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memoria, molte volte le emozioni fanno emergere aspetti diversi usando gli stessi
termini, e questo aspetto è importantissimo per le life story che analizzeremo. Credo sia
fondamentale questo aspetto, perché c’è l’esigenza, nell’ambito delle scienze sociali di
approfondire questo aspetto, ancora poche opere sono state scritte, e quelle poche sono
tutte dell’ultima decade. Credo sia importante aprire la ricerca con questo capitolo, in
quanto di fondamentale rilevanza nella Psicologia Sociale attuale, che si propone come
il futuro di questa scienza.
Nel capitolo secondo si analizzano le più importanti teorie psico-sociali contemporanee,
la teoria dell’Identità Sociale e la Teoria delle Rappresentazioni Sociali, viste in una
prospettiva discorsiva, basate sull’azione della parola, questo le fa assumere un tono
molto sperimentale ed innovativo. Le particolari sfumature che ne danno Turner ed
Ibañez, ci sono particolarmente utili per esaminare il nostro fenomeno interculturale.
Nella terza parte vediamo come queste teorie influenzino l’Analisi del Discorso, come è
possibile identificare nel parlato, le teorie sociologiche. Partendo dall’influenza
wittgensteiniana, vediamo come la situazione è evoluta, soprattutto con i lavori del
Dipartimento di Lancaster.
Mi è sembrato opportuno, per rendere queste teorie maggiormente significative, lo
studio di un caso concreto, dove la varietà delle situazioni e l’ampio sviluppo del tema,
è terreno particolarmente fertile per queste concezioni discorsiviste. L’adozione di un
caso concreto alla ricerca, ci è utile per dare un significato pratico alle teorie psico-
sociali viste, cercando di adattarle al fenomeno studiato, così poter evidenziare le
particolarità di questi innovativi approcci. Questa parte pratica è sviluppata nella
seconda parte di questa ricerca. Iniziamo con la descrizione degli scopi che si propone
la ricerca, i particolari metodi e procedimenti che abbiamo utilizzato per il lavoro sul
campo. Lo studio di questo particolare fenomeno è dettato principalmente dalla
conoscenza del luogo, della lingua e di alcune persone che ci vivono, così da poter fare
una ricerca sul campo in un ambito differente dal solito contesto in cui ci troviamo.
L’isola d’Ibiza, ancora poco conosciuta sotto questo aspetto, molte volte nascosto dalla
“fauna” estiva che la occupa, ci è sembrata un fenomeno interessante per l’analisi, e fino
ad oggi, poco studiato. Infatti, poche opere affrontano questo tema, uno studio
approfondito di ciò che è successo sull’isola negli anni sessanta, non è ancora stato
fatto. Quindi quale miglior occasione per essere tra i primi a svolgere una ricerca in
questo contesto. Soprattutto nell’ottica in cui, questo studio va eseguito il più presto
possibile, perché gli autoctoni e gli hippy che hanno partecipato a quel processo di
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integrazione in quegli anni, sono ormai gente di maggiore età, ed urge una raccolta di
dati per questo fenomeno.
L’unione di questi due interessanti e particolari aspetti, il futuro delle scienze sociali ed
il caso concreto studiato, ha dato alla luce questa tesi. Che si propone di dare
significato, grazie al fenomeno studiato, ai nuovi aspetti delle scienze sociali,
soprattutto un maggiore utilizzo in diversi campi della Psicologia Sociale Discorsiva,
non chiusa solo in quest’ambito, ma aperta a nuove possibilità di applicazione.
Con questi propositi, ci dedichiamo a commentare i risultati assunti da questa ricerca.
Nel capitolo quattro, infatti, la scelta di macroargomenti tematici, ci danno modo di
analizzare ed approfondire i numerosi aspetti che la convivenza di queste due comunità
hanno generato. L’osservazione avviene seguendo una chiara e precisa concezione di
base discorsivista, lasciando ampi spazi ai parlati-in-interazione, con ampi segmenti di
life story, e cercando di non stravolgere il contenuto di una discussione, ma lasciandola
nel suo contesto originario. Concentrandoci maggiormente sui processi descrittivi
riguardante la comunicazione e l’integrazione tra le due culture. Si è decisi di porre in
allegato, la grande quantità di interviste raccolte, così è possibile consultare in
qualsivoglia momento le varie storie di vita e dare un significato diverso alla nostra
interpretazione, o semplicemente, concordare con la nostra analisi.
