6
mai, rappresentano lo strumento irrinunciabile attraverso cui
l’Unione sprona lo sviluppo di tutti i Paesi membri al fine di
rafforzare la sua competitività sui mercati mondiali.
§ 1. Le origini della Comunità Europea.
Il rapporto del 1992 della Commissione europea riguardante
l’espansione lascia aperta in modo disorientante la definizione
di Europa e di identità europea: Il termine Europa non è
sufficientemente definito. Esso combina elementi geografici,
storici e culturali che tutti insieme hanno contribuito
all’identità europea. La Commissione crede che non sia
opportuno né possibile stabilire le nuove frontiere dell’Ue, i
cui contorni saranno designati lungo gli anni a venire
2
.
L’ethos europeo, oggi, è un modo efficace e necessario per
contrastare le crescenti spinte nazionalistiche; la nascita per
alcuni, il rafforzamento per altri, dell’idea di una comune
identità europea è divenuta una questione importante alla luce
della nuova convivenza che si prospetta nel prossimo futuro
tra popoli di diversa cultura, etnia, lingua e religione
3
. La
vulnerabilità degli Stati post-comunisti a cadere nelle spinte
del nazionalismo in realtà sarebbe piuttosto comprensibile,
visto che tali Paesi hanno ottenuto l’indipendenza dopo anni
2
Commissione 1992, cit. in shore 1993, 786.
3
H. Mikkeli, Europa. Storia di un’idea e di un’identità, Il Mulino, Bologna,
2002, pag. 190.
7
di asservimento all’ideologia sovietica e sono un composto di
lingue, culture e religioni differenti
4
. Ragion per cui, tra i
criteri stabiliti a Copenaghen nel 1993 si è posto l’accento
tanto su condizionamenti legati alla crescita economica degli
aspiranti Stati membri, quanto su criteri politici necessari a
garantire l’adesione dei Peco al nuovo modello politico
offerto dall’UE, elaborato attraverso il lungo processo di
integrazione, che ha portato ad abbandonare il vecchio
sistema di Stati-nazione ed i connessi pericoli del
nazionalismo
5
.
L’attuale processo di integrazione politica, e prima ancora
economica, che l’Unione europea sta percorrendo da ormai un
sessantennio affonda le sue radici storiche nel primissimo
dopoguerra. Prima del 1947 non si ardiva prevedere la
creazione di una federazione dei popoli dell’Europa
occidentale, poiché si temeva, allarmando l’Unione Sovietica,
di nuocere all’efficacia della sicurezza collettiva su scala
mondiale. Dopo il 1947 esistevano numerosi movimenti
favorevoli alla creazione di una federazione europea
occidentale, uno per tutti il Provisional United Europe
4
Emerson M., On the forming and reforming of Stability Pacts: from the
Balkans to the Caucasus, Centre for the European policy studies, Ceps Policy
Brief n.4, Bruxelles, pag. 11.
5
Carlucci Francesco, Cavone Francesca, La Grande Europa. Allargamento,
integrazione, sviluppo. Franco Angeli editore, Milano 2004, p. 127.
8
Committee, fortemente voluto da W. Churchill
6
. Nel maggio
del 1948 i diversi movimenti tennero un congresso all’Aja con
la chiara intenzione, per la prima volta espressa formalmente,
di creare un’Unione europea. Il memorandum, a ciò ispirato,
di Georges Bidault venne ripreso dal successivo governo
francese di André Marie e sottoposto ai cinque membri del
Patto di Bruxelles: Francia, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi
e Lussemburgo. L’embrionale Parlamento europeo costituitosi
con il nome di Assemblea consultiva avrebbe dovuto
esercitare, secondo le forti pressioni francesi, un potere
rappresentativo, che senza alcun timore contemplava
l’abbandono di una parte della sovranità nazionale.
Nonostante questo primo tentativo fosse destinato a
naufragare anche per l’efficace resistenza e diffidenza inglese,
più orientata verso una forma edulcorata di associazione che
mantenesse inalterata la sovranità nazionale dei Paesi membri,
il primo passo concreto nella direzione che tutti oggi
conosciamo e sosteniamo, era compiuto: si cercava attraverso
negoziati e confronti politici un cammino comune.
Data la crescente tensione tra Germania e Francia sul tema
della Saar, e il fallimento del Consiglio d’Europa, Robert
Schuman pubblicò un memorandum nel quale propose la
costituzione di piani di integrazione graduale, con
6
Jean-Baptiste Duroselle Storia Diplomatica dal 1919 ai nostri giorni, Led,
Milano 1998, pag. 432.
