VI
caos da cui si è generato I'ordine, recuperando le origini fondanti e
ripetendo il processo attraverso cui si è costituito I'ordine sociale.
4
Il
recupero del momento primigenio non si esaurisce in sè, ma pare
rifluire in modi e tempi diversi nella realtà economica e sociale da cui
esso sembra astrarsi.
5
"0gni anno, alla fine dell'inverno, quando
I'anello del tempo si chiude, c'è il rischio che il cerchio del tempo si
concluda. Come ricaricare l'energia, l'organismo spento della natura?
Come passare dalla morte alla vita? L'esperienza magico-religiosa nei
vari tempi e presso i popoli più disparati ha risposto in diversi modi a
questo interrogativo. Alcuni tratti comuni a tutti questi modi sono: la
rigenerazione periodica del tempo mediante la ripetizione simbolica
della cosmogonia, la rigenerazione della natura accompagnata dalla
purificazione dei peccati, la rigenerazione attraverso la morte...".
Risulta possibile ipotizzare che il rito celebrato tenda a proiettare la
vicenda quotidiana del gruppo in una prospettiva storica, in una
dimensione originaria rivissuta attraverso la narrazione mitica. Tale
funzione non deve tendere alla pura astrazione, ma essa consiste nel
reintegrare il gruppo nella propria realtà, nella propria storia.
6
"Così
come ogni anno, all'approssimarsi dell'inverno, la natura muore, anche
il tempo può morire. Tutto ciò però non accade al di fuori della
volontà degli dei e degli uomini. Se essi lo vogliono la natura rinasce,
il tempo consumato si rigenera e ricostruisce... E' qui che bisogna
cercare il significato originario, pur sempre persistente, della festa in
quanto tale". La festa evidenzia il suo senso più pieno non quando
viene letta nelle sue valenze mitiche, ma quando la sua dimensione
sacrale viene intesa come complementare al profano, con cui la
comunità spartisce il quotidiano in un'intesa solidale.
7
La dialettica tra
le due forme del tempo, sacro e profano, assume senso e funzione solo
in relazione a concrete esperienze della comunità intorno al mondo,
alla natura e al lavoro. La dimostrazione del fenomeno festivo come
momento sociale e pedagogico, nei suoi aspetti antropologici di natura
aggregativa e comunicativa, analizza le dinamiche di gruppo che
costituiscono il presupposto di una ritualizzazione catartica e
4
Cfr Bianco C., Del Ninno M. (a. c. di), Festa, antropologia e semiotica, Firenze 1981, p.10
5
Buttita A., Minnella M., Pasqua in Sicilia, Palermo 1978, p.8
6
Buttita A., L’utopia del Carnevale, in A.A. V.V., La vita recitata. Una storia di carnevale,
Palermo 1980, p.17
7
Lanternari V., La grande festa. Vita, rituale e sistemi di produzione nelle società tradizionali,
Bari 1976
VII
rigenerativa della condivisione comunitaria e della ricreazione della
temporalità primigenia, nella ripetizione cosmogonica con cui la
comunità rivive e sancisce la propria identità storica, in base ad un
recupero rituale delle origini.
Secondo il Lanternari, da qualsiasi presupposto metodologico e da
qualunque prospettiva teorica si intenda partire nell'avvicinarsi al
fenomeno "festa", non si può prescindere da due componenti comuni.