Mi sembra più che doveroso ringraziare alcune persone che hanno reso possibile questa
ricerca, infatti, come in un lungo viaggio, ostacoli ed imprevisti hanno creato situazioni
in cui, senza il loro preziosissimo aiuto, difficilmente avrei potuto portarlo a termine.
Questo credo sia uno dei fattori fondamentali per la riuscita di questo lavoro, dove la
presenza di persone veramente valide, hanno permesso una chiara e precisa
apportazione al grande ambito delle scienze sociali.
Credo che questa tesi, senza l’intuizione che ha avuto, Pau Marimon Ribas, mio
estimabile “mediatore culturale” di Ibiza, non avrebbe mai visto la luce. Il suo
contributo è stato fondamentale lungo tutto lo svolgimento di questa ricerca, soprattutto
nel momento della creazione, delle prime idee che lui ha mi ha sapientemente regalato
per farne buon uso, e per poter studiare un aspetto importante della sua terra, così ricca
di fascino che difficilmente è possibile non rimanerne incantati. Sempre grazie a lui,
devo la conoscenza di un altro prezioso collaboratore Joan Noguera Abad, grandissimo
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aiuto sul campo, in veste di mediatore culturale, grande conoscitore degli usi e costumi
del popolo ibicienco e della comunità hippy.
L’amore che nutro per questa disciplina, e la voglia di continuare a fare ricerca in questo
campo, la devo all’incommensurabile capacità e brillantezza mentale di Lupicinio
Iñiguez Rueda, che ha confidato nelle mie capacità per seguirmi quotidianamente
all’Universitat Autonoma de Barcelona. Sempre ha saputo indicarmi il cammino per
non perdere di vista l’obiettivo finale della ricerca, indirizzandomi sulla corretta strada
da seguire, trovando in lui un prezioso punto di riferimento. I suoi insegnamenti sono
stati un dono per me, e la sua straordinaria conoscenza riguardo le teorie discorsiviste
hanno apportato grande qualità alla ricerca.
Va tutto il mio più grande riconoscimento e la mia più grande stima, a colui che ha
creduto nelle mie possibilità per compiere questa tesi, allo straordinario maestro di
insegnamenti Paride Braibanti, che con la sua inestimabile saggezza, ha saputo
sapientemente orientarmi verso questo percorso di ricerca. Senza di lui difficilmente
avrei potuto scoprire quest’ambito della Psicologia Sociale, la sua ineguagliabile
conoscenza in materia, ha visto fin da subito, gli sviluppi che poteva avere questa tesi.
La sua precisione ed accuratezza nel spiegarmi come dovevo impostare il lavoro, ha
reso possibile tutto ciò.
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Parte Prima
Inquadramenti teorici
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CAPITOLO 1
Psicologia discorsiva, Emozioni e memoria nelle narrazioni
Introduzione
Il compito della tesi è quello di verificare attraverso le interviste, se esiste una
comunicazione tra hippy e autoctoni nella isola di Ibiza negli Anni ‘60, epoca in cui
avvengono i primi insediamenti.
Per far ciò ci avvaliamo dell’uso dell’analisi del discorso (AD) e principalmente della
filosofia della analisi della conversazione (AC), in questo modo potremo analizzare i
lunghi periodi di narrazione che troveremo nel quarto capitolo, le cosiddette life story,
storie di vita.
Dopo una breve disamina dell’analisi del discorso, dei suoi fondatori, di come si
sviluppa e di quali sono i principali metodi di analisi, vedremo come anche la
precedente prospettiva dell’analisi della conversazione può esserci utile, sebbene non
direttamente, soprattutto nelle sue concezioni di base, come il punto di vista emico ed il
Membership Categorization Analisys (MCA).
Chiaro che le nostre storie di vita che ci troveremo ad analizzare, sono delle narrazioni,
narrare il passato, narrazioni particolari, contenenti memorie sociali (Bruner, Iñiguez,
Vàzquez), memorie associate ad emozioni (Edwards), emozioni che emergono da queste
storie di vita.
