6
durante e attorno al cinquantenario della festa di Liberazione che cadeva,
appunto, negli stessi anni della nascita della “seconda Repubblica Italiana”.
Certo, le fonti da cui attingere per approfondire la questione sono
innumerevoli e quindi si è dovuto operare una scelta che riducesse
significativamente il raggio d’azione della ricerca e al contempo
permettesse di ottenere dei risultati significativi nella direzione che ci si è
prefissati.
Si è quindi scelto di focalizzare l’ attenzione sull’analisi dei
quotidiani. Naturalmente non potendo, per ragioni di tempo, scandagliare
tutte le testate giornalistiche, si è valutato di analizzare quattro quotidiani di
diversa natura editoriale.
La scelta è caduta su: “il Corriere della sera” in quanto il più
diffuso ed autorevole quotidiano nazionale che è considerato di “area
moderata”; su “la Repubblica” secondo quotidiano nazionale per
diffusione sul territorio, decisamente più giovane del Corriere e considerato
vicino a “posizioni moderate di sinistra”; su “il Giornale” quotidiano di
proprietà della famiglia Berlusconi, opinione di riferimento per l’area di
centro destra; su “il Manifesto” piccolo quotidiano comunista, connotato
ovviamente all’interno della così detta sinistra radicale. In questo modo è
parso di potere verificare un ventaglio di opinioni pubbliche di diversa
natura e di diversa origine culturale.
7
Inoltre si è scelto di focalizzare l’attenzione su tre anni di
celebrazioni del 25 aprile 1994-1995-1996 per tentare di evidenziare le
differenze tra le tre ricorrenze anche alla luce dell’evoluzione del quadro
politico ed istituzionale del Paese.
Dopo avere tentato, in maniera estremamente sintetica, di
raccontare quale sia stato il clima celebrativo della ricorrenza del 25 aprile
dal 1945 ai primi anni 90 con l’ausilio di testi citati, si è passati all’analisi
dei suddetti quotidiani nei giorni del 23-24-25-26 aprile suddividendo
l’esposizione in capitoli a seconda degli anni di riferimento e in paragrafi in
relazione: a) il contesto politico, verificando quale fosse la situazione
contingente dell’anno preso in considerazione, chi ci fosse alla guida del
Governo del Paese in un periodo di grandi cambiamenti politici ; b) la
cronaca della giornata, constatando quali fossero gli aspetti celebrativi
istituzionali, da chi fosse composta la piazza dei celebranti, quali fossero i
programmi celebrativi svoltesi in tutta Italia e come si fossero svolti; c) gli
editoriali e i commenti della varie personalità giornalistiche o meno che
sono state ospitate sui quotidiani a cui si fa riferimento e in quale direzione
si sono mossi questi commenti; d) le interviste a ex-partigiani, storici,
politologi, personaggi dello spettacolo e, in particolare, politici ; e) la
programmazione televisiva, per tentare di valutare il grado di celebrazione
televisiva della festa di Liberazione degli anni in questione.
8
Cap.1 - Breve sintesi del significato della
Festa di Liberazione dal dopoguerra
ai primi anni 90
1.1 - dal ’45 agli anni 70
A seconda dei punti di osservazione, anche in Italia l’esperienza
della guerra ha prodotto una molteplicità di “memorie divise” spesso
inconciliabili ed antagoniste tra di loro
1
. I ricordi di coloro che hanno
partecipato a quella tragica esperienza hanno contribuito a ricostruire la
natura di quella vicenda in differenti modalità, a seconda del punto di vista
e del ruolo che ogni individuo ricopriva in quell’ ambito. In questa
“memoria frantumata” trovano posto i ricordi e le interpretazioni degli ex
combattenti delle guerre fasciste ( reduci d’Africa, di Albania, di Grecia, di
Russia, della Jugoslavia ), partigiani di diversa estrazione sociale e di
diversa affiliazione politica ( comunisti, socialisti, cattolici, azionisti,
liberali, monarchici, militari ), fascisti di Salò, internati militari in
1
Cfr., G.E. Rusconi, Resistenza e postfascismo, Il Mulino, Bologna, 1995, p. 7.