La prima componente è d'ordine psicologico, riassumibile nel
"sentimento di festa", per cui la celebrazione esprime un'atmosfera
intensamente partecipativa, si arricchisce di dense connotazioni
simboliche, mitiche e perfino millenaristiche, svolgendo una funzione
collettivamente catartica. La seconda componente è quella
istituzionale, per cui ogni festa comporta un'organizzazione
comunitaria ed una regolamentazione da parte del gruppo: dalla
famiglia al villaggio, dal gruppo di mestiere, sindacato o partito
politico, all'intero paese o nazione fuori da settorializzazioni di età,
sesso, classe sociale, a seconda dell'occasione e della natura religiosa,
sociale, civile della festa. Nella componente istituzionale rientra come
fattore costitutivo, accanto all'elemento organizzativo-comunitario, il
quadro di riferimento ideologico preposto alla festa che si richiama ad
un mito delle origini simbolicamente ritualizzato, alla leggenda di
fondazione di un culto, alla immagine di un santo cristiano, ad un
momento critico dell'esistenza o ad un evento storico, sociale o
politico, che viene commemorato e celebrativamente rievocato: in
vista di un rinnovato impulso che dall'esperienza festiva verrà
nell'affrontare con riconsolidata coesione, l'altalena di bene e di male
che contraddistingue l'esperienza della quotidianità. Della
componente istituzionale fa parte integrante anche la periodizzazione
iterativa del momento festivo, secondo una ciclicità che varia in
rapporto a un ordine calendariale o a un ordine naturalmente
determinato secondo il ciclo della vita individuale. Da un lato si pensi
alle feste stagionali e annuali legate immediatamente al ciclo di
produzione ( Capodanno, Natale, Pasqua...).E' noto che il calendario
ecclesiastico delle feste in Occidente si è metodicamente adeguato, nei
secoli, ad antichi calendari precristiani fondati sul ciclo agrario e
pastorale: e ciò secondo i principi della politica di adattamento e di
sincretismo trasformatore, perseguita dalla Chiesa fin dai primi secoli.
In tutti i casi, o per la sollecitazione di eventi occasionali pertinenti
VIII
alla vita individuale, o seguendo certe regolarità culturalmente
precostituite in base ad un calendario festivo ufficiale, il gruppo o la
comunità procede ad interrompere la sequenza del tempo ordinario per
immergersi collettivamente nella dimensione di un tempo carico
d'implicazioni culturali e di connotazioni psichiche proprie, altre dal
tempo ordinario. I1 tempo festivo si pone, rispetto al tempo ordinario,
come suo completamento dialettico, come l'essere rispetto al fare, e
nelle feste religiose, come il sacro rispetto al profano. Fare festa
consiste nel ricercare se stessi e la propria identità, ritrovare le
garanzie storico-culturali atte a riconfermarla con forza in ambito
comunicativo e comunitario che è conditio sine qua non, e strumento
precipuo del ritrovare se stessi e del recuperare un equilibrio già
sentito come precario. Questo valore del tempo di festa come cesura
del tempo ordinario e come realizzazione dell'essere, è stato colto in
modo originale da autori della fenomenologia religiosa come Karoly
Kerenyi e Mircea Eliade.
8
Kerenyi omette ogni considerazione della
festa come fatto sociale, dal momento che incentra tutta la sua
attenzione sulla sua dimensione psicologica data dal "sentimento di
festa". Dunque questo autore estrae ed astrae la festa dall'ambito
sociologico e culturale di cui essa è il prodotto, dal rapporto dinamico
che la lega funzionalmente e psicologicamente alla sfera della vita
ordinaria e profana e fuori da cui essa perde ogni ragion d'essere.
Infatti la festa, sia di carattere religioso, sociale, civile, sia che
assommi più di uno di tali caratteri, contiene costitutivamente sempre
richiami indiretti o diretti, simbolici o espliciti, a quanto di negativo,
nefasto, rischioso, calamitoso l'esperienza ordinaria realmente nei vari
contesti comporta e si vorrebbe stornare. Esprime attraverso richiami,
formule, gesti, comportamenti simbolici, l'insieme delle realtà
collettivamente auspicate, ambite, invocate per annullare quel
negativo e realizzare il suo "totalmente opposto". Kerenyi coglie con
sottigliezza il valore catartico del sentimento di festa quando scrive
che "nella festa si scopre il senso dell'esistenza quotidiana, l’essenza
delle cose che circondano l'uomo e delle potenze che operano nella
sua vita". Tuttavia la sua penetrante caratterizzazione trova un limite
serio nel dissociare l’esperienza festiva dalle componenti che fanno
della festa un'istituzione tipicamente sociale, comunitaria. Nella festa
8
Kerenyi K., Religione e festa, in Jesi F., La festa. Antropologia, etnologia , folklore, Rosenberg e
Sellier, Torino 1977
IX
nessuna catarsi è attuabile per l'individuo se non entro e in virtù del
contesto di socialità comunicativa e partecipativa in cui ciascun
soggetto si muove e da cui egli trae la vera fonte di rassicurazione, di
autoriconoscimento e di appagamento. La festa instaura un processo di
socializzazione, da cui promana la sua efficacia catartica. Nella
prospettiva seguita dai fenomenologi la dimensione sociale
comunitaria viene obliterata a favore di un'interpretazione
induttivamente psicologica, che isola l’individuo dal mondo sociale
nel quale vive la propria esperienza. Eliade considera la festa in una
prospettiva fenomenologico-religiosa orientata in senso spiritualista.
