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Cap. 2 – Inquadramento geologico
2.1 - Evoluzione geodinamica
La genesi dell'Etna si inquadra nella più generale evoluzione geodinamica del
bacino del Mediterraneo. Il vulcanismo etneo ha luogo in prossimità della zona di
collisione tra la placca euroasiatica a N e quella africana a S, in corrispondenza di una zona
di debolezza crostale che permettere la risalita di magmi provenienti da circa 100 km di
profondità. Questa debolezza si è formata al limite tra i due principali domini geodinamici,
la scarpata Ibleo-Maltese (un margine continentale Mesozoico) a S che rappresenta una
porzione di crosta africana indeformata, e la Catena Appenninico-Maghrebide a N, un
complesso sistema di falde S-vergenti appartenenti alla placca Euroasiatica e generatesi
dall'Eocene (50 Ma) in seguito alle deformazioni dei bacini interposti tra i due continenti
(Bousquet & Lanzafame, 2004).
A N dei M.ti Iblei la porzione di crosta africana più esterna e sottile si trova in
corrispondenza dell'Etna a 10 Km di profondità, in quanto subduce al di sotto di sedimenti
pleistocenici e falde della catena; questa, continuando la sua discesa, raggiunge profondità
e temperature molto elevate a causa delle quali rilascia progressivamente fluidi e/o subisce
fusione parziale contribuendo così alla genesi di un vulcanismo essenzialmente acido
(riolitico-riodacitico-andesitico) ed esplosivo a N, tipico dell’arcipelago eoliano (Bousquet
& Lanzafame, 2004). La forte curvatura del piano di subduzione e il prolungamento verso
N del sistema di faglie NW-SE che proseguono la scarpata Ibleo-Maltese determinano
l’apertura di fratture distensive profonde nella crosta che permettono la risalita di magmi
basaltici dal mantello superiore (astenosfera), i quali danno luogo ad un’attività
principalmente effusiva, tipica dell’apparato etneo (Branca et al., 2004).
La Sicilia è caratterizzata da una sismicità attiva a carattere distruttivo oltre che da
un intenso magmatismo (Baratta, 1910; Hirn et al., 1997). L’attività tettonico-magmatica è
prevalentemente concentrata lungo la scarpata Ibleo-Maltese (Cita et al., 1981; Scandone
et al., 1981; Casero et al., 1984). Sono state formulate diverse ipotesi relative all’origine
dell’edificio etneo. Tanguy et al. (1997) hanno proposto che traesse origine da un hot-spot,
Continisio et al. (1997), invece, da un processo di rifting asimmetrico, mentre Gillot et al.,
(1994) da una dislocazione tra la placca maltese-siciliana e il bacino del mar Ionio.
LoGiudice e Rasà (1986), McGuire et al. (1997), Himet et al. (1997), Lanzafame e
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Bousquet (1997) hanno suggerito che la sua genesi fosse legata alla faglia Messina-
Giardini; infine, Monaco et al. (1997) hanno proposto una deformazione causata da stress
ai piedi della faglia normale all’interno della zona di rifting siculo-calabrese dove giace la
direttrice WNW-ESE.
La formazione dell’Etna, è legata a profondi sistemi di fratture regionali della
crosta terrestre attivati a partire dal Pleistocene Medio-Superiore ed evidenziati dagli
affioramenti lavici più antichi a carattere prevalentemente distensivo. In corrispondenza di
queste fratture avviene la risalita dal mantello di notevoli volumi di magma che producono
un rigonfiamento crostale e fratture radiali che si dipartono dal centro di spinta. Lungo
queste fratture si inietta il magma che dà luogo ad un’attività laterale con la formazione di
numerosi coni avventizi visibili lungo le pendici del vulcano, secondo le tre direttrici
preferenziali: N-S, NE-SW, ENE-WSW. I principali sistemi di faglie sono: la Scarpata
Ibleo-Maltese appartenente al sistema Tindari-Giardini che si estende in direzione SSE-
NNW al limite tra il Mar Ionio e la costa a S-W della Sicilia e il Sistema di Messina
allungato secondo la linea di costa tra Taormina e Messina, che si ricollega con il sistema
di faglie Scicli-Comiso-Caltagirone a S-W dell’Etna.
Nel basso versante S-W si osservano delle scarpate ad andamento lineare in
direzione NNW-SSE, le cosiddette "Timpe", faglie con notevoli rigetti, ritenute la
prosecuzione del sistema regionale della Scarpata Ibleo-Maltese. Questo sistema, insieme a
quello di Messina, è attualmente molto attivo e contribuisce all'instabilità della zona ed al
suo sollevamento come dimostrano i rinvenimenti di depositi marini posti a centinaia di
metri al di sopra della linea di costa, nel versante S-W del vulcano.
