5
anche il graduale passaggio a forme più “dinamiche” e melodrammatiche. Ho cercato, quindi, di
evidenziare le tappe di questa trasformazione, soffermandomi contemporaneamente sui passaggi o
sugli aspetti più significativi di ogni singolo dramma. Mi sono inoltre “servito” di questi oratori per
affrontare alcuni argomenti generali, evidenziando e chiarendo aspetti stilistici (uso della rima e del
dialogo, distribuzione delle arie etc.) o tematici (come i concetti di “cifra” e “figura”, il rapporto
con le fonti etc.) necessari per la comprensione dei drammi successivi.
Il secondo gruppo va, invece, dalla Morte d’Abel all’ultima “azione sacra”, Isacco figura del
Redentore e comprende gli oratori che hanno ormai abbracciato modi e forme del melodramma, pur
conservando alcune caratteristiche autonome e peculiari: si tratta di opere più “mature”, se così si
può dire, certamente più complesse e problematiche. Ogni capitolo è incentrato su un unico dramma
ed è suddiviso in due metà: la prima discute le caratteristiche specifiche dell’oratorio in esame,
come la struttura, il significato dei personaggi e della vicenda, l’atteggiamento dell’autore rispetto
alle proprie fonti etc.; la seconda, invece, estrapola il tema principale e cerca di analizzarlo anche
alla luce di tutta l’opera metastasiana (melodrammi, “feste teatrali”, poesie, lettere, Estratto
dell’Arte poetica), secondo questa successione:
- La morte d’Abel (cap. III)
- Giuseppe riconosciuto (cap. IV)
- Betulia liberata (cap. V)
- Gioas re di Giuda (cap. VI)
- Isacco figura del Redentore (cap. VII)
Æ Il male
Æ Il “disvelamento”; la conoscenza della Verità
Æ Dio
Æ Concezione e ruolo del potere
Æ Gli affetti; la virtù.
Tale impostazione risponde a un’esigenza di ordine e di chiarezza e non vuole affatto suggerire
l’idea di un discorso a “compartimenti stagni”, che sarebbe quanto mai sbagliata e fuorviante.
Metastasio, infatti, ritorna più volte sulle stesse problematiche, tanto che ciascuno dei temi appena
elencati concerne, più o meno, tutti (o quasi) i suoi oratori. Prendiamo, ad esempio, la riflessione sul
potere, che non compare unicamente nel Gioas, ma è già viva, in misura diversa, nella Festività, nel
Sant’Elena, nel Giuseppe e nella Betulia liberata: per non dovermi quindi ripetere ogni volta, ho
scelto di soffermarmici solo là dove la sua presenza mi è parsa preponderante.
Mi sono avvalso ampiamente degli spunti suggeriti da Giulio Ferroni che, quasi trent’anni fa,
avviava la rilettura critica di questi lavori e dell’ottimo Mozart, Padova e la ‘Betulia liberata’.
Committenza, interpretazione e fortuna delle azioni sacre metastasiane nel ‘700, che raccoglie gli
atti del seminario padovano, tenutosi tra il 28 e il 30 settembre 1989, con l’intervento di alcuni
importanti critici (fra cui Accorsi, Gronda, Sala Di Felice, Pinamonti, Joly): vi è proposto un
6
fondamentale ripensamento sugli oratori (ma, secondo me, anche su tutto il teatro metastasiano) e
sulle loro basi ideologico-morali, con un’attenzione privilegiata a Betulia.
Ma è soprattutto al recente saggio (1991) di Sabrina Stroppa, Fra notturni sereni, che va il mio
debito più consistente. Questo testo ha il merito di avere indagato le ragioni profonde delle “azioni
sacre” metastasiane, restituendo il giusto spessore a una materia troppo spesso ignorata o, al limite,
liquidata in gran fretta: ne emerge l’immagine, purtroppo ancora inedita per molti, di un Metastasio
senza ciprie e nei posticci, “serio”, impegnato, consapevole delle sue scelte, vicino a Cartesio ma
anche a Pascal e Bossuet. Il tutto esposto con argomentazioni serrate e convincenti, concedendo
ampio spazio anche agli oratori generalmente ritenuti “meno importanti”, come la Festività e la
Passione.
L’autrice si sofferma sugli aspetti formali, nonché sul pensiero politico metastasiano (cap. I),
impegnato a costruire un’immagine del sovrano che sia tradizionale, ma insieme rinnovata, da un
lato inviolabile e sacra per unzione divina, ma dall’altro anche impegnata nella Storia, con pesanti
doveri di “pubblica felicità” verso i sudditi.
L’attenzione della Stroppa corre, però, soprattutto al problema della conoscenza e ai concetti di
“figuralità” e “disvelamento” (capp. II e III), intesi come il cuore del pensiero religioso
metastasiano: quasi tutte le vicende rappresentate sono rilette come anticipazioni della Passione di
Cristo e culminano in una sorta di illuminazione (il “disvelamento”) in cui il “Dio nascosto” si
mostra all’uomo e lo rende partecipe del suo progetto di Redenzione. Fra notturni sereni esamina
minutamente, oratorio per oratorio, i singoli episodi di “disvelamento”, con un’ampia
documentazione bibliografica.
Naturalmente, anch’io ho dedicato un posto importante a questo problema, avvalendomi anche delle
tesi esposte da Pietro Boitani in Ri-Scritture (posteriore al saggio della Stroppa), che, tra l’altro,
analizza proprio la storia di Giuseppe, argomento del Giuseppe riconosciuto metastasiano.
