lanciate dalla competitività non potevano essere più fronteggiate attraverso le
politiche nazionali: si trattava di passare da frammentate azioni non
coordinate fra loro ad una politica comune europea, con obiettivi e regole
comuni. In quest’ottica, ai trattati che riguardano singoli settori industriali
(trattato che istituisce la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio
(CECA) entrato in vigore il 25 luglio 1952; trattato che istituisce la Comunità
Europea dell’Energia Atomica (CEEA), in vigore dal 1° gennaio 1958,
unitamente al trattato che istituisce la Comunità Economica Europea (CEE))
segue il trattato di Maastricht, istitutivo dell’Unione Europea, in vigore dal
novembre 1993. Quest’ultimo (unitamente al trattato di Amsterdam) , ha
parzialmente soddisfatto le aspettative con l’inserimento, per la prima volta,
di un articolo dedicato alla politica industriale (art. 157, del quale si tratterà
nei capitoli successivi). Con tale riferimento normativo è stata fornita una
base giuridica per la sua attuazione, in aggiunta a quanto già previsto nel
trattato di Roma in materia di concorrenza (artt. 81- 89).
Il trattato di Maastricht ha inserito tra gli obiettivi delle istituzioni
comunitarie il “rafforzamento della competitività dell’industria comunitaria”
(art. 3 lett. M
1
). La strategia industriale europea, dopo Maastricht, basa la
propria azione sullo sviluppo di un ambiente favorevole alla cooperazione tra
imprese, sull’adattamento di queste ultime ai cambiamenti industriali e sul
potenziale delle politiche d’innovazione, di ricerca e sviluppo tecnologico
2
.
Una politica industriale veramente europea, in grado di portare avanti una
profonda riconversione rispettosa dell’ambiente, deve prefiggersi in primo
luogo l’obiettivo di intraprendere azioni per combattere la crisi nei principali
settori industriali; in secondo luogo deve definire una nuova strategia
__________________________
1
L’art. 3 lettera M ha costituito il presupposto di un processo espansivo delle competenze
comunitarie, il quale è avvenuto in buona parte attraverso istituti giuridici che ancora oggi si
presentano come imprescindibili parametri di riferimento nello studio della politica industriale.
..
2
Un altro passo avanti è stato effettuato con il trattato di Amsterdam, che ha individuato
nello sviluppo sostenibile e nel raggiungimento del più elevato possibile livello di occupazione, due
degli obiettivi prioritari dell’Unione Europea.
II
industriale ed europea che stimoli la ricerca e lo sviluppo tecnologico,
l’innovazione delle strutture e la diffusione delle nuove tecnologie.
Strumento indispensabile per questa nuova concezione della politica
industriale può essere rappresentato dal consolidamento degli interventi a
favore delle piccole e medie imprese (cosiddette “PMI”), che costituiscono
l’asse trainante del sistema economico europeo.
Infatti, il Parlamento della Comunità Europea (comunicazione n. 714
del 2002
3
, di cui tratteremo in seguito) constata che il 98% delle imprese UE
sono di piccole o di medie dimensioni e che occorre promuovere le loro
potenzialità, esaminando i problemi derivanti dall’eccessiva imposizione
fiscale e dall’elevato costo del lavoro, fattori che limitano gravemente la
nascita e la crescita delle PMI in Europa.
Dopo anni in cui si pensava che la new economy ed i servizi avessero
sormontato la manifattura, oggi si torna a pensare all’industria come motore
dell’economia. Difesa e sviluppo, dicono i commissari europei, richiedono
una nuova sfida, sia in termini intellettuali che politici. Se nel passato all’idea
di politica industriale corrispondeva qualcosa di negativo, oggi la politica in
discussione va rilanciata con forza sia nei suoi aspetti economici che sociali
ed ambientali
4
.
