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Salvatores è ormai pronto per il cinema, anche se i legami con il
mondo del teatro non saranno mai del tutto spezzati. Il suo primo
lungometraggio è un musical, prodotto dalla RAI e presentato al
festival di Venezia nel 1983, tratto da una commedia di Shakespeare
Sogno di una notte d’estate.
Lo schermo mi è sempre sembrato più grande di un palcoscenico e
tutto quello spazio chiedeva solo di essere riempito afferma lo
stesso Salvatores penso che al cinema debbano essere raccontati
fatti eccezionali che valgano davvero la pena di essere raccontati
perché magari non si ripeteranno più .
Il cinema di Salvatores si mostra come quella possibilità di apertura
che il teatro non poteva concedere, quel ritrovato gusto dello
sporcarsi le mani con i problemi della società italiana, diventa lo
specchio della generazione cui il regista appartiene. Il suo cinema
non nasce dal cinema ma dall’esperienza di dar voce a sollecitazioni
che provengono dall’esperienza personale e collettiva.
Per questo decide di evitare il trasferimento a Roma, i suoi film sono
progettati, prodotti, montati a Milano, città che finisce per essere al
centro di molte sue opere. Sono rappresentati, però, luoghi non
immediatamente riconoscibili, spazi metropolitani che potrebbero
appartenere a qualsiasi altra città moderna: i non luoghi di Marc
Augè spazi anonimi che nessuno riconosce come propri.
Nel 1986 fonda, nel capoluogo lombardo, la Colorado film insieme a
Diego Abatantuono, Paolo Rossi e Maurizio Totti, un’avventura che
tra mille difficoltà economiche ha portato, ed ancora oggi sostiene,
la realizzazione di molte sue pellicole.
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1.2 Il lungo decennio grigio:il cinema italiano negli anni ’80 e ‘90
Gabriele Salvatores decide di intraprendere la sua carriera
cinematografica nel periodo in cui il cinema europeo, soprattutto
italiano, attraversa una fase di trapasso, di confusione e
d’incertezza. Manca soprattutto la qualità fondamentale di ogni
cinematografia forte, ovvero l’eterogeneità delle proposte, degli stili
e dei generi. L’industria cinematografica incorpora il comune
malessere di un periodo, senza traguardi veri ed esaltanti, è
portatrice di un disorientamento verso il futuro prossimo e meno
prossimo, spegne ogni tono d’entusiasmo e ogni suggestione di
rigenerate prospettive sociali.
Il lungo decennio grigio così come Lino Miccichè lo descrive in una
sua dissertazione , ha avuto inizio alla fine degli anni ’70
prolungandosi fino agli inizi degli anni ’90 e si è caratterizzato dal
moltiplicarsi delle emittenti televisive private che hanno portato la
conseguente contrazione numerica di pubblico e di incassi nelle sale,
la dissoluzione della già debole struttura produttiva nazionale e la
fine di una politica cinematografica da parte della televisione di
stato.
Si assiste così al fiorire di una cinematografia priva di contenuti
culturali, manca la capacità di ritrovare per il cinema tanto una
funzione ludica e spettacolare quanto una missione di ordine politico
e culturale.
Ma c’è anche chi riesce a mantenersi a giusta distanza dalla
produzione cinematografica nostrana di questi anni, che finisce per
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chiudersi in due recinti: il comico brillante ed il lavoro d’autore,
giovani autori che riescono a reinventare non solo un originale e
personale linguaggio del cinema, ma anche un nuovo modo di
produzione, basti pensare alla già citata Colorado film di Gabriele
Salvatores.
1.3 Semplicemente cinema: temi e forme nell’opera salvatoriana
Il cinema di Gabriele Salvatores è difficile da collocare in un
determinato filone culturale e se ha senso cercare di definire la
poetica di un regista, quella di Salvatores si potrebbe mettere sotto
il segno del cinema impuro visto che, nel suo lavoro coesistono
molteplici fronti. E’ uno stile disomogeneo con il quale il regista
napoletano trova il modo di coniugare tematiche giovanilistiche,
problemi dell’Italia contemporanea e commedia all’italiana.
Credo che il cinema debba far nascere desideri e che li debba
comunicare sostiene Gabriele Salvatores che debba mettere in
scena sogni non preconfezionati e che li debba diffondere .
Proprio per questo l’opera del regista trae nutrimento dall’esistenza,
è in sé stessa che ha il suo sale: semplicemente cinema per tessere
la tela del tempo e della vita . Infatti, la sua arte è una delle più
presenti ed attuali: documentaria in rapporto all’Italia di allora e di
oggi, alla sua geografia sociale, politica e culturale e alle sue forme
di racconto e di autorappresentazione.
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Fin dai suoi primi lungometraggi Salvatores è riuscito a recuperare
due funzioni che il cinema italiano è andato via via perdendo: la
funzione storica e la funzione del cinema in quanto spettacolo. Si
può parlare, quindi, di un cinema realista lontano dalle deformazioni
della commedia all’italiana, dagli appiattimenti verosimiglianti dei
neoneorealisti e dal macchiettismo delle commedie degli anni ’80
’90. E’ un cinema alla ricerca di un patto comunicativo più ampio, un
cinema dei sentimenti che suscita nel pubblico una solida
identificazione con i personaggi principali e che riesce a trasmettere
quelle sensazioni che questi ultimi provano all'interno dei film. In
genere i suoi protagonisti sono i cosiddetti vinti metropolitani.
Salvatores utilizza l’estetica dei perdenti, ha una simpatia solidale
con chi è più ingenuo, più debole, più romantico e alla fine più puro,
sono gli uomini del post femminismo amo il cinema che ti fa
desiderare di essere un eroe. Un eroe che magari fugge. Oppure un
eroe che dice basta e si ribella. Un eroe con tutte le contraddizioni di
una generazione come la mia, orfana di tutte le certezze .