2.2 - L’attività dell’Etna
L’inizio dell'attività eruttiva nell'area etnea si deve far risalire alle prime
manifestazioni sottomarine, a carattere effusivo, avvenute circa 700.000 anni fa, che
diedero luogo all’attività pre-etnea e furono caratterizzate dalla formazione di lave a pillow
e di brecce ialoclastitiche, tuttora visibili nell'area di Aci Castello, Aci Trezza e Ficarazzi.
In seguito ad un rapido sollevamento di tutta l’area, causato da migrazioni di consistenti
volumi di magma, le manifestazioni sottomarine-effusive divennero progressivamente
subaeree-esplosive. Ciò è provato sia dall'affioramento nel versante N-E a circa 700 m
s.l.m. di argille azzurre pleistoceniche, sia dall'esistenza di terrazzi marini e fluviali posti a
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varia altezza nei versanti S-E e S-W. I prodotti emessi nella prima fase subaerea si
rinvengono nel versante S-W del vulcano (Santa Maria di Licodia, Biancavilla, Adrano).
Dopo un lungo lasso di tempo, l’attività magmatica riprese tra 200.000 e 100.000
anni fa con un significativo cambiamento del chimismo del magma e dei meccanismi
eruttivi. Vennero emessi basalti alcalini e furono edificati numerosi centri isolati, i quali
costituirono la seconda fase di sviluppo dell’Etna: i centri eruttivi antichi. Un primo
apparato, denominato Etna antico o primordiale era costituito da un’alternanza di colate di
lava, prodotti piroclastici e depositi rimaneggiati. In questa fase si formò un primo grande
strato-vulcano: il Monte Calanna, alto 1325 m, situato nella parte a E dell’omonima valle,
che cessò la sua attività circa 80.000 anni fa. Successivamente più a W si attivò un nuovo
vulcano: il Trifoglietto I, che raggiunse dimensioni notevoli, caratterizzato da un’attività
fortemente esplosiva, i cui prodotti affiorano sulla parete N della Valle del Bove (VdB). Si
tratta di circa 200 m di scorie, agglomerati e sottili colate di lava attraversati da dicchi. Il
cratere si trovava probabilmente verso la parte N-E della VdB.
La terza fase fu caratterizzata dall’edificazione di diversi strato-vulcani sovrapposti,
caratterizzati da un’abbondanza di prodotti trachibasaltici, i più importanti dei quali
furono: il Trifoglietto II, un grande strato-vulcano formato da lava e materiale piroclastico;
il Vavalaci ed il Cuvigghiuni. Il vulcano Trifoglietto II, il più importante tra quelli
formatisi nell'area dell'attuale VdB, doveva essere molto ampio e doveva avere diverse
bocche eruttive. I prodotti di questo vulcano comprendono colate di lava alla base e
piroclastiti nella parte superiore. Le colate di lava sono di due tipi: 1) lave di colore chiaro
molto spesse, distribuite a E ed a S della VdB, 2) lave sovrastanti più sottili e più scure. Il
Trifoglietto II collassò circa 64 mila anni fa durante una fase di violentissima attività
esplosiva; in seguito allo svuotamento della camera magmatica si ebbe la formazione di
una caldera profonda 1000 m e larga 5000 m, oggi nota come VdB. I prodotti emessi dal
centro eruttivo del Vavalaci, un piccolo vulcano a scudo, consistono in sottili colate di
lava, separate da strati di scorie a S-W della VdB. Il centro eruttivo del Cuvigghiuni si
formò in seguito a fasi prevalentemente esplosive dalla stessa bocca di alimentazione del
Vavalaci, i cui prodotti costituivano un deposito che riempiva la depressione sommitale.
La quarta fase fu caratterizzata dalla formazione del Mongibello, un grosso cono
che ricopre la zona N-W dell’attuale massiccio dell'Etna e ne comprende più di 1/3 del
volume. Si tratta del centro eruttivo più recente ed è sede delle bocche sommitali attuali
(Fig. 2.2.1): Voragine, Bocca Nuova, Cratere di N-E e Cratere di S-E, nelle quali è
concentrata un’attività esplosiva di tipo stromboliano; un’attività di tipo effusivo, invece, è
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confinata nei crateri laterali. La vita di questo apparato può essere suddivisa in più fasi: il
Mongibello antico, il Mongibello recente, separati dalla formazione della caldera
dell’Ellittico, ed il Mongibello moderno.