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1.1. Accenni di Analisi del Discorso
“Dopotutto, ci sono poche nozioni sociopsicologiche che non hanno
vincoli ovvi con l’uso del linguaggio in contesti comunicativi, questo
avviene con differenti forme di testo o conversazioni. La percezione
sociale, il controllo delle impressioni, i cambi di attitudini e la
persuasione, la attribuzione, la categorizzazione, le relazioni
intergruppali, gli stereotipi, le rappresentazioni sociali e l’interazione
sono solo alcune delle aree più importanti della psicologia sociale
attuale in cui il discorso ha una propria funzione”. (Van Dijk, 1990)
A partire dalla metà degli anni ottanta, la Psicologia Sociale, ci dice Teun A. van Dijk
(2003), sviluppa, all’interno dell’Università di Loughborough, grazie a personaggi tanto
eminenti come Michael Billig, Jonathan Potter, Margaret Wetherell e Derek Edwards,
Charles Antaki ed altri, una alternativa radicale centrata specificamente al testo e al
“parlato”. Proposero di studiare l’uso del linguaggio reale in situazioni sociali reali.
Per prima cosa è necessario definire il termine discorso, visto soprattutto nelle sue tre
principali tradizioni: la filosofia linguistica associata alla scuola di Oxford; l’opera di
Michael Foucault e per ultima, la pragmatica francese.
Dipende da queste tre nozioni di discorso, se l’AD può significare cose molto differenti
(Iñiguez, 1997):
a- discorso come qualunque enunciato o congiunto di enunciato detto da un parlante;
b- discorso come congiunto di enunciati che costruiscono un oggetto;
c- discorso come congiunto di enunciati detti in un contesto di interazione e di
conversazione, dove risalta il suo potere di azione sopra un’altra persona, il suo
contesto;
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d- discorso come congiunto di costrizioni che spiegano la produzione di un congiunto di
enunciati a partire da una posizione sociale o ideologica particolare e per cui si possa
definire un congiunto di condizioni di produzione (riscontrabile nella scuola francese
dell‘AD di Foucalt).
Uno dei problemi caratteristici che hanno in comune queste definizioni del discorso è il
tipo di testo che lo conformano. Secondo Lupicinio Iñiguez (1996, p.110) affinché un
testo costituisca effettivamente un discorso, devono compiersi determinate condizioni.
Una delle più importanti è che gli enunciati siano stati prodotti sullo sfondo di
istituzioni che costringono fortemente l’enunciazione, detto in altri termini, enunciati
emessi da posizioni determinate inscritte in contesti interdiscorsivi, specifici e rivelatori
di condizioni storiche, sociali, intellettuali, etc. Quindi quello che converte un testo dato
in discorso è il fatto che definisce lo spazio sociale in una certa posizione enunciativa
che si può contestualizzare storicamente.
L’origine dell’enunciato non è visto come una forma di soggettività, ma come un luogo
in cui possono esistere diversi enunciati suscettibili tra loro. Nella pratica, Iñiguez
distingue tra locutore (l’emittente materiale) e l’enunciatario (l’autore testuale), che
sono logicamente differenti. Il locutore è una realtà empirica e l’enunciatario una
costruzione testuale.
I discorsi sono pratiche sociali, quindi anche l’AD è una pratica, non certamente una
pratica unicamente identificatrice di altre pratiche discorsive, ma un cammino per la sua
trasformazione. Tra il discorso e l’AD non tiene nessuna importanza il fatto che non si
possa connettere in alcun modo con la struttura sociale, ma possiamo invece stabilire
una relazione con la struttura sociale intesa come le regole collettive strutturate della
condotta, che si rifà fortemente con la tradizione etnometodologica e
dell’interazzionismo simbolico, a cui si può sommare anche certi aspetti della opera di
Giddens e di Foucault, e aggiungendo certi aspetti del secondo Wittgenstein.
Iñiguez (1994) afferma che l’AD non è una tecnica rigida e prescrittiva, che possiamo
seguire come si segue una ricetta, perché non c’è nessuna ricetta da “eseguire”, ma solo
un disegno di metodo flessibile, interpretativo ed intellettualmente responsabile.