Il mio intento, però, è stato partire dal sacro per una riflessione su tutto Metastasio. Ho cercato
quindi di allargarmi anche ad altri temi, magari meno centrali, ma ugualmente importanti e
comunque presenti in questi oratori: ad esempio, la Morte d’Abel è una toccante meditazione sul
male e sul libero arbitrio, che può applicarsi anche ai melodrammi; così pure la visione dell’uomo e
della Storia, il rapporto ragione-passioni, il significato della virtù e il valore degli affetti percorrono
le vicende degli oratori come un sottofondo, un sottofondo però molto significativo: si tratta di temi
che non rimangono circoscritti al sacro, ma ne oltrepassano ampiamente i confini. Il fatto che poi
Metastasio non ne parli diffusamente come farebbe un filosofo, non significa che non ne parli
affatto; soltanto, egli dedica pochi versi a ciò che altri avrebbero trattato in molte pagine.
7
Ci sono poi ulteriori aspetti, poco battuti da Sabrina Stroppa, che ho cercato di valorizzare, come il
rapporto delle “azioni sacre” di Metastasio con il suo teatro profano (soprattutto con quello
contemporaneo), magari ricorrendo a confronti diretti fra situazioni e personaggi: per esempio,
Caino mi ha ricordato per molti versi Learco, il “cattivo” non redento dell’Issipile, mentre
l’incontro fra Gioas e Sebìa riecheggia alcune scene del Ciro riconosciuto.
Inoltre, Sabrina Stroppa concentra rigorosamente il suo discorso nell’ambito degli oratori e, solo
occasionalmente, istituisce paralleli fra Metastasio e altri autori (Gravina, Zeno, Cartesio, Pascal,
Bossuet e Racine, ma soltanto a proposito del Gioas). Io ho invece creduto opportuno estendere il
raggio dei rapporti diretti anche ad un numero più ampio di personalità, precedenti (come
Sant’Agostino, Tasso, Guarini, Calder\n, Corneille, Fénelon) o contemporanee (come Lemene,
Guidi, Maffei, Muratori, Liguori) a Metastasio, che ne hanno condizionato il pensiero e le scelte o
che, comunque, ne condividono lo stesso clima culturale. Ho provato a inserire l’opera metastasiana
nel contesto ideologico del tempo, soprattutto all’interno del dibattito politico (il re-padre, il re-
pastore, la “pubblica felicità” etc.) e di quello religioso, con le polemiche cattoliche contro
giansenismo e quietismo.
Forse, Sabrina Stroppa ha dato troppo rilievo all’influenza di Pascal che, sebbene non trascurabile,
non è neppure così forte, anche perché Metastasio si distacca dal giansenismo in alcuni punti
cruciali, come la predestinazione e la concezione dell’uomo. Proprio l’ottimismo settecentesco, che
trova in Leibniz la sua più convinta espressione e che ha una base decisamente teologica, permea il
teatro di questo autore e fornisce irrinunciabili presupposti ad alcuni suoi “cardini”, ad esempio il
lieto fine, a lungo liquidato come meccanico espediente per soddisfare i gusti del pubblico. Al
tempo stesso rimane pur sempre vivo il dialogo con i valori e le inquietudini della cultura barocca,
rielaborati alla luce dei tempi nuovi e mai subiti passivamente.
Ho cercato inoltre di evidenziare come questi oratori (e, con loro, anche il migliore teatro
metastasiano) ruotino attorno alla ricerca della Verità (non uso a caso la maiuscola) e del “senso”,
sia esso il senso ultimo della storia e delle azioni umane, o quello del bene e del male: è appunto su
questi nodi cruciali che avvengono i grandi incontri con gli autori appena citati.
Voglio, infine, precisare il significato dei numerosi paralleli con scrittori meno presenti a
Metastasio, cui probabilmente egli neppure pensava durante la stesura degli oratori, (Camões,
Milton, Juana Inés de la Cruz, Pope etc.) ma che incarnano al meglio un certo clima culturale e
consentono di chiarire, mediante confronti (anche in contrario), il pensiero metastasiano.
Più spesso, però, questi paralleli sono semplici suggestioni, tese a creare una rete di rapporti,
secondo il concetto di “intertestualità”: il testo letterario è come un grande contenitore, dove
confluiscono, spesso inconsciamente, idee, valori, opere del passato e del presente. In tal modo
8
l’autore acquista una dimensione “a tutto tondo”, diventando il depositario di una memoria
collettiva.
Credo pertanto che la prospettiva intertestuale possa restituire un’immagine più completa di
Metastasio. Il più ammirato fra i poeti d’Europa era un autore certo non “provinciale”,
profondamente legato al proprio tempo, ma anche aperto al nuovo e, sotto alcuni aspetti, perfino
anticipatore di valori e di idee. Lo dimostra anche l’ammirazione di personaggi di grande levatura,
come Muratori, Rousseau e Stendhal, che non può passare per una sopravvalutazione senza
fondamento, ma deve invitare a riflettere sul valore e sulla complessità del poeta cesareo.
9
PARTE PRIMA
L’ORATORIO BAROCCO
(Origini - Italia - Vienna - A. Zeno)
La complessità di un genere come l’oratorio, che racchiude, sotto molteplici sinonimi, composizioni
spesso assai diverse fra loro, mi spinge a introdurre subito una definizione, che possa essere un,
seppur generico, punto di riferimento. Fra tutte, la più soddisfacente è forse quella di Howard E.
Smither, alla voce Oratorio in The New Grove Dictionary of Music and Musician:
An extend musical setting of a sacred text made up of dramatic, narrative and contemplative
elements. Except for a greater emphasis on the chorus throughout much of its history, the
musical forms and styles of the oratorio tend to approximate to those of opera in any given
period, and the normal manner of performance is that of a concert (without scenery,
costumes or action).
1
Voglio precisare che il mio discorso sarà necessariamente schematico, né pretenderà di rendere
conto di tutte le manifestazioni che l’oratorio ha assunto nel tempo.
