Rosangela Barcaro
5
impiego nell’accertamento del decesso, siano stati oggetto di un ripensamento.
2
Nel § 5
dell’Introduzione a questa dissertazione spiegheremo come l’occasione del ripensamento
sia stata fornita da alcune osservazioni cliniche relative a pazienti, in uno stato
colloquialmente indicato come “morte cerebrale totale”, e a donne gravide le quali, nella
medesima condizione neuropatologica, hanno continuato ad essere sottoposte a
rianimazione ed interventi terapeutici per permettere al feto che portavano in grembo di
svilupparsi e nascere.
3
Questi fatti sembravano mostrare l’inattendibilità di una delle principali giustificazioni
per l’impiego dei criteri neurologici, ossia che la perdita permanente di tutte le funzioni
dell’intero encefalo, accertata mediante l’applicazione di quei criteri, rappresenta la morte
dell’organismo. La questione non è banale, soprattutto perché non riguarda un errato
utilizzo dei criteri e degli esami per la diagnosi della morte cerebrale; il problema è più
profondo ed investe le giustificazioni scientifiche addotte nel corso degli anni per
consentire di utilizzare quella diagnosi come condizione necessaria e sufficiente per
dichiarare il decesso di un paziente e successivamente sottoporlo al prelievo degli organi
da destinare al trapianto.
Le evidenze cliniche e la dimostrazione dell’esistenza di incoerenze tra definizione di
morte, criteri ed esami per accertare il decesso saranno discusse in questa dissertazione, e
porteranno alla luce le riserve di molti studiosi che si stanno interrogando sulla possibile
1
A Definition of Irreversible Coma. Report of the Ad Hoc Committee of the Harvard Medical
School to Examine the Definition of Brain Death, in “Journal of the American Medical
Association”, 205, 1968, pp. 337-340.
2
Un ripensamento della morte cerebrale è stato ad esempio oggetto dei lavori di: R.D. Truog, J.
Fackler, Rethinking Brain Death, in “Critical Care Medicine”, 20, 12, 1992, pp. 1705-1713; A.
Halevy, B. Brody, Brain death: Reconciling definitions, criteria, and tests, in “Annals of Internal
Medicine”, 119, 6, 1993, pp. 519-525; P. Singer, Rethinking Life & Death. The Collapse of Our
Traditional Ethics (1994), trad. it. Ripensare la vita. La vecchia morale non serve più,Milano,Il
Saggiatore, 1996 (ristampa, con sottotitolo modificato, Ripensare la vita. Tecnologia e bioetica:
una nuova morale per il mondo moderno, Milano, Il Saggiatore, 2000); R.D. Truog, Is It Time to
Abandon Brain Death?, in “Hastings Center Report”, 27, 1, 1997, pp. 29-37; D.A. Shewmon,
Recovery from ‘Brain Death’: A Neurologist’s Apologia , in “Linacre Quarterly”, 64, 1997, pp. 30-
96.
3
Per qualche esempio si vedano: W.P. Dillon et al., Life support and maternal brain death during
pregnancy, in “Journal of the American Medical Association”, 248, 1982, pp. 1089-1091; D.R.
Field et al., Maternal brain death during pregnancy, in “Journal of the American Medical
Association”, 260, 1988, pp. 816-822; I.M. Bernstein et al., Maternal brain death and prolonged
fetal survival, in “Obstetrics & Gynaecology”, 74, 1989, pp. 434-437; J.E. Kantor, I.A. Hoskins,
Brain death in pregnant women, in “Journal of Clinical Ethics”, 4, 1993, pp. 308-314. Per una
recente rassegna dei casi di gravidanza di donne in condizioni di morte cerebrale e dei
suggerimenti per garantire il buon esito del parto si veda D.J. Powner, I.M. Bernstein, Extended
somatic support for pregnant women after brain death, in “Critical Care Medicine”, 31, 2003, pp.
1241-1249. Per la discussione di casi che hanno a lungo alimentato la discussione in Germania si
veda ad esempio: R. Kiesecker, Die Schwangerschaft einer Toten. Strafrecht an der Grenze von
Leben und Tod der Erlanger und der Stuttgarter Baby-Fall, Frankfurt a.M., Peter Lang, 1996.
Rosangela Barcaro
6
sospensione dell’utilizzo dei criteri neurologici per la determinazione del decesso e
l’adozione di un nuovo modus operandi per reperire organi per i trapianti. La discussione
sui trapianti non sarà presa in esame in questa dissertazione,
4
dal momento che è nostra
intenzione illustrare i risultati preliminari di un’indagine iniziata con la riflessione sulla
morte cerebrale come condizione indispensabile per il prelievo di organi ex cadavere.A
scopo puramente informativo, seguiranno in nota alcune indicazioni di recenti saggi e
volumi consultati, soprattutto in lingua inglese, da noi giudicati particolarmente
interessanti, perché consentono di prendere visione di un quadro complessivo formato
dalle diverse argomentazioni impiegate per affrontare temi come la donazione degli
organi,
5
la richiesta e l’ottenimento del consenso ai fini del prelievo,
6
il commercio e
l’allocazione degli organi disponibili.