Il regista napoletano, per chiarire meglio la figura degli eroi
protagonisti delle sue opere cinematografiche, ha utilizzato il verbo
fuggire, ma alla fine i suoi personaggi più sono lontani, in fuga
appunto verso terre a sud del pianeta o in mondi “fanta”, tanto più
questi si rivelano vicini e uniti allo scenario della realtà italiana degli
anni ’80 ’90. Il viaggio, infatti, è uno dei temi che caratterizza
soprattutto le prime opere di Gabriele Salvatores, basti pensare a
Turnè, Marrakech Express, Puerto Escondido, Mediterraneo…nelle
quali assume via via significati molteplici di cui il più importante è la
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ricerca di sé stessi: i protagonisti delle sue pellicole viaggiano in
periodi di transizione e di crisi della loro vita e attraverso
l’allontanamento dal corpo della società nella quale hanno difficoltà
ad integrarsi, riscoprono l’importanza di valori come l’amicizia o il
ricordo dei tempi passati.
L’amicizia, infatti, è un altro dei temi fondamentali delle sue opere
che deriva anche dalla concezione di fare cinema che ha Salvatores:
lavorare insieme, costituire un gruppo, un clan quasi, in cui regista e
attori siano coinvolti in un rapporto di collaborazione e reciproca
influenza. E’ un rapporto però prettamente virile, non ritroviamo
quasi mai presenze femminili nei gruppi di amici che incontriamo nei
suoi film, è una costante nell’immaginario cinematografico del
regista vedere questi ultimi personaggi all’insegna del tradimento e
della finzione, sono creature strane e inaffidabili che si intromettono
fra le pieghe di un’amicizia rigorosamente maschile: per me le
donne sono un po’ come diceva Shakespeare, afferma Salvatores in
un’intervista “la bestia feroce che ti salta addosso e ti costringe a
svegliarti”. Forse, però, è proprio questo elemento femminile che
rivela ai personaggi principali le proprie debolezze, gli errori, le
paure e le insicurezze e che riesce a far rivivere rapporti di amicizia
forti che si erano andati perdendo con gli anni.
Il cinema di Salvatores, in conclusione, non vuole essere d’autore,
non vuole crearsi uno stile prettamente artistico e di difficile lettura.
Non rinuncia, comunque, a trattare temi e questioni importanti
(come si è sopra descritto) come la guerra e il potere/dovere di una
scelta, la libertà di vivere un’esistenza fuori dagli schemi imposti
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dalla società. Io non posso decidere di mettere la macchina da
presa storta solo per il gusto di fare una cosa strana, spiega lo
stesso regista penso che sia la storia a suggerirti uno stile. E’ la
storia che stiamo raccontando, la storia da seguire che dovrebbe
dirci dove mettere la macchina da presa .
Molta importanza, nelle opere di Salvatores, quindi acquista la
storia, perciò tutti gli elementi che concorrono alla realizzazione dei
suoi film devono essere ad essa sottomessa: dalle inquadrature al
montaggio, dal modo di recitare degli attori alle ambientazioni, ai
costumi…
1.4 Tra cinema e teatro: Sogno di una notte d’estate
Correvano i primi anni '80 e a Milano c'era uno spettacolo teatrale
che spopolava: era il Sogno di una notte di estate messo in scena da
Gabriele Salvatores al Teatro dell'Elfo. La RAI propone al regista
napoletano, nel 1983, di tradurre la commedia musicale in un
musical per il grande schermo. Il regista decide di traslare lo
spettacolo teatrale in opera cinematografica, in questo periodo
sentiva il palcoscenico troppo minimale, aveva esigenza non solo di
allargare il proprio spazio d’azione, ma anche di ricercare un
pubblico nuovo. Il film viene così realizzato e presentato nella
sezione De Sica alla Mostra del Cinema di Venezia del 1983
ottenendo un discreto successo di critica e vincendo il premio per “
Film cooperativo”.
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Quest’opera prima è considerata un disastro dallo stesso regista e
forse lo è anche stato veramente per la troppa assoluta libertà
creativa. Ciò nonostante il film è da interpretare in altri termini, non
è da considerarsi un’opera cinematografica tout court, ma un
curioso esperimento che non somiglia a niente e che vive delle sue
indecisioni, delle sue ubiquità, del suo essere irrisolto tra cinema e
teatro. Malgrado ciò si intravedono già, in questo primo
lungometraggio, le linee generali che ritroveremo nei film futuri di
Gabriele Salvatores: la visione dell’amore in conflitto con le dure
leggi delle convenzioni sociali, la proiezione di una società
massmediale dominata da sogni collettivi, l’importanza stessa del
sogno, del suo rapporto con la realtà e della sua utilità sociale.
E’ una favola metropolitana dal finale malinconico (caratteristica
questa ripresa in quasi tutti i suoi film): i sogni non corrispondono
più ai desideri, ma si adeguano alla norma della realtà, a quella
volontà dell’uomo di governarli e di dirigerli. Pensiero questo che
ricorrerà nelle sue opere successive e che rappresenta uno dei temi
fondamentali della poetica dello stesso regista: la necessità di una
rottura dei due livelli della finzione dell’arte e dell’ordine del reale
che alla fine si intrecciano e si sovrappongono per ridiventare ciechi
all’una e all’altro svelandone il gioco. Tuttavia questo film non è
ancora del tutto cinema: Salvatores filma Sogno di una notte di
estate giocando ancora con strumenti e maschere messi a
disposizione dal teatro, ma riesce a creare spazi e tempi nuovi,
impossibili da riprodurre in ambienti teatrali, grazie all’ausilio della
macchina da presa.