1
[Un’estesa messa in scena musicale di un testo sacro costituito di elementi drammatici, narrativi e contemplativi. Fatta eccezione
per una grande preminenza del coro attraverso molta parte della sua storia, le forme musicali e gli stili dell’oratorio tendono ad
accostarsi a quelli dell’opera in ogni periodo considerato, e la maniera usuale della rappresentazione è quella del concerto (senza
scene, costumi o azione)]. The New Grove Dictionary of Music and Musician, London, Macmillan Publisher Limited, 1980, vol.
XIII, p. 656.
10
1 - L’ORATORIO BAROCCO IN ITALIA.
L’oratorio è una delle più significative espressioni della Controriforma
2
, del suo clima culturale e
spirituale, teso a diffondere la dottrina cattolica presso un pubblico vasto e variegato.
Com’è noto, uno dei maggiori punti di scontro fra cattolici e protestanti è stata la cosiddetta
“dottrina della giustificazione”, cioè la teoria sul passaggio dallo stato di peccato a quello di grazia
in virtù del sacrificio di Cristo. Secondo Lutero e Calvino, l’uomo è giustificato (cioè salvato) solo
grazie alla fede e non alle “buone opere” (che sono semmai una conseguenza della fede stessa e
dello stato di Grazia), poiché Dio, fin dall’inizio dei tempi, ha predestinato alcuni uomini alla
salvezza, altri alla dannazione:
Nei capitoli IX, X e XI [della Lettera ai Romani di San Paolo], l’apostolo insegna l’eterna
predestinazione di Dio, dalla quale ha la sua prima origine chi deve o non deve credere, chi
può o non può essere affrancato dal peccato, affinché la nostra giustificazione [= salvezza]
sia tolta dalle nostre mani e posta soltanto nella mano di Dio. Ciò è anche estremamente
necessario, perché siamo tanto deboli e incerti che, se dipendesse da noi, non un sol uomo si
salverebbe. Il diavolo certamente li vincerebbe tutti.
3
Al contrario di Lutero, per il Concilio di Trento, che accentua il valore salvifico delle opere e dei
“meriti” personali, l’intera umanità - e non solo alcuni predestinati - è chiamata a salvarsi. Questa
posizione porta la Chiesa oltre che a una nuova spinta verso l’azione e l’apostolato, a contrapporre
alla fede individuale e fortemente interiorizzata del Protestantesimo, una fede collettiva e “di
massa”. Presso tutti gli strati sociali, l’arte è chiamata, in ogni sua manifestazione, a un fine
edificante, per diffondere i valori e i principi cattolici contro le dottrine protestanti; pertanto, quelle
espressioni che, come le arti figurative, la musica e il teatro, possono meglio raggiungere un
pubblico vasto ed eterogeneo non solo acquistano un’importanza di primo piano, ma devono anche
rispondere a certi requisiti, riassunti da Wittkower in «1) chiarezza, semplicità e intelligibilità; 2)
interpretazione realistica; 3) stimolo emozionale alla pietà.»
4
. Tutte caratteristiche che ritroveremo
anche nell’oratorio.
2
Sui rapporti fra oratorio e Controriforma, v. Hellmuth Christian Wolff, nel suo articolo L’Oratorio e la Passione in Italia, in A.
LEWIS e N. FORTUNE, Storia della musica. Vol. IV: Opera e musica sacra; 1630-1750, Milano, Feltrinelli, 1978, p. 369 ; e E.
KANDUTH, Metastasio “viennese”: i componimenti sacri, in Italianistica, XIII, 1984, pp. 125-143; 125.
3
«AM ix. x. vnd xj. cap. leret er von der ewigen versehung Gottes Da her es vrsprunglich fleusset wer gleuben oder nicht gleuben
sol von sunden los oder nicht los werden kan Da mit es je gar aus vnsern henden genomen vnd alleine in Gottes hand gestellet sey
das wir frum werden. Vnd das ist auch auffs allerhohest not Denn vir sind so schwach vnd vngewis das wenn es bey vns stunde
wurde freilich nicht ein Mensch selig der Teufel whrde sie gewislich alle vberweldigen.» Cit. da Prefazione all’Epistola di San Paolo
ai Romani (Vorrede auff die Epistel S. Paul: an die Romer) in Martin LUTERO, Lieder e prose, Milano, Mondadori, 1997, pp. 360-
363. Trad. di Valdo Vinay.
4
WITTKOWER R., Arte e architettura in Italia. 1600-1750, Torino, Einaudi, 1972, pp. 5-6. Anche se il discorso di Wittkover riguarda
le arti figurative, ritengo possa applicarsi a tutta la cultura dell’epoca, l’oratorio incluso.
11
La figura di S. Filippo Neri è inseparabile da questo retroterra culturale, come dimostra il largo
consenso suscitato, a tutti i livelli, dalle sue iniziative. Uomo dotato di brio e di umorismo, sa
comprendere le esigenze spirituali del suo tempo: è convinto che il Vangelo «non si opponga alla
cultura»
5
e che «tra il Cristianesimo e la cultura del secolo XVI non solo non vi sia incompatibilità,
ma [...] interceda un punto di contatto»
6
. L’oratorio è sostanzialmente questo punto di contatto.
Per trovare le origini del futuro oratorio musicale, dobbiamo dunque portarci nella parrocchia
romana di S. Girolamo della Carità dove, fin dall’inizio del suo soggiorno, S. Filippo ha avviato i
famosi “esercizi spirituali”: nella propria stanza, appoggiato al letto, intrattiene i confratelli con
piccoli sermoni di argomento morale o religioso, seguiti dal canto di un lauda
7
. Poiché la sensibilità
e la simpatia del Santo attirano un numero sempre crescente di persone - di ogni condizione sociale
- che la sua camera non riesce nemmeno più a contenere, gli “esercizi” vengono trasferiti in un
solaio, sopra la navata destra della chiesa. E’ l’anno 1558. I seguaci di S. Filippo prendono a
chiamare “oratorio” (che in origine significa “luogo adibito a preghiera”), non solo il luogo fisico di
queste riunioni, ma anche le riunioni stesse, così che «fare oratorio» o «ascoltare l’oratorio» in un
certo giorno e in una data ora, diventa espressione d’uso comune.
Non è questo il luogo per ripercorrere le tappe che hanno portato alla nascita dell’oratorio vero e
proprio
8
. Basterà solo ricordare che, con l’afflusso di un così vasto numero di persone, queste
adunanze religiose vengono organizzate in modo sempre più sistematico e che, soprattutto, si
creano «vari tipi di esercizi spirituali, adatti alle diverse ore del giorno, ai vari periodi dell’anno, al
numero e al tipo di fedeli che vi prende parte»
9
.
Per quanto concerne il secondo punto (l’interpretazione realistica), il cui significato forse risulta meno immediato, così spiega
l’autore (p. 6): «Molte delle storie di Cristo e dei santi si riferiscono a scene di martirio, di brutalità e di orrori e, in antitesi
all’idealizzazione del Rinascimento, ora si riteneva essenziale un’esposizione del reale, senza dissimulazioni».
5
PASQUETTI G., L’oratorio musicale in Italia, Firenze, successori Le Monnier, 1914, p. 53.
6
Ivi, p. 55; ma cfr. anche ALALEONA D., Storia dell’oratorio musicale in Italia, Milano, Fratelli Bocca, 1945, p. 20.
7
Il ruolo della musica è, all’inizio, molto limitato, come conferma questa testimonianza del cardinal Baronio (anch’egli oratoriano):
«Si faceva imprima un poco d’oratione mentale, e poi un fratello leggeva qualche libro spirituale: fra la qual letione era solito
l’istesso padre, ch’al tutto soprastava, di discorrere sopra le cose lette, spiegandole, & imprimendole ne’ cuori di chi udia; e tal’hora
interrogava altrui sopra di esse, procedendo quasi in modo di dialogo: e questo esercitio durava forse un’hora con grandissimo gusto
di tutti. Dapoi un fratello saliva d’ordine di lui sopra una sedia alta alquanti gradini, e senza ornamento di parole, faceva un sermone
tessuto delle vite de’ santi approvate, di qualche luogo della scrittura, e delle sentenze de’ padri; a cui succedeva il secondo [fratello],
e faceva un altro sermone con l’istesso stile, ma con differente tema. All’ultimo veniva il terzo, il quale raccontava l’historia
ecclesiastica secondo l’ordine de’ tempi; durando ciascheduno meza hora. Ciò fattosi con maravigliosa utilità, e consolatione degli
uditori, si cantava una laude spirituale, e fatta di nuovo un poco d’oratione, l’esercitio finiva. Or disposte in si fatta maniera le cose,
e stabilite con l’autorità del sommo Pontefice, parve che si rinnovasse, per quanto comportano i tempi presenti, l’antico modo
apostolico.». (Il corsivo è mio). Howard E. SMITHER, Storia dell’oratorio. Italia, Vienna, Parigi, Milano, Jaca Book, 1986, p. 5.
8
Anche perché su questo argomento sono molto chiari i già citati saggi di Domenico ALALEONA e di Howard E. SMITHER.
9
SMITHER, cit., p. 59. Si tenga presente che le modalità di queste riunioni cambiavano a seconda dei giorni e delle stagioni, per cui
quelle dei giorni feriali differivano da quelle dei giorni festivi; in inverno si tenevano al chiuso mentre in primavera/estate all’aperto,
magari in campagna (una delle mete predilette era il colle di Sant’Onofrio, per la vista meravigliosa e per la frescura che vi si
godevano).
12
Fra tutti, a noi interessa l’oratorio vespertino delle feste invernali, poiché proprio qui ha «sede [...]
l’evoluzione della Laude verso l’Oratorio musicale»
10
: esso consiste in un sermone affidato a un
predicatore, e in due laudi (composte, generalmente, su un episodio delle Scritture) cantate una
prima e l’altra dopo il sermone stesso. Da qui deriva la tipica struttura in due parti che,
generalmente, distingue l’oratorio dalla tragedia e dal melodramma
11
. Spesso la prima parte
racconta l’antefatto e introduce i protagonisti della storia, mentre è soprattutto nella seconda che si
concentrano gli eventi e le riflessioni più importanti, cioè il “succo” dell’intera rappresentazione.
Se, inizialmente, le laudi degli esercizi filippini sono molto semplici e di carattere meditativo,
eseguite dal coro oppure da un unico solista, col passare del tempo esse diventano sempre più ampie
e articolate e, soprattutto, acquistano elementi drammatici, arricchendosi di dialoghi affidati a più
cantanti, tanti quanti sono i personaggi.
Come è facile capire, in questa trasformazione è fondamentale l’apporto del melodramma,
anch’esso nato fra Cinque e Seicento, il cui successo, immediato e travolgente, spinge la Chiesa a
recuperarne forme e stile, per stare al passo coi tempi
12
e richiamare un numero sempre crescente di
fedeli. Presto, quindi, l’oratorio si trasforma in una successione di recitativi, arie, duetti e si avvicina
all’opera anche sotto il profilo più strettamente musicale. Anzi, oltre a essere molti i cantanti e i
musicisti dell’epoca che prestano gratuitamente servizio negli istituti filippini (tra essi vi fu quasi
sicuramente il grande Palestrina), alcuni padri della Congregazione, come Francesco Soto de Langa
e Girolamo Rosini (quest’ultimo direttore dell’oratorio dal 1623) sono grandi sopranisti e folle
immense accorrono ad ascoltarli.
L’oratorio si distingue, comunque, dall’opera sia per lunghezza (in media solo 350-450 versi, contro
i 2 o 3000 versi del melodramma) sia per modalità rappresentative: i suoi interpreti non solo si
esibiscono in luoghi di culto piuttosto che in teatri “profani”, ma cantano rimanendo fermi, senza
l’ausilio di scenografie o costumi; non siamo pertanto di fronte a una rappresentazione «ottica», ma
10
ALALEONA, cit. p. 80. Lo stesso autore scrive a p. 28: «Di tutti questi esercizi hanno di gran lunga maggiore importanza per il
nostro studio gli ultimi, cioè l’Oratorio vespertino, come lo chiamavano, delle feste d’inverno. Invero negli esercizi della Chiesa la
musica ebbe sempre una parte accessoria, e l’attenzione era attratta specialmente dai quattro sermoni, che occupavano quasi tutto il
tempo della riunione; [...]
Solo nell’Oratorio vespertino delle feste d’inverno la musica, stante la brevità degli esercizi (vi era un solo sermone) e la possibilità
di avere ogni comodo e ogni mezzo di esecuzione, poté passare in prima linea, e, in rapporto all’ambiente, liberamente e rapidamente
svilupparsi, seguendo i progressi della musica profana del tempo, e riuscendo, a un certo punto, a quella forma che fu poi detta
Oratorio musicale».
11
Non tutti gli oratori presentano però tale bipartizione: ne esistono, per esempio, alcuni tripartiti, mentre altri, come quello
viennese non conoscono suddivisioni interne.
12
Sull’importanza dell’apporto melodrammatico nello sviluppo dell’oratorio si esprime chiaramente SMITHER in The New Grove
Dictionary of Music and Musicians, cit., p. 657: «[...] the hypothesis that the oratorio evolved directly from the lauda within the
confines of the oratory now seems unconvincing; rather, the origin of the oratorio seems more satisfactorily explained as the result of
the oratorians’ tendency to use for their spiritual purposes whatever musical forms and styles were popular in secular life. [...] In the
17th century [these chiefly included] the forms and styles of opera». [l’ipotesi che l’oratorio si sia evoluto direttamente dalla lauda
all’interno dei confini dell’oratorio stesso oggi non sembra convincente; piuttosto, l’origine dell’oratorio sembra spiegato più
esaurientemente come il risultato della tendenza oratoriana a usare per i propri fini spirituali qualunque forma o stile musicale che
fosse popolare nel mondo profano. Nel XVII secolo questi comprendevano soprattutto le forme e gli stili dell’opera].
13
esclusivamente «auricolare»
13
. Dice bene Sabrina Stroppa che «il più importante e sicuro criterio di
distinzione dell’oratorio dagli altri generi musicali e teatrali [è] la sua irrappresentabilità»
14
.
La rinuncia a ogni apparato scenico e all’azione drammatica vera e propria, accentua la dimesnisone
narrativa e meditativo, favorendo l’impiego del coro, che acquista maggiore spazio rispetto al
melodramma; può persino capitare che un’intera collettività diventi protagonista, come nell’Israele
in Egitto (Israel in Egypt) di Händel.
Le storie sono generalmente tratte dalla Bibbia (soprattutto dal Vecchio Testamento
15
) o dalla vita
dei santi, «benché non manchino anche quelle di argomento profano a sfondo morale».
16
I personaggi possono essere storici (come Abramo e Isacco, nella Fede
17
di Francesco Balducci,
colui che per primo ha denominato “oratori” le proprie composizioni musicali), oppure simbolico-
allegorici. Basti pensare alla celebre Rappresentazione di Anima e Corpo
18
, scritta dal padre
Agostino Manni
19
per la musica di Emilio de’ Cavalieri nell’anno 1600, rimasta un unicum nella
storia dell’oratorio per il fasto e lo splendore dell’esecuzione. Qui, il Tempo, il Corpo, l’Anima, la
Vita Mondana, il Piacere, il Consiglio e l’Intelletto affiancano altri sei interlocutori, cui si
aggiungono quattro cori
20
. Non so se condividere l’opinione di Pasquetti, che li ritiene «troppi», se
non proprio «inutili»
21
; quel che è certo è che basta confrontare la Rappresentazione di Manni con
la Fede di Balducci (che ha soltanto tre interlocutori, più un coro), per comprendere subito quanto
possa variare il numero dei personaggi da un oratorio all’altro
22
.
Il ricorso a figure allegoriche si spiega con l’esigenza di spiegare a un pubblico vasto, attraverso
personificazioni e immagini concrete, i misteri della dottrina cristiana, ricchi di concetti astratti e
quindi non facilmente comprensibili: è più efficace far parlare il Libero Arbitrio, piuttosto che
13
Cfr. ALALEONA, cit., p. 112. Anche sotto questo aspetto, comunque, vedremo come l’oratorio viennese acquisti una sua fisionomia
particolare.
14
STROPPA S., Fra notturni sereni: le azioni sacre di Metastasio, Firenze, Olschki, 1993, p. 15; il corsivo è nel testo; ma cfr. anche
Allorto, che paragonando l’oratorio a un moderno dramma radiofonico, afferma: «Il carattere distintivo peculiare dell’oratorio è
l’assenza di ogni elemento scenico e rappresentativo»; in ALLORTO R., Nuova storia della musica, Milano, Ricordi, 1989, p. 158.
15
Il Nuovo Testamento, trattando direttamente della vita di Gesù, era considerato materia troppo “delicata” e “rischiosa” da molti
autori, poiché più alte erano le probabilità di incorrere nelle censure dell’Inquisizione.
16
NIELSEN R., Le forme musicali, Bologna, Bongiovanni, 1961, p.345.
17
E’ possibile leggere integralmente questo testo, sia in PASQUETTI, cit. pp. 207-223, sia in ALALEONA, cit, pp. 293-303.
18
Non tutti i critici concordano nel ritenere la Rappresentazione di Anima e Corpo un vero e proprio oratorio, anche per lo sfarzo del
suo allestimento (fra questi, cfr. la minuziosa analisi, anche sotto il profilo musicale, condotta da SMITHER, cit., pp. 80-85; anche
PASQUETTI sembra nutrire dubbi in proposito). Tutti, però, concordano nel considerarla fondamentale per la storia di questo genere,
poiché «ha segnato [...] l’inizio della rappresentazione in un luogo di preghiera di musica sacra drammatica che impiega il nuovo stile
recitativo che diventerà poi un elemento essenziale dell’oratorio». (SMITHER, cit. p. 85). Non bisogna neppure dimenticare che il suo
autore era un padre della Congregazione filippina e che l’allestimento di quest’opera avvenne nell’Oratorio di Santa Maria della
Vallicella.
19
Per molto tempo, quest’opera è stata attribuita a Laura Guidiccioni, ma oggi si è praticamente certi della paternità di Agostino
Manni (cfr. PASQUETTI, p. 124).
20
Cfr. MANNI A., Rappresentazione di Anima e Corpo, Milano, Ricordi, 1957.
21
PASQUETTI, cit. p. 125.
22
Addirittura nel breve oratorio di Pier Jacopo Martello, S. Caterina da Bologna tentata di solitudine, intervengono solo due
personaggi: la Santa e il Demonio. Cfr. P. J. MARTELLO, Teatro, Bari, Laterza, 1980, vol. I, pp. 147-155.
14
parlare del libero arbitrio; d’altronde, l’allegoria consente di rappresentare con chiarezza «l’uomo
nelle ‘scissioni’ di cui vive e patisce, anima, corpo, sensi, facoltà, ecc.»
23
.
Certamente si fa qui sentire l’influenza degli autos sacramentales spagnoli (soprattutto di Calderón
de la Barca), animati da analoghe esigenze di -mi si passi il termine- propaganda, in cui, come
avviene negli oratori, «personaggi allegorici e personaggi reali si incontrano nell’ambito di uno
spazio metafisico e morale, ove si riproducono, nei loro vari significati»
24
, i misteri della fede
cristiana.
Fra gli interlocutori, compare una figura particolare (assente negli altri generi teatrali), chiamata
Historia o Sacro Testo, una sorta di “voce fuori campo” cui spetta introdurre l’antefatto e raccontare
la vicenda fra l’uno e l’altro intervento dei protagonisti, conformemente alle parole delle Scritture.
Se gli altri cantanti eseguono i dialoghi e si esprimono in prima persona, a lui, che usa la terza
persona, sono affidate le parti narrative. La sua presenza si lega al clima post-tridentino avverso
all’eresia luterana e alla lettura personale della Bibbia (quello che Lutero chiama “libero esame”), in
nome di un’unica interpretazione della Parola. Pertanto, il fine dell’Historia non è solo raccontare i
nudi fatti, ma anche darne la “giusta” versione, incarnando così la voce della Chiesa Cattolica. Il
suo legame con la cultura della Controriforma spiega il progressivo eclissarsi di questo personaggio
lungo il corso del XVII secolo, fino alla totale scomparsa in Zeno e Metastasio.
Poiché si rivolge a tutti gli strati sociali, l’oratorio utilizza uno stile prevalentemente semplice e
immediato, secondo i precetti tridentini; questo non significa però che esso sia immune dagli
influssi delle principali correnti poetiche del tempo, considerando anche che, fra i testi poetici
musicati dai filippini, compaiono sonetti e canzoni di Petrarca (soprattutto Padre del ciel e Vergine
bella), di Tasso e di altri autori importanti
25
. Lo stile dominante è il petrarchismo, spesso filtrato
dalla lezione tassiana, ma non manca neppure una moderata presenza di Marino che si esprime in
un certo gusto per la metafora e per il valore fonico delle parole.
Non esiste uno schema metrico specifico che sia proprio dell’oratorio e lo distingua dagli altri
generi: possiamo dire comunque che i versi più utilizzati sono endecasillabi combinati a settenari,
gli stessi della lauda filippina (ma anche del melodramma) che, come già si è detto, costituisce il
“germe” dell’oratorio.
23
Sono parole di Cesare Greppi, in Pedro CALDERÓN DE LA BARCA, Il veleno e l’antidoto, a cura di Cesare GREPPI, Milano, SE, 1999,
p. 145.
24
Cesare MOLINARI, Storia del teatro, Bari, Laterza, 1998, p. 138. Al modello degli autos sacramentales accennano sia WOLFF, cit.,
p. 369, sia SMITHER, cit., p. 246, che si richiama, a sua volta, al saggio di Schering DieGeschichte des Oratoriums. Si può obiettare
che l’allegoria è una tipica espressione dell’arte barocca in genere e non soltanto del teatro di Calderón, il che è senz’altro vero;
tuttavia l’importanza della cultura spagnola nel XVII secolo è troppo grande per ignorarla, né va dimenticato il legame che uno dei
suoi massimi esponenti, S. Ignazio di Loyola ha intrattenuto con la congregazione dell’oratorio.
25
Cfr. ALALEONA, cit., p. 235; PASQUETTI, cit.,
15
Vista la complessità della materia, riassumiamo brevemente quanto detto finora:
1. L’oratorio nasce dalla lauda filippina e si compone generalmente di due parti.
2. Ha un carattere prevalentemente narrativo e meditativo.
3. E’ privo di azione drammatica, scene, costumi e fa un più largo uso del coro, rispetto al
melodramma.
4. Il numero dei personaggi (spesso allegorici) è molto variabile.
5. I versi più frequentemente usati sono endecasillabi liberamente combinati a settenari per i
recitativi e versi più brevi (settenari, senari o quinari) per le ariette.
