-Introduzione -
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postmoderna, sono state fatte intorno a La nascita della tragedia. Insomma,
perché il nostro lavoro non risultasse fuori dalle righe, abbiamo dovuto
dimostrare come dentro le righe non sia rientrata spesso neanche l’esegetica
più tradizionale, a cominciare dallo stesso N., considerando il libro solo
come una fucina nella quale il filosofo ha potuto affilare gli arnesi con cui
intraprendere la battaglia contro la modernità. Questo unico punto di vista,
il più allettante per la cultura postmoderna, impedisce di apprezzare l’altro
aspetto dell’opera, e cioè quello di essere nata come trattato di estetica che
intende in tal senso enunciare una teoria. Essendo concepito come un libro
sulla natura della tragedia greca, la sua apparente stravaganza rispetto alle
concezioni coeve in materia, ne ha offuscato il significato più genuino che,
superando il caso particolare della tragedia greca, invero, affronta il
problema della creazione artistica, indicandone i principi nelle figure
dell’apollineo e del dionisiaco. Su questa strada abbiamo avviato la nostra
ricerca.
In breve, ciò che si è fatto in questa dissertazione è un lavoro di
elaborazione delle due figure in modo tale da considerarle come due
categorie mentali del processo di creazione artistica. A dire il vero, in
questo loro significato li aveva trattati anche lo stesso N., ma è certamente il
loro aspetto meno considerato da tutta l’esegetica nietzschiana, anzi
completamente trascurato.
Questo è accaduto, secondo noi, perché tale loro modo d’essere sfiora lo
psicologismo e il rischio di sconfinare in questo è in agguato. Certamente lo
stesso N. fu uno psicologo, termine che egli richiama spesso nelle sue
opere, perché le sue considerazioni si spingono non di rado al di là della
filosofia esistenziale fino ad indagare i meccanismi mentali dell’uomo.
-Introduzione -
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Di fronte al rischio di sconfinamento nella psicologia ci siamo trovati
anche noi. Abbiamo, infatti, elaborato le due categorie della creazione
artistica come categorie pure, in senso kantiano, cioè formali, vale a dire
private del loro significato di contenuto, cioè di valori esistenziali,
attenendoci all’altro loro possibile significato, quello di uso, e cioè quello
che spiega come l’uomo arriva a produrre delle immagini, delle forme, delle
parole, dei pensieri, delle metafore, tutto ciò che serve ad esprimere un
senso per quello che noi sentiamo dentro. Come si vede il confine con la
psicologia è sottile, e abbiamo ritenuto che, per alcune affinità di contenuto,
bisognava fare una netta distinzione con la psicoanalisi di Freud, rilevando
come la “ragione filosofica” potesse, intorno ad allo stesso argomento,
esplorare diversamente dalla “ragione psicologica”, indicando i limiti di
questa in materia di estetica. E’ stata anche l’occasione per ribadire le
affinità d’indagine di alcune scoperte di Freud con quelle di N., ma anche la
possibilità di dimostrare come, in un’epoca dove sempre più la “ragione
psicologica” sembra acquistare esclusiva autorità nella conoscenza
sull’uomo, la “ragione filosofica” può da un lato essere un buon
osservatorio critico sulla “ragione psicologica” e, dall’altra, dimostrare,
come certe strade di conoscenza sono precluse alla psicologia.
Si vedrà, allora, come le due categorie non si riducono alla sterilità di
uno schematismo mentale, quasi psicologico, anzi la loro formalità rimarrà
solo nell’intenzione di farne un uso, ma, una volta utilizzate, non si potrà
prescindere dal significato di cui l’apollineo e il dionisiaco sono portatori.
Il tutto risulta evidente nell’uso che ne abbiamo fatto per analizzare Otto
e mezzo di Fellini che, come si spiega nella Premessa del terzo capitolo, è
stato il vero motore d’indagine.
-Introduzione -
10
C’era il desiderio di spiegare a noi stessi, almeno concettualmente, quella
forza vitale del film, quell’acrobatico e travolgente risultato della creazione
artistica. Con “l’analisi secondo l’apollineo e il dionisiaco”, siamo giunti
alla conclusione che il film è così perché riesce a mettere in scena la stessa
creazione artistica.