Nel sottolineare la contrapposizione del tempo sacro (festivo) e del
tempo profano (ordinario), assolutizza il valore del tempo sacro come
occasione suprema di liberazione, da parte dell'uomo, dai limiti della
condizione esistenziale, per fare un salto di livello ontologico verso
l’assoluto. Dunque anche Eliade astrae il fenomeno festa dal contesto
storico globale entro cui si manifesta e a cui si lega funzionalmente.
La sua è una visuale dinamica, idealistica, spiritualista che pur
muovendo da un'importante scoperta, il rapporto ascendente del
profano verso il sacro, finisce col perdere di vista il momento
discendente che porta dal sacro al profano e la variabilità dinamica dei
significati e delle funzioni del "festivo", in rapporto ai processi di
trasformazione della società nel suo sviluppo storico. Quanto alla
dinamica storica delle feste e delle società che le producono, vi sono
fasi in cui la festa più direttamente rispecchia lo spirito popolare fatto
di satira dissacratrice, di critica diretta
9
"contro tutto ciò che è
superiore" (come dice Bachtin delle feste carnevalesche medievali) e
fasi in cui la festa si snatura perdendo l'afflato espressivo più
spontaneo, sotto la direzione di organismi, per esempio la Chiesa,
secondo Bachtin, con le sue feste ufficiali, che nella festa
"convalidano la stabilità, l’immutabilità e l’eternità dell'ordine
esistente". Secondo Lanternari dove esiste partecipazione di massa, la
festa non è mai scevra di quella componente spontanea e popolare che
Bachtin chiama carnevalesca, oltre e contro ogni finale significato
gerarchico e riconfermatore dell'ordine esistente. In realtà, fuori dai
casi più moderni di routinizzazione del "tempo festivo" e di
borghesizzazione individualista dell'esperienza festiva, non esiste festa
9
Bachtin M., L’opera di Rabelais e la cultura popolare, Einaudi, Torino 1979, pp. 12-13
X
popolare e tradizionale che non rappresenti un "mondo alla rovescia",
una uguaglianza temporanea contrapposta all'ineguaglianza ufficiale.
In questo senso la dicotomia ideologico-sociologica di festa
carnevalesca e ufficiale sostenuta da Bachtin, sembra procedere da
un'assolutizzazione idealistica del carnevalesco, oltre la dialettica che
investe tutte le feste popolari e tradizionali in quanto tali. Esse, nel
negare il presente e le forme varie del potere, rendono il presente
vivibile attribuendo nuovo valore al potere. Tutte le feste di massa
hanno un potenziale “nello stesso tempo abbassante e rigeneratore".
Esse rivelano sempre un "mondo bicorporeo che morendo da la vita".
1
PARTE I
ASPETTI ANTROPOLOGICI, PEDAGOGICI E STORICI
DELL’ISTITUTO FESTIVO
1. IL CALENDARIO RITUALE IN COORDINATE SPAZIO-
TEMPORALI
Le feste nel ciclo della vita dell’uomo: i riti di passaggio.
Il corso della vita si svolge, per il popolo, secondo una continua e fitta
trama di forme tradizionali che ispirano, determinano e interpretano
via via le azioni e situazioni di cui è intessuta l'esistenza dell'uomo
1
.
Alla base di tutte queste forme stanno i Cosiddetti riti di passaggio.
Con questo termine s'intende il complesso di cerimonie che si
compiono per indicare le successive fasi per cui l'individuo entra a far
parte di una comunità, secondo i diversi gruppi sociali (famiglia, tribù,
corporazione, ambiente paesano ecc.) e secondo le successive età della
sua vita.
Ogni cerimonia di passaggio si compie a tappe, secondo una
determinata sequenza, in cui è facile distinguere le azioni che ne
indicano l'inizio, quelle intermedie e quelle che ne sanciscono la fine.
