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Capitolo 1
Con le sue critiche taglienti e con le idee di rinnovamento civile,
economico e sociale, l’illuminismo aveva suscitato in Francia e
nell’Europa occidentale, una sorta d’inquietudine e di fervore che
animava la mentalità dei ceti emergenti, già da oltre un secolo
avviati a conquistarsi uno spazio sempre più ampio in campo
economico e sociale. Grazie alla laboriosità e all’avvedutezza
negli affari, questi ceti borghesi si procurano nel corso del’700
una prosperità ed un prestigio che li spingono a contrapporsi
nettamente alla vecchia aristocrazia, chiusa nei suoi privilegi e
legata alle sue rendite tradizionali. L’imponente aumento
demografico verificatosi in Francia intorno alla metà del secolo
crea una situazione nuova: cresce la richiesta di prodotti agricoli,
di materie prime, d’abitazioni e di tessuti, mentre le città e in
primo luogo Parigi, diventano sempre più popolose.
Inevitabilmente i processi produttivi si fanno più veloci e
dinamici, ed i prezzi aumentano in concomitanza di una sempre
più elevata disponibilità di metalli preziosi che si traduce in un
aumento della moneta in circolazione. La borghesia commerciale
ed imprenditoriale è, ovviamente, la classe che trae i maggior
vantaggi da questo sommovimento, giacché i salari pagati dagli
imprenditori, crescono più lentamente e in misura minore delle
merci, vendute dagli imprenditori stessi. Ed è perciò la borghesia
che si espande e domina nelle grandi città col suo lusso e con la
sua cultura, e si riconosce nei grandi intellettuali che interpretano
le sue esigenze. Ed è sempre lei che aspira a partecipare al potere
politico e diventa sempre più insofferente dei privilegi di un’ari-
stocrazia attardata su posizioni retrive. Nella seconda metà del
XVIII secolo, però, la Francia è ancora gravata dall'eredità del
passato: lo stesso liberismo bruscamente introdotto nelle arcaiche
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economie rurali dei paesi europei, finisce col causare gravi
inconvenienti, quali l’aumento del costo della vita, la crisi delle
prime attività industriali, l’estendersi della disoccupazione. Tutti
questi fenomeni colpiscono più duramente i ceti popolari, cioè
contadini, braccianti, i piccoli proprietari e gli operai delle
botteghe artigianali. Uomini politici ed esperti economisti pensano
che le riforme, per la fretta e l’eccessivo ottimismo con cui sono
stati adottate, hanno prodotto più danni che vantaggi e
raccomandano che si proceda seguendo criteri di maggiore
gradualità. Nello stesso tempo si diffonde però anche la
convinzione che, per rigenerare la società e per creare un mondo
più giusto e più umano occorrerebbe invece uno sconvolgimento
più radicale e profondo, ispirato al generoso utopismo politico-
sociale di Rosseau. La Francia della seconda metà del ‘700 è,
dunque, un paese che si trova sull’orlo di un collasso finanziario a
causa di una cattiva amministrazione e di un sistema fiscale
assurdo, che colpisce soprattutto i contadini e privilegia la grande
proprietà terriera, laica ed ecclesiastica. Luigi XVI, salito al trono
nel 1774, cerca di correre ai ripari chiamando a dirigere le
disastrate finanze del paese un economista, Turgot, che ispirandosi
ai principi della fisiocrazia e del liberismo, tenta di liberare il
paese dalle più pesanti eredità feudali, abolendo dogane interne,
riducendo le corvèes e soprattutto proponendo di far pagare le
tasse anche agli aristocratici ed all’alto clero. Quest’ultimo
progetto scatena però una violenta reazione nobiliare che costringe
il sovrano ad allontanare l’audace ministro. Ma il deficit dello
stato è ormai diventato enorme e il nuovo ministro, il ginevrino
Necker, pur falsando i bilanci, in un celebre Resoconto al re fa
comprendere all’opinione pubblica quanto costi mantenere
l’aristocrazia cortigiana che percepisce favolose prebende senza
nulla produrre. Al Necker succede il ministro Calonne che si rende
conto in modo analitico del disastro finanziario-amministrativo del
paese, dove solo gli interessi da pagare sui prestiti chiesti
dall’amministrazione raggiungono il cinquanta percento delle
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entrate globali del fisco. Dopo essere ricorso alla solita politica dei
prestiti, egli decide di tentare l’unica via veramente valida: far
pagare le tasse a tutti, nobili ed ecclesiastici compresi. Per vincere
la resistenza dei parlamenti e ottenere la registrazione delle nuove
leggi, il re ed il primo ministro sperano di guadagnare
l’approvazione di un’assemblea di notabili. Ecco le lettere di
convocazione di tale assemblea ed il breve discorso augurale del
re, tratti dal Moniteur Universel del 22 febbraio 1787:
I
Lettera del Re per i prelati e per i nobili ai quali il Re non attribuiva la
qualifica di “MIO CUGINO”
<< Signor (…) ritengo che il bene dei miei affari e del mio operato esige che i miei
propositi per il benessere del mio popolo, l’ordine delle mie finanze e la riforma di
svariati abusi siano comunicati ad un’assemblea di persone di diverse condizioni
sociali e persone tra le più qualificate del mio Stato; dato il vs. rango e la stima di cui
godete da parte mia, ho pensato di non poter fare scelta migliore che la vs. persona e
sono certo che in tale occasione voi mi darete ulteriori prove della vs. fedeltà e del vs.
attaccamento.