Fig. 2.2.1 - Il Mongibello e le sue bocche eruttive.
Numerose testimonianze storiche tramandateci sin dal periodo classico ci
raccontano che l’area etnea fu interessata da attività vulcanica esplosiva in corrispondenza
dei crateri sommitali e da attività effusiva dalle bocche laterali. Diodoro Siculo, Pindaro,
Eschilo, Tucidide, Empedocle, Virgilio, Lucrezio e Ovidio narrarono di antichissime
eruzioni alle quali sono legati numerosi miti e leggende. Ecco una celebre citazione
virgiliana:
«L’Etna tuona con spaventose rovine; a volte erutta sino al cielo una nube nera, spire di
fumo e di cenere ardente, leva globi di fiamme a lambire le stelle; a volte scaglia macigni,
strappando via di slancio le viscere del monte, travolgendo nell’aria con un gemito rocce
liquefatte, bollendo nel fondo del suo cuore.»
Ricordiamo l’eruzione del 475 a.C., alla quale s’ispirò Eschilo nel suo Prometeo
Incatenato, o quella avvenuta nel 396 a.C., che arrestò l’avanzata dell’esercito cartaginese.
In tempi più recenti, attraverso gli scritti di viaggiatori, scienziati ed artisti, ci sono
pervenute splendide descrizioni di centinaia di eruzioni e colate laviche avvenute in epoca
moderna. Basterà ricordare la lunga eruzione di durata decennale (dal 1614 al 1624), che
diede origine ad uno dei più suggestivi paesaggi etnei, la Sciara del Follone o Passo dei
Dammusi, nonché alla bellissima cavità reogenetica denominata Grotta del Gelo: una
galleria di scorrimento lavico che contiene al suo interno un ghiacciaio perenne, unico
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esempio di tal genere a queste latitudini. L’eruzione del 1669, che portò alla formazione
degli enormi Monti Rossi e distrusse ben quindici paesi ricoprendo parzialmente la città di
Catania e spostando la linea di costa di oltre due chilometri; o ancora, la grande eruzione
iniziata il 14 dicembre del 1991 e conclusasi il 31 marzo del 1993 con una durata di 473
giorni, durante la quale furono emessi quasi 300 milioni di m
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di lave che minacciarono
l’abitato di Zafferana Etnea.
Fig. 2.2.2 - Stadi esplicativi della formazione dell’Etna.
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Le eruzioni vulcaniche producono un continuo cambiamento della morfologia del
paesaggio etneo in relazione alle caratteristiche delle lave eruttate. La maggior parte di esse
presenta superfici aspre e tormentate, costituite da blocchi e frammenti di aspetto
scoriaceo, con una morfologia a creste: lave aa. Talvolta mostrano superfici regolari,
spesso arricciate a simulare festoni o costituite da un fitto intreccio di cordoni lavici che si
arrotolano creando bizzarri disegni: lave pahohehoe.
In figura 2.2.2 sono riportati gli stadi della formazione ed evoluzione dell’Etna in
accordo alla classificazione di Kieffer & Tangy, 1997.
2.3 - L’edificio dell’Etna
Con un diametro basale pari a circa 40 Km, un'area pari a circa 1.265 Km
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ed
un’altezza superiore ai 3.346 m s.l.m., l’Etna rappresenta il più grande vulcano attivo
d’Europa ed uno dei maggiori della Terra (Fig. 2.3.1).
L'Etna è uno strato-vulcano. Mostra, infatti, una sovrapposizione stratigrafico-
strutturale di prodotti eruttivi emessi in tempi differenti attraverso diversi sistemi di risalita
magmatica (assi eruttivi), in corrispondenza dei quali si sono formati diversi apparati
(Centri). Alcuni di questi Centri sono tuttora riconoscibili o interpretabili sulla base dei
caratteri petrografici dei materiali emessi o per la morfologia delle pendici (Cristofolini,
1993).
La storia di questo vulcano, iniziata con le prime manifestazioni sottomarine
avvenute circa 700.000 anni fa, è per buona parte impressa negli strati rocciosi della VdB
che rappresenta uno squarcio nella complessa storia geologica dell’Etna. Essa si apre a E
dell’edificio vulcanico come un enorme anfiteatro di oltre 36 km
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, delimitata a S dalla
Serra del Salifizio e a N dalla Serra delle Concazze. Dal fondo della VdB, ricoperto
prevalentemente da colate storiche e recenti, la cui superficie scoriacea conferisce
all'insieme un aspetto apparentemente uniforme, emergono gli apparati eruttivi dei Monti
Centenari (eruzione del 1852-53), quelli del Monte Simone (eruzione del 1811-12), nonché
alcuni spuntoni rocciosi come Rocca Musarra (1632 m. s.l.m) dalla caratteristica forma a
dente e Rocca Capra, tutti resti di passati collassi calderici che hanno interessato le Unità
del Trifoglietto (U.T.).