Queste tappe sono molto più appariscenti nella vita sociale delle
popolazioni primitive dove i riti di iniziazione dei giovani per il loro
ingresso come uomini adulti nella tribù hanno una complessità e
un'importanza straordinarie; ma anche alcune manifestazioni della vita
tradizionale nei nostri paesi conservano tuttavia assai bene le proprie
caratteristiche. Basti ricordare le usanze relative al matrimonio, dalla
dichiarazione d'amore del giovane all'accettazione da parte della
ragazza, attraverso numerose e precise fasi e forme rituali, fino
all'ingresso della sposa nella casa dello sposo e alla "prima notte".
Le usanze e credenze relative alla vita umana si ispirano anche a
principi magici con un chiaro scopo propiziatorio o profilattico. Ci
sono delle regole da seguire, e dei tabù da rispettare, per far
convergere a proprio vantaggio le forze del bene e allontanare e
distruggere quelle del male.
1
Toschi P., Il folklore, Studium, Roma 1969.
2
Tutte queste forme rituali, connesse con la vita dell'uomo o svolgentisi
lungo il corso dell'anno, rivelano un fondo antichissimo e, se si vuole,
pagano; ma il Cristianesimo in quasi venti secoli e per gran parte del
mondo ha stampato la sua impronta su tutti gli aspetti della vita
individuale e sociale, dando alle forme più importanti una precisa
regola e un nuovo e più alto significato, e strenuamente combattendo
le manifestazioni superstiziose e contrarie alla religione e alla morale.
Il folklore contemporaneo presenta quindi nella realtà quotidiana
questo antico fondo e questa nuova forma in cui esso vive e si attua,
anche se non sempre in perfetta aderenza.
Ci spiegheremo forse meglio quel senso di accettazione serena e di
operosità lieta con cui le classi popolari, vivono la loro pur non
comoda vita, osservando come essa si svolga lungo il succedersi dei
mesi e delle stagioni, secondo uno schema tradizionale di feste e di
usanze che mirabilmente s'accordano col ritmo della natura e delle
opere agresti. (Il calendario del folklore viene così a costituirsi in una
serie di cicli che distinguono i principali momenti ed episodi di questo
eterno ritorno di stagioni e di opere, secondo il corso dell'anno. Per
comprenderlo appieno, occorre tener presenti due cose: la prima è che
il folklore, quale vive oggi, ha un substrato di credenze e usanze
antichissime in cui si rispecchiano forme di cultura e concezioni
magiche e religiose, consone a una vita trascorrente a più immediato
contatto con la natura e, quindi, regolata secondo le sue grandi leggi e
secondo la primitiva interpretazione dei suoi fenomeni; la seconda è
che questo fondo, già in sé differenziato nei secoli e secondo diversi
cicli culturali (intesi non in forma rigida), si è poi modificato
attraverso il tempo per l'influsso dell'evolversi della civiltà, e
soprattutto per l'azione regolatrice e moralizzatrice, esercitata dal
Cristianesimo. Il senso religioso della vita è stato totalmente cambiato
e, possiamo ben dire, portato sopra un piano più alto; ma le usanze,
legate al corso immutabile delle stagioni, sono rimaste, cambiando
significato, è vero, senza però perdere del tutto alcuni dei caratteri ed
aspetti che ne avevano determinato il sorgere e il tramandarsi. Il
calendario ha subito variazioni, specie per la festa di maggiore
importanza, quella d'inizio d'anno, sì che le stesse usanze si sono
trasferite da una data all'altra, ripetendosi o venendo a confluire in un
sol giorno festivo. E di ciò non sempre ci rendiamo conto. Per es., il
Carnevale, per secoli e secoli, ha rappresentato il capo d'anno, e tutte
3
le sue manifestazioni sono improntate a questo suo carattere
fondamentale; ma chi lo rileva oggi?
In realtà, Natale, Capodanno, Epifania, Carnevale, sono tutte feste che
solennizzano la chiusura di un ciclo annuale e l'apertura d'uno nuovo
2
;
così Calendimarzo, S. Giorgio, Pasqua, Calendimaggio, l'Ascensione,
S. Giovanni, Ferragosto, S. Martino, S. Michele, S Caterina, sono
ugualmente feste di inizio di una stagione, intendendo questo termine
in senso generico, e quindi molti riti e usi di ciascuna di esse sono
uguali o si rassomigliano: e noi li ripetiamo senza accorgercene,
mentre, a fil di logica, basterebbe ricorrervi una sola volta. S'intende
che poi ciascuna di tali feste ha anche le sue manifestazioni particolari
in rapporto alla diversità delle stagioni e al preciso significato che è
venuta assumendo, specialmente nel suo adeguarsi al clima cristiano e
alla liturgia ufficiale. Né dobbiamo dimenticarci la diversità del clima
fisico e delle condizioni generali dei vari ambienti in cui le stesse
usanze si svolgono. Molte cose ci appaiono già chiare, se
consideriamo gli aspetti essenziali delle usanze e feste di inizio d'anno
(o di stagione). Esse si riconducono tutte a due principi fondamentali,
mirano a due scopi precisi: eliminare, cancellare, distruggere tutti i
mali, i guai, i peccati dell'anno che muore; prevedere, predeterminare
e, vorremmo dire, preassicurare l'abbondanza, il benessere, la
prosperità per l'anno che nasce. Per quel principio magico per cui il
simile produce il simile, le varie tradizioni delle feste d'inizio di un
ciclo annuale esaudiscono il desiderio (che una volta era certezza
assoluta) di raggiungere i due scopi sopraccennati. Distruggere il male
passato, male fisico e male morale, infermità e peccato, tristizia e
tristezza, perché soltanto essendo sani e puri si può affrontare il nuovo
corso delle stagioni nel suo perenne ricominciamento; se si entrasse
nel nuovo anno gravati dalle malattie, dai vecchiumi, dalle malvagità
accumulatesi durante dodici mesi, le forze vitali di fecondità; di
produttività, di bene, che come riserva aurea il nuovo anno ci reca,
sarebbero infettate, ammorbate, definitivamente compromesse.
2
Cocchiara G., Storia del Folklore in Europa, Torino 1952; Popolo e letteratura in Italia, Torino
1959.
4
Il ciclo dell’anno.
Il calendario festivo e i momenti rituali: ambiente, tempo e
società.
La festa è un microcosmo complesso in cui è dato ritrovare,
contemporaneamente, tutto e il contrario di tutto: le manifestazioni
gioiose e, a tratti, sfrenate; la seria compunzione dei cortei
processionali; la dimensione ludica delle gare di abilità; il lavoro di
preparazione svolto collettivamente; la riaffermazione dell'ordine
sociale esistente e, al contempo, la sua negazione. La festa è un
mondo che riproduce, per affermarlo, negarlo o migliorarlo, il mondo
della vita quotidiana. In essa sono perciò presenti gli infiniti aspetti di
quest’ultimo, con le sue articolazioni e contraddizioni.
Questo fatto forse spiega perché gli innumerevoli tentativi di dare una
definizione della festa abbiano finito col «definirla», col chiuderla,
appunto, entro confini troppo riduttivi lasciando sfuggire l'intera sua
ricchezza di senso. È lecito allora porsi la questione della effettiva
conoscibilità della festa: se cioè esiste un modo complessivo di
intenderne la totalità degli elementi, assunti proprio nella loro
apparente contraddizione. Fatto non agevole, se Furio Jesi
nell'introdurre una silloge di contributi sulle modalità del rapporto
della cultura contemporanea con i rituali festivi, osservava che la loro
conoscibilità appare impresa problematica e precaria
3
.
Può risultare utile ripercorrere almeno due «momenti» interpretativi
della festa per iniziare a comprendere lo stato del problema. In Totem
e tabù, l’opera che ha costituito, appena pubblicata, una «pietra dello
scandalo» per gli antropologi, Freud metteva in rilievo gli aspetti
trasgressivi della festa, luogo di abolizione legittimata delle regole e
delle norme del vivere quotidiano. «La festa - scriveva – è un eccesso
permesso, anzi offerto, l'infrazione solenne di un divieto. Gli uomini si
abbandonano agli eccessi non perché siano felici per un qualche
comando che hanno ricevuto. Piuttosto, l’eccesso è nella natura stessa
della festa; l'umore festoso è provocato dalla libertà di fare ciò che
altrimenti è proibito»
4
.
L'idea della festa come trasgressione, coniugata variamente al
concetto di sacro come proibizione, ritorna costantemente negli
3
Jesi F., La festa. Antropologia, etnologia, folklore, Torino 1977, p.7.
4
Freud S., Totem e tabù, Torino 1975, p.144.