9
Germania, vittime della deportazione politica e razziale nei campi di
concentramento, famiglie e comunità colpite dalle efferate stragi nazi-
fasciste, vittime dei bombardamenti e degli stupri alleati, vittime della
efferatezze delle squadriglie fasciste ( torture, stupri, violenze di ogni
genere ), prigionieri di guerra in mano alleata, italiani vittime delle foibe e
dell’esodo dai territori dell’Istria e della Dalmazia
2
.
Vista la pluralità e la frammentazione delle memorie di singoli
individui e di gruppi organizzati, anche all’interno dello stesso
schieramento antifascista, parrebbe di difficile realizzazione
l’identificazione del paese con una memoria collettiva e condivisa. Tuttavia
è invece esistita una memoria pubblica della guerra e della resistenza
celebrata dall’antifascismo vincitore, basata su una narrazione di fondo
condivisa dalle singoli componenti antifasciste e impostasi come
narrazione dominante. Nonostante che all’interno di questa “memoria
condivisa” siano presenti i distinguo di frange appartenenti sia alla
Democrazia Cristiana, sia alla sinistra radicale e non, resta il fatto che
questa “memoria pubblica” è stata in grado di attivare nel paese processi
di identificazione profondi, tali da conferirle i tratti di una memoria
collettiva
3
.
Questa “narrazione egemonica” elaborata dal fronte antifascista, ha
subito nel corso di questi sessant’ anni ripetuti attacchi da più parti e, a
2
Cfr., F. Focardi, La guerra della memoria, Editori Laterza, Bari, 2005, p.4.
3
Cfr., F. Focardi, op. cit., p.4.
10
seconda della fase storica e politica che il paese viveva, diverse sono state
le interpretazioni date a singoli episodi in modo da avvalorare tesi che
riconducessero ad una valutazione edulcorata del periodo fascista tale da
distinguerlo nettamente dalla “brutalità nazi tedesca”, dimenticando
consapevolmente le responsabilità italiane per la guerra d’aggressione e i
gravissimi crimini commessi anche da parte italiana contro civili e
partigiani in Jugoslavia e in Africa
4
.
Nei primissimi anni del dopoguerra, questo tipo di atteggiamento
da parte del fronte antifascista vincitore, era guidato sia da ragioni di
opportunità politiche internazionali che permettessero all’ Italia di
accreditarsi presso gli alleati non come una nazione fautrice dello
scatenamento della guerra, ma bensì come quella nazione il cui popolo era
stato trascinato da Mussolini e dai suoi “scherani” in una guerra malvista e
non voluta a fianco di un alleato detestato come la Germania Hitleriana, e
in tal modo cercando di evitare o quantomeno di ammorbidire le prevedibili
ritorsioni da parte delle potenze vincitrici, sia da ragioni di mantenimento
di una fragile coesione sociale già messa a dura prova durante il periodo
della guerra, e che aveva necessità di essere sempre più cementata in un
tessuto sociale e politico che smussasse i vecchi rancori e le vecchie
4
Cfr., Per esempio, T. Sala, Guerra ed amministrazione in Jugoslavia 1941/1943: un’ipotesi coloniale, in
B. Micheletti, P.P.Poggio (a cura di) L’Italia in guerra 1940-1943, Fondazione Luigi Micheletti, Brescia
1992, pp.83-94; T. Ferrenc, La provincia “italiana” di Lubiana. Documenti 1941-1942, Istituto friulano
per la storia del movimento di Liberazione, Udine, 1994; E. Collotti, Sulla politica di repressione italiana
nei Balcani, in L. Paggi (a cura di), La memoria del nazismo nell’Europa di oggi, La Nuova Italia,
Firenze, 19897, pp. 181-208; C.S. Capogreco, Una storia rimossa dell’Italia fascista. L’internamento dei
civili jugoslavi (1941-1943), in “Studi Storici”, XLII, gennaio-marzo 2001, 1, pp. 203-230.