9
applicazione del principio di “solidarietà di fatto”, attraverso
cioè integrazioni settoriali successive in luogo di una
integrazione “istituzionale” che contemplasse una costruzione
politica d’insieme, sicuramente più traumatica per i singoli
governi e con un percorso diplomatico più tortuoso da
compiere
7
. Questa che venne definita poi la via funzionalista
consentiva dunque di perseguire un’integrazione sul piano
economico, di modo che in seguito le scelte fondamentali per
un’unione politica sarebbero apparse più facili, se non
inevitabili
8
.
Si trattava in sostanza di porre la produzione franco-tedesca di
carbone e acciaio sotto un’Alta autorità comune, in
un’organizzazione aperta alla partecipazione di altri Stati
europei. I sei governi che intrapresero il negoziato (Francia,
Italia, Germania, Benelux) giunsero all’appuntamento con la
Storia il 18 aprile 1951, con la firma del Trattato istitutivo
della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio
9
. I
sostenitori dell’integrazione europea speravano così,
moltiplicando le autorità specializzate di giungere ad una vera
federazione. I sei governi della nuova comunità investirono
7
Jean-Baptiste Duroselle Storia Diplomatica dal 1919 ai nostri giorni, Led,
Milano 1998, pag. 440.
8
Salvatore Cornado, L’unificazione europea nel quadro della politica
internazionale, in Geografia della nuova Europa, a cura di Gianfranco Lizza,
Utet, Torino 1999, pag. 66.
9
F. Bindi, Il Futuro dell’Unione europea. Storia, funzionamento e retroscena
dell’Unione europea. Franco Angeli editore, Milano 2005.
10
un’Assemblea ad hoc (la stessa Assemblea della CECA
integrata di nove membri scelti) di elaborare un progetto di
Costituzione politica europea. Abbandonato presto anche
questo progetto, sicuramente audace per i tempi non ancora
maturi dell’epoca, il rilancio europeo avvenne con la riunione
di Bruxelles di esperti guidati dal ministro degli esteri belga
Spaak, che studiò due progetti. A Roma, il 25 marzo 1957
vennero poste le firme per la realizzazione di due altre
Comunità: Il Mercato Comune, e l’Euratom. Nella prima
parte del Trattato di Roma dedicato alla definizione dei
principi fondamentali della CEE si legge all’art 2 che la
Comunità economica europea ha il compito di assicurare,
mediante l’instaurazione di un mercato comune e il
riavvicinamento delle politiche economiche degli Stati
membri, lo sviluppo economico dei Sei, una stabile crescita
continua, il miglioramento del tenore di vita, più strette
relazioni tra gli Stati partecipi
10
. Ecco che si affaccia il
principio della coesione economica, anche se in merito
proprio alla politica economica e monetaria affrontata nella
parte Terza del Trattato relativa alla Politica della Comunità,
le disposizioni risultano ancora generiche e insufficienti
11
.
10
Umberto Triulzi, Dal mercato comune alla moneta unica, Seam, Milano
1999, pagg. 74 e ss.
11
Daniele L. Diritto dell’Unione europea dal Piano Schuman al progetto di
Costituzione per l’Europa, Giuffrè, Milano 2004.
11
Dall’analisi degli obiettivi che si propone di conseguire la
Comunità Europea, emerge un disegno di integrazione che per
alcuni versi appare assai chiaro e puntuale, e ci si riferisce in
particolare alle misure da adottare per realizzare in particolare
la libertà degli scambi intra-area e l’adozione di una tariffa
esterna comune (TEC). Mentre per quello che riguarda gli
obiettivi finalizzati al perseguimento di uno “sviluppo
armonioso” e l’”espansione equilibrata” delle economie dei
Paesi membri - e di qui l’esigenza di una definizione puntuale
delle misure di politica economica, di politica regionale, di
altri strumenti redistributivi da attivare in particolari aree
svantaggiate dell’Europa - il Trattato risulta molto più
lacunoso.
§ 2. Le politiche di “coesione” prima dell’Atto Unico
europeo.