5
studiosi appartenenti alla stessa linea di pensiero con esiti talora anche
più radicali. È il caso di Georges Bataille il quale, in un saggio del
1933, vedeva nel fenomeno festivo la soddisfazione di un bisogno
smisurato di distruzione, di ostentazione e di spreco. Nelle società
tradizionali, a suo dire, i beni posseduti dovevano in un qualsiasi
modo essere oggetto di sperpero al fine di ricavarne onore e prestigio
di status. Il Carnevale è stato regolarmente eletto a modello esemplare
del valore trasgressivo della festa. Violare ogni regola di
comportamento abituale, mettere in discussione le norme della
comune decenza, porre in scacco le attese, sono stati assunti come
elementi di conferma di questo suo carattere. Per Roger Caillois la
festa rappresenta un «intermezzo di confusione universale», «l'istante
in cui l’ordine cosmico è soppresso». E precisa subito dopo: «Così in
esso tutti gli eccessi sono leciti. Bisogna agire contro le regole, tutto
deve accadere alla rovescia. Nell'epoca mitica il corso del tempo era
invertito: si nasceva vecchi e si moriva bambini... Così vengono
sistematicamente violate tutte le norme che proteggono il giusto
ordine naturale e sociale». Parole simili torneranno a riecheggiare
nell'Eliade del Mito dell’eterno ritorno.
Nelle riflessioni di Caillois è comunque avvertibile l'insegnamento di
Émile Durkheim e Marcel Mauss. In questi autori è possibile
individuare gli elementi di una diversa interpretazione del fenomeno
festivo. Esso appare infatti ai due etnologi francesi un'occasione di
recupero periodico delle origini del gruppo. Nella stagione delle
piogge un gran numero di comunità umane si concentra in aree
ristrette, intensificando gli scambi e le relazioni sociali. In tali
condizioni per Mauss si accresce la «densità sociale», si crea uno
«stato cronico di effervescenza e di iperattività» e i gruppi diventano
visibili a se stessi come tali, rappresentandosi e identificandosi in un
animale o in una pianta-simbolo
5
. Nella festa è possibile individuare
insomma l'occasione in cui la comunità rifonda se stessa e ritrova la
sua ragion d'essere. Caillois ne evidenzia più il valore simbolico. Egli
sottolinea come gli eccessi festivi contribuiscano a ricreare lo stato
originario di indeterminatezza e di caos da cui si è generato l'ordine.
Attraverso il riproporsi periodico di uno stato di indifferenziazione, il
5
Durkheim E., Mauss M., Sociologia e antropologia, Milano 1976, pp. 125-128. Cfr.inoltre
Durkheim E., Le forme elementari della vita religiosa, Milano 1963.
6
momento festivo recupera le origini fondanti e ripete il processo
attraverso cui si è costituito l'ordine sociale.
La diversità del modo di «leggere» la festa, rilevata in saggi ormai
classici del pensiero occidentale, informa di sé anche i contributi più
recenti. Considerato il modo d'essere del fenomeno festivo
precedentemente richiamato, non è facile delineare, secondo gli stessi
curatori, «un quadro di teorie acquisite, che funga da sicuro polo
orientativo e unificante, e dove le ipotesi finora saggiate hanno più che
altro condotto a una massa di generalizzazioni di carattere empirico»
6
.
Non è un caso che anche nei contributi dove l’accento viene posto su
aspetti ricorrenti nella festa (processioni, rappresentazioni
drammatiche, gare di abilita', questue, orge alimentari), manca poi
almeno il tentativo di individuare, o di eleggere, uno di quegli aspetti a
chiave interpretativa dell'intero fenomeno.
Quanto ai tratti costitutivi di esso, ai modi in cui quei tratti si
correlano e si succedono l’uno all'altro, ai meccanismi che consentono
di innescare il momento festivo, e, in seguito, di concluderlo, sono
tutti interrogativi che rimangono senza risposte efficaci. Le indagini
etnografiche possono offrire materiale documentario, di grande rilievo
e «leggibilità» a volte, ma non sempre consentono di cogliere gli
elementi essenziali per costruire quella che Caillois chiamava una
«teoria della festa».