Questa è una conclusione a cui sono giunti anche altri critici senza
doverne fare come noi una dissertazione, però mentre essi partivano da
questa conclusione per poi interrogarsi su quali fossero i “misteri” della
creazione artistica, senza alcun risultato, noi invece siamo partiti
dall’indagine su questi misteri per giungere, avendola dimostrata, a quella
conclusione. Almeno è stato un tentativo.
L’altro aspetto interessante, a proposito del rischio di sterilità delle due
figure nietzschiane come categorie formali, è stato di vedere come in base
al significato che in sé esprimono l’apollineo e il dionisiaco, l’analisi di
Otto e mezzo si estende fino a ridefinire la posizione di Fellini nel quadro
culturale della nostra epoca. Un artista che, al pari dei contemporanei, a
cominciare da N., si ribella al dominio ostinato della ragione come unica
possibilità per l’uomo d’oggi di dare un senso alla propria vita. Contro ciò,
l’irrazionalismo “sfrenato”, suo e degli altri artisti, è il tentativo di rievocare
una realtà ormai lontana, è la volontà di rivendicare l’esistenza
dell’Incomprensibile, una sfida all’ostinato razionalismo che tutto vuole sia
chiaro perché possa prendersi sul serio.
Concludendo, dopo quanto detto, volendo noi stessi esprimere un
giudizio sul lavoro di ricerca svolto, crediamo che ne sia uscito un piccolo
trattato di estetica che, mettendo a confronto tre autori apparentemente
estranei tra loro, da un lato offre alla riflessione filosofica una nuova strada
da percorrere circa l’interpretazione dell’apollineo e del dionisiaco, e
-Introduzione -
11
dall’altro offre alla psicoanalisi lo spunto per un’ulteriore meditazione su se
stessa. Ma, soprattutto, speriamo possa dare un minimo contributo a chiarire
meglio la figura di Fellini nel panorama culturale del Novecento, anche se
ci siamo limitati all’analisi del film Otto e mezzo, che d’altra parte resta
punto nodale nella sua filmografia.
- Cap I Genesi di due categorie -
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CAPITOLO PRIMO
GENESI DI DUE CATEGORIE.
DA LA NASCITA DELLA TRAGEDIA ALLA
DEFINIZIONE DI DUE CATEGORIE PURAMENTE
ESTETICHE
«La bella parvenza dei mondi del sogno,
nella cui creazione ogni uomo è perfetto
artista, è il presupposto di ogni
arte figurativa …»
Nietzsche
- Cap I Genesi di due categorie -
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"Una indagine che voglia individuare le fonti ideologiche a cui si
è alimentata, nei primi due decenni del Novecento, la cultura
tedesca dovrà assegnare una posizione di particolare rilievo, se
non addirittura un ruolo 'egemonico', all'opera e alla figura di
Friedrich Nietzsche: un filosofo e moralista, e insieme un
personaggio 'carismatico', che ha esercitato un influsso cospicuo
su tutta la civiltà europea alla svolta del secolo (riverberatosi più
oltre, in forme spesso tragiche e di volgare strumentalizzazione,
anche sulla prassi politica), ma che forse proprio nell'incontro
'postumo' con quella cultura, maturatasi quando egli - ormai
definitivamente consegnato al silenzio della follia - aveva chiuso
da poco la sua giornata terrena, ha potuto mettere
obbiettivamente a fuoco, in un intreccio complesso e non
agevolmente districabile di elementi contraddittori, gli aspetti più
immediatamente suggestivi della sua ricerca intellettuale, le
tonalità più esoteriche del suo discorso"
1
.
Un'influenza pregnante di N. non solo nella cultura tedesca ed europea,
come sostiene qui sopra Paolo Chiarini, ma oggi in tutta la cultura
occidentale, è ormai cosa indubbia. La nascita della tragedia è considerata
la prima importante opera del filosofo tedesco, anche se all'epoca fu
presentata come un lavoro di filologia, perché di questa si occupò
inizialmente N.
2
.