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Fig. 2.3.1 - Il vulcano Etna: generalità.
L’Etna è spesso caratterizzato dalla presenza di caldere sommitali, la più importante
delle quali è la caldera dell’Ellittico formatasi circa 15 Ma (Condomines et al., 1995). Gli
strato-vulcani e i piccoli centri eruttivi loro associati sono cresciuti su un plateau lavico
prodotto da flussi fessurali a composizione tholeiitico-transizionale aventi un’età di circa
0,5 Ma (Gillot et al., 1994; Corsaro e Cristofolini, 1997). Il plateau fu ricoperto da vulcani
recenti ed è morfologicamente riconducibile alla porzione collocata a S del vulcano
(Favalli et al., 1999).
Il recinto calderico è costituito a N ed a S da pareti alte e scoscese, con altezze
comprese tra i 400 m e i 1000 m. Queste pareti sub-verticali includono sia le testate di
antichi banchi lavici che, con pendenze varie, si immergono in direzione opposta alla VdB
che costoni rocciosi, noti come serre, costituiti da dicchi magmatici che rappresentano
spesso antichi sistemi di alimentazione magmatica. Questi ultimi si configurano come
filoni sub-vulcanici di rocce eruttive di forme e dimensioni variabili, messi in luce da
erosione selettiva. La disposizione spaziale, le caratteristiche geomorfologiche e quelle
mineralogico-petrografiche dei dicchi hanno permesso ai vari studiosi che si sono occupati
dell'Etna (Sartorious von Waltershausen, Carlo Gemmellaro, sir Charles Lyell,…)sin dal
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XIX secolo, di localizzare gli antichi centri eruttivi ormai completamente distrutti e sulla
base di dati geomorfologici, di comprendere che si era in presenza di uno strato-vulcano
formatosi in seguito alla sovrapposizione nel tempo e nello spazio di almeno due differenti
edifici vulcanici, il Trifoglietto ed il Mongibello.
La successione dell’attività vulcanica riconosciuta finora nella regione etnea risulta
costituita da prodotti iniziali a chimismo tendenzialmente tholeiitico per poi passare a
termini della serie alcalina.
2.4 - La Valle del Bove
La VdB è una delle più importanti configurazioni morfologico-strutturali dell’Etna.
Trattasi di una depressione a forma di ferro di cavallo localizzata ad E del vulcano, lunga
6,5 km e larga 5 km (Fig. 2.4.1). Il suo basamento è completamente ricoperto da colate
recenti di lava, mentre i resti dei nuclei vulcanici più antichi affiorano lungo le sue pareti.
La parete settentrionale supera i 500 m di altezza dal basamento della Valle ed ha una
pendenza topografica media del 40-55% con locali aree verticali. Il punto più alto della
VdB è Pizzi Deneri (2842 m) mentre il punto più basso è localizzato alla base del M.
Cerasa (1300 m).
L’affioramento di antichi vulcani fa della VdB un’area chiave per comprendere
l’evoluzione geologica dell’Etna (Coltelli et al., 1994). Alfred Rittmann (1973) ipotizzò
che essa potesse essere il risultato del collasso delle porzioni sommitali come conseguenza
di eventi esplosivi che hanno interessato i centri eruttivi costituenti l’unità del Trifoglietto.
L’ipotesi della VdB come unica ed enorme caldera di collasso ha resistito per
moltissimi anni ed è ancora diffusa. Alcuni studi hanno portato gli scienziati alla
formulazione di un modello genetico molto più complesso: la VdB trarrebbe origine dalla
formazione di diverse caldere di collasso formatesi attraverso il ripetersi di singoli
fenomeni di sprofondamento delle parti sommitali di antichi edifici in seguito ad episodi
parossistici con conseguente scivolamento lungo discontinuità strutturali e successivo
trasporto verso valle di porzioni più o meno grandi dei loro fianchi.
Traccia di questi processi è riscontrabile tra gli abitati di S. Venerina, Pozzillo, Macchia di
Giarre e Riposto, dove si estende una conoide costituita da depositi detritici-alluvionali e
tufi più o meno cementati ed irregolarmente stratificati in banchi, costituiti da ciottoli e
blocchi vulcanici litologicamente eterogenei immersi in una matrice sabbioso-
conglomeratica, denominata Chiancone.