5
aperto contrasto con le brillanti formulazioni dei “Nuovi Classici”, ripropone in maniera
più articolata le intuizioni di Keynes. La terza parte, infine, cerca di sintetizzare gli
sviluppi più recenti della Nuova Economia Keynesiana e di capirne le principali
implicazioni di politica economica.
6
CAPITOLO I
LA TRADIZIONALE CONTRAPPOSIZIONE TRA NEOCLASSICI E
KEYNESIANI
1. Introduzione
La ricostruzione delle principali differenze tra il modello neoclassico e quello
Keynesiano è il punto di partenza per capire i successivi sviluppi ed arricchimenti dei
due modelli.
Il modello Keynesiano, ad esempio, è stato integrato dalla curva di Phillips (1958) ed ha
raccolto così tanti consensi da adombrare le teorie neoclassiche. Queste ultime, d’altro
canto, hanno trovato nel corso del tempo nuovi argomenti per muovere critiche radicali
alla scuola Keynesiana. Si possono considerare, ad esempio, gli sviluppi del
Monetarismo e, in anni più recenti, le teorie della Nuova Macroeconomia Classica e del
Real Business Cycle. In particolare queste due ultime scuole economiche hanno
conosciuto un iniziale periodo di rapida ascesa, per poi cedere il passo, come si dirà, a
nuove elaborazioni in chiave Keynesiana.
7
2. Dal modello neoclassico a quello Keynesiano
1
La capacità produttiva dell’economia - in senso ampio l’offerta aggregata - dipende dal
numero di persone disposte a lavorare e dal capitale impiegato.In termini algebrici si
può scrivere che :
Y=F(K,N) dove Y indica la produzione, N l’occupazione e K il capitale.
Fonte: HALL R.E., TAYLOR J.B. (1994), p. 373.
Lo studio dell’offerta aggregata può quindi cominciare dall’analisi microeconomica del
mercato del lavoro e del mercato del capitale. Se si suppone dato lo “stock” di
capitale, si può esprimere graficamente la relazione tra produzione e occupazione in
modo da individuare la funzione di produzione di breve periodo: al crescere dei
lavoratori occupati il prodotto del lavoratore marginale diminuisce.
Le ipotesi alla base di questo modello sono il frutto dell’evoluzione di pensiero della
scuola “neoclassica-marginalista” (Walras, Marshall) sviluppatasi dalla fine del XIX°
1
Sulle etichette da attribuire ad ogni scuola bisogna sempre chiarire: in questa sezione faremo riferimento
con il termine “neoclassico” semplicemente al modello dominante prima della pubblicazione della
“Teoria Generale” di Keynes.
Y=F(K,N)
N
Y
8
secolo, anche in reazione alle ormai insufficienti leggi dei “classici”(Smith, Ricardo,
Mill, ecc.).
Le assunzioni dei marginalisti sono forti: ogni impresa operante in un mondo
concorrenziale persegue la massimizzazione dei profitti, domanda lavoro e sceglie il
livello di occupazione in modo da uguagliare la produttività marginale del lavoro al
salario reale:
DF(K,N) / DN= W/P.
Il salario reale è il salario in lire W diviso per il livello dei prezzi P ed indica
sostanzialmente la quantità di beni che una persona può acquistare con un’ora
aggiuntiva di lavoro. Un aumento del numero degli occupati richiederà, perché
l’equilibrio sia rispettato, una riduzione dei salari reali e d’altro canto un aumento del
salario reale indurrà le imprese a domandare meno lavoratori. Ciò comporta la necessità
di scrivere la curva di domanda di lavoro come funzione decrescente di W/P.
Fonte: HALL R. E., TAYLOR J. B (1994), p. 374.
N
W
P
N
D
9
L’offerta di lavoro dipende dalle decisioni dei lavoratori sul tempo da dedicare ad un
impiego.
In via generale si può supporre che ciascun lavoratore massimizzi una propria funzione
di utilità (che dipende dal reddito e dalle ore da dedicare al riposo e al tempo libero)
sotto il vincolo che il reddito sia pari al salario orario, in termini reali, moltiplicato per
le ore lavorate.