Una cosa da non sottovalutare è che nell’AD, dobbiamo essere franchi sullo sforzo
interpretativo, che noi come ricercatori, effettuiamo a proposito della realizzazione della
ricerca. Infatti per prima cosa dobbiamo confrontare l’interpretazione, emergente dal
linguaggio. Per Potter (1998), più che il rispetto di una metodologia rigorosa, sarebbe
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necessario il possesso di buone abilità analitiche e interpretative, affinabili con
l’esperienza, di una buona cultura, della conoscenza degli argomenti trattati dai parlanti,
di una sensibilità generale verso le pratiche linguistiche intese come costruttive e
retoriche.
Michael Billig è uno dei massimi esponenti che ha trattato questo argomento, ha
realizzato una apportazione dell’essenza argomentativa della naturalezza retorica del
linguaggio che usiamo. Per Billig (1987), qualunque messaggio è ambiguo, e tutti
devono ricorrere allo sforzo interpretativo del ricercatore. Billig vuole che si riconosca
che nella interazione umana c’è sempre un altro aspetto, quello nascosto, del parlato:
che le parole non sono sempre quello che sembrano.
Il ruolo del ricercatore non consiste nel seguire direttive di analisi che conducano ad
obiettivi predeterminati; al contrario, interagire con gli argomenti inerenti a quello che
dicono le persone e, usando tutta la gamma di armi analitiche a sua disposizione, portare
alla luce tutto quello che non è esplicito. Il ricercatore è una professionista scettico,
incaricato di scrutare la realtà sociale attraverso le varie sfumature del linguaggio che
usano le persone. Billig articola una visione del ruolo del ricercatore che hanno poco in
comune con le forme classiche di ricerca nella Psicologia Sociale tradizionale.
In quanto rappresentata e discussa da molti autori, possiamo essere d’accordo con
l’affermare che non esiste una definizione unica dell’AD che possa contenere tutte le
varietà di teorie e pratiche che attualmente si raggruppano all’interno di questa
denominazione.
Ci sono varie definizioni di quello che è l’AD, ciascuna soddisfa le proprie
preoccupazioni dei distinti autori. Possiamo tracciare un cammino comune tra le varie
orientazione, come quello offerto da Iñiguez (1994):
“Un discorso è un congiunto di pratiche linguistiche che mantengono
e promuovono certe relazioni sociali. L’analisi consiste nel studiare
come queste pratiche attuano nel presente mantenendo e promuovendo
queste relazioni: è mettere alla luce il potere del linguaggio come una
pratica costituente e regolativa.”
La prima domanda che l’analista del discorso si deve fare è la stessa che si fa un
qualunque ricercatore sociale responsabile: Che fenomeno sociale si sta cercando di
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chiarire? Che relazioni sociali si vogliono spiegare? Il modo particolare in cui l’analista
del discorso colloca la questione consiste nel domandarsi che relazioni sociali
mantenute e perseguite attraverso il linguaggio si cerca di spiegare.
Il linguaggio è parte intrinseca della nostra cultura, e risulta difficile, forse impossibile,
concepire alcuna relazione sociale che non si produce attraverso di esso.
Naturalmente dobbiamo fare attenzione che non tutto è discorso, ci sono due criteri
centrali per evidenziarlo. Un frammento di conversazione o uno scritto è un testo
rilevante in quanto:
- in primo luogo, si può interpretare che i partecipanti attuano nel proprio ruolo come
rappresentativi del gruppo o della comunità in cui il ricercatore li ha identificati come
“protagonisti” nella relazione sociale;
- in secondo luogo, il testo deve avere effetti discorsivi.
C’è da aggiungere, che in una società come la nostra, dove discorsi politici, lavorativi e
nel sociale in generale, sono presenti in gran parte delle nostre interazioni con l’altro, un
elemento che è quasi sempre facile riscontrare è la presenza della retorica.
L’opera di Michael Billig (1987) rappresenta una delle contribuzioni più importanti
delle nuove forme di intendere i processi psicologici e, specificatamente, il pensiero
come processo dialogico, e soprattutto retorico.
Billig (1987) adotta l’uso più esaustivo delle possibilità analitiche della retorica:
l’identificazione di tipo argomentativo, figure retoriche, sequenze tattiche di temi, e
tutte le forme stilistiche che aiutano a persuadere.