La politica regionale pur rappresentando uno strumento utile
all’attuazione del mercato comune non era prevista
nell’impostazione originaria della CEE
12
. Prima
dell’istituzione della politica di “coesione economica e
sociale” e dell’adozione della Riforma dei Fondi strutturali, la
promozione della convergenza fra le diverse regioni della
12
Umberto Triulzi, Dal mercato comune alla moneta unica, Seam, Milano
1999, pag. 232.
12
Comunità era affidata essenzialmente alla politica regionale e
alla politica sociale.
Nonostante il Preambolo al Trattato di Roma contenesse già
l’idea di fondo della politica di “coesione economica e
sociale” e lo stesso Trattato esprimesse, nei riferimenti
contenuti nell’art 2
13
, un evidente e chiaro indirizzo
regionalista, l’affermazione di una reale necessità di dar corpo
a una politica regionale comune strutturata si fece sentire con
estremo ritardo rispetto al Trattato istitutivo. Il motivo è
presto spiegato: l’avversione di fondo che il Trattato CEE
rivelava nei confronti degli aiuti pubblici in generale. La
deroga contenuta nel Trattato per gli aiuti destinati a favorire
lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia
anormalmente basso (art 92 par 3 lett a)
14
veniva considerata
come mera possibilità concessa agli Stati membri e non come
una loro prerogativa autonoma.
Questo atteggiamento della Comunità era dovuto alla
convinzione che, da un lato, l’attuazione di un mercato unico
(che prendeva forma attraverso la libera circolazione delle
13
art 2: La Comunità ha il compito di promuovere, mediante l'instaurazione di
un mercato comune e di un'unione economica e monetaria e mediante
l'attuazione delle politiche e delle azioni comuni, uno sviluppo armonioso ed
equilibrato delle attività economiche nell'insieme della Comunità, una crescita
sostenibile, un elevato grado di convergenza dei risultati economici, un elevato
livello di occupazione, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la
coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri.
14
Art 92 par. 3 lett.a: Possono considerarsi compatibili con il mercato comune:
gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di
vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di
sottoccupazione […].
13
merci, delle persone, dei servizi e dei capitali) e, dall’altro,
l’avvicinamento progressivo delle politiche economiche degli
Stati membri avrebbero automaticamente abolito anche le
differenze regionali in seno alla Comunità. Veniva in sintesi
applicato il principio basilare del modello neoclassico
dell’economia: la flessibilità dei prezzi dei fattori della
produzione, l’automatico afflusso dei capitali nelle regioni
ove il costo del lavoro è minore e l’emigrazione dei
disoccupati nei territori più sviluppati avrebbero migliorato la
distribuzione territoriale dei fattori, garantendo un mercato
concorrenziale omogeneo
15
.
Quanto queste rosee aspettative fossero irrealizzabili venne
avvertito abbastanza presto, tanto che dagli anni ’60 si
iniziarono a tenere conferenze ed incontri in materia di
economia regionale. Infatti, contrariamente alle previsioni, ci
si accorse che molte differenze strutturali potevano essere
eliminate solo attraverso interventi adeguati e mirati, e non
attraverso il libero mercato dei fattori. Fino a tutti gli anni ’60
gli interventi comunitari rafforzarono il divario tra le regioni,
e la recessione economica di alcuni settori industriali (specie
quello carbosiderurgico) complicò ulteriormente la già
precaria situazione; è quindi in base a queste prime difficoltà
15
Giorgio Stefani, La politica regionale della CEE e i fondi strutturali, in
Diritto Comunitario e degli Scambi Internazionali, n.1/2, 1989, pagg. 255 ss.
14
che cominciò a maturare all’interno della Comunità europea
l’esigenza di una politica regionale comune, e un primo passo
fu fatto nel 1967, con l’affiancamento di una Direzione di
politica regionale alla Commissione. In questo primo
periodo della CEE, i fondi messi a disposizione negli Stati
membri per le Regioni meno sviluppate, furono risarcimenti
per le gravi conseguenze della creazione del mercato unico,
secondo il principio del “giusto ritorno”
16
.
Nel 1969 la Commissione metteva in luce che all’interno della
Comunità esistevano forti squilibri regionali che
necessitavano di interventi specifici. Si trovano già in questo
documento
17
espliciti riferimenti a regioni in ritardo di
sviluppo, a regioni in declino a causa dell’evoluzione delle
attività economiche prevalenti e regioni frontaliere colpite da
disoccupazione strutturale. La Commissione propose, di
esaminare periodicamente la situazione delle regioni in
ciascuno Stato membro. Se venivano registrate nel territorio
delle situazioni di difficoltà nello sviluppo la Commissione
stessa avrebbe assegnato un aiuto comunitario, inizialmente di
modesta entità, allo Stato membro che ne avrebbe fatto
16
In base a tale principio, gli aiuti finanziari agli Stati membri in favore delle
regioni in ritardo di sviluppo, furono utilizzati per riequilibrare le economie
nazionali, a seguito degli asimmetrici effetti economici causati dalla
realizzazione di un mercato unico.