11
divisioni pur presenti nel tessuto sociale
5
. Il Partito Comunista Italiano
(Pci), che più delle altre componenti antifasciste avrebbero potuto soffiare
su queste divisioni, orientò invece la propria azione politica sul
superamento di queste divisioni, com’è chiaramente provato prima dalla
famosa “svolta di Salerno”
6
nel marzo-aprile 1944 e successivamente dall’
amnistia del ’46
7
voluta da Togliatti. Negli anni successivi sarà il neonato
partito fascista a screditare il più possibile il fronte della “narrazione
egemonica” antifascista della resistenza, tentando a più riprese
l’equiparazione tra i cosi detti “ragazzi di Salò” e i partigiani, considerando
questi ultimi dei veri traditori della patria, esaltando l’eroismo in
combattimento dei soldati italiani, affermando l’esistenza di una vasta
adesione della popolazione italiana alla guerra dell’Asse
8
.
Queste posizioni neofasciste non restarono confinate alla
stampa ed all’editoria di quella parte politica, ma trovarono ospitalità in
larghi settori dell’opinione pubblica italiana e in giornali allora influenti
come “il Tempo” e “L’Uomo Qualunque” che accusarono dalle loro pagine
gli antifascisti “sciacalli piovuti dall’estero per dilaniare il corpo della
nazione”
9
. A queste posizioni il fronte antifascista rispose compatto e
5
F. Focardi, op. cit., pp.8-18.
6
E’ chiamata “svolta di Salerno” la decisione di Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano, di
togliere la pregiudiziale antimonarchica al fine di collaborare con Casa Savoia nella lotta contro tedeschi
e fascisti.
7
L’8 giugno 1946, per festeggiare la vittoria della Repubblica, Togliatti, allora ministro della Giustizia,
annunciò l’amnistia per i reduci di Salò per mezzo della quale nelle prigioni, dei circa quarantamila reduci
di Salò ne rimasero quattromila alla fine del ’46.Usciranno quasi tutti tra il ’48 e il ’49.
8
L’Asse rappresenta l’alleanza tra Berlino e Roma.
9
F. Focardi, op. cit., pp. 19-21.
12
unanime, ma la sua coesione era già minata dall’anticomunismo alimentato
dall’intensa campagna di stampa lanciata sin dall’autunno del ’45 dai
giornali moderati e conservatori sulla questione dei prigionieri di guerra
italiani in Unione Sovietica, nella quale si accusava Mosca di trattamenti
brutali e schiavizzanti nei confronti dei prigionieri italiani
10
. L’unità dei
partiti del fronte antifascista risultava così minata sia dall’esterno, con il
risorgere delle posizioni neofasciste, sia al proprio interno con una frattura
tra partiti della sinistra e le posizioni anticomuniste della Democrazia
Cristiana che raggiunse il suo culmine in occasione delle elezioni del 18
aprile 1948
11
.
Nella contrapposizione tra sinistre e partiti centristi, De Gasperi, in
occasione del quarto anniversario della liberazione, il 25 aprile del 1949,
rivendicò al proprio partito la capacità di rappresentare tutto lo spirito della
liberazione e chiamò i partigiani cristiani a una “nuova resistenza”, “contro
le forze disgregatrici” sia di destra che di sinistra identificate entrambe con
“ l’antilibertà” per difendere il patrimonio della resistenza non solo dalle
insidie del neofascismo ma anche dalla sfida lanciata dalle sinistre
marxiste
12
. In questa agguerrita contrapposizione tra sinistre e D.C.
cercarono e in parte ottennero un maggiore visibilità le forze neofasciste
che lanciarono l’idea della pacificazione tra fascisti e antifascisti con un
10
F.G. Conti, I prigionieri di guerra italiani (1940-1945), Il Mulino, Bologna, 1986.