L’oratorio possiede quindi caratteristiche che gli sono proprie e lo distinguono dall’opera lirica, per
cui non credo che si possa considerare -come vorrebbero alcuni- un semplice sostituto quaresimale
del melodramma.
26
I TEMI.
Naturalmente i principali temi dell’oratorio barocco esprimono la sensibilità e la religiosità di quei
tempi.
Fra essi, prevale «la conversione di un peccatore [...] con la scena finale che sempre presenta il
ritorno del peccatore pentito»
27
. Basta solo scorrere qualche titole per rendersene conto: Il figliuol
prodigo, La Maddalena penitente, Iberia convertita, Santa Maria Egiziaca penitente, Indice della
penitenza, S. Pietro piangente, La morte del cor penitente e così via.
Indubbiamente, la conversione è «un fenomeno religioso e sociale molto frequente nel Seicento»
28
(e se ne ricorderà pure Manzoni con fra’ Cristoforo e l’Innominato), che coinvolge anche numerosi
scrittori, da Calderón a Chiabrera, e che è troppo semplice bollare come scelta opportunistica fatta
per «colpa dei tempi»
29
(leggi: sfuggire all’occhio vigile dell’Inquisizione). Essa è in realtà la
risposta a uno stato di inquietudine molto diffuso. Infatti, come ha ampiamente dimostrato Jean
Delumeau, l’età moderna è percorsa da un profondo senso di angoscia e di fine dei tempi (rafforzato
da tragici eventi come le numerose pestilenze e la Guerra dei Trent’anni), lo stesso che anima i versi
di autori anche molto lontani fra loro, dai marinisti (si pensi a Giacomo Lubrano, ma anche allo
stesso Marino) fino a Ciro di Pers e Tommaso Campanella: domina «la convinzione della senilità
26
Ad esempio, SMITHER, in The New Grove Dictionary of Music and Musicians, cit., p. 664, chiama gli oratori «Lenten substitutes
for opera» [«sostituti quaresimali dell’opera»]. Va tenuto presente che, in tempo di Quaresima, i teatri rimanevano chiusi e non si
potevano allestire melodrammi profani.
27
WOLFF, cit. p. 373.
28
BOSSUET J.-B., Orazioni funebri a cura di Marco LOMBARDI, Venezia, Marsilio, 1992, p. 204n. Molte delle orazioni di Bossuet
sono storie di conversioni, come quella, splendida, dedicata ad Anne di Gonzaga di Clève (v. J-B BOSSUET, Orazioni funebri, a cura
di Giovanni FASSIO, Torino, UTET, 1964, pp. 207-244). Si pensi inoltre all’importanza di una figura come Maria Maddalena nella
letteratura del tempo, dalle Lagrime di Erasmo da Valvasone alle innumerevoli rime a lei ispirate dei poeti barocchi, non ultimi
Marino e Chiabrera.
29
CHIABRERA G., Canzonette, Rime varie e Dialoghi, a cura di L. NEGRI, Torino, UTET, 1952, p. 10.
16
del mondo e che in esso tutto vada di male in peggio», unita alla «certezza amara che l’uomo è un
grande peccatore»
30
.
Di qui l’urgenza di pentirsi, non senza il ricorso a pene corporali: il celebre favolista La Fontaine,
dopo la grave malattia che lo portò alla conversione, indossava segretamente un cilicio, scoperto
solo alla sua morte
31
; Anton Giulio Brignole Sale interruppe una vita mondana, nonché una brillante
carriera che lo avrebbe portato al dogato, per farsi gesuita e dedicarsi a severe penitenze, come
testimonia il suo amico Visconte:
All’orazione mentale aggiungeva lo stendere le braccia in croce; faccio un’ora d’orazione
mentale, (dice egli nel suo ultimo foglio) in ginocchio, senza stare appoggiato a niente; della
quale un poco più della prima mezz’ora sto sempre con le braccia stese in croce (cosa certo
che pare impossibile), l’altra mezz’ora è divisa tra stare con le braccia in croce e far delle
croci con la lingua in terra, e prostendermi su la terra. Le domeniche sole dava riposo alle
sue braccia
32
.
Gli innumerevoli inviti presenti in molti oratori a pentirsi e a cambiar vita prima che sia troppo tardi
sono quindi espressione di una sensibilità estremamente diffusa nel XVII secolo:
Mortali sperate
se siete pentiti, [...]
per voi disarmate
saran le vendette:
non trova saette
lo sdegno fremente,
non ha fulmini il Ciel per chi si pente
33
.
afferma Cesare Mazzei nell’Abele e Caino; ancora più esplicito è Bernardo Sandrinelli, che così
chiude il suo Giudizio universale
34
:
MORTALITÀ Piangete, piangete
35
.
A penitenza vera
frettolosi correte,
non tardate un momento,
ché nuoce ogni tardanza al pentimento.
36
30
DELUMEAU J., Il peccato e la paura. L’idea di colpa in Occidente dal XIII al XVIII secolo, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 347.
31
Traggo questa informazione dal saggio introduttivo di Davide MONDA a LA FONTAINE J. de, Favole, Roma, Newton Compton,
1994, p. 14.
32
La citazione sta in BRIGNOLE SALE A. G., Maria Maddalena peccatrice e convertita, a cura di Delia EUSEBIO, Parma, Guanda,
1994, pp.XCVI-XCVII.
33
ALALEONA D., cit. p. 307.
34
E’ possibile leggere integralmente questo oratorio in AA. VV., Il tranquillo seren del Secol d’oro. Musica e spettacolo musicale a
Venezia e a Vienna fra Seicento e Settecento, Milano, Ricordi, 1984, pp.156-167.
35
Si noti l’accento posto sul pianto, come manifestazione esteriore di un sincero pentimento. E’ questo un motivo onnipresente nella
letteratura sacra della Controriforma, da Tansillo e Tasso fino agli anonimi delle laude filippine.