17
Una Politica regionale per la Comunità, Commissione delle Comunità
europee, Lussemburgo, 1969.
15
richiesta, tramite l’approvazione di un “Piano di sviluppo
nazionale”.
In occasione della Conferenza di Parigi nell’ottobre del
1972, gli Stati stessi sottolinearono la necessità che la Politica
sociale, che iniziava così a delineare la sua valenza regionale,
venisse considerata più attentamente dalla Comunità, e
suggerirono di creare un Fondo per lo sviluppo regionale, che
fosse finanziariamente abbastanza robusto e che affiancasse la
sua azione a quella degli altri due Fondi a finalità strutturale
che già operavano nella Comunità.
L’istituzione del Fondo europeo di sviluppo regionale
avvenne nel 1975 al Vertice di Parigi, con l’adozione da parte
del Consiglio del regolamento n° 724/75 (dopo un
compromesso tra gli Stati membri sulle norme di
funzionamento del nuovo strumento finanziario in base al
Rapporto Thompson
18
, nella conferenza al vertice di Parigi
del dicembre 1974).
Con l’istituzione del FESR si aprì una nuova fase della
politica regionale della Comunità, che procedeva nel senso di
un sempre maggiore coinvolgimento della Commissione
europea, inizialmente deputata solo a fissare, anche per questo
18
Il Rapporto Thompson prese il nome dal primo commissario CEE per la
politica regionale, e fu presentato alla Commissione nel 1973 con il titolo: “ Le
conclusioni del Rapporto sui problemi regionali della Comunità allargata”. Da:
Triulzi U. , Dal mercato comune alla moneta unica, Seam, Roma, 1999.
16
Fondo, i requisiti e le modalità necessarie per utilizzare le
risorse che erano messe a disposizione esclusiva degli Stati
membri, e di lì a breve iniziò a procedere, in materia, con una
certa autonomia rispetto alle politiche degli stessi Stati.
Scopo precipuo a cui doveva servire l’utilizzo di questo
Fondo era la correzione di squilibri regionali della Comunità
risultanti dalla “predominanza agricola”, dalla
“sottoccupazione strutturale”, e dalle “modifiche industriali”.
L’istituzione del fondo costituì anche uno strumento di natura
compensativa, introdotto nella fattispecie per rispondere alle
istanze del Regno Unito, per una riduzione dell’apporto
finanziario al bilancio della Comunità.
Oggi i Fondi strutturali rappresentano lo strumento ed il
metodo con cui la Comunità si pone e cerca di risolvere il
problema dello sviluppo delle aree deboli e marginali.
Strumento perché rappresentano le risorse finanziarie,
garantite dai Paesi più ricchi, e che impegnano oltre il 30%
del bilancio di spesa della Comunità, con cui la Commissione
Europea affronta le questioni inerenti lo sviluppo delle aree
strutturalmente arretrate o in declino industriale, unitamente
alle problematiche specifiche della disoccupazione. Ma anche
metodo o politica dello sviluppo, perché la partecipazione dei
vari livelli istituzionali e le diverse forme di rappresentanza
degli interessi, devono intervenire nella definizione dei
17
progetti di sviluppo ed al loro impiego nella maniera più
efficace
19
.
Nel febbraio 1986 si conclusero i lavori della Conferenza
intergovernativa di Lussemburgo
20
con la stipulazione
dell’Atto Unico. Gli obiettivi del FESR (art.130/C) furono
stabiliti nell’adeguamento e ammodernamento delle regioni in
ritardo di sviluppo, e nella riconversione delle regioni
industriali in declino. L’Atto Unico rappresenta un cardine
decisivo della maturazione del principio della coesione nella
coscienza delle istituzioni comunitarie perché - nel generale
tentativo di rilanciare l’azione comunitaria di integrazione,
sancì la formale “istituzionalizzazione” del principio suddetto.