Fisso l’apertura di tale assemblea al 29 gennaio 1787 a Versailles dove vi renderete al
fine di assistere alla suddetta apertura ed ascoltare quelle che saranno le mie proposte;
assicurandomi che non mancherete di rendervi in dato luogo in conformità la mia
volontà.
Seguono saluti e benedizioni. Firmato, Luigi >>.
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II
Lettera del Re ai membri del suo consiglio
<< Signor (…) avendo deciso di riunire persone di diverse condizioni sociali e
persone tra le più qualificate del mio Stato alfine di comunicare loro i miei propositi
per il benessere del mio popolo, l’ordine delle mie finanze e la riforma di svariati
abusi, ho ritenuto di convocare dei membri del mio consiglio.
Vi scrivo per informarvi che ho fissato la data di apertura della suddetta assemblea
per il 29 gennaio 1787 a Versailles e che è mio volere che siate presenti alla suddetta
apertura per assistere ed ascoltare quelle che saranno le mie proposte.
Sono certo che avrò da parte vs. il servizio che mi aspetto da voi per il bene del
Regno, mio fine principale.
Seguono saluti e benedizioni. Firmato, Luigi >>.
III
Discorso del Re
<< Signori vi ho scelto tra le varie classi dello Stato e vi ho riuniti intorno a me per
farvi parte dei miei progetti.
Così hanno fatti i miei predecessori e più notoriamente il capo della mia ...... il cui
nome è tanto caro ai Francesi e di cui mi farò onore di seguire sempre gli esempi.
I progetti che vi comunicherò sono grandi ed importanti.
Da una parte migliorare le entrate dello Stato ed assicurare una ripartizione più
eguale delle imposte; dall’altra liberalizzare il commercio da tutti quegli ostacoli che
ne minano il movimento, e dare sollievo, per quanto le circostanze me lo permettano,
alla parte più indigente dei miei sudditi: queste sono, Signori, i propositi che mi sono
prefissato dopo un’attenta riflessione.
Dato che mirano tutti al bene pubblico e conoscendo lo zelo da cui siete animati per
rendermi servizio, non temo il consultarvi sulla loro esecuzione; ascolterò ed
esaminerò attentamente le vs. osservazioni.
Conto sul fatto che le vs. opinioni, avendo un fine comune, raggiungano un facile
accordo e che nessun interesse particolare faccia leva contro l’interesse generale >>.
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Tutto inutile. La nobiltà s’irrigidisce ancora una volta, spalleggiata
dall’alto clero e dal parlamento di Parigi. L’esonero del primo
ministro non sarà però sufficiente a calmare una situazione,
oramai, estremamente tesa. Nella primavera del 1788 il re, avendo
costatato la irriducibilità della nobiltà parlamentare contro ogni
serio tentativo di riorganizzazione del regno, approva e fa
registrare con letto di giustizia dell’8 maggio una profonda
riforma generale del sistema giudiziario. Ed ecco le parole del re
all’apertura del letto di giustizia, a Versailles; è interessante
osservare che il programma del re già annuncia l’opera
centralizzatrice ed unificatrice che rappresenterà la parte più
duratura della legislazione rivoluzionaria:
IL PROGRAMMA DEL RE PER LA RIORGANIZZAZIONE DEL REGNO
<< Voglio trasformare un momento di crisi in un’epoca di benessere per i miei
sudditi; cominciare la riforma dell’ordine giudiziario a partire dai tribunali, i quali
devono esserne la base; procurare a coloro in attesa di giudizio una giustizia più
celere e meno dispendiosa; conferire nuovamente alla Nazione l’esercizio dei suoi
diritti legittimi che devono sempre…voglio soprattutto imprimere a tutte le parti
della monarchia quest’unità di propositi, quest’insieme senza il quale un grande
regno è indebolito a causa dal numero e dall’estensione delle sue provincie.
L’ordine che voglio stabilire non è nuovo; il parlamento era unico quando Filippo il
Bello lo stabilì a Parigi.
Un grande Stato necessita di un solo Re, una sola legge, un solo registro; di tribunali
dalle competenze ....., incaricati di giudicare un grande numero di processi; di
parlamenti ai quali saranno riservati i processi più importanti;
di una corte unica depositaria delle leggi comuni a tutte il regno ed incaricata della
loro registrazione.
Infine degli Stati Generali riuniti non una sola volta, ma ogni qualvolta che i bisogni
dello Stato lo esigono; tali sono le riforme che l’amore per i miei sudditi mi ha portato
a definire e che oggi consacro per il loro benessere.
Mio unico fine sarà sempre renderli felici.
Il mio guardasigilli vi farà conoscere nel dettaglio le mie intenzioni >>.