1
P. Chiarini, «Introduzione», in La nascita della tragedia, Laterza, Bari 1995, p. VII.
2
«[...] Nietzsche era professore di filologia classica all'Università di Basilea, dove era stato
chiamato tre anni addietro [1869], in seguito alla calorosa presentazione che di lui aveva fatto il
suo maestro Friedrich Ritschl» (D. Pesce, Apollineo e dionisiaco nella storia del classicismo,
Morano, Napoli 1968, p. 11).
- Cap I Genesi di due categorie -
14
Fin d'ora anticiperemo che la nostra tesi è che codesto libro è stato
sempre etichettato come "opera giovanile" in riferimento alla filosofia
successiva e più matura del suo autore. Dappresso torneremo su questo
punto cercando di far vedere come la lettura tradizionale del libro abbia
offuscato il suo valore puramente estetico in nome della filosofia del
"Superuomo", e che pertanto vuole vedere in quell' "opera giovanile" il suo
trampolino di lancio. Solo così si può rendere giustizia alla nostra pretesa di
poter accostare N. ad un artista del cinema quale Federico Fellini. Perché
del filosofo tedesco, in realtà, noi considereremo solo quelle categorie
dell'arte, Dioniso e Apollo, svincolate dal significato che acquistano se
intessute nella filosofia del "Superuomo" predicata da Zarathustra. Ciò che
interessa a noi sono le due categorie che spiegano come può essere generata
un'opera d'arte, ne illustrano il processo , le forze che lo presiedono e, per
riflesso, misurano il valore dell'opera. Le due categorie, perciò, così come
saranno da noi considerate, avranno un valore di uso e non di contenuto, nel
tentativo di farne due categorie estetiche generali che, in linea di principio,
possono essere utilizzate per leggere, in diversa chiave, un qualsiasi
prodotto artistico.
- Cap I Genesi di due categorie -
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§I.1 - PRESENTAZIONE DI UN'OPERA: LA NASCITA DELLA
TRAGEDIA E SUOI TEMI PRINCIPALI
E’ interessante innanzi tutto avere un’idea dell’ambiente accademico in
cui nacque il testo di N.. Leggiamo quanto scrive Domenico Pesce:
"Il problema che nel libro veniva affrontato rientrava pienamente
nei temi consueti alla produzione accademica, giacché quale
fosse l'origine della tragedia greca era una di quelle questioni
sempre ricorrenti e che, per essere stata discussa già da
Aristotele, risaliva addirittura alla stessa antichità classica. Ma
che la trattazione che se ne dava non dovesse conformarsi troppo
agli schemi tradizionali, già poteva riuscire evidente dal seguito
del titolo, dallo spirito della musica, ed ancor più dalla
prefazione indirizzata a R.Wagner. E difatti, come è noto,
l'accoglienza che riservarono al volume i puri filologi fu tutt'altro
che favorevole, dall'imbarazzato silenzio del Ritschl alla
stroncatura fin troppo clamorosa del Wilamowitz. Ma, se la
Nascita della tragedia incontrò la disapprovazione degli
ambienti accademici, è perché il libro doveva trovare in seguito
il suo posto sul piano ben più alto delle grandi opere creative
della filosofia.”
3
3
Ecco come continua D. Pesce che ci offre un primo sguardo sintetico dell’opera cogliendone gli
aspetti fondamentali: «Tornando al problema filologico, la soluzione che ne proponeva il
Nietzsche era che l'origine prima della tragedia greca dovesse esser ricercata nella sintesi dialettica
di due elementi opposti contraddistinti con i termini di "apollineo" e di "dionisiaco". Dionisiaco
era in particolare lo spirito della musica, fonte prima della poesia drammatica (come pure di quella
lirica), e dionisiaci si conservavano i cori, laddove le scene appartenevano piuttosto all'altro
elemento, all'apollineo. Ma in realtà la coppia dei termini opposti aveva una funzione ben più
- Cap I Genesi di due categorie -
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Difatti la NdT ebbe in seguito una gran fortuna sul piano filosofico,
perché presso gli esegeti che se ne interessarono, tra cui lo stesso N., si
coltivò soprattutto l’idea che il libro contenesse le prime elaborazioni dei
concetti della filosofia più matura del Nostro. Lo stesso Pesce, dopo un
sunto analitico sull’opera, nella conclusione, riserva lo spazio solo all’idea
tradizionale che si ha del libro:
“In conclusione, nei concetti che stiamo esaminando già si
prefigurava in certo modo tutto intero lo svolgimento futuro del
pensiero di Nietzsche che avrebbe finito con l'identificare se
stesso con Dioniso"
4
.
ampia che non quella di spiegare il costituirsi di un particolare genere letterario tipico della cultura
greca.