7
4
Il dibattito su questo tema è estremamente fecondo. Per un primo orientamento si vedano ad
esempio: D. Lamb, Organ Transplants and Ethics (1990); trad. it. Etica e trapianto degli organi,
Bologna, Il Mulino, 1995; S.J. Youngner, R.C. Fox, L.J. O’Connell (eds.), Organ Transplantation.
Meanings and Realities, Madison, University Press of Wisconsin, 1997; D. Price, Legal and
Ethical Aspects of Organ Transplantation, Cambridge, Cambridge University Press, 2000; R.M.
Veatch, Transplantation Ethics, Washington, D.C., Georgetown University Press, 2000; P.T.
Trzepacz, A.F. DiMartini (eds.), The Transplant Patient. Biological, psychiatric, and ethical issues
in organ transpltantation, Cambridge, Cambridge University Press, 2000; W. Shelton, J. Balint
(eds.), The Ethics of Organ Transplantation, Oxford, Elsevier Science, 2001.
5
Cfr. ad esempio J.R. Chapman, M. Deierhoi, C. Wight (eds.), Organ and tissue donation for
transplantation, London/New York, Arnold, 1997; M. Aramini, S. Di Nauta, Etica dei trapianti di
organi. Per una cultura della donazione, Cinisello Balsamo, Paoline, 1998; L.A. Siminoff, K.
Chillag, The Fallacy of the “Gift of Life”, in “Hastings Center Report”, 29, 6, 1999, pp. 34-41; E.-
H. W. Kluge, Designated Organ Donation: Private Choice in Social Context,inJ.H.Howell,W.F.
Sale (eds.), Life Choices: A Hastings Center Introduction to Bioethics, Washington, D.C.,
Georgetown University Press, 2000, 2° ed., pp. 503-517 (pubblicato con il medesimo titolo in
“Hastings Center Report”, 19, 5, 1989, pp. 10-16); J.F. Childress, The Failure to Give: Reducing
Barriers to Organ Donation, in “Kennedy Institute of Ethics Journal”, 11, 1, 2001, pp. 1-16; T.A.
Shannon, The Kindness of Strangers: Organ Transplantation in a Capitalist Age,in“Kennedy
Institute of Ethics Journal”, 11, 3, 2001, pp. 285-303; K. Bayertz, M. Baurmann, L’interesse e il
dono. Questioni di solidarietà, trad. it., Torino, Ed. Comunità, 2002; P. Sommaggio, Il dono
preteso. Il problema del trapianto di organi: legislazione e principi, Padova, Cedam, 2004.
6
Cfr. ad esempio C. Cohen, The Case for Presumed Consent to Transplant Human Organs After
Death, in “Transplantation Proceedings”, 24, 5, 1992, pp. 2168-2172; J. Muyskens, Should
Receiving Depend Upon Willingness to Give?, in “Transplantation Proceedings”, 24, 5, 1992, pp.
2181-2184; A. Spital, Mandated Choice. A Plan to Increase Public Commitment to Organ
Donation, in “Journal of the American Medical Association”, 273, 1995, pp. 504-506; R.M.
Merion, How Informed Is Informed Consent?, in “Transplantation Proceedings”, 28, 1, 1996, pp.
24-26; H. Gäbel, How Presumed Is Presumed Consent?, in “Transplantation Proceedings”, 28, 1,
1996, pp. 27-30; A. Autiero, Quale obbligo c’è di donare un organo? , in S. Fagiuoli (a cura di), La
questione dei trapianti tra etica, diritto, economia, Milano, Giuffrè, 1997, pp. 139-149; V.
Zambrano, Trapianti d’organo e funzioni del silenzio-assenso , in L. Chieffi (a cura di), Bioetica e
diritti dell’uomo , Torino, Paravia, 2000, pp. 157-178; P. Becchi, P. Donadoni, Informazione e
consenso all’espianto di organi da cadavere. Riflessioni di politica del diritto sulla nuova
legislazione, in “Politica del diritto”, XXXII, 2, 2001, pp. 257-287; M.M. Marzano Parisoli, La
volpe e il corvo, ovvero la favola del silenzio-assenso, in “Materiali per una storia della cultura
giuridica”, XXXI, 1, 2001, pp. 165-188; D. Wendler, N. Dickert, The Consent Process for
Cadaveric Organ Procurement. How Does It Work? How Can It Be Improved?, in “Journal of the
American Medical Association”, 285, 2001, pp. 329-333; P. Becchi, Tra(i)pianti. Spunti critici
Rosangela Barcaro
7
Si è poc’anzi rilevato che il consenso inizialmente condiviso circa l’impiego dei criteri
neurologici per l’accertamento della morte è stato scosso da alcune osservazioni cliniche
ed indagini di medici e neurologi, soprattutto statunitensi, per ragioni che analizzeremo.