11
Gli effetti della divisione di campo prodotti dalla guerra fredda si concretizzarono nel maggio del 1947
con l’esclusione di comunisti e socialisti dal governo e con l’aspra campagna elettorale per le elezioni del
1948. Si veda G. De Luna , Il 18 aprile, in M.Isnenghi ( a cura di), I luoghi della memoria. Personaggi e
date dell’Italia unita, Laterza, Roma-Bari, 1997, pp. 319-332.
12
F. Focardi, op. cit., pp.26-27.
13
preciso calcolo politico: puntare alla sostituzione dell’antifascismo con
l’anticomunismo quale fonte di legittimazione della neonata Repubblica,
nella prospettiva di accreditarsi come forza di governo per la “crociata
anticomunista”.
Resta inteso che, anche se da un lato la Democrazia Cristiana aveva
screditato la “Resistenza comunista” contrapponendo alla “rivoluzione
interrotta” la “Resistenza nel segno della libertà” contro i totalitarismi sia di
destra che di sinistra, stemperando il significato ideologico e rivoluzionario
che della resistenza davano i partiti di sinistra, dall’altro lato essa non era
però disposta a condividere la lettura che la destra, non solo neofascista, si
ostinava a fare. Da parte della Democrazia Cristiana l’intesa politica con il
Movimento sociale italiano erede delle posizioni fasciste era dunque
ostacolata dall’ancoraggio del partito di De Gasperi all’antifascismo e alla
memoria della resistenza che permise la costituzione di limiti precisi al
revisionismo promosso dalla destra
13
.
Dagli anni sessanta la memoria e i valori fondanti della Resistenza
divennero un patrimonio ampiamente condiviso dal paese sia in virtù del
clima prodotto nell’estate del 1960 dalle reazioni popolari contro il governo
monocolore Democristiano Tambroni sostenuto al Senato dai voti
missini, reo di avere autorizzato il congresso dei neofascisti a Genova città
medaglia d’oro della Resistenza ( reazioni popolari che impedirono lo
13
A. D’Angelo, De Gasperi, le destre e “l’operazione Sturzo”, Studium, Roma, 2002.
14
svolgimento del congresso missino e portarono alla caduta del governo
Tambroni ) ; sia in virtù dell’avvento al potere nel 1963 della coalizione di
centro sinistra con la partecipazione al governo del Partito Socialista
14
.
Dal 1968 emerse un nuovo riferimento alla memoria della
Resistenza: il movimento studentesco, in quale rivendicava la dimensione
di classe della lotta partigiana e si collocava in aspra polemica non solo con
la dimensione celebrativa unitaria del centro-sinistra al governo, ma anche
in contrasto con l’opposizione governativa del Partito Comunista,
responsabile, agli occhi del movimento studentesco, di avere accettato
l’ordine costituito e tradito anch’esso i temi della Resistenza come
“occasione mancata” e “rivoluzione interrotta”
15
.
La ricorrenza del 25 aprile, per questa ampia area della sinistra
radicale, divenne una vera e propria “scadenza di lotta” indirizzata sia
contro il “fascismo squadrista” responsabile di innumerevoli episodi di
violenza e di attentati, sia contro il “ fascismo di Stato” della Democrazia
Cristiana , considerata strumento dei “progetti reazionari” del “ blocco
capitalista”. In questo clima di alta tensione e di scontri di piazza a
prevalere fu la convergenza e la coesione a difesa delle istituzioni
minacciate dal tentativo eversivo fascista a suon di bombe e dalla sfida del
terrorismo di sinistra, che rinsaldarono l’antifascismo dei ceti popolari e la
solidarietà tra i partiti fondatori della repubblica e della costituzione.
14
Cfr., M. Ridolfi, Le feste nazionali, Il Mulino, Bologna, 2003, pp. 218-221.
15
F.Focardi., op. cit., p.47.