermento di movimenti filosofico-reli-
giosi accomunati da una forte tensione escatologica. L’esigenza di risposte che appa-
gassero gli autentici quesiti dell’esistenza mette in crisi le culture tradizionali, le quali
si rivelarono inadeguate ed elusive di fronte a tali problemi. Il cosmopolitismo seco-
lare ellenistico va progressivamente scomparendo a favore del nuovo spirito religio-
so, che le varie espressioni misteriche, l’ermetismo, lo gnosticismo e il cristianesimo
ben rappresentano. Nella forma e nel linguaggio, la cultura classica ed ellenistica so-
pravvive un po’ dappertutto, ma sono più che altro i neoplatonici a farsi convinti cu-
stodi dell’antica tradizione. Nonostante ciò, il neoplatonismo subisce indirettamente
l’influsso di coloro che afferma di combattere, in particolar modo gli gnostici: è
l’orientamento religioso il filo conduttore che presiede alla sua sintesi del platonismo
con altri elementi tratti dal patrimonio religioso e filosofico del paganesimo.²
¹ Cfr. Ugo Bianchi (a cura di), Le origini dello gnosticismo, Brill, Leiden, 1967 (p. XX).
² Cfr. Hans Jonas, Lo gnosticismo (trad. di Margherita Riccati di Ceva), SEI, Torino, 2002 (pp. 29 e 30).
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Lo gnosticismo si sviluppò, quindi, in un’epoca di grave crisi spirituale, di cui
ogni manifestazione culturale portava l’impronta. La reazione a questa crisi ha nelle
diverse dottrine gnostiche la sua faccia più radicale. Sia dal punto di vista formale (la
maggior parte dei testi gnostici sono tutto, fuorché lineari e semplici), sia per i
contenuti (infarciti di provocazioni più o meno esplicite), e sia per l’atteggiamento
spirituale di fondo, per lo più sprezzante di fronte a insegnamenti considerati per tanti
secoli degni di rispetto e venerazione, lo gnosticismo costituisce un fenomeno che
presenta degli impedimenti interni più che evidenti a un’affermazione su larga scala,
persino in un contesto storico-culturale come quello in cui venne a trovarsi. Nel suo
momento di maggiore fioritura, il II secolo, non si può certo parlare di predominio
culturale da parte gnostica, ma sempre di un partito minoritario, seppur agguerrito e
influente. Questo fatto non ha impedito ai suoi avversari di credere che, dopo tutto,
anche così rappresentasse un pericolo da eliminare, una testimonianza da cancellare
dalla storia; ne consegue la quasi completa distruzione delle opere gnostiche origina-
li, e la limitazione della nostra conoscenza dello gnosticismo quasi esclusivamente al-
le opere confutatorie degli eresiologi e di Plotino. Diversi luoghi del Nuovo Testa-
mento, assieme ad alcune opere apocrife, possiedono comunque un palese accento
gnostico, evidentemente sfuggito ai censori cristiani.
Nel 1945, una fortuita scoperta fatta nell’Alto Egitto, nei pressi di Nag-Ham-
madi, rimette in discussione le conoscenze finora acquisite. Un’intera biblioteca gno-
stica, in traduzione copta, ci mette direttamente in contatto con gli autori del II seco-
lo, dando la possibilità di ascoltare voci autentiche, prive del filtro partigiano degli
avversari del movimento. Da questa biblioteca emerge come la molteplicità delle dot-
trine gnostiche non si traducesse in reciproca ostilità tra i diversi seguaci; la presenza
di scritti appartenenti a scuole diverse suggerisce l’estrema naturalezza con cui le
opere dovevano essere oggetto di scambio tra le varie comunità, e la tolleranza e
apertura nei confronti delle più diverse espressioni.
Gli scritti di Nag-Hammadi¹ in una cosa sono del tutto in linea con la testi-
monianza degli eresiologi: nell’attribuire un peso decisivo, per originalità e raffina-
tezza, alle dottrine di stampo valentiniano. Valentino (o i suoi seguaci) primeggia per
quantità e qualità tra le opere rinvenute. I sethiani e i barbelognostici (due correnti di
cui non si conosce il fondatore) sono altrettanto se non più rappresentati, ma lo spes-
sore della dottrina valentiniana, la genialità e coerenza delle sue posizioni, nonché il
più stretto legame con le origini del cristianesimo, porta inevitabilmente a privilegiare
quest’ultima, ad estrarla dal variegato contesto in cui si trova, per dedicarle un’atten-
zione particolare.
In realtà, di Valentino si sa ben poco, e quel poco che si sa appare incongruen-
te con alcuni punti cardine della dottrina gnostica (si pensi alla sua presunta aspira-
zione all’episcopato, andata poi delusa). Non appare esagerato sostenere che le notizie,
¹ Cfr. Luigi Moraldi (a cura di), Testi gnostici, UTET, Torino, 1982 (pp. 61-85) e Hans Jonas, Lo gnosticismo,
op. cit. (pp. 306-334).
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che gli eresiologi danno circa la vita di Valentino, debbano ricevere lo stesso peso
che si dà a quelle sulla la vita di Simon Mago: le informazioni credibili sono
immerse in un contesto fazioso e pieno di acredine. La stessa dottrina che i Padri
della Chiesa attribuiscono genericamente ai valentiniani è da ricondurre in massima
parte ai discepoli (Tolomeo ed Eracleone soprattutto), i quali spesso vengono a com-
promessi (seppur velatamente) con la Grande Chiesa, che il maestro non avrebbe
tollerato. Dunque, sono i testi originali (generalmente meno propensi alla media-
zione), senza comunque trascurare le testimonianze degli eresiologi, a fornire la se-
gnaletica che conduce all’autentica dottrina di Valentino; due su tutti: il Vangelo di
Verità e il Vangelo di Filippo.¹ Questi due testi illuminano come pochi altri sul signi-
ficato da attribuire al termine “gnosi”, e sulle implicazioni che questo ha su due
categorie basilari per la comprensione della storia delle civiltà: la tradizione e la cul-
tura.
GNOSI, TRADIZIONE E CULTURA
Letteralmente, la parola gnosi significa “conoscenza”; la sua accezione conte-
stuale è di natura esoterica. La gnosi non è conoscenza di qualcosa d’altro da se stes-
sa; essa sostanzialmente non attinge alla cultura, come essenzialmente non contribui-
sce ad essa. Per “cultura” si intende sia il complesso del sapere letterario, artistico e
scientifico di una società in una data epoca, sia l’insieme dei valori, dei costumi e del-
le pratiche su cui questa società pone le proprie fondamenta. Perché una cultura possa
esistere, è necessario un processo continuo e generalizzato di trasmissione dei suoi
elementi portanti, che chiamiamo “tradizione”; questo termine deriva dal verbo latino
tradere (consegnare); curiosamente, questo verbo è lo stesso che i Vangeli canonici
utilizzano per indicare la “consegna” alle guardie, di Gesù da parte di Giuda; vale a
dire che nei Vangeli, un tradimento è puntualizzato con un termine che, correntemen-
te, non veniva usato a significare un inganno bensì una consegna, una trasmissione,
un affidamento. Evidentemente per gli gnostici, è questo quello che, non in un preci-
so e irripetibile momento storico, ma da sempre avviene (in quanto immagine di un
evento archetipo che si svolge nella dimensione dell’eterno): Giuda consegna la Verità
¹ Valentino visse nel II secolo della nostra èra. Epifanio ci informa che nacque in Egitto, e che ricevette la sua
formazione culturale ad Alessandria, all’epoca grande centro di scambio e sorgente delle più significative tendenze
nell’universo del pensiero tardo antico. Pare che si sia trasferito a Roma e qui abbia vissuto tra il 140 e il 160, dopo che
già nella terra d’origine la sua dottrina e il suo nome avevano ricevuto ampia diffusione tra le élites intellettuali.
Valentino fece anche un viaggio a Cipro, ma è soprattutto il periodo romano a delineare il fascino della sua figura nella
penna degli eresiologi; i toni aspri e sferzanti delle loro parole contro gli gnostici sono nel suo caso (più unico che raro)
smorzati dalla reputazione, che le sue doti non comuni gli avevano fatto guadagnare anche tra i suoi avversari. La sua
speculazione si inserisce nel cosiddetto “periodo classico” dello gnosticismo, che comprende altri importanti maestri,
quali Saturnino, Carpocrate e Basilide. Da Valentino si sviluppano, una scuola detta “italiana”, a cui vanno collegate le
dottrine di Tolomeo ed Eracleone, e una conosciuta come “orientale”, che tra i suoi rappresentanti ha annoverato Teo-
doto e Marco. Tra i testi recentemente scoperti a Nag-Hammadi, alcuni esibiscono un evidente linguaggio valentiniano:
il Vangelo di Verità (probabilmente opera dello stesso Valentino), il Vangelo di Filippo, la Prima Apocalisse di Giaco-
mo, il Trattato tripartito, il Trattato circa la Resurrezione e il Trattato valentiniano.
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(Gesù) alle autorità e, facendo ciò, automaticamente la tradisce. Per la gnosi, la Ve-
rità è incompatibile con il Potere: quando il Potere se ne fa araldo, ciò che viene
spacciata per Verità ne è solo la caricatura. Dire che la gnosi non attinge alla cultura,
dunque, significa dire che non assorbe la sostanza tràdita dalle autorità (le quali sole
hanno il potere di tramandare), ma ne utilizza la materia allo scopo di ricondurla al-
l’autenticità.
La presenza in testi canonici di elementi tutt’altro che ortodossi, è una storia
assai vecchia, che spiega perché mai in religioni come quella ebraica e cattolica, la
lettura della Bibbia (non gli apocrifi) sia sempre stata filtrata dalla tradizione rabbini-
ca e patristica. È chiaro dunque il motivo per il quale spesso gli gnostici estrapolano,
da contesti a loro ben poco favorevoli, stralci che interpretano alla maniera gnostica:
il principio, implicito in questo modo di fare, è che la Menzogna si serve della Verità
per sussistere ma, incapace di contenerla occultandola totalmente, finisce per rivelar-
ne essa stessa l’esistenza; così, lo spirito gnostico è spesso maggiormente evidente
proprio nel libero utilizzo di materiale “altrui”, adeguatamente devitalizzato del suo
significato sedimentario, e nell’esegesi.¹
Tornando alla definizione di “gnosi”, essa è una conoscenza di misteri che non
si ottiene in modo naturale e non può essere trasmessa coi convenzionali strumenti
umani; inoltre, il fatto di detenerla trasforma radicalmente la condizione di chi la pos-
siede. In altri termini, la gnosi è una conoscenza soprannaturale in cui vi è identità
divina fra il conoscente, il conosciuto e il veicolo di conoscenza: un unico essere che
conosce se stesso. Tuttavia, a un livello differente, possiamo parlare di una dottrina
che costituisce il contenuto teoretico della gnosi; ed è precisamente il livello in cui si
trova lo gnosticismo, il quale partecipando di tradizione e cultura, ne condivide il
destino caduco.²
GNOSI E AUTORITÀ
La gnosi, lo gnostico e la Verità sono una medesima inafferrabile realtà che si
pone agli antipodi di ciò che comunemente chiamiamo religione; questo unico essere
è padrone di sé, e non ha punti d’appoggio estranei a se stesso: egli abbandona ogni
testimonianza tràdita e ogni valore istituito, per rinascere dalle loro macerie. Per la
gnosi dunque, è sempre improprio parlare di “testi sacri” o di “tradizioni autentiche”,
giacché la testimonianza tràdita in sé è considerata “cosa morta”: solo chi è “vivo”,
chi esperisce da sé e in sé la Verità, può rigenerare ciò che è “morto” grazie alla Vita
che in lui alberga.³
¹ Cfr. Hans Jonas, Lo gnosticismo, op. cit. (pp. 107-111).
² Cfr. Hans Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico. Saggi filosofici (trad. di Giovanna Bettini), Il Muli-
no, Bologna, 1991 (p. 376).
³ Cfr. i testi cit. a p. 1 e G. Gnoli, La gnosi iranica (Per un’impostazione nuova del problema), in Ugo Bian-
chi, Le origini dello gnosticismo, op. cit. (pp. 288-290).
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Una lettura convenzionale dei testi gnostici cozza inevitabilmente nel parados-
so per cui all’esposizione di specifiche dottrine si accompagna, quasi come un’om-
bra che tutto copre, l’assioma dell’indipendenza spirituale dello gnostico da verità
estranee alla sua esperienza diretta. Gli gnostici non erano mai dei semplici segua-
ci di una dottrina, di cui condividevano i princìpi ideologici o ammiravano la sotti-
gliezza speculativa e la coerenza razionale; erano anche questo ma, soprattutto, si
consideravano uomini che avevano avuto il privilegio di attingere la loro conoscenza
a una fonte diversa da quelle comuni, la quale trascende i dati sensibili e le facoltà ra-
zionali e, per questa sua soprannaturalità, non può essere messa in discussione o mi-
surata coi criteri consueti. Ogni gnostico, se è veramente tale, deve possedere la “sua”
dottrina, deve parteciparla totalmente, e non esserne un mero suddito. Ne conseguiva
un’enorme proliferazione di posizioni e sfumature differenti, anche all’interno di una
stessa corrente, nella quale si concretizzava il paradosso.
In realtà la pluralità delle dottrine non intaccava, per gli gnostici, l’unicità della
Verità. L’incongruenza non va spiegata accusando d’impostura un autore rispetto a
un altro, bensì è lo stesso mezzo d’espressione, il convenzionale linguaggio umano,
che si esplica necessariamente nell’oggettualizzazione dei propri contenuti, ad essere
responsabile della contraddizione smembrando l’Unità. Comunque sia, gli gnostici
non rinnegavano il linguaggio, però ne ridimensionavano le pretese, convinti che
l’uomo e i suoi strumenti non siano in grado di trasmettere ciò che li oltrepassa, senza
un intervento diretto della Verità dall’interno. Il linguaggio opera efficacemente solo
sull’uomo reso ricettivo dalla Verità, capace di decifrare il messaggio autentico dalla
contaminazione di tradizione e cultura.