Da un esame di ciò che sta accadendo nel nostro paese, ci siamo resi conto che è al
momento assente l’attenzione per i problemi generati dall’impiego dei criteri
intorno alla legge in materia di donazione degli organi e alla sua applicazione,in“Ragion
pratica”, 18, 2002, pp. 275-288; T.M. Wilkinson, What’s not wrong with conditional organ
donation?, in “Journal of Medical Ethics”, 29, 2003, pp. 163-164; K.A. Keller, The Bed of Life. A
Discussion or Organ Donation, Its Legal and Scientific History, and a Recommended ‘OPT-OUT’
Solution to Organ Scarcity, in “Stetson Law Review”, 32, 2003, pp. 855-895; H.E. Emson, It is
immoral to require consent for cadaver organ donation, in “Journal of Medical Ethics”, 29, 2003,
pp. 125-127.
7
Cfr. ad esempio J. Harris, Un mercato monopsonistico per gli organi umani, in “Notizie di
Politeia”, VIII, 28, 1992, pp. 3-9; L.R. Kass, Organ for Sale? Propriety, Property, and the Price of
Progress, in “The Public Interest”, 107, 1992, pp. 65-86; J.B. Dossetor, Rewarded Gifting: Is It
Ever Ethically Acceptable?, in “Transplantation Proceedings”, 24, 5, 1992, pp. 2092-2094; J.F.
Blumstein, The Case for Commerce in Organ Transplantation, in “Transplantation Proceedings”,
24, 5, 1992, pp. 2190-2197; R.A. Sells, The Case Against Buying Organs and a Future Market in
Transplants, in “Transplantation Proceedings”, 24, 5, 1992, pp. 2198-2202; H.T. Engelhardt jr., Il
corpo in vendita: dilemmi morali della secolarizzazione, in S. Rodotà (a cura di), Questioni di
bioetica, Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 123-138; nello stesso volume cfr. anche M. Lockwood, La
donazione non altruistica di organi in vita, pp. 139-147; B. Brecher, Organs for Transplant:
Donation or Payment?, in R. Gillon (ed.), Principles of Health Care Ethics, Chichester, J. Wiley
& Sons, 1994, pp. 993-1002; M.D.A. Freeman, Un mercato di organi umani?,inS.Fagiuoli(a
cura di), La questione dei trapianti tra etica, diritto, economia, Milano, Giuffrè, 1997, pp. 161-
203; H. Hansmann, Mercati di organi umani, in C.M. Mazzoni (a cura di), Una norma giuridica
per la bioetica, Bologna, Il Mulino, 1998, pp. 178-192; J. Menikoff, Organ Swapping,in
“Hastings Center Report”, 29, 6, 1999, pp. 28-33; R.W. Evans, How Dangerous Are Financial
Incentives to Obtain Organs?, in “Transplantation Proceedings”, 31, 1999, pp. 1337-1341; G.
Berlinguer,V.Garrafa,La merce finale (1996) ristampato con Introduzione riveduta ed ampliata e
titolo modificato: Il nostro corpo in vendita. Cellule, organi, DNA, e pezzi di ricambio, Milano,
Baldini & Castoldi, 2000; C.J. Browning, S.A. Thomas, Community values and preferences in
transplantation organ allocation decisions, in “Social Science and Medicine”, 52, 2001, pp. 853-
861; M.M. Friedlaender, The right to sell or buy a kidney: are we failing our patients?,in
“Lancet”, 359, 2002, pp. 971-973; L. Andrews, D. Nelkin, Il mercato del corpo. Il commercio dei
tessuti umani nell’era biotecnologica , trad. it., Milano, Giuffrè, 2002; C.A. Erin, J. Harris, An
ethical market in human organs, in “Journal of Medical Ethics”, 29, 2003, pp. 137-138; J.
Savulescu, Is the sale of body parts wrong?, in “Journal of Medical Ethics”, 29, 2003, pp. 138-
139; L.D. De Castro, Commodification and exploitation: arguments in favour of compensated
organ donation, in “Journal of Medical Ethics”, 29, 2003, pp. 142-146; D. Joralemon, P. Cox,
Body Values: The Case Against Compensating for Transplant Organs, in “Hastings Center
Report”, 33, 1, 2003, pp. 27-33.
Rosangela Barcaro
8
neurologici,
8
e soprattutto per il dibattito, ad esempio, nei lontani Stati Uniti d’America e
Giappone, e nella più vicina Germania.
9
Prima di entrare nel merito del dibattito occorrono due precisazioni, la prima di natura
semantica e la seconda metodologica.
8
Per il dibattito in corso all’estero ci sia consentito rimandare ad esempio a R. