Introduzione
II
particolare sulla nascita di aree geografiche di libero scambio e sul nuovo
scenario competitivo che ne deriva.
Nel secondo Capitolo si è ricercato, tra i contributi forniti dagli
studiosi, un’interpretazione teorica del fenomeno “internazionalizzazione
delle imprese”, partendo dagli anni Cinquanta fino ad arrivare ai più
recenti tentativi di elaborazione di una teoria generale, di fatto non ancora
disponibile.
Dopo di ciò, restringendo il campo d’analisi all’azienda, si è
tentato di costruire l’avvio di un percorso internazionale, opportunamente
pianificato, individuando le tappe decisionali da affrontare prima di
concretizzare la presenza all’estero.
In particolare è stato nostro interesse comprendere come scegliere
il Paese o i Paesi verso cui dirigere l’attività della catena di valore che si
intenda internazionalizzare e come individuare la modalità di presenza
estera più adatta alle condizioni interne ed esterne all’azienda.
Il lavoro si è concluso verificando il grado di
internazionalizzazione raggiunto dalla nostra economia nonché il tipo di
esperienza maturato dalle imprese italiane, scoprendo purtroppo che i
nostri risultati sono negativamente influenzati in parte dalle particolarità
proprie dell’assetto imprenditoriale italiano, ma, in misura ancora
maggiore, dall’assenza di un approccio strategico e pianificato all’attività
oltre confine il che si risolve in una permanenza nei mercati esteri breve e
il più delle volte poco profittevole.
1 La globalizzazione economica
1
CAPITOLO PRIMO
LA GLOBALIZZAZIONE ECONOMICA
1. 1 La globalizzazione dei mercati
Quando si parla di un fenomeno quale l’internazionalizzazione
delle imprese, per comprenderne a pieno le caratteristiche non si può non
partire da ciò che ne sta alla base, e che in qualche modo ne costituisce la
causa.
È stato proprio con la globalizzazione infatti che l’ambiente di
riferimento delle aziende ha cominciato a dilatarsi, proponendo così al
tessuto imprenditoriale dei Paesi industrializzati nuove opportunità e
nuovi rischi dalle dimensioni globali. Da qui l’importanza di analizzare
tale fenomeno soprattutto nella sua dimensione economica.
Con il termine globalizzazione si intende la circolazione, a livello
mondiale, di merci, servizi, capitali, tecnologie e persone, attraverso
l’apertura reciproca e l’intensificarsi dei contatti tra i vari Paesi.
1
Ciò significa che il sistema economico mondiale, a seguito di
decisioni politiche del secondo dopoguerra e alla diffusione di nuove
tecnologie, è andato via via modificando il proprio assetto sotto la spinta
di un dinamismo senza precedenti, che ha portato l’indice del commercio
mondiale a crescere molto più velocemente di quello della produzione
2
, e
1
Questa la definizione data del fenomeno Globalizzazione dall’Unione Europea nel
vol. “La globalizzazione al servizio di tutti: l’UE e il commercio internazionale”,
Direzione Generale Stampa e Comunicazione, Dicembre 2002.
Altra definizione interessante è quella fornita dall’OCSE, l’Organizzazione per la
cooperazione economica e lo sviluppo: “Processo attraverso cui i mercati e i prodotti
nei diversi Paesi diventano sempre più dipendenti tra loro, a causa della dinamica dello
scambio di beni e servizi, e attraverso i movimenti di capitali e tecnologie”.
2
Secondo i dati disponibili sul sito web ufficiale del WTO, negli ultimi 50 anni le
esportazioni hanno registrato un aumento medio annuale del 6%, e nel 2000, il totale
degli scambi commerciali era 22 volte superiore al livello raggiunto nel 1950.
1 La globalizzazione economica
2
che ha creato tra le Nazioni una interdipendenza economica tanto stretta
da far parlare di economia mondiale.
3
Un’integrazione capillare, quindi, definita da Theodore Levitt
come globalizzazione dei mercati
4
proprio perché ha riguardato tutti i
principali aspetti dell’economia: la finanza, il commercio, la produzione,
il lavoro nonché i consumi, finendo col creare un nuovo ambiente in cui le
imprese hanno dovuto imparare a muoversi, elaborando strategie sempre
più efficaci per contrastare una concorrenza dalle dimensioni globali.
Con gli anni e con gli accordi politici, le barriere doganali sono
andate diminuendo
5
, gli scambi internazionali intensificandosi, persone,
beni e servizi hanno iniziato a circolare liberamente, mentre i processi
produttivi venivano delocalizzati sulla base dei criteri di economicità:
apparve chiaro fin dagli anni Cinquanta che tutto ciò avrebbe potuto
certamente portare maggiore prosperità, in primis per le imprese, a
condizione però che fosse stato assoggettato ad una global governance,
fatta di norme applicabili perché concordate tra i vari Paesi, interessati a
fissare a livello globale le regole del gioco.
Una simile realtà di integrazione e interdipendenza, sarebbe stata
difficilmente immaginabile prima del 1945, quando il concetto di
economia globale non esisteva, le politiche economiche erano gestite a
livello nazionale dai governi statuali e la mappa geografica degli scambi
coincideva con i confini politici dei vari Stati, quegli Stati territoriali che
si erano formati nell’età moderna, erano andati consolidandosi con la
Rivoluzione industriale, e che avevano dato un chiaro stampo
3
Cfr. a cura di G. PELLICELLI, Il marketing internazionale. Mercati globali e nuove
strategie competitive, ETAS, Milano 2000.
4
T. LEVITT, The globalization of markets, in Harvard Business Review, maggio -
giugno 1983, p. 94-108.
5
Per i soli Paesi industrializzati le tariffe medie dei dazi sono scese dal 40% circa al
6%.
1 La globalizzazione economica
3
protezionista ed autarchico alla legislazione nazionale in materia
economica
6
.
Al contrario oggi lo sviluppo economico di una regione si presenta
come l’esito di un gioco cui prendono parte diversi attori, politici ed
economici, ognuno con un peso e con competenze diversi ma che sempre
più spesso orientano nella stessa direzione le loro azioni di lungo periodo.
Tra questi svolgono un ruolo essenziale gli Stati, con i loro sistemi
giuridici e con le loro relazioni internazionali, fortemente verticalizzate,
tanto in termini demografico-territoriali che economico-politici.
Attualmente gli Stati esistenti sono circa 192, la maggioranza dei
quali nati a seguito della tumultuosa stagione delle decolonizzazioni, che
toccò il culmine negli anni 60 e della dissoluzione del blocco sovietico tra
il 1989 e il 1991; ma il numero di superpotenze economiche, militari e
politiche che costituiscono gli assi di tale sistema, quel centro intorno cui
ruotano le periferie, si riduce drasticamente a meno di dieci
7
.
Accanto all’azione statuale, fa sentire il suo peso quella delle
società multinazionali: imprese, o gruppi di imprese, di grandi
dimensioni, che operano direttamente o tramite consociate in più Paesi, e
che in virtù del loro peso economico e finanziario sono in grado di
influenzare le scelte politiche mondiali.
Completano il quadro le Organizzazioni internazionali e
sovranazionali, dalle dimensioni mondiali o regionali, che sempre più
fanno la parte da leone nel regolare i rapporti economici del sistema
globale.
6
Uniche eccezioni furono a lungo costituite dal Regno Unito e, in parte, dall’Olanda,
che grazie alla loro superiorità industriale e commerciale, traevano vantaggio da
politiche economiche liberiste.
7
Sette sono infatti le maggiori potenze economiche: Stati Uniti, Giappone, Francia,
Germania, Italia, Regno Unito e Canada; mentre cinque le maggiori potenze militari:
Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Cina, Russia, che insieme costituiscono il cosiddetto
“club nucleare”, e che sono anche i principali decisori politici nello scenario
internazionale in qualità di membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
1 La globalizzazione economica
4
Questi, dunque, i grandi protagonisti che ogni giorno varcano con
le loro mosse i limitati confini nazionali per conferire dimensioni
planetarie all’economia, che se da un lato cerca normative adatte alle
dimensioni del nuovo scenario, dall’altro vive e si alimenta nello spazio
di laissez-faire lasciato ai meccanismi di mercato dopo l’abbandono del
protezionismo.
Sarebbe interessante analizzare, un po’ più nello specifico, nei vari
settori dell’economia, le conseguenze che l’azione congiunta di forze
come la globalizzazione e la regionalizzazione ha prodotto; in realtà, non
è questa la sede per farlo; ci limiteremo perciò a guardare un po’ più da
vicino l’internazionalizzazione del commercio e la nascita dell’Unione
Europea, riservando solo un accenno agli altri settori, a cominciare da
quello finanziario.
Uno degli aspetti peculiari di tutto questo processo, nell’accezione
indicata da Levitt, è infatti la crescente importanza del mercato
finanziario internazionale, rappresentante l’insieme dei capitali per
investimenti in imprese o in fabbisogno dello Stato, che dagli anni
Settanta in poi ha registrato una vera e propria esplosione dovuta, anche
in questo caso, alla graduale e progressiva rimozione dei vincoli valutari e
normativi nonché all’introduzione di nuovi strumenti finanziari e nuove
tecnologie, grazie alle quali i mercati finanziari risultano oggi aperti, su
scala mondiale, ventiquattr’ore su ventiquattro.
L’estensione dei movimenti internazionali ha riguardato sia gli
investimenti a breve, a carattere speculativo, sia gli IDE, corrispondenti
nella maggior parte dei casi a movimenti incrociati di acquisizioni di
filiali tra Paesi industrializzati
8
(questi sono aumentati negli anni 80 con
tassi di crescita superiori sia a quelli del commercio internazionale sia
8
Agli IDE guarderemo nello specifico più avanti nella trattazione delle modalità di
internazionalizzazione delle imprese.
1 La globalizzazione economica
5
della produzione mondiale. Negli anni 90 si sono toccati aumenti del 15
% annui).
Caratteristica di questo mercato è il fatto che gli investimenti siano
prevalentemente molto concentrati sia in settori specifici, come quelli
automobilistici e dell’information technology, sia geograficamente verso
aree corrispondenti ai Paesi più industrializzati
9
.
La dimensione dei capitali è arrivata ad influenzare a tal punto
l’andamento quotidiano delle economie dei singoli Stati, ripercuotendosi
sull’evoluzione dei tassi di cambio, e incidendo sulle attività borsistiche e
immobiliari nazionali, soggette così ad eventuali ondate speculative, da
poterne vincolare le prospettive di crescita, e da far temere, considerato il
grado di integrazione raggiunto, per la facilità con cui possano esplodere e
dilagare crisi finanziarie, come quelle conosciute in tempi recenti e
recentissimi, e che le Banche Centrali hanno solo in parte potuto
contenere
10
.
Stessa integrazione mondiale ha interessato il mercato del lavoro,
soprattutto dei Paesi dalle economie più avanzate, il quale è stato percorso
da due fenomeni intrecciati tra loro: una crescente internazionalizzazione
ed un parallelo processo di segmentazione.
Per internazionalizzazione del mercato del lavoro si intende quel
fenomeno per cui un crescente numero di Paesi è interessato dalle
migrazioni come area di arrivo e un sempre più elevato numero di Paesi
ne è interessato come area di partenza. I bacini di manodopera sono
perciò estesi infinitamente, seppur entro i limiti stabiliti dalle politiche di
9
Ciò senza dubbio in quanto i flussi di investimenti sono determinati dai differenziali
nella remunerazione del capitale.
10
Si fa riferimento non solo alla crisi finanziaria del 1992 che portò la sterlina inglese e
la lira ad uscire momentaneamente dallo SME, ma soprattutto a quella del 2002-2003
che toccò Paesi dell’America Latina, Argentina in primis.
1 La globalizzazione economica
6
frontiera dei vari governi, e la mobilità internazionale dell’offerta di
lavoro è molto alta
11
.
Il grado di mobilità del fattore lavoro varia comunque, sia a livello
internazionale che intersettoriale, in base alla categoria, ed oggi, a
differenza di qualche decennio fa, quando i flussi migratori partivano
dalla aree più povere per andare ad ingrossare le file di lavoratori con
salari e condizioni modeste, i segmenti della forza lavoro più
internazionalizzati sono quelli che occupano i gradini più alti nella scala
sociale, come il personale altamente qualificato e il management,
cambiamento questo che esprime le trasformazioni intervenute
nell’economia mondiale, la diffusione di imprese internazionali o
multinazionali e la creazione di aree come quella europea dove la mobilità
della forza lavoro è tra i principi costitutivi.
Per quel che riguarda invece le altre due categorie di lavoratori,
quelli scarsamente e mediamente qualificati, la loro mobilità risulta
attualmente debole. Ciò probabilmente perché i costi di trasferimento
risultano considerevoli se rapportati alle prospettive di guadagno
12
.
Oltre a questo, la globalizzazione ha prodotto sul mercato del
lavoro anche un altro cambiamento, di non minore importanza ed impatto
sui lavoratori: i governi nazionali hanno dovuto organizzare un
riaggiustamento dei loro regimi regolativi e quindi delle strutture
contrattuali, che in nessun Paese è andato nella direzione della rigidità,
trovando anzi nella flessibilità la risposta più idonea alle nuove esigenze.
L’efficacia di tali politiche non può ancora essere al momento né
dimostrata né smentita, ma i critici non mancano. Saranno comunque gli
anni ad indicare gli effetti occupazionali prodotti.
11
E. MINGIONE, E. PUGLIESE, Il lavoro, Carocci, Roma, 2002.
12
Cfr. G. LAFAY, Capire la globalizzazione, Il Mulino, Bologna, 1996.
1 La globalizzazione economica
7
1. 2 La globalizzazione del commercio: dal GATT al WTO
Discorso più approfondito meritano i cambiamenti intervenuti nel
commercio mondiale. Questo fu uno dei settori da cui si iniziò nell’opera
di abbattimento delle barriere tariffarie, che ne ostacolavano lo sviluppo
internazionale, e che ancora oggi è quello che registra i più elevati tassi di
internazionalizzazione e regolamentazione.
Era finita appena la Seconda guerra mondiale quando si faceva
spazio l’idea che per risolvere problemi di stabilità economica e politica e
per dare uniformità internazionale ai settori nevralgici, fossero necessari
Organismi internazionali intergovernativi quali quelli che si crearono con
gli Accordi di Bretton Woods del 1944, facendo tesoro degli errori
commessi nel primo dopoguerra: la Banca mondiale
13
e il Fondo
monetario internazionale
14
, a cui affiancarne eventualmente un terzo che
si occupasse del commercio mondiale.
Più di cinquanta furono i Paesi che parteciparono alle negoziazioni
che avrebbero dovuto portare all’istituzione dell’International Trade
Organization (ITO). Erano Paesi che vedevano nella liberalizzazione
degli scambi una via per la ricostruzione dell’economia ma anche per la
costruzione della pace, una pace finalmente duratura.
Il progetto dell’ITO si sarebbe poco dopo rivelato troppo
ambizioso per i tempi, ma il processo che doveva portare ad un mercato
liberale era stato messo in atto.
Ventitre Paesi nel 1946 si riunirono per il primo Round, durante il
quale furono approvate quarantacinque mila concessioni tariffarie,
riguardanti ben un quinto del commercio mondiale, e in cui si
13
Finalizzata al finanziamento di prestiti a lungo termine per la ricostruzione delle
economie disastrate e successivamente per lo sviluppo dei Paesi più poveri.
14
Pensato con l’obiettivo di promuovere la cooperazione monetaria internazionale,
facilitare la crescita economica ed il pieno impiego, mantenere la stabilità dei tassi di
cambio, per evitare svalutazioni competitive, e finanziare squilibri che si fossero
eventualmente presentati nelle bilance dei pagamenti dei membri in difficoltà.
1 La globalizzazione economica
8
sottoscrissero anche alcune delle norme commerciali stipulate nel
progetto dell’ITO.
L’insieme di questi accordi tariffari e delle norme commerciali
venne denominato General Agreement on Tariffs and Trade ed entrò in
vigore nel gennaio del 1948. Il suo contenuto si sarebbe arricchito nel
mezzo secolo di vita, ma i principi giuridici di base continuarono ad
essere gli stessi di quelli firmati nell’immediato dopoguerra.
Ciò che era stato creato era molto più di un serie di accordi
commerciali internazionali, i quali avrebbero costituito comunque una
novità in un’epoca segnata da un accentuato nazionalismo economico: si
era dato in realtà vita ad un sistema multilaterale del commercio, che andò
consolidandosi ed arricchendosi nel corso degli anni mediante una serie di
negoziati commerciali, definiti Round, grazie ai quali il GATT, oltre
all’originario obiettivo della riduzione dei dazi, finì col riguardare anche
altri aspetti del commercio mondiale non prettamente tariffari.
L’ottavo e più sofferto Round, l’Uruguay Round, nacque dalla
presa di coscienza che il commercio di quegli anni era profondamente
cambiato rispetto a quello degli anni quaranta, vi si erano affacciati settori
come quelli dei servizi non contemplati all’epoca della costituzione dei
primi accordi e che adesso erano invece diventati di grande interesse per
molti Paesi. Ma anche altri aspetti sembravano richiedere interventi di
riforma, partendo dalle norme sull’agricoltura fino ad arrivare alla stessa
struttura istituzionale del GATT.
La convocazione dell’Uruguay Round fu quindi un passaggio
obbligato in vista di un rafforzamento ed ampliamento del sistema
multilaterale: iniziato nel 1986 si concluse nel 1994 con la firma dell’atto
finale a Marrakesh.
Durò più di sette anni e mezzo, vi parteciparono centoventitre
Paesi, si negoziò su quasi tutti i settori dell’economia, meritando così il
1 La globalizzazione economica
9
titolo di più grande negoziazione commerciale mai esistita nella storia
dell’uomo.
Segnò la più importante riforma del commercio mondiale dai tempi
del Secondo conflitto, stabilendo il passaggio dal GATT ad una vera e
propria Organizzazione internazionale stabile, la WTO, World Trade
Organization, il cui regolamento accoglieva in toto quello del GATT,
seppur arricchito di nuove materie come le politiche anti-dumping, volte a
sanzionare la concorrenza sleale dei Paesi che vendono all’estero beni ad
un prezzo inferiore rispetto a quello che praticano all’interno, e di nuovi
accordi, riguardanti soprattutto il settore dei servizi (GATS General
Agreement on Trade in Services), della proprietà intellettuale (TRIPS
Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights),
degli investimenti (TRIM Trade-Related Investment Measures), e
dell’agricoltura (Agreement on Agricolture)
15
.
I principi su cui si volle basare tale Organizzazione furono
individuati in:
ξ il principio di non discriminazione, che trova attuazione mediante la
clausola della nazione più favorita, costituente anche il primo articolo
del GATT e che prevede l’estensione a tutti i Paesi membri dei
vantaggi e dei benefici accordati ad un singolo Paese mediante accordi
bilaterali. Uniche eccezioni alla clausola sono costituite dalle aree di
libero scambio, o le unioni doganali, e i Paesi in Via di Sviluppo, per i
quali non viene applicata tale reciprocità;
ξ la regola del trattamento nazionale, per cui un prodotto importato deve
essere trattato nella stessa maniera di un prodotto nazionale; anche qui
si fa eccezione per i PVS e gli embarghi praticati dagli USA;
ξ il divieto di restrizioni quantitative all’import, da cui è esclusa la
categoria dei bovini trattati con ormoni, per la quale si prevede la
15
Cfr. www.wto.org.
1 La globalizzazione economica
10
possibilità di restrizioni nel caso sia dimostrata la fondatezza
scientifica del danno arrecato dal prodotto
16
, ma anche quando vi sia il
solo sospetto di possibile danno o quando gli effetti siano ancora poco
conosciuti
17
;
ξ il divieto di dumping e sovvenzioni pubbliche, queste ultime
considerate distorsive per la concorrenza.
Oggi il World Trade Organization rappresenta l’elemento centrale
del sistema di norme internazionali per il commercio mondiale, fornendo
una serie di regolamenti e accordi negoziati e firmati dai rappresentanti
dei centoquarantasette Paesi membri
18
, i quali sono così obbligati a
mantenere le proprie politiche commerciali entro i limiti stabiliti in sede
di negoziazione. Ma il WTO è anche un foro dove presentare e risolvere
eventuali dispute nate tra le parti contraenti nell’interpretazione delle
norme.
È insomma un insieme di regole che fa sì che l’economia globale
non cada nell’anarchia, e che la globalizzazione proceda in maniera
controllata. O almeno questo è ciò che si propone di essere.
Dalla nascita del WTO sono ormai passati dieci anni, percorsi da
nuovi Round negoziali
19
e conferenze ministeriali biennali, ma in
occasione dell’ultimo incontro, quello di Cancùn, nel 2003, qualcosa è
sembrato incrinarsi: i Paesi membri sono giunti all’appuntamento senza il
rispetto degli impegni intermedi, ma soprattutto divisi, con la nuova
coalizione del G22, costituito dai grandi PVS (in cui un ruolo di primi
piano è svolto da Brasile, Cina e India), che hanno dimostrato nel
16
Principio, questo, voluto dagli USA.
17
Definito come “clausola di precauzione” e inserita su richiesta dell’UE.
18
Pari a oltre il 90% del commercio mondiale. Tra le Nazioni aderenti spicca la Cina,
che dopo aver aderito al FMI nel 1980 e all’Accordo Multifibre nel 1983, presentò
formale domanda di ingresso nel GATT nel 1986. I negoziati durarono però a lungo, e
l’ammissione nell’ormai WTO fu sancita solo durante il vertice di Doha nel Novembre
2001.
19
Nel 1996 a Singapore, nel 1998 a Ginevra, nel 1999 a Seattle (il Round della
contestazione) e nel 2001 a Doha.
1 La globalizzazione economica
11
contrastare le posizioni di Stati Uniti ed Unione Europea una compattezza
e una risoluzione inattese, facilmente spiegabili con i cambiamenti
intervenuti nel corso degli ultimi anni nella distribuzione della produzione
e degli scambi mondiali
20
.
Gli ostacoli che hanno compromesso l’esito della Conferenza sono
stati principalmente le divisioni sulle questioni non ancora definite nel
settore dell’agricoltura, dove il protezionismo rimane molto forte, ma
soprattutto un insieme di temi, noti come “le questioni di Singapore”,
riguardanti la disciplina sugli IDE e i legami tra le politiche commerciali e
le politiche della concorrenza, che l’Unione Europea avrebbe voluto
includere nell’agenda negoziale, scontrandosi però con molti PVS.
L’impossibilità politica di raggiungere un accordo, con i nuovi
protagonisti delle negoziazioni irremovibili nelle loro posizioni e i vecchi
Paesi leaders che non hanno saputo comprendere e accettare questo
diverso atteggiamento, hanno segnato un fallimento storico, non solo
perché è diventata manifesta l’inadeguatezza al nuovo scenario del
modello di negoziazione tradizionale, basato sull’egemonia degli USA e
dell’UE, ma perché il danno più grave che ne deriva è ancora una volta
per i Paesi in via di sviluppo, quelli cioè che hanno maggiormente
bisogno del buon funzionamento del sistema multilaterale del commercio.
In campo agricolo lo stallo negoziale sembra comunque essere
stato superato con l’accordo di luglio 2004, durante il quale si è
riconosciuta la necessità di eliminare le forme di sussidio alle
esportazioni, senza averne però fissato ancora i tempi e le modalità. I nodi
da sciogliere rimangono ancora molti e i tempi delle scadenze concordate
appaiono, in relazione ad essi, troppo stretti.
20
Cambiamenti che saranno analizzati nel corso del Capitolo Quarto.