Nel Vangelo di Giovanni, un testo dall’impianto chiaramente ortodosso ma
imbevuto di dottrina gnostica, c’è uno degli esempi più luminosi dell’autentico rap-
porto esistente fra gnosi, tradizione e cultura; Gesù discute con Nicodemo, un’autori-
tà fra gli ebrei, e dichiara di parlare solo di ciò che sa per averlo esperito direttamen-
te, e paragona il pneumatico (lo gnostico) al vento, che soffia dove vuole facendosi
sentire, eppure non si sa onde arrivi e dove sia diretto¹: i seguaci di tradizione e cultu-
ra, come Nicodemo, non possono accogliere ciò che non può essere imbrigliato e
gestito, in modo da renderlo utile alla loro causa. L’interesse di tali funzionari è la
gestione e il controllo della società, la giustificazione dello status quo, appellandosi a
ciò che non conoscono; lo gnostico è una scheggia impazzita nell’ingranaggio del-
l’autorità: egli trova la Verità, giacché la cerca realmente, e scopre che essa scaturisce
dai resti di tradizione e cultura.²
MITOLOGIA GNOSTICA
Nelle opere gnostiche balugina la gnosi, ancor più per lo stile che per il
¹ Cfr. Vangelo di Giovanni (3, 1-11).
² Cfr. Luigi Moraldi, Testi gnostici, op. cit. (pp. 97-99).
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contenuto; in molti casi è netta l’impressione di trovarsi di fronte a delle mappe: il
territorio è altrove. Appare chiaro come la loro maniera allusiva si sposi bene con la
mitologia; eppure, i miti gnostici hanno poco a che vedere con quelli tradizionali. Il
mito gnostico ha un sostrato unitario e coerente, un’idea e verità precostituita che il
mito cristallizza in modo più fedele, duraturo e incisivo del puro concetto. Parimenti,
nell’utilizzo dell’allegoria piuttosto che del simbolo (nel significato originale del ter-
mine), si riscontra la profondità filosofica dello gnosticismo: gli gnostici erano filoso-
fi nel senso più autentico, ma reagivano al metodo puramente razionale e concettuale,
alla sua aridità e angustia, all’inverosimiglianza di asettiche speculazioni che non ri-
conoscono il giusto peso a fattori eminenti della realtà umana, come il sentimento e la
volontà; proprio uno dei motivi per cui Plotino, e un certo tipo di pensatori in genere,
attaccano gli gnostici, costituisce un loro fiero segno di riconoscimento, frutto di una
scelta ben precisa. Questo singolare metodo è all’origine di quell’apparente incoeren-
za e contraddizione presente nei loro testi, dovuta a:
« ...la facile adozione di immagini diverse per esprimere lo stesso motivo, e alle molteplici
variazioni su un tema comune ».¹
FENOMENOLOGIA GNOSTICA
La fenomenologia gnostica è contestuale a una situazione storicamente tarda, al
crepuscolo di una o più civiltà che cercano linfa vitale al di fuori della loro tradizione
e della loro cultura, dando luogo a un pensiero e a un’espressione liberi e sincretici.
Di conseguenza sono diverse le tradizioni e le culture rintracciabili nello gnosticismo,
ma la presenza maggiore o minore di una rispetto alle altre non deve portare a credere
che gli gnostici le attribuissero una qualche preferenza o inferiorità; tutt’altro, la scel-
ta era dettata esclusivamente dalla sua presenza e influenza nel mondo; e, nel mondo
tardo antico, la tradizione e la cultura più potenti, in quanto meglio organizzate, codi-
ficate, diffuse e attive, erano quelle ebraiche.
L’influsso dell’ebraismo era vasto e pressante, e né della cultura greco-romana,
né delle culture orientali, poteva dirsi neppure lontanamente la stessa cosa. Cosicché
la scelta era quella di un bersaglio, un bersaglio esemplare, in quanto potente e noto a
tutti. Difatti la gnosi non fa differenza sostanziale fra una tradizione e l’altra, in quan-
to necessariamente frutti distorti, alimentati da prevaricazioni burocratiche; la Verità
che asserisce di possedere ed essere è, da un velo invisibile, occultata ineluttabilmen-
te nella storia del mondo: quando il mondo declina, allora appare la gnosi. La gnosi è
lo gnostico. Lo gnostico non getta le fondamenta di un nuovo edificio ma bensì sorge
sulle rovine di tradizione e cultura.
¹ Hans Jonas, Dalla fede antica all’uomo tecnologico. Saggi filosofici, op. cit. (p. 388).