Ci si mosse sull’esigenza di fornire una risposta adeguata
all’accentuarsi degli squilibri regionali all’interno della CEE
causati, dopo un trentennio dall’avvio del cammino
comunitario, dal raddoppio del numero dei Paesi aderenti e
dalle nuove esigenze di carattere socio-economico di fronte
alle quali i Trattati apparivano ormai pericolosamente
deficitari e il rischio di un tracollo delle Regioni meno
sviluppate della Comunità sempre più prossimo. La “politica
19
Aurelio Bruzzo e Antonella Venza, Le politiche strutturali e di coesione
economica e sociale dell’Unione europea: un’analisi introduttiva con
particolare riferimento all’Italia, Cedam, Padova 1998.
20
Tale conferenza fu convocata a maggioranza dal Consiglio europeo di Milano,
il 28-29 giugno del 1985, durante il semestre di presidenza italiana e si svolse a
Lussemburgo perché periodo di presidenza di quel paese. Da Orsello G. P. ,
Ordinamento comunitario e Unione europea, IV Edizione aggiornata al 1 giugno
1999, Giuffrè, Milano.
18
regionale” comune aveva infatti sofferto di numerosi limiti
oggettivi, come l’inadeguatezza delle risorse finanziarie, la
polverizzazione degli interventi previsti, e la subordinazione
dell’azione comunitaria alle politiche nazionali. Il primo
obiettivo fu sviluppare e adeguare le economie regionali in
ritardo strutturale affinché potessero integrarsi pienamente
nello spazio comunitario. L’obiettivo non fu quello di adottare
strumenti solidaristici a carattere redistributivo, ma di
promuovere azioni a carattere “allocativo” secondo
determinate priorità
21
.
Dal Trattato di Roma (1957) all’Atto unico europeo (1986) i
tre Fondi strutturali erano così configurati:
► Fondo Sociale Europeo (FSE).
E’ l’unico tra i Fondi strutturali a nascere sin dal 1957 con il
Trattato Istitutivo. In base all’art 123 del Trattato Cee, il
FSE
22
ha il compito di promuovere all’interno della Comunità
la possibilità di occupazione e la mobilità geografica e
professionale dei lavoratori. Nelle intenzioni degli istitutori
del Fondo, il FSE avrebbe dovuto avere finalità regionali, con
il compito specifico di limitare l’eventuale insorgenza di
squilibri di natura sociale nel Mezzogiorno d’Italia, l’area il
21
Luciano Monti, I Fondi strutturali per la coesione europea, Seam, Roma,
1999.
22
Previsto dalla Politica sociale del Trattato di Roma agli art. 3 lettera j e artt.
123-127. Le disposizioni del Trattato sono state attuate con il Regolamento del
Consiglio C. E. n. 9 del 6 maggio del 1960, in origine destinato, per quanto
riguarda l’Italia, alle regioni meridionali, che maggiormente avrebbero risentito
della realizzazione del mercato unico.
19
cui mercato del lavoro si temeva avrebbe subito le maggiori
penalizzazioni dalla nascita del mercato comune.
Nel primo periodo di attività, sintetizzabile nel periodo 1962-
1972, il ruolo del Fondo è stato soprattutto quello di sostenere
la formazione professionale dei lavoratori non occupati e di
mantenere allo stesso livello retributivo i lavoratori interessati
dal fenomeno della riconversione
23
. Venivano riconosciuti
rimborsi parziali alle azioni a favore delle categorie di
lavoratori di cui sopra, promosse però esclusivamente da enti
pubblici. Così concepito, il Fondo operò esclusivamente come
strumento “compensativo” degli effetti negativi provocati
dall’attuazione di altre politiche comunitarie o dalle misure
adottate per l’instaurazione del mercato comune. La politica
sociale del primo periodo fu dunque adottata più come mezzo
per favorire la realizzazione del mercato comune che non
come uno strumento di progresso sociale della Comunità.
In altre parole, ancora una volta il principio della solidarietà e
della coesione veniva subordinato all’obiettivo prioritario del
mercato comune. Il FSE si limitò a coprire le spese sostenute
dai singoli Stati, senza nessuna programmazione degli
interventi da parte delle istituzioni comunitarie. I
finanziamenti inoltre venivano erogati in modo automatico,
senza alcuna selezione o criterio di priorità. Questo sistema ha
23
AA.VV. L’Unione europea: Istituzioni, ordinamento e politica, Il Mulino,
Bologna, 2001, pag.567 e ss.