Un’aspetto interessante della concezione proposta da Billig, è la forma in cui coincide la
relazione tra “cognizione” e “discorso”. Suggerisce che un conoscimento del discorso
umano ed, in particolare, delle destrezze retoriche possono informarsi sulla naturalità
del pensiero umano:
“Il pensiero umano non è semplicemente un assunto del procedimento
di informazione o di seguire regole cognitive. Il pensiero deve essere
osservato in azione nelle discussioni, nella retorica
dell’argomentazione. Meditando sopra un tema è discutere con se
stessi, incluso persuadere se stessi”. (Billig, 1991)
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Pone l’enfasi su come si possono apprezzare le “regole” della retorica che ci porta a
rilevare la “doppia” naturalezza del pensiero che gli sviluppi mentali della cognizione
umana solitamente passa altrove.
Per quanto riguarda la struttura del discorso, Potter e Wetherell (1987) suggeriscono
vari metodi, dei quali il principale è l’idea di repertorio: un tema di conversazione può
variare in funzione delle domande locali della situazione di interazione. Questo è utile
per vedere come i parlanti fanno fronte alle conversazioni e come definiscono piani
attraverso la collocazione strategica dei temi.
Il più ovvio vantaggio dell’AD è che la sua visione del linguaggio sta ampliamente
accettata. L’AD non pensa il linguaggio come una mera etichetta del proprio gruppo
sociale, non vede il linguaggio come una finestra che si apre sulle idee che la gente ha in
testa, per usare una espressione di Iñiguez (1994), e nemmeno la visione del linguaggio
come una serie di simboli statici in cui una distribuzione statistica è, per se stessa,
significativa, come può essere la semiotica.
Per l’AD, il linguaggio non esiste “nella testa”, ma esiste nel mondo: il linguaggio è più
una forma di costruzione di noi stessi. L’AD riconosce il mondo nel quale il parlante
vive, un mondo dove il parlato produce degli effetti, riconosce i contesti.
L’AD assume il linguaggio sia come segnale di una realtà, sia come forma di crearla. Fa
un uso del linguaggio come forma dinamica, ed è sensibile ai suoi effetti, non nel senso
come reazione mentale transitoria, ma come effetto delle forme linguistiche.
La prima nozione di qualunque avventura nelle Scienze Sociali che ci consiglia Iñiguez
(1994), è che questa deve essere persuasiva, significa che il ricercatore deve stabilire
una relazione attiva con il lettore e tentare di mostrare come il ricercatore effettua una
buona lettura del testo, ciò consiste più in un esercizio di negoziazione che di
esposizione. Il ricercatore non deve difendere l’uso di test statistici, neanche deve
realizzare speciali sforzi per evidenziare che base di interpretazione si sta usando, o
difendere le sperimentazioni come un paradigma appropriato di ricerca. L’analista del
discorso deve solo assicurarsi che il lettore comprenda ciò che sta succedendo.
C’è da segnalare l’influenza del “secondo Wittgenstein” e le sue riflessioni intorno ai
“giochi linguistici” e la sua influenza sul “giro lingüístico” degli ultimi decenni (Ibañez,
2003). La rilevanza di queste influenze consiste che nel partire da esse il linguaggio
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acquista una posizione centrale, assumendo che la maggior parte delle azioni umane
sono linguistiche e potendo infine affermare che “tutto è linguaggio”.
La etnometodologia, è la prospettiva sociologica che Harold Garfinkel (1967) ne
configura una terza influenza all’’AD e la Psicologia discorsiva per l’importanza che
concede ai processi sviluppati nelle pratiche che danno senso alle pratiche della vita
quotidiana.
“La riflessività caratterizza il discorso e la condotta, nel senso che
essi creano un ambito nel quale, l’informazione che trasmettono si
colloca, in ambito cui poi ci si riferisce come fosse un dato
indipendente”. (Garfinkel,1997)
Per Foucault, il discorso è una pratica, e come per qualsiasi pratica sociale, si possono
definire le sue condizioni di produzione ed a partire da Foucault (1969), si parla di
pratiche discorsive. Anche se Foucault non nega che i discorsi stanno conformati per
segni, rifiuta però l’idea che i discorsi solo si servono dei segni per mostrare o rivelare
cose.