La necessità di una politica industriale dell’Unione Europea è
diventata ancora più indispensabile a fronte dell’ampliamento della
Comunità. A tal proposito la Commissione per l’industria, il commercio
estero, la ricerca e l’energia ha sottoposto al Parlamento Europeo una
proposta di risoluzione sulla politica industriale in un’Europa allargata (COM
(2002) 714). Due interessanti punti di questo documento possono essere così
.__________________________
3
Comunicazione COM (2002) 714 definitivo del 11 dicembre 2002, La politica industriale
in un’Europa allargata, in Bollettino UE 12 - 2002.
Relazione n. 328/2003 del 8 ottobre 2003 sulla politica industriale in una Europa
allargata, Zrihen Zaari O. (Relatrice), Bruxelles, 2003.
4
FERRANTE, Rassegna sindacale n. 6, Politica industriale, la Commissione europea
e i ritardi della metalmeccanica italiana, 18 febbraio 2003.
III
sommariamente riassunti, riservandoci di tornare sull’argomento nei prossimi
capitoli; il Parlamento europeo:
A) “plaudendo alla comunicazione della Commissione che, nella
imminenza dell’ampliamento, prospetta la questione della politica industriale
e sottolineando la rilevanza dell’industria manifatturiera per l’economia
europea”.
B) “compiacendosi del fatto che, dopo dieci anni, la politica industriale
sia reinserita nell’ordine del giorno dell’Unione Europea; osserva che questo
nuovo tipo di politica industriale è caratterizzato dal sostegno a favore del
cambiamento invece che dalla protezione di settori che non soddisfano le
scelte dei consumatori o le pubbliche esigenze; rileva che nel lungo periodo
l’allargamento costituirà un’importante fonte di opportunità per l’industria sia
nei nuovi che negli attuali Stati membri e dovrebbe dare un contributo
positivo alla politica industriale generale dell’UE; […] ”.
Da non dimenticare sono poi i programmi quadro che sono stati
adottati in materia di ricerca e sviluppo tecnologico: per citarne uno si può
ricordare il “quinto programma quadro delle azioni comunitarie di ricerca, di
sviluppo tecnologico e di dimostrazione (1998-2002)” adottato con decisione
del Parlamento Europeo
5
del 22 dicembre 1998, ove si incoraggia la
promozione della cooperazione anche con Paesi estranei alla Comunità
Europea e con organizzazioni internazionali, incoraggiando la partecipazione
soprattutto delle piccole e medie imprese; ma si possono in particolar modo
ricordare gli importanti atti adottati in materia di tecnologia dell’informazione
quali “ESPRIT I” ed “ESPRIT II”, programmi integrati di progetti di “R&S”
(ricerca e sviluppo). Tutti i programmi citati, insieme ad altri, verranno
singolarmente descritti nel corso di questo lavoro, quando ci accingeremo a
trattare dello sviluppo tecnologico e del settore della Information Society.
__________________________
5
Decisione 182/1999/CE del 22 dicembre 1998 relativa al quinto programma quadro delle
azioni comunitarie di ricerca, di sviluppo tecnologico e di dimostrazione (1998 - 2002), in GUCE n.
L 26 del 1 febbraio 1999. V. cap. 3, par. 2.
IV
Occorre un maggior contatto tra le industrie e le istituzioni
comunitarie, anche utilizzando gli strumenti informatici all’uopo predisposti:
si pensi alle pratiche di consultazione “IPM” ed “EBTP”
6
, che facilitano la
partecipazione delle industrie alle decisioni da assumersi in sede comunitaria
che possano avere riflessi sulle attività produttive. Si tratta di mezzi di
cooperazione il cui costo è minimo e che consentono un dialogo diretto con
l’Europa e che investono soprattutto interessi e proposte aziendali.
Altra questione sempre attuale è quella concernente la competitività, la
cui importanza è stata sottolineata dal Consiglio Europeo di Lisbona del 2000
in cui l’Unione Europea ha posto come suo obiettivo prioritario quello di
diventare in pochi anni il luogo in cui conoscenza e competitività siano
migliori rispetto a tutto il resto del mondo; a tal proposito si può menzionare
il comunicato stampa n. 12487/04 del Consiglio
7
, nel quale si chiede
“maggiore crescita della produttività”, oltre che risorse umane con alto grado
di conoscenza e competenza, mezzi di comunicazione veloci e moderni,
politiche pubbliche a favore della ricerca ed innovazione.
Gli atti delle istituzioni comunitarie in materia sono molti e tra essi è
necessario ora accennarne uno in particolare, cioè le conclusioni del
Consiglio del 27 novembre 2003 sul contributo che una politica industriale
può apportare alla competitività europea
8
: in questo documento il Consiglio
dell’Unione Europea riconosce che è essenziale sviluppare e raggiungere gli
obiettivi indicati nel programma di Lisbona e che occorre, quando le politiche
sono volte ad aumentare la competitività, un equilibrio tra i tre “pilastri” dello
sviluppo sostenibile (cioè economico, ambientale e sociale), oltre che rendere
partecipi tutte le parti interessate attraverso una “consultazione aperta”.
.. Al punto 5 delle conclusioni il Consiglio chiede alle industrie europee
__________________________
6
V. cap. 3, par. 5.
7
Comunicato stampa n. 12487/04 del 24 settembre 2004, sulla competitività (mercato
interno, industria e ricerca), in Presse 269, Bruxelles, 2004.
8
Conclusioni 2003/C317/02 del 27 novembre 2003 sul contributo della politica industriale
alla competitività europea, in GUCE n. 317 del 30 dicembre 2003.
V
di utilizzare tutta la propria conoscenza tecnologica al fine di aumentare e
migliorare la competitività: gli strumenti necessari da adottare sono gli
investimenti nel settore della ricerca e sviluppo tecnologico, l’innovazione e
la formazione dei lavoratori. Esso indica poi come requisito essenziale
l’attuazione della “Carta europea delle Piccole e Medie Imprese”
9
, al fine di
rendere partecipi alle politiche comuni anche tali aziende .
Si può concludere affermando che la politica industriale creata dai
policy makers dell’Unione Europea è ricca di incentivi alle imprese alla
partecipazione attiva e diretta; occorre lasciarsi alle spalle i vecchi ricordi di
uno Stato nazionale geloso dei propri “campioni”
10
ed agire, invece, per
obiettivi comuni; occorre probabilmente anche informare e sensibilizzare
maggiormente le industrie nel cercare più contatti esterni, rendendole
consapevoli che, operando e cooperando su un mercato più ampio, i benefici
non possono che essere positivi per tutti.
__________________________
9
V. cap. 3.
10
BIANCHI, Le politiche industriali dell’Unione Europea, Bologna, 1999.
VI
Capitolo 1
LE POLITICHE INDUSTRIALI NEI TRATTATI ISTITUTIVI.
…
§ 1. Concezione e settori della politica industriale europea - § 2 Il trattato istitutivo della CECA - §
2.1 Il Memorandum Colonna - § 2.2 La crisi siderurgica degli anni settanta e l’intervento della
CECA - § 2.3 Il Piano Davignon - § 2.4 I Codici CECA sugli aiuti di Stato alle imprese - § 2.5 I
prestiti CECA alle industrie carbo-siderurgiche - § 2.6 L'associazione delle imprese europee
(EUROFER) - § 3 Il trattato CEEA - § 3.1 Il quinto e sesto programma quadro EURATOM - § 4 La
politica industriale nel trattato di Roma. Assenza di norme esplicite - § 5 La politica industriale
nell’Atto unico europeo e nel trattato di Maastricht. - § 5.1 Il Rapporto Bangemann. - § 6 L’industria
nel Trattato di Nizza. ....
§ 1. Concezione e settori della politica industriale europea.
…..
Gli anni Cinquanta rappresentavano una crescita caratterizzata da
investimenti, da incentivi alle attività di produzione, dalla nascita di nuovi
intermediari creditizi; tutti questi fattori rendevano possibile un effettivo
rafforzamento di industria e competitività. In questi anni era assente, però,
una regolamentazione a livello comunitario della politica industriale; la
scelta di come agire in questo campo era, infatti, lasciata agli Stati nazionali,
che controllavano le proprie imprese; l’intervento degli attori nazionali era
quindi di natura interventista, a protezione dei propri “campioni”
1
.
La situazione non mutava, inizialmente, né con il trattato di Parigi del
1951, istitutivo della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, né con il
__________________________che si affacciano su
1
BIANCHI, Le politiche industriali dell’Unione europea, p. 12 ss, cit. Si veda anche
BEUTLER - BIEBER - PIPKORN - STREIL - WEILER, L’Unione Europea. Istituzioni,
ordinamento e politiche, p. 570, Baden - Baden, 1993. Una politica industriale comunitaria avrebbe
potuto svolgere un ruolo di regolamentazione dei comportamenti delle imprese all’interno di un
mercato esteso. Occorrono più politiche industriali al fine di permettere alle industrie di
riorganizzarsi all’interno di un mercato esteso. E’ necessario che le imprese meno avvantaggiate,
che si affacciano su un mercato più ampio e concorrenziale rispetto a quello precedente, siano
appoggiate da politiche in grado di accelerare la crescita dei Paesi meno efficienti. Le politiche
industriali hanno il compito di guidare il mutamento strutturale, sostenere le specializzazioni
reciproche, guidare al consolidamento dei Paesi membri. E’ opportuno che queste politiche
garantiscano che l’estensione del mercato non si trasformi a sua volta in un settore che riduca, per
effetto di fenomeni di monopolizzazione, la molteplicità delle specializzazioni produttive.
1
trattato di Roma, istitutivo della Comunità Economica Europea; non era cioè
prevista una base giuridica a sostegno di una politica in tal senso; si
applicavano piuttosto norme collegabili al settore industriale, ad esempio in
materia di concorrenza e approvvigionamenti: si pensi ad esempio alla
decisione del 1953 dell’Alta Autorità CECA relativa alle pratiche vietate
dall’articolo 60 par. 1 del trattato nel mercato comune del carbone e
dell’acciaio
2
. In questo documento, all’art. 2, si indicavano come pratiche
vietate dal trattato le maggiorazioni o i ribassi di prezzi rispetto al listino da
parte del venditore, ma anche condizioni di prezzo più favorevoli di quelle da
catalogo. In altri termini, questa decisione aveva l’obiettivo di evitare la
discriminazione nelle condizioni di vendita nei confronti dei compratori
all’interno della CECA; all’art. 8 la decisione indicava direttamente come
destinatarie dei divieti di cui sopra le imprese, le quali dovevano adeguare le
proprie condizioni di vendita.
Il trattato CECA era sottoscritto al fine di mettere in comune la
produzione di carbone e acciaio e solo dopo alcuni anni dalla sua adozione
la Comunità interveniva per sopperire alla crisi che aveva colpito le industrie
carbosiderurgiche; le misure adottate erano azioni limitative dei poteri degli
Stati membri: si applicava l’art. 58 in materia di quote di produzione e l’art.
61 in materia di prezzi minimi
3
.
Anche il trattato EURATOM non prevedeva una specifica base
giuridica per la programmazione della politica in questione, anche se
prevedeva norme in materia di approvvigionamenti, ricerca e tecnologia nel
campo delle industrie nucleari; all’atto della costituzione della Comunità
Economica Europea, le barriere tariffarie (e non) producevano un “gap
dimensionale”
4
tra le aziende europee e quelle esterne al mercato comune (si
__________________________aziende europee e quelle esterne al mercato
2
Decisione n. 30/53/CECA del 2 maggio 1953 relativa alle pratiche vietate dall’articolo
60 par. 1 del Trattato CECA nel mercato comune del carbone e dell’acciaio. Per la decisione si
consulti http//:europa.eu.int/eurlex/lex/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=celex:31953D0030:it:html
3
MALAMAN - RANCI, Le politiche industriali della CEE, Bologna, 1988.
4
SARRI, Effetti ridistributivi della politica industriale, Università degli studi di Siena,
Dipartimento di Economia politica, Quaderno n. 26, cap. 2, Gennaio 2004.
2
pensi agli USA). Lo svantaggio dimensionale si traduceva, di conseguenza,
in un minor investimento tecnologico e di ricerca, soprattutto da parte delle
impreserca di piccole dimensioni. Era quindi necessaria una politica industriale
in grado di sostenere la crescita di queste imprese, e questa era l’idea anche
delle organizzazioni delle industrie a livello nazionale.
Neanche il trattato CEE prevedeva nel suo testo una base giuridica
relativa alla politica industriale; occorre precisare ancora una volta, in
relazione ai tre trattati summenzionati, che pur se essi trattavano in alcuni
articoli aspetti di natura industriale (si pensi alla ricerca, alle forniture di
materiali, alla produzione ecc.) nessuno prevedeva od utilizzava il termine “
politica industriale”; occorrerà attendere i primi anni Novanta, con l’adozione
del trattato di Maastricht, per scorgere alcuni commi all’interno di un singolo
articolo concernente lo specifico settore in questione (si tratta dell’art.157
5
)
poi modificato, nella parte procedurale, dal trattato di Nizza del 2001.
Per quanto riguarda la politica industriale negli anni Sessanta, si deve
ricordare che pochi anni prima, nel 1957, entrava in vigore il trattato di Roma
istitutivo della Comunità Economica Europea: era sicuramente una grande
svolta europea, ma nonostante ciò la politica nel settore in discussione
mancava di una base giuridica diretta nel trattato; le azioni attuate in questo
periodo erano, come nel periodo precedente, volte agli aiuti pubblici
6
, mentre
è solo a partire dalla crisi petrolifera del 1973 che la Commissione Europea
cominciava ad assumere un ruolo attivo nella gestione della politica
industriale (non più solo limitata al settore della concorrenza), favorendo la
ristrutturazione e riconversione delle imprese colpite dalla crisi (si pensi al
piano Davignon
6 bis
nel settore siderurgico e al successivo accordo sulle fibre
__________________________….
5
Versione consolidata del Trattato che istituisce la Comunità Europea, in GUCE n. 325
del 24 dicembre 2002. Si veda anche PARLAMENTO EUROPEO, Principi generali della politica
industriale dell’UE, note sintetiche pubblicate su http://www.europarl.eu.int/factsheets/4_7_1it.htm,
1 ottobre 2000.
6
PONTAROLLO, Una politica industriale per le imprese della Lombardia, Università
cattolica del Sacro Cuore, http://www.univa.va.it, Milano, novembre 2003.
6 bis
V. par. 2.3.
3
sintetiche).
Per quanto concerne il processo innovativo, l’intervento dei governi a
sostegno delle industrie veniva fatto risalire al market failure paradigm
7
,
fenomeno consistente nell’idea che la mancanza dell’intervento pubblico
portava ad una debolezza del mercato e a una conseguente mancanza di
investimento nel settore della conoscenza. Quest’ultima, invece, doveva
essere strettamente saldata, mediante appositi strumenti, alla politica
industriale. Anche negli anni Sessanta il ruolo dello Stato nazionale mirava
essenzialmente alla tutela delle proprie industrie, dimostrandosi così
interessato alla stretta regolamentazione della materia; è soprattutto a causa
di tale riserva (e non per dimenticanza) che nel trattato di Roma non veniva
inserita una disposizione in materia di industria. Erano vicini gli anni della
crisi petrolifera e di quella del settore siderurgico: è in questo frangente che
si vedrà un vero intervento, diretto ed incisivo, da parte della CEE per
tamponare, mediante strumenti di politica industriale, i danni che le industrie
del settore non riuscivano a contenere.
Per politica industriale si intende una molteplicità di azioni pubbliche
le quali hanno lo scopo di controllare il processo di trasformazione di
un’economia. La funzione delle politiche industriali è l’individuazione della
nuova struttura comune e l’appoggio del processo di cambiamento produttivo
a cui le imprese devono adeguarsi; a tal fine si fissano principi comuni, i
quali devono essere posti a fondamento dell’azione dei partecipanti
all’accordo. In questo quadro possiamo distinguere due approcci in relazione
al caso che si verifichi un’unione doganale o un’unione economica. Nel
primo caso avremo un effetto top down, di derivazione francese, nel quale
una direzione centrale emette atti in nome collettivo con poteri di comando.
Nel secondo caso si avrà un effetto di bottom up nel quale,
__________________________…………..
7
VITALI, Dispense: Le politiche economiche dell’Unione Europea, consultabile sul sito
www.ceris.to.cnr.it, 2005. Si veda anche NIHOUL - RODFORD, EU Electronic Communications
Law, p. 503, punto 5.29, Oxford, 2004. Le cause più importanti di questo fenomeno si fondano su
problemi di natura informativa, sul rischio e sull’incertezza degli investimenti in ricerca, sul rischio
di monopoli.
4
all’interno di regole ed azioni comuni, ogni singolo Paese può proporre
specifiche azioni che potranno diventare comuni
8
.
La possibilità di concordare le linee politiche attraverso diverse
proposte di azione si evidenzia in particolar modo nelle politiche dello
sviluppo industriale dove, ad esempio, il campo dell’innovazione tecnologica
è oggetto di diverse proposte di azioni concernenti i sistemi per una crescita
più veloce
8 bis
.
Importante elemento della politica industriale della Comunità è il
sistema di networking, il quale altro non è, se non una procedura dalla quale
si crea un’azione politica. Il networking ha la funzione di risolvere un
problema attraverso regole costruite sulla cooperazione dei singoli Paesi uniti
in gruppo; tali regole verranno poi assunte quali standards comuni. Il
networking è quindi un metodo attraverso il quale si crea, attraverso la
reciproca cooperazione, politica industriale a livello collettivo.
Il ruolo della Commissione Europea consiste in una iniziativa tesa a
ricevere le istanze dei singoli, appoggiando in particolar modo i meno
favoriti affinché essi possano partecipare all’azione comune.
La politica industriale comunitaria deve essere tesa a permettere una
azione comune, scevra da interventi degli Stati nazionali miranti a
soddisfare, attraverso poteri di comando e di controllo nei confronti dei
singoli, interessi nazionali mascherati da interessi comuni. Si pensi alla crisi
degli anni Settanta nei settori dell’acciaio e tessile: le politiche industriali che
volevano porvi rimedio fallivano perché il progetto europeo di trasferire le
politiche nazionali a livello comune non era altro che il soddisfacimento di
interessi solo nazionali. Stessa sorte toccò a piani di aiuti nazionali alle
imprese, che solo in principio si volevano trasferire a livello europeo,
__________________________……..
8
BIANCHI, Le politiche industriali dell’Unione europea, cit, pag. 310 ss. Nel rilancio
della Comunità verso l’Unione Europea vi è stato il passaggio dall’approccio top down a quello
bottom up. Si è passati quindi ad una politica industriale evolutiva, basata sull’ampliamento delle
occasioni di cooperazione. Viene dunque meno, attraverso le nuove politiche, l’idea di uno Stato con
poteri di comando e di controllo in nome di obiettivi di interesse nazionale.
8 bis
V. cap. 3.
5
ma che in realtà si trasformavano in una semplice corsa per il conseguimento
dei fondi europei messi a disposizione.
Le politiche industriali tradizionali erano tipologie di interventi
nazionali per mezzo delle quali si garantiva la sopravvivenza delle proprie
imprese che non avevano un grado di efficienza tale da poter competere
all’esterno (o all’interno) dello stesso Paese.
Volendo procedere a suddividere e differenziare le politiche industriali
in due grandi blocchi, possiamo effettuare la seguente classificazione
9
:
1. Politica industriale di tipo “costruttivistico”
10
: era un indirizzo di
stampo francese e successivamente giapponese, il quale aveva la
caratteristica della presenza di forti apparati centrali che tendevano ad
influenzare fortemente e comandare i comportamenti dei soggetti economici.
Lo Stato tendeva quindi ad una monopolizzazione interna, mirando alla
partecipazione internazionale al solo fine della tutela di interessi nazionali.