L'apollineo e il dionisiaco si rivelano, in primo luogo, come due esperienze vitali, corrispondendo
il primo al sogno e il secondo all'ebbrezza, e, come tali, appartengono alla fisiologia normale o
patologica della comune natura umana. In secondo luogo, essi valgono a fornire una
interpretazione generale dell'arte, definita alquanto sbrigativamente come "imitazione della vita",
ma intesa in realtà come quell'esperienza profondamente autentica in cui l'esistenza si rivela nel
suo essere genuino, in contrapposizione al "socratico", allo spirito borghese e razionalistico che si
arresta invece alla superficie delle cose e che fu proprio dei Sofisti e di Socrate e responsabile, con
Euripide, della decadenza della tragedia. In terzo luogo l'apollineo e il dionisiaco servono altresì a
spiegare la molteplicità delle arti e dei generi, giacché, significando l'apollineo il plastico e il
dionisiaco il musicale, essi stanno a fondamento rispettivamente delle arti figurative e della
musica, laddove la poesia, in certo modo intermedia tra queste, si scinde nell'epica di carattere
apollineo e nella lirica e nella drammatica di carattere prevalentemente dionisiaco. In quarto luogo,
i due termini opposti consentono un'interpretazione dello spirito greco, nella sua collocazione sia
geografica che storica, ben più profonda di quella offerta dal classicismo tradizionale. Mentre
infatti questo si era fermato alla superficie identificando l'antica Grecia con la serenità olimpica,
Nietzsche mostrava come l'ideale classico si fosse costituito in cosciente reazione ad un'esperienza
della vita radicalmente anarchica e tragica, che, propria del mondo orientale, era rimasta tutt'altro
che estranea alla Grecia arcaica.» (Ibidem pp. 11-13).
4
Ibidem, p.13.
- Cap I Genesi di due categorie -
17
E' da quest'ultima conclusione che noi (dopo aver qui di seguito riassunto
brevemente i temi principali del libro) cercheremo di prendere le distanze
nelle pagine successive. Ciò vuol dire che nel trattare di Apollo e Dioniso
prescinderemo dallo «svolgimento futuro del pensiero di N.».
Per dare sommariamente un'idea dei contenuti della NdT, pensiamo che
per i problemi che il testo affronta sia possibile dividerlo in tre parti: I)
Apollo, Dioniso e la metafisica estetica; II) La tragedia attica greca: la sua
origine e la sua misera fine per mano di Euripide e Socrate; III) Critica
all'ottimismo teoretico e rinascita della tragedia.
I) Apollo, Dioniso e la metafisica estetica
Dal I al VI capitolo ponendo il principio che «lo sviluppo dell'arte è
legato alla duplicità dell'apollineo e del dionisiaco» (p. 21), N. presenta
nelle loro diverse sfaccettature questi due «istinti artistici della natura»(p.
27) paragonabili il primo al sogno e il secondo all'ebbrezza. Essi sono istinti
«che scaturiscono dal seno stesso della natura» (p. 27) e per questo l'uomo
li ritrova in sé. Dioniso è il dio dell'ebbrezza, dell'istinto, nel suo significato
più primitivo, cioè della vitalità irrefrenabile e convulsa. Apollo è per
converso il dio del sole, della luce, vale a dire di ciò che mette in chiaro
proprio l'irrefrenabile e il convulso; è la misura, è l'ordine del dio del sole e
della conoscenza sul disordine del dio dell'istinto. Ma questo rapporto
acquista un significato più profondo e complesso a livello esistenziale, tale
da fondare una metafisica. Qui cercheremo solo di darne degli spunti
rimandando a dopo il dovuto approfondimento.