Si ricava in questo modo la curva d’offerta di lavoro; essa dipende da due effetti,
indicati nella teoria microeconomica come effetto reddito ed effetto sostituzione: il
primo spinge i lavoratori, con un salario reale elevato, a consumare di più e offrire
meno lavoro; il secondo al contrario li convince a lavorare di più, ad esempio quando il
tempo libero diviene “più costoso” mentre il salario reale tende a crescere.
Una combinazione opportuna dei due effetti può fornirci il grafico con un andamento
crescente della curva d’offerta di lavoro in funzione del salario reale; comunque molte
verifiche empiriche (per l’Italia si veda ad es. Colombino U., Del Boca D.,1989)
lasciano supporre che il suo andamento sia tendenzialmente “rientrante” per più alti
livelli del salario reale
2
.
2
In effetti la curva di offerta di lavoro qui utilizzata è troppo semplicistica. Sia le attuali impostazioni
“neokeynesiane” (come vedremo) sia le verifiche empiriche suggeriscono di inserire
contemporaneamente dei tratti “crescenti” e “decrescenti”.
10
Fonte: HALL R.E., TAYLOR J.B. (1994), p. 377.
Secondo il modello neoclassico l’equilibrio concorrenziale nel mercato del lavoro è
dato dall’incontro della curva di domanda e di quella d’offerta in corrispondenza di un
certo salario reale W/P. L’ipotesi sottostante è che i salari e i prezzi siano flessibili ( e
quindi anche il salario reale) in modo da garantire in ogni istante “pieno impiego”.
Infatti in queste condizioni non può esservi disoccupazione: ad esempio un salario reale
troppo elevato potrebbe subito diminuire, stimolando la domanda di lavoro da parte
delle imprese. Al limite potrebbe verificarsi il caso di disoccupazione “volontaria”,
perché alcuni individui per loro scelta non lavorerebbero mentre le imprese sarebbero
disposte ad assumere. Altri modelli di ispirazione “neoclassica” hanno trovato ulteriori
giustificazioni alla disoccupazione, attribuendola al livello troppo elevato dei salari
reali. Questi ultimi, infatti, potrebbero essere spinti in alto da movimenti nei prezzi e poi
difficilmente scenderebbero. Utilizzando la funzione di produzione di breve periodo e
l’equilibrio determinato sul mercato del lavoro, si può costruire la curva d’offerta
aggregata OA relativa al modello neoclassico: essa mostra la quantità che sarà offerta a
W
P
N
N
O
11
ciascun livello dei prezzi, nell’ipotesi che le imprese massimizzino i profitti, le famiglie
massimizzino l’utilità e il mercato del lavoro sia in equilibrio. La curva OA è
perfettamente anelastica perché il livello del prodotto sarà sempre uguale a Y* in virtù
della perfetta flessibilità di prezzi e salari.
Se ad esempio aumentasse il livello dei prezzi si verificherebbe rapidamente un
aumento del salario monetario senza avere conseguenze reali sull’offerta di beni.
L’equilibrio sugli altri mercati (dei beni, dei capitali) si determina partendo dal mercato
del lavoro che in un certo senso “domina” tutti gli altri. Sappiamo che, data
l’occupazione, la funzione di produzione determina la produzione offerta dalle imprese
nel mercato.
Y=F(K,N)
N
45°
W
P
N*
N*
N
o
N
D
N
P
OA
*
W
P
*
Y
*Y
Y
Y
Y
Y
12
Fonte: PARKIN M., BADE R. (1991), p. 328.
Perché il mercato dei beni sia in equilibrio è necessario che il sistema generi una
domanda aggregata pari all’offerta. Nel modello neoclassico la variabile che riequilibra
il mercato dei beni è il tasso reale di interesse. Questo a sua volta si determina sul
mercato dei capitali: infatti le imprese domandano capitali (e offrono obbligazioni) nella
misura dei loro investimenti. Le famiglie offrono capitali (e domandano obbligazioni)
nella misura del loro risparmio.