C’è da segnalare pure l’opera di Charles Antaki (1981) dove si riprendono le diverse
prospettive di articolazione a riguardo della ricerca delle spiegazioni quotidiane. Merita
particolare attenzione pure il lavoro di Jonathan Potter e Margaret Wetherell (1987) che
apporta una concretizzazione metodologica dei principi sociocostruzionisti.
L’enfasi nello studio dei processi attribuzionali delle pratiche quotidiane che iniziò
Antaki, la riconcettualizzazione dei processi psicologici come il pensiero che realizzò
Billig e la formulazione metodologica e il punto di vista di certi processi psicosociali
che Potter e Wetherell iniziarono, possono considerarsi la svolta che segnala
l’emergenza dell’interesse per il discorso in Psicologia Sociale e che finiranno per
sviluppare l’articolazione e la sistematizzazione di un progetto di Psicologia discorsiva
(Edwards e Potter, 1992; Potter, 1996; Edwards, 1997). Secondo Edwards (1995), la tesi
che parlato e testo rappresentino forme di attività autonoma e degna di indagine in sé e
per sé viene efficacemente difesa contro quella di parlato e testo come “finestre” su
processi intraindividuali altrimenti inaccessibili, strumento che consentirebbe lo studio e
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la messa in rapporto di menti individuali. Espressioni idiomatiche e frasi fatte possono
rafforzare una tesi e renderne difficile la confutazione. Edwards ritiene un altro
contributo generale quello che prospetta la versione del mondo sostenute
discorsivamente come indicali in quanto funzionali all’interazione in atto, sia essa
effettiva o virtuale, quindi, con significato relativo a tale ambito: narrazioni e
descrizioni, più che astratte espressioni delle conoscenze dei parlanti, sarebbero
produzioni situate, sia sul piano retorico che su quello sequenziale, riguardanti, più che
gli eventi e gli accadimenti proposti, colui che li propone e l’occasione nella quale ciò
avviene. Valore generale ha anche, per Edwards, il forte suggerimento che AC e AD
offrono nei riguardi dell’opportunità di lavorare su dati fedelmente raccolti in ambiti
quotidiani, informali o istituzionali, suggerimento valido anche se implica una
discutibile assunzione di tipo induttivo, la quale, come si è detto, porta a ritenere che il
problema da studiare possa emergere da un’osservazione non guidata da alcun
preventivo orientamento. Una simile osservazione del tutto ingenua, accanto alla pura
induzione, è da molti autori ritenuta irrealizzabile. Edwards conclude che il contributo
generale delle due tecniche alla psicologia è in apparenza criticamente distruttivo,
implicando il rifiuto di concezioni accreditate come, ad esempio, quella del discorso
quale tramite a supposti processi-stati psicologici non direttamente osservabili: non
andrebbe però dimenticato che lo smantellamento critico di concezioni in un certo
momento storico egemoni è essenziale per lo sviluppo scientifico.
L’AD considera il proprio oggetto di studio un’azione, che riguarda una pratica
specificamente volta alla concreta costruzione sociale del significato,compito interattivo
in cui il linguaggio, nella sua più comune veste discorsiva, opera come strumento
principale, assumendo potere costruttivo nei confronti di qualsiasi entità del mondo in
cui i parlanti si muovono (Antaki, 1994). Bisogna considerare ogni produzione
linguistica orientandola all’azione, analizzarla alla luce della sua utilizzazione per
realizzare particolari funzioni sociali, come il giustificare, il mettere in discussione e
l’accusare; l’analisi del parlato-scritto si risolve perciò nell’evidenziare cosa attraverso
esso venga fatto e a quale scopo.
Gli psicologi discorsivi sono psicologi sociali che aspettano di guadagnare in
comprensione della vita sociale e l’interazione sociale attraverso lo studio della “realtà
sociale” considerata come testo (Garay, Iñiguez, Martinez, 2003).
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“un congiunto di pratiche linguistiche che mantengono e promuovono
certe relazioni sociale”. (Iñiguez e Antaki, 1994)
Dove l’analisi del discorso consiste in:
“studiare come queste pratiche attuano nel presente mantenendo e
promuovendo queste relazioni. Mettere alla luce il potere del
linguaggio come una pratica costituente e regolativa” (Iñiguez e
Antaki, 1994)
“Il centro della Psicologia Discorsiva è l’azione nel parlato e nello
scritto”. (Iñiguez, 1997)
L’AD, in sostanza, non è guidata dalla scelta a priori di particolari unità d’analisi,
linguistiche o testuali, ma dall’obiettivo di evidenziare le funzioni psicologico-sociali
che il parlante o lo scrivente hanno perseguito, consapevolmente o meno, con il loro
testo. La maggiore attenzione che, rispetto all’AC, l’AD presta agli aspetti contenutistici
tende ad accompagnarsi a un minore interesse per i minuti aspetti formali del discorso:
conseguentemente, l’AD utilizza, in genere, estratti più lunghi e un modo di trascrizione
più semplice, centrato sul contenuto del parlato. L’AD difende un approccio orientato
funzionalmente e basato su metodologie qualitative, interessandosi a materiale testuale,
in forma orale o scritta, prodotto in situazioni ordinarie, con attenzione più
all’organizzazione e alle implicazioni sociali dei contenuti che alle strutture linguistiche.
Il discorso è inteso come azione sociale e l’attenzione è centrata sulla costruzione di
versione degli eventi, sulle risorse linguistiche usate per proporle, sul variare di tali
costruzioni con il variare del contesto interattivo e dello scopo cui esse mirano. Nel
nostro caso useremo l’AD come interpretazione in termini funzionali del significato
generale di un testo condotta in modo flessibile, attento a ciascuno dei livelli che esso
presenta (grammaticale, sintattico, semantico, d’intonazione ecc.) considerato alla luce
dell’insieme di cui fa parte.
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1.2. La filosofia dell’Analisi della Conversazione
Scettici per l’uso completo dell’Analisi della Conversazione, si è optato per considerare
questa solo per il suo contenuto filosofico .
L’AC è un’operazione attenta e rigoroso nell’analizzare il linguaggio, infatti nel
trascorrere della conversazione emergono, si costruiscono le regole e le norme
dell’azione sociale, che non è necessario supporre che già esistano, precedendo la
conversazione, ma si denotano nella conversazione stessa; analiticamente “guardando”
la conversazione possiamo conoscere un inside. Ciò che sta dentro la conversazione, che
emerge come un contratto di norme non scritte, ma che i parlanti conoscono. E questo
emerge soprattutto dai discorsi quotidiani, raramente dalle interviste (nel nostro caso le
biografie, diari ed articoli), e quindi il nostro materiale raccolto non è quindi suscettibile
all’AC in quanto non compie il principio basico della AC, che è il principio di
interazione tra due persone, infatti non possiamo trovare l’inside nelle nostre storie di
vita. Non compie l’importante operazione che consiste nell’azione osservata diretta tra i
partecipanti, i competenti attivi.
Ciò non toglie che l’AC ci possa essere utile per questo lavoro, infatti salviamo alcuni
concetti che si possono integrare con l’AD, questi concetti costituiscono la filosofia di
base dell’AC.
La prima cosa è l’aspetto emico, il fatto di non imporre al mio sistema delle categorie di
analisi, ma faccio emergere le caratteristiche dai parlanti.
Il secondo aspetto che andiamo a cogliere dall’AC , poco conosciuto, ma non per questo
non importante, è il Membership Categorization Analysis (MCA), ossia l’analisi delle
categorie di appartenenza ad un gruppo, dal fondatore dell’AC, Harvey Sacks.
Tutto il resto della AC non si conforme a questo genere di lavoro, in quanto l’AC ha un
procedimento troppo meticoloso.
Studiare l’interazione discorsiva dal punto vista emico sottolinea la rilevanza attribuita a
un dato fenomeno e vengono a dipendere delle sistematicità di comparsa di specifiche
forme verbali nell’ambito delle life story, e non da una scelta antecedente del
ricercatore.
L’aspetto emico è molto importante in quanto pone l’attenzione alla corrispondenza che
esiste tra l’interpretazione del ricercatore e quella dei parlanti, (ciò che i parlanti fanno e
dicono prima, durante e dopo il fenomeno preso in considerazione, di manifestazioni