La verità, dice N., è che l'uomo se abbandonato al solo istinto, alla pura
vitalità, alla libera espressione della sua carica impulsiva, scorge l'orrore
- Cap I Genesi di due categorie -
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dell'esistenza, comprende che egli è una canna al vento, per dirla con le
parole di Pascal
5
, scopre che tutto è disordine e in questo caos egli
sprofonda irreparabilmente. Questo senso di « dolore e contrasto » (p. 43),
però, non è riducibile al solo fenomeno fisiologico dell'istinto che cozza con
la realtà, ma è l'istanza più profonda dell'essere e del suo abisso,
imperscrutabile con la ragione, è quello che N. chiama principium
individuationis, o Uno primigenio, Volontà irrazionale
6
. Su questo punto N.
non è sempre chiaro ma possiamo dire che l'Uno primigenio è il dionisiaco,
inteso come quella realtà complessa di «dolore e contrasto» difficilmente
definibile in termini più chiari e razionali. Ora, di fronte a quella realtà, ci
viene in soccorso proprio il dio Apollo, più esattamente la capacità che ha
l'uomo di "trasfigurare"
7
questa abissale realtà fatta di istinto e gioia che ne
deriva, di conflitto e dolore che ne deriva. L'uomo, cioè, attraverso diverse
forme, può dare ordine a quel disordine , dare “forme” al travolgente
5
«L'uomo non è che una canna - scrive Blaise Pascal - la più fragile della natura; ma è una canna
pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d'acqua
è sufficiente per ucciderlo»(B. Pascal, Pensieri, Opuscoli, Lettere, tr. it. di A. Bausola e R.
Tapella, Rusconi, Milano 1978, pp. 496-497).
6
Quest'ultima definizione N. la prende in prestito da Schopenhauer che qui considera ancora suo
maestro spirituale e alla cui opera pretende d’ ispirarsi. Scrive Pesce: «Ecco dunque quel che di
Schopenhauer aveva affascinato il giovane Nietzsche. In primo luogo la violenta polemica
antirazionalistica, motivata dalla convinzione che la filosofia debba fondarsi su di una intuizione
geniale che colga d'un colpo l'unità permanente che sta alla radice di ogni varietà e mutevolezza di
eventi. In secondo luogo l'identificazione di questa realtà noumenica, che si cela di là dal velo dei
fenomeni, non già con il logos cosmico, ma con una forza vitale, posta oltre ogni intenzione ed
ogni significato, trascendente gli stessi limiti della coscienza» (D. Pesce, ed. cit., pp. 17-18).
7
Il termine "trasfigurazione" qui non va inteso nel suo senso letterale come "trasformazione di una
figura in un altra", ma va considerato nel significato più lato e generico di "far diventare una cosa
in un'altra". In questo caso s'intende trasfigurazione del «dolore e contrasto» in forme apollinee,
anche se, così esposto, il concetto è incompleto. Si legga avanti.
- Cap I Genesi di due categorie -
19
informe del dionisiaco. Questa capacità di dare forma è esplicabile su
diversi piani: nel pensiero con i concetti (cosa che fa la ragione); nell'arte
con le "immagini". In linea generale, avendo sia gli uni sia le altre la
medesima funzione, si può parlare di "metafore", cioè "trasfigurazione" in
“forme” dell'intima realtà umana. Ciò significa che quello che ha senso
nella nostra vita , o meglio, per cui la vita ha un senso, è solo il frutto di una
trasfigurazione, il tentativo di dare ordine al disordine esistenziale. Allora la
nostra vita è solo "metafore", è "apparenza", è "fenomeno" (in senso
kantiano), è "rappresentazione" (nel significato di Schopenhauer). Qui sta la
"metafisica estetica" descritta da N.: la vita che conosciamo, il mondo ecc.,
sono rappresentazioni (l'apollineo), e in queste ritroviamo il senso profondo
di noi stessi, il sentire più intimo, il dionisiaco, lo stesso che ci ha spinti a
produrre quelle rappresentazioni.