Dalle indagini etnografiche è emerso, però, con certezza un fatto dal
quale difficilmente si può prescindere: il rapporto fra ricorrenze
festive e strutture socio-economiche. Esso consente di «evitare
posizioni irrazionaliste e culturologiche (ricorrenti in tanta letteratura)
che, ipotizzando un'autonomia storico-genetica dei fenomeni festivi e
culturali in genere - dai contesti e dai processi sociali, propongono
come spiegazione degli attuali fenomeni festivi immagini di festa-rito
primigenio»
7
. Conviene partire da queste considerazioni per tentare
l'«esplorazione» di una realtà tanto poliedrica e contraddittoria,
ribadendo che il recupero del momento primigenio non si esaurisce in
sé, ma pare «rifluire» in modi e tempi diversi nella realtà economica e
sociale dalla quale esso sembra astrarsi.
«Ogni anno alla fine dell'inverno, quando l'anello del tempo si chiude,
c'è il rischio che il cerchio del tempo si concluda. Come ricaricare
6
Bianco C., Del Ninno M., Festa. Antropologia e semiotica, Firenze 1981, p. X.
7
Bianco C., Del Ninno M., op. cit..
7
d'energia l'organismo spento della natura? Come passare dalla morte
alla vita? L'esperienza magico-religiosa nei vari tempi e presso i
popoli più disparati ha risposto in diversi modi a questo interrogativo.
Alcuni tratti comuni a tutti questi modi sono: la rigenerazione
periodica del tempo mediante la ripetizione simbolica della
cosmogonia, la rigenerazione della natura accompagnata dalla
purificazione dei peccati, la rigenerazione attraverso la morte...»
8
.
Antonino Buttitta, autore del passo precedente, tende a connettere la
dimensione sacra alla dimensione profana, l'una funzione dell'altra.
Osserva infatti poco dopo: «Così come ogni anno, all'approssimarsi
dell'inverno, la natura muore, anche il tempo può morire. Tutto ciò
però non accade al di fuori della volontà degli dei e degli uomini. Se
essi lo vogliono, la natura rinasce, il tempo consumato si rigenera e
ricostituisce... È qui che bisogna cercare il significato originario, pur
sempre persistente, della festa in quanto tale»
9
. È possibile ipotizzare
in altre parole che il rito celebrato nei giorni di festa tenda a proiettare
la vicenda quotidiana del gruppo in una prospettiva astorica, in una
dimensione originaria rivissuta attraverso la narrazione mitica. La
funzione di tale procedura tuttavia non è fine a se stessa, né tanto
meno tende verso la pura astrazione. Essa consiste invece nel
reintegrare il gruppo nella propria realtà economica e sociale, nella
sua storia. In altre parole, la festa evidenzia il suo senso più pieno non
quando viene letta nelle sue valenze mitiche, bensì quando la sua
dimensione sacrale viene intesa come complementare al profano.
In una prospettiva storicista si avverte appieno l'esigenza di riportare
ogni fatto religioso a specifici contesti culturali, a un fluire della storia
perennemente vigile. La dialettica fra le due forme del tempo (sacro e
profano) assume senso e funzione solo in relazione a concrete
esperienze delle comunità intorno al mondo, alla natura e al lavoro
10
.
In questa direzione i momenti rituali sembrano interpretabili solo se
posti al centro di orizzonti ideologici strettamente correlati con
l'ambiente, il tempo, la società. Muovendo da questa ipotesi,
8
Buttitta A., Minnella M., Pasqua in Sicilia, Palermo 1978, p.8.
9
Buttitta A., L’utopia del Carnevale, in Aa.Vv., La vita recitata. Una storia di Carnevale,
Palermo 1980, p. 17.
10
Lanternari V., La grande festa. Vita rituale e sistemi di produzione nelle società tradizionali,
Bari 1976.
8
tenteremo l'elaborazione di un modulo interpretativo da sottoporre a
progressive verifiche.
Il tempo, inteso nella più pertinente dimensione antropologica, non è il
succedersi costante di giorni, mesi e anni, non è una realtà astratta,
sezionata matematicamente da orologi e datari elettronici. Appare
invece una realtà concretamente vissuta, tempo reale, organico ai ritmi
esistenziali delle comunità. In tale prospettiva una rappresentazione
calendariale del tempo, semplicemente quantitativa, è meno vera di
una rappresentazione articolata in momenti qualitativamente distinti.
Da qui discende il diverso senso del calendario profano e di quello
sacro: il primo è una successione di giorni sempre uguali; nel secondo
ogni giorno ha la sua specificità, la sua potenzialità.