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Mentre a Parigi alcuni nobili più illuminati, come il La Fayette, il
marchese di Condorcet, il conte di Mirabeau, danno vita al “partito
dei patrioti” che aspira alla creazione di un sistema monarchico-
istituzionale, in provincia la nobiltà ed i parlamenti provinciali, gli
ecclesiastici ed i contadini organizzano adunanze e manifestazioni
con il chiaro intento di mantenere inalterati i privilegi e le
posizioni sociali. In estate sono così convocati gli Stati Generali,
come da qualche tempo reclamava l’opinione pubblica, esasperata
dalle difficoltà, dai cattivi raccolti di quegli anni, dalla
disoccupazione dilagante e dal discredito che minava le istituzioni.
Nel decreto di convocazione dell’Assemblea, si invitano “tous les
savants”…ad esprimere dei pareri sugli argomenti da trattare e sul
modo di condurre i lavori. In questo modo sì favoriva, sia pure
indirettamente, una primissima forma di libertà di stampa,
consentendo oltretutto, il dibattito su temi politici, cosa sino ad
allora proibita. Tutto ciò porta ad una maggiore divulgazione di
opere di ogni genere, alla maggiore diffusione di testate già
esistenti ed alla creazione di nuove. Il giornalismo conosce un
periodo di eccezionale sviluppo soprattutto in questa prima fase
della Rivoluzione. La libertà di stampa trova il suo riconoscimento
formale nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
del 26 agosto1789. All’articolo 11 si legge infatti:
La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi
dell’uomo.
Ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, e pubblicare liberamente, salvo a
rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge.
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In seguito però, l’intensificarsi delle lotte tra le diverse fazioni
politiche si ripercuoterà anche sui giornali provocando la chiusura
di quelli delle parti sconfitte. A seconda del diverso orientamento
politico la stampa francese si può dividere in tre gruppi:
Stampa filorivoluzionaria, con giornali a carattere moderato ed
altri radicale. Tra quelli moderati eccelleva Le Patriote Fraçaise
di Jean Pierre Brissot che capita l’importanza del giornalismo in
America, ove si era rifugiato in seguito ad una condanna, fonda
quello che viene considerato il primo giornale rivoluzionario. Sin
dal primo numero appare chiaro l’intento di mostrare il forte
legame tra la libertà politica e quella di stampa. La libertà di
stampa e la possibilità di informare: Brissot si propone infatti di
riportare i dibattiti delle sedute e le recensioni degli scritti di
carattere politico. Il giornale diviene uno strumento fondamentale
per garantire tutte le altre libertà. Sempre a questo filone
appartiene anche Les Etats generaux di Mirabeau ove vengono
pubblicati i lavori degli Stati Generali. Tra le testate radicali vanno
segnalate L’ami du peuple di Marat, caratterizzato da un
linguaggio estremamente violento e scurrile. Il Père Duchesne di
Hébert, di stampo simile al precedente, porta avanti un accesa
battaglia nei confronti dei privilegiati. Più colto e raffinato è
invece il Defenseur de la Constitution di Robespierre.
Stampa controrivoluzionaria, come la moderata Gazzette de
France preesistente alla rivoluzione, o il reazionario Ami du roi ,
estremo difensore dell’ancien regime.
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Stampa d’informazione. Da questo filone nasce il giornalismo
contemporaneo. L’obiettivo è quello di fornire notizie il più
possibile neutre. Ricordiamo il Journal des debats che riporta
dibattiti e decisioni evitando i commenti. Ma soprattutto il
Moniteur Universel considerato il giornale più famoso della
Francia, è la fonte principale dalla quale è possibile apprendere
notizie sulla Rivoluzione. La sua tiratura raggiungeva il numero
considerevole delle 10.000 copie. Nel primo numero del 24
novembre 1789 che ne costituisce il manifesto , si chiariscono gli
obiettivi: il Moniteur voleva alimentare la curiosità e l’interesse
per la politica essendo la libertà considerata il frutto tardivo dello
studio e dell’esperienza. Il metodo scientifico, doveva essere
utilizzato per insegnare la scienza delle libertà. La gioia
dell’opinione pubblica, per la convocazione degli Stati Generali
solleva ondate d’entusiasmo sia tra gli aristocratici, che pensavano
di servirsi del loro predominio nell’assemblea per riconquistare le
tradizionali posizioni di privilegio, sia tra i borghesi politicamente
più avvertiti, che, ispirandosi al modello inglese, volevano
trasformare la vecchia monarchia assoluta in una monarchia
costituzionale più rispondente alle reali necessità del paese.
Fin dagli esordi il processo di rinnovamento della Francia
conteneva quindi un elemento d’ambiguità e di contrasto,
destinato a caratterizzare lo svolgimento degli eventi politici degli
anni immediatamente successivi. Da una parte una nobiltà di toga
e di spada, chiusa nel più cieco conservatorismo e disposta solo a
modificare nel senso del passato. Dall’altra parte il cosiddetto
Terzo Stato, una borghesia attiva ed intelligente pronta, ormai, ad
assumersi funzioni e responsabilità politiche dirette, trasformando
in costituzionale l’obsoleta e assoluta monarchia transalpina.