Così se è vero che le cose che hanno un senso sono solo apparenze, cioè
produzioni apollinee, si capisce che nell'arte, il cui palese intento è quello di
creare delle "apparenze", l'uomo si coglie meglio in tali "apparenze" come
trasfigurazione dell'abisso esistenziale che lo avvolge; un'autocoscienza di
sé:
"... siamo già immagini e proiezioni artistiche, e la nostra
suprema dignità consiste appunto nell'importanza che abbiamo
come opere d'arte; giacché l'esistenza e il mondo sono
eternamente giustificati solo come fenomeno estetico, laddove
indubitabilmente la nostra coscienza di tale nostra importanza a
stento differisce da quella, che i guerrieri dipinti su una tela
hanno della battaglia ivi rappresentata" (p. 47).
- Cap I Genesi di due categorie -
20
Più avanti ci soffermeremo meglio sul processo della creazione artistica.
Per ora ricordiamo solo che alla sua base v'è l'interazione tra dionisiaco e
apollineo, per cui il primo risulta spinta energetica per la creazione delle
immagini del secondo, nelle quali, se si vuole fare vera arte, bisogna
ritrovare e riscoprire la stessa vitalità dionisiaca; bisogna essere travolti da
essa per il tempo della contemplazione dell'opera d'arte.
II) La tragedia attica greca: la sua origine e la sua misera fine per
mano di Euripide e Socrate
"Dei princìpi artistici fin qui esaminati dobbiamo ora servirci per
trovare la buona via nel labirinto, ché così bisogna chiamarlo,
dell'origine della tragedia greca" (p. 54)
Ed è così che dal VII al XIV capitolo il Nostro prende in esame non solo
la nascita della tragedia greca ma anche la sua fine, intesa come
degenerazione dal proprio stato d'origine nel quale trova il suo senso e la
ragione per cui la tragedia è esistita.
N. concorda con le teorie classiche che individuano nel coro la nascita
della tragedia, ma sostiene che fino a lui nessuno ha saputo spiegare la vera
natura e la funzione del coro. Esso rappresenta l'elemento autenticamente
dionisiaco di tutta la tragedia, perché in esso rivive quel «dolore e
contrasto», quell'abisso dell'esistenza che nasce soprattutto dallo scontro tra
la consapevolezza di essere mortali e il desiderio, l'istinto, insomma
l'impulso vitale, per il quale nel medesimo momento ci percepiamo come
Volontà, sentendoci immortali. Spiega N.:
- Cap I Genesi di due categorie -
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"La consolazione metafisica, che, come già qui accenno, lascia
in noi ogni vera tragedia; la consolazione che nel fondo delle
cose, nonostante qualunque vicenda dei fenomeni, la vita duri
indistruttibilmente potente e dilettosa, ci appare in tutta evidenza
corporea come coro di satiri, come coro di esseri naturali, che
vivono indistruttibili al di là di qualunque civiltà e che, ad onta
di qualunque avvicendamento delle generazioni e della storia dei
popoli rimangono eternamente gli stessi.
Con questo coro si consolò l'elleno dall'animo profondo, [...].
Ma non appena la realtà quotidiana si riaffaccia alla coscienza,
essa, come tale, è sentita con disgusto: conseguenza di quello
stato è una disposizione ascetica dell'animo, negatrice della
volontà. In questo senso l'uomo dionisiaco arieggia Amleto:
l'uno e l'altro hanno gettato una volta uno sguardo verace
nell'essenza delle cose; essi hanno compreso, e provano
ripugnanza ad agire, perché la loro azione nulla può mutare
nell'eterna essenza delle cose; onde stimano ridicolo e
degradante pretendere da loro che rimettano in sesto un mondo
uscito dai cardini" (pp. 58-59)
Ed infatti, afferma N., è la consapevolezza, meglio, è la conoscenza che
uccide l'azione umana, che riduce, limita il suo sentirsi come Volontà, ed è
per questo, come si dirà dopo, che l'esigenza socratica di conoscere, il suo
ottimismo razionale, teoretico, cioè la fiducia di poter conoscere il
conoscibile («Conosci te stesso!»), portata all'esasperazione ha soppresso
l'espressione più autentica della Volontà, del dionisiaco. Quel dionisiaco è
eterna lotta tra Volontà di essere e conoscenza che ci frena nelle azioni,