17
Più volte è esaltato il valore salvifico di una sofferenza sopportata con rassegnazione:
ANGELO Al ciel va felice
chi sempre penò,
ch’un alma dolente
perire non può.
Chi mesto languì
felice godrà
37
.
specie se corroborata da pene corporali:
CHRISTO Venite homai venite, anime elette,
dal Padre Celeste [...]
Voi che molto per me v’affaticaste,
che il mondo non amaste,
che fra duri cilici
alla ragione assoggettaste il senso; [...]
38
Il costante richiamo al pentimento e alla mortificazione di sé trova la sua ragion d’essere in quel
sentimento della fragilità umana, che tanta parte ha nella spiritualità cristiana e barocca in
particolare: come una forza oscura che si annida nel profondo dell’anima, il peccato ha corrotto la
natura umana, l’ha privata della sua innocenza, spingendola verso il male e la morte eterna, qualora
manchi il soccorso della Grazia Divina. E’ un senso di “caduta” che il grande poeta inglese John
Donne
39
esprime in molte sue pagine:
And as our bodies, so our mindes are cramp’t:
[.]
This man, whom God did wooe, [...]
Oh what a trifle, and poore thing he is!
If man were any thing, he’s nothing now
40
.
La conclusione è, inevitabilmente, che l’uomo è «povera e nulla cosa» («poore a trifling thing»
41
).
36
Il tranquillo seren del Secol d’oro, cit., p. 167.
37
Ivi, p. 166.
38
Ivi, p. 161; il corsivo è mio.
39
Maria GIRARDI, nel saggio Al sepolcro di Cristo: una poetica consuetudinari, pp. 129-130, crea un parallelo fra gli oratori
barocchi (la cui produzione definisce «importantissima») e la letteratura religiosa secentesca, citando anche Donne, Crashaw,
Herbert, Vaughan, Silesius e Juan de la Cruz, «nelle cui opere scopriamo tematiche ricorrenti, esaltazioni di santi e di figure sacre
fondamentali, crocifissioni, motivi biblici, allegorie, metafore, espressioni teologiche, esortazioni morali, etc. etc., in perfetta
equivalenza con i contenuti trattati macroscopicamente negli oratori e nei sepolcri.». Il saggio della Girardi è contenuto in Il
tranquillo seren del secol d’oro, cit., pp. 127-145.
40
«E come i nostri corpi, così le nostre menti, son rattrappite: [...] Questo uomo, che Dio stesso vagheggiò [...], oh, che nullità è mai,
che povera cosa! / Se l’uomo è mai stato alcunché, or non è più nulla». Sono versi tratti dall’Anatomia del mondo (An Anatomie of
the World), in DONNE J., Liriche sacre e profane, Anatomia del mondo, Duello della morte, cura e trad. di Giorgio MELCHIORI,
Milano, Mondadori, 1992, pp.102-125; vv. 152; 167; 169-171.
41
Ivi, v.184.
18
Simili pensieri e inquietudini pervadono soprattutto quegli oratori - e sono molti - incentrati sul
peccato originale e sulle sue conseguenze; così nell’Abele e Caino di Mazzei:
Quante miserie un huomo in sé raccoglie!
Poiché un Mondo d’affanni egli rassembra:
sregolate le voglie,
tormentate le membra,
l’intendimento oscuro,
perturbata la mente;
l’affligge il mal presente,
l’atterrisce il futuro,
e gli pungono in seno odio ed amore.
42
Poco oltre, Adamo si definisce «Angue», «orrido mostro», «Fonte immonda» che ha causato la
rovina dell’uomo, spinta «dall’empia fellonia / di una mente superba»
43
, parole durissime che,
naturalmente, alludono all’intera umanità. Non aveva forse detto Sant’Agostino (e si sa quanta
importanza egli abbia avuto nella cultura occidentale) che «fummo tutti quell’unico uomo [cioè
Adamo]»
44
?
La disubbidienza del nostro progenitore oltre ad aver portato nel mondo la morte e il dolore, ha
pesantemente debilitato la ragione umana, ha reso fallaci i suoi piani e illusorie le sue “certezze”
come, amaramente, sentenzia Balducci:
Oh falci dsegni
de’ miseri Mortali!
Quanto poco gl’ingegni
da terra ergono l’ali!
45
«(Ciego discurso humano!» («Cieca ragione umana!
46
»), esclamerebbe Góngora. Da solo,
l’intelletto non può nulla, è come chi brancola nel buio, in balìa di una storia che confonde i suoi
progetti, e spesso li ribalta completamente: là dove crede di trovare la felicità altro non c’è che
dolore e sofferenza:
42
ALALEONA, cit. p. 304.
43
Ivi, p. 305. Ma anche Eva non è da meno, chiamandosi «Eva infelice / micidial Genitrice / al nostro Dio rubella.»; «avvelenata
pianta», «serpente».
44
E’ una frase del De Civitate Dei (La città di Dio), lib. XIII, cap. 14, in AGOSTINO DI IPPONA, La città di Dio, Torino, Einaudi,
1992. Comunque, già dai primi secoli del Cristianesimo, Adamo ha simboleggiato non un semplice individuo, ma l’umanità in
generale; infatti, le quattro lettere che in greco compongono il suo nome, corrispondono alle iniziali de termini indicanti i quattro
punti cardinali: Anatole, Dysis, Arctos, Mesembria. (Cfr. J. Baldock, Il simbolismo cristiano, Milano, Mondadori, 1997, p. 113).
45
Sono le parole del Choro di Savi che conclude la prima parte della Fede in ALALEONA, cit, p. 296.
46
Cito dal sonetto XLIV, v. 11, in G\NGORA L.de, Sonetti, cura e trad. di Cesare GREPPI, Milano, Mondadori, 1997, p. 89.