1 La globalizzazione economica
12
Si spera che per la prossima Conferenza ministeriale di Hong
Kong, prevista per il 2007, il quadro si presenti più maturo per concludere
positivamente i negoziati.
Durante questo periodo di transizione per gli accordi multilaterali,
Stati Uniti ed Unione Europea da parte loro si danno da fare per allargare
le proprie reti di relazioni bilaterali, mossi da ovvie ragioni economiche e
politiche.
Sono due quindi le tendenze che attualmente si incrociano nelle
istituzioni che regolano il commercio: da un lato, con la creazione di
organismi come il WTO si è spinta la denazionalizzazione dell’economia
a livelli altissimi, sì che le regole in molti settori sono fissate da organismi
sovranazionali come questi, che dispongono di ordinamenti giuridici
propri, con il potere di dettare norme direttamente incidenti sui rapporti
interpersonali degli Stati aderenti, e di adempiere a funzioni essenziali,
una volta nelle mani dello Stato, uno Stato che oggi non è più idoneo a
garantire da solo economicità ed efficienza, essendo stato concepito in
un’epoca in cui ciò che contava era costituire un sistema autosufficiente e
indipendente.
D’altro canto però, ciò non significa che le entità statali non
continuino, seppur sotto altre vesti, ad essere i soggetti fondamentali delle
relazioni internazionali, esercitando la loro sovranità nell’ambito di
organizzazioni globali, con le loro strutture e le loro strategie riconvertite
ai fini di uno Stato non più né militare né sociale, ma geopolitico, in
grado quindi di competere con gli altri attori presenti nella scena
internazionale e di promuovere il “Sistema Paese” nella competizione
globale.
La globalizzazione, a livello politico, si manifesta dunque così,
nella molteplicità di interconnessioni, legami e scambi tra Nazioni più o
meno lontane geograficamente, e nell’integrazione delle loro economie.
1 La globalizzazione economica
13
Un’integrazione che nel progetto di unione economica e politica
europea ha toccato certamente uno dei livelli più alti, a seguito di un
lavoro di negoziazione e di studio durato per più di mezzo secolo, e che è
tuttora in corso.
1. 3 La creazione dell’Unione Europea
Quando il mondo intero si risvegliò dal secondo conflitto
mondiale, non c’era assetto istituzionale o economico che fosse rimasto
indenne dalla distruzione apportata dalla guerra. La prima reazione, come
sappiamo, fu nel segno della collaborazione internazionale, e si esplicitò
in particolar modo attraverso il varo del Piano Marshall
21
e la creazione
dell'OECE
22
, mezzi questi che, aldilà dell’obiettivo politico che vi posero
gli USA, servirono all’Europa Occidentale per iniziare la ricostruzione
economica.
La sfera politica europea era però complicata dal problema della
ricostruzione dello Stato tedesco, e con esso dalla questione dei
giacimenti di carbone e di acciaio della Renania.
21
Nel giugno del 1947 il Generale George Marshall, segretario di Stato del Presidente
americano Truman, annunciava a tutti i Paesi europei, compresi l’Unione Sovietica e i
suoi Stati Satelliti che, se avessero presentato agli USA una richiesta congiunta di
assistenza, il Governo degli States avrebbe risposto in maniera soddisfacente. E così
avvenne: all’inizio del 1952 erano stati distribuiti in Europa aiuti per circa tredici
miliardi di dollari sotto forma di prestiti o sovvenzioni.
Cfr. R. CAMERON, L. NEAL, Storia economica del mondo. Dalla preistoria ad oggi,
Il Mulino, Bologna, 2002, p. 585-588.
22
L’Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica, che doveva gestire,
insieme con l’ECA, l’Economic cooperation administration, gli aiuti del Piano
Marshall è diventata nel 1975 OSCE, Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione
in Europa., cui aderiscono cinquantaquattro Paesi con lo scopo di promuovere relazioni
internazionali migliori in vista del rafforzamento della pace, della cooperazione in
materia di sicurezza e di diritti fondamentali dell’uomo.