.. La Comunità Europea non adottava in questo approccio politiche
comuni in campo industriale, il settore specifico era ritenuto di competenza
degli Stati e questi ultimi non accettavano l’idea di devolvere il loro potere
decisionale ad un’autorità centrale. Questa tipologia politica è caratteristica
del periodo dei primi trattati istitutivi (trattato di Roma) anche se occorre
sottolineare che il trattato CECA prevedeva una vera azione comune, vista e
considerata l’importanza che il carbone e l’acciaio assumevano dal punto di
vista economico e politico
11
.
La politica industriale costruttivistica
era in linea con una politica di
aggiustamento strutturale propria di un’unione doganale, basata su
un’apertura incrociata dei mercati nell’ambito di un accordo tra Paesi i quali
tendevano a velocizzare la loro efficienza interna per potersi avvicinare al
referente collettivo dato dal concorrente esterno più efficiente. Secondo il
trattato di Roma, quindi, non servivano specifiche misure industriali, poiché
_________________________________…
9
NEUMANN, Industrial Policy and Competition Policy, London, 1990.
10
BIANCHI, Le politiche industriali dell’Unione europea, cit, pag. 11.
11
Egualmente nel trattato CEEA vi sono indicazioni in materia di politica industriale.
……. .....
6
l’azione a sostegno della crescita industriale era data dalla realizzazione
dell’unione doganale ed economica previste. Non stupisce, dunque, la
mancata previsione nel trattato di Roma di previsioni specifiche in materia
industriale, mentre ci si basava principalmente sulla creazione di un ambiente
macroeconomico favorevole mediante azioni di controllo e di restrizione.
...... … Negli anni Settanta la Comunità si trovava a fare i conti con la crisi
economica e quindi interveniva con azioni costruttivistiche. Si pensi al
settore dell’acciaio e al piano di sussidi alle imprese col fine di ridurre la
capacità produttiva (V. par. 2.2).
Nei primi anni Ottanta la presenza dello Stato in Europa era
caratterizzata dal fatto che ogni Governo nazionale programmava politiche
per dar sostegno alle proprie imprese. Stessa situazione, anche se in misura
meno rilevante, si aveva negli Stati Uniti dove vi era una forte
regolamentazione delle attività economiche. Si sviluppavano forme di
protezionismo attraverso le quali lo Stato interveniva prestando aiuto alle
proprie aziende; tale sostegno, assieme alla soluzione di limitare i commerci
tra i Paesi, alterava il funzionamento del mercato.
2. .Politica industriale di tipo “evolutivo”
12
: è la politica di
derivazione tedesca, che si attua con un’unione economica e che favorisce la
cooperazione a livello comunitario al fine di porre in comune le conoscenze
e le specializzazioni dei singoli per soddisfare interessi comuni e al fine di
accrescere la competitività e la concorrenza tra imprese. Tale approccio
positivo si basa sulla creazione di un ambiente adatto all’apertura del
mercato e alla concorrenza internazionale.
Le politiche industriali hanno il fine di fissare le regole comuni del
gioco (politiche della concorrenza), ma anche regole che facilitano la
partecipazione attiva del maggior numero di soggetti possibile (politiche
strutturali e d’innovazione tecnologica).
__________________________
12
Il nuovo approccio è stato specificato dal cosiddetto “Rapporto Bangemann”, per il quale
si veda il par. 5.1 …
7
La visione costruttivistica veniva quindi progressivamente sostituita
da un nuovo approccio implicitamente inteso nell’Atto unico e poi
esplicitamente assunto dal trattato di Maastricht.
Nella metà degli anni Ottanta ci si muoveva, pertanto, verso la
previsione di specifici programmi volti a rendere partecipi tutte le industrie;
per citare alcuni di questi progetti si pensi ai programmi quadro in materia
scientifico - tecnologica, di ricerca e sviluppo (v. cap. 3). …
Occorreva accelerare il mutamento organizzativo e tecnologico delle
imprese, la formazione e lo sviluppo delle risorse umane, la cooperazione
industriale. L’intervento di politica industriale diveniva azione mirante a
garantire condizioni di collaborazione tra le imprese, superando così
l’approccio di una politica di stampo dirigista, la visione centralista della
politica industriale. L’approccio tedesco pone al centro l’azione dei soggetti
amministrativi locali, attribuendo compiti sussidiari all’istituzione comune,
intendendo ancora per soggetti locali gli Stati e non le istanze regionali. Alla
Commissione Europea restava il compito di garantire che le azioni intraprese
non implicassero distorsioni della concorrenza. ...............
Le azioni comunitarie degli anni Novanta, a differenza degli anni
Settanta, dove la Comunità vigilava blandamente sulle azioni nazionali (aiuti
di Stato alle singole imprese, accordi tra imprese per regolare la capacità
produttiva, fissazione di quote di mercato), si basavano sulla rimozione delle
barriere nazionali, sulla tutela contro le monopolizzazioni, sulla promozione
della cooperazione tra imprese di diversi Paesi e sulla ricerca e sviluppo
tecnologico.
Nel nuovo approccio evolutivo viene meno, quindi, l’idea di una
politica industriale volta ad azioni di sostegno a singoli settori da parte di
un’autorità centrale, mentre nasce l’idea di un’azione pubblica che coinvolge
vari soggetti al fine di progettare opportunità di sviluppo, di crescita e di
ricerca alle quali le imprese possono liberamente adire. Si pensi, ad esempio,
al programma BRITE (Basic Research in Industrial Technologies for
Europe), un programma pluriennale europeo per lo sviluppo di attività di
ricerca tecnologica che aveva l’obiettivo di “fornire un incentivo alla
8
costituzione di una significativa e progredita base tecnologica cui l’industria
comunitaria poteva ricorrere per mantenere la sua concorrenzialità
industriale […]”
13
. BRITE era rivolto soprattutto alle PMI che necessitavano
di rilancio competitivo e rinnovamento produttivo (i settori di riferimento
erano la tecnologia dei laser, la giunzione, i nuovi materiali).
Si può concludere affermando che il panorama delle azioni
comunitarie a favore delle industrie assumeva, attraverso nuovi programmi,
sempre maggior importanza, in linea con un nuovo modo di intendere la
politica industriale. L’attuazione di questo nuovo approccio, e quindi gli
specifici programmi incentivanti la partecipazione delle imprese, verrà
analizzato nel terzo capitolo di questa tesi.
Esaminando più specificamente la politica nel settore oggetto di
questo lavoro, ossia l’industria, essa viene in letteratura divisa in cinque aree
d’intervento
14
:
1. Politica tecnologica, dove il settore delle telecomunicazioni ha
raggiunto un forte sviluppo; per quanto concerne invece la microelettronica i
risultati sono stati relativamente buoni. Nel 1984 la Comunità Europea
lanciava un programma concernente i settori della scienza e della tecnologia
(First Framework Programme for Science and Technology)
15
; nel
__________________________…
13
Il programma si basava su diverse aree di ricerca quali nuovi materiali, nuove tecnologie
(laser), nuove tecnologie di produzione (progetti pilota di assemblaggi automatizzati). Il programma
BRITE veniva criticato sulla base del fatto che la partecipazione delle piccole e medie imprese era
bassa e ciò era inconcepibile visto e considerato che esso era rivolto proprio ad esse. Per
informazioni concernenti BRITE si consulti l’indirizzo http://europa.eu.int/comm/research/brite-
eu/impact2001/executive_it.html, Un’impressione duratura sull’Europa. Per il quarto programma
quadro si può consultare http://www.cordis.lu/brite-euram/home.html
14
MEJER - STAMER, Industrial Policy in Europe, New Options, Paper for Eurokolleg
Series, Friedrich-Ebert-Foundation, Bonn, January 1995.
15
GREPPI, La politica della ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico nel sistema
comunitario europeo: profili giuridici e operativi, L’Europa della Tecnologia, Società Italiana
Organizzazione Internazionale,Torino,1985. Si pensi al programma RACE previsto per le tecnologie
delle telecomunicazioni, del quale tratteremo nel capitolo 3. Per i programmi quadro in materia di
RST si può inoltre consultare il seguente sito: http://europa.eu.int/scadplus/leg/it/lvb/i23000.htm
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