Il calendario vive strettamente connesso all'ambiente, o meglio al
modo in cui le comunità umane esperiscono l’ambiente in cui sono
insediate e che assicura la soddisfazione dei loro bisogni primari. Non
è strano il fatto che l'anno dei pastori inizi a settembre, quando
nascono i primi agnelli del gregge e germoglia la prima, timida, erba
nuova; né deve meravigliare che, in una società di coltivatori, il fluire
del tempo si articoli in correlazione con i periodi della semina, del
germoglio primaverile e del raccolto
11
. Il calendario, modo di vivere il
tempo, è in sostanza mediato dalle attività produttive consentite dallo
stesso e gli «indici calendariali» sono direttamente collegati ai ritmi
dei modi di produzione diffusi nel contesto naturale.
La festa scandisce le fasi del calendario: essa è cioè legata
all'organizzazione sociale del tempo. È il mezzo cui le popolazioni che
affidano quasi per intero la loro sopravvivenza all'ordinato svolgersi
dei cicli naturali, fanno regolarmente ricorso per risolvere gli stati di
incertezza vitale e esistenziale. Il momento rituale ripropone sul piano
mitico le proprietà di abbondanza e pienezza di vita che, attraverso un
processo di definizione formale, conferiscono a chi vi partecipa stati
di certezza e sicurezza. Ambiente, tempo, società nei rituali festivi
risultano dunque strettamente correlati. È perciò possibile, in
riferimento alle feste, parlare di una scansione sociale del tempo, non
solo perché essa ripropone (a livello mitico-rituale) la sicurezza vitale
del gruppo, ma anche perché questo, attraverso la socializzazione
rituale, assume consapevolezza di essere nel tempo, ritrovando gli
11
Di Nola A.M., Calendario, in Enciclopedia delle religioni, Firenze 1970, pp. 1436-40.
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stessi giorni, il ripetersi degli stessi cicli e degli stessi fenomeni di
morte e rinascita della natura.
Nella festa in sostanza la comunità ripresentifica se stessa, si celebra -
è il caso di dire - per quello che è, o per la percezione che ha di se
stessa. Ne consegue - come già era stato avvertito - che la
trasgressività della festa non è fine a se stessa, ma è funzionale al
reinserimento nella realtà dell'esistente, con le sue norme e gerarchie. I
rituali religiosi, imponendo dei ruoli, istituzionalizzano le diversità
sociali, di sesso e di età. Le processioni della Settimana santa, per
esempio, pur avendo lo scopo di testimoniare l’impegno devozionale
delle categorie professionali, delle classi d'età, dei ceti sociali, di fatto
li confermano e ne giustificano la stratificazione, quando non tendono
a imporne una diversa organizzazione. Il rito non esplicita il suo
potere solo nel confermare l’ordine del reale, infatti, ma ricodificando
nelle forme tradizionalmente condivise le modalità del mutamento, ne
ratifica e legittima l'esistenza. In tal senso appaiono molto significativi
i fenomeni di storicizzazione cui i temi di salvazione sono andati
soggetti nel passare da società arcaiche a culture o società superiori.
«Presso diversi popoli l'esigenza di rigenerazione della natura ha
avuto proiezioni antropomorfiche. La credenza nel dio salvatore ha la
sua matrice nel bisogno periodico di salvazione della primavera... Due
ragioni profonde stanno alla base della natura umana e divina del dio
salvatore: l'identità della sua vicenda personale con la struttura ciclica
del corso della natura, la dimostrazione attraverso la risurrezione di
sapere vincere la morte... La Settimana santa assicura la rigenerazione
periodica dell'anno attraverso la rappresentazione simbolica delle fasi
conclusive del mito del dio salvatore. La Pasqua è la morte e la
rinascita di Dio, ma è anche la rinascita della natura, la nostra rinascita
a nuova vita liberati da tutti i peccati». Ebraismo e Cristianesimo in
sostanza non realizzano esperienze di salvazione attraverso la
semplice riproposizione periodica di rituali connessi ai ritmi
stagionali, ma tendono a sostituite alle vicende naturali determinati
fatti storici: quello che prima era un ciclico ripetersi di fenomeni
naturali di morte e rinascita viene sostituito da storie messianiche di
salvezza, fissate nel tempo, e periodicamente rivissute. L'elemento
naturalistico originario non scompare però del tutto, sicché possiamo
ritrovare in ogni festa una sorta di stratificazione di tratti culturali
risalenti a epoche diverse e nello stesso tempo registrare forme