Sia la teoria “classica” che quella “neoclassica” (marginalista) accettano la “legge degli
sbocchi” di Jean Baptiste Say, secondo cui “l’offerta crea la propria domanda”: è
possibile che la domanda rivolta a singoli settori produttivi sia inferiore all’offerta degli
stessi; ma la deficienza di domanda in un settore verrebbe compensata da eccessi di
domanda in altri settori.
Il mercato provvederebbe a correggere gli squilibri ( la famosa “mano invisibile”)
dando lo stimolo ad aumentare la produzione o a ridurla se necessario. L’evidenza dei
fatti storici di inizio secolo (crolli azionari, depressione economica) è stata spesso in
contrasto con queste assunzioni; le tradizionali scuole di pensiero andavano
“ricostruite” se non abbandonate. J.M. KEYNES pubblica nel 1936 la sua “Teoria
Generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”, segnando un netto punto di
rottura con la teoria neoclassica, accusata di non spiegare fenomeni quali le crisi di
sovrapproduzione o la disoccupazione e di aver trascurato l’importanza dei fattori
monetari dell’economia. Keynes in sintesi rovescia la legge di Say: è la domanda a
creare l’offerta; non esistono degli aggiustamenti nei mercati così rapidi da garantire
sempre e comunque l’equilibrio. Nel mercato del lavoro, in particolare, il salario
13
monetario è sostanzialmente rigido e può indicare situazioni di “disoccupazione
involontaria”:
Fonte: COTULA F. (1989), p. 69.
Nel modello di Keynes, infatti, il salario monetario è fissato al livello W e ciò
giustifica l’esistenza di uno squilibrio tra domanda e offerta di lavoro, per dati livelli di
prezzi P.
Le imperfezioni del mercato, i meccanismi di contrattazione salariale, l’incertezza sul
futuro stato dell’economia, il ruolo del sindacato, sono solo alcune delle cause della
rigidità salariale; Keynes le analizza solo parzialmente ma è comunque tra i primi
studiosi a mettere in evidenza le “frizioni” e le “viscosità” nei vari mercati
3
. Il suo
merito principale, come vedremo qui di seguito, è di spostare l’attenzione sulla
domanda aggregata, la cui carenza può causare squilibri persistenti.
Mentre per i neoclassici l’occupazione si mantiene continuamente ad un livello tale da
consentire l’equilibrio (curva d’offerta aggr. verticale), Keynes tenta di dimostrare la
W
P
W
P
W
P
(
*
N
D
N
O
N
N
O
N *N
D
DISOCCUPAZ. INVOL.
14
possibilità di un livello di produzione di equilibrio diverso da quello di piena
occupazione.
Supponendo che il salario monetario sia dato e che i prezzi siano (relativamente)
flessibili, individuiamo innanzitutto la curva d’offerta aggregata keynesiana: un salario
monetario pari a 0W , un livello dei prezzi pari a P(0) implicano un salario reale
0W /P(0).
3
Si noti che buona parte degli studi macroeconomici presentati nei capitoli successivi si basano su
queste imperfezioni.
15
Fonte: CARLIN W., SOSKICE D. (1993), p. 49.
Questo valore del salario reale corrisponde ad un livello di occupazione N(0) e, per
mezzo della nota funzione di produzione di breve periodo, ad un livello di produzione
pari a Y(0).
Il primo punto sulla curva di offerta aggregata per 0W , OA( 0W ),si trova in
(P(0),Y(0)).
Y=F(K,N)
N
45°
OA
P
P
1
P
O
N
O
N
D
NN *N
1
N
O
W
P
W
P
O
O
W
P
O
1
W
P
*
OY
1Y *
Y
Y
Y
Y
Y
16
Un livello dei prezzi più elevato (P(1)), con lo stesso salario monetario, implica un
valore inferiore del salario reale e un più elevato valore dell’occupazione e della
produzione Y(1) e fornisce un secondo punto sulla curva OA( 0W ). La curva d’offerta
aggregata nel caso keynesiano ha quindi una pendenza positiva nell’intervallo che
precede la piena occupazione.
Ipotizzando che il salario monetario (rigido) sia tale da determinare, per il livello
iniziale dei prezzi P(0), un eccesso di offerta di lavoro, un aumento dei prezzi causa una
riduzione del salario reale e un aumento della domanda di lavoro.
Il numero dei lavoratori occupati cresce, con uno spostamento lungo la curva di
domanda di lavoro; anche l’offerta di beni aumenta perché, per dato capitale, al crescere
dei lavoratori occupati, cresce la produzione di beni.
La rigidità del salario nominale ipotizzata da Keynes fa riferimento in modo particolare
al “breve periodo”, in quanto con il passare del tempo il salario viene ricontrattato e
sono ammissibili aggiustamenti nei prezzi. Nel lungo periodo il modello neoclassico e
quello keynesiano coincidono.
Fonte: COTULA F. (1989), p. 74.
I
P
O
T
E
S
I
K
E
Y
N
E
S
I
A
N
A
IPOTESI NEOCLASSICA
P
OA
*Y
17
Per illustrare l’equilibrio di sottoccupazione di Keynes, abitualmente si introduce il
modello IS/LM di Hicks
4
. Esso permette di individuare, sulla base di assunzioni
tipicamente keynesiane, l’equilibrio nel mercato dei beni e della moneta, nonché la
curva di domanda aggregata per ogni livello di prezzo.
4
Il modello IS/LM è frutto del dibattito sviluppatosi nel trentennio successivo alla pubblicazione della
“Teoria Generale”; si parla a tal proposito di “sintesi neoclassica” ad opera di studiosi quali Hicks,
Modigliani, Klein, Hansen. Pur essendo accettato nella prevalente letteratura macroeconomica come un
ottimo strumento per la spiegazione del funzionamento delle economie di mercato, è stato spesso oggetto
di critiche da parte di molti autori, anche “keynesiani”. Nel prosieguo della trattazione vedremo come gli
attuali orientamenti della macroeconomia e in particolare della Nuova Macroeconomia Keynesiana
attribuiscono al modello della sintesi, opportunamente revisionato, un ruolo fondamentale.
18
3. La curva di Phillips e i monetaristi
Il modello Keynesiano appena accennato rappresenta un’introduzione molto semplice ai
problemi economici. Sono state trascurate parecchie variabili in quanto l’obiettivo era
quello di concentrare l’attenzione principalmente verso il mercato del lavoro e su alcuni
problemi di politica economica. Molti paesi economicamente sviluppati hanno attuato,
soprattutto nel dopoguerra, politiche economiche di chiara impostazione Keynesiana, ad
esempio cercando di riequilibrare il mercato del lavoro tramite il sostegno della
domanda aggregata. Con la sua applicazione l’economia potrebbe essere stabilizzata e
l’equilibrio rivelarsi durevole. Nel corso del tempo, però, sono sorti dei problemi e dei
limiti nell’analisi Keynesiana. Come difetto“naturale”, il modello non è applicabile in
ogni paese a causa di differenze sociali, politiche, istituzionali. In termini più
specificamente economici, esso non contiene una teoria esplicita della determinazione
del livello dei prezzi
5
, non individua dei solidi fondamenti microeconomici che
giustifichino la rigidità dei salari monetari, non determina un andamento ciclico dei
salari reali, vale a dire una loro (moderata) crescita nelle fasi espansive, come invece
risulta dalle evidenze empiriche; non dimostra, inoltre, che la politica economica sia
sempre e comunque efficace .Quindi esistono diversi problemi aperti, poiché il modello
Keynesiano (e della “sintesi neoclassica”) è uno schema teorico concepito per trattare
situazioni di prezzi sostanzialmente fissi, per lo meno nel breve periodo.
Esso, pertanto, anche quando viene modificato per tener conto degli effetti delle
variazioni dei prezzi sull’equilibrio macroeconomico, resta un paradigma interpretativo
poco utilizzabile per spiegare il fenomeno dell’inflazione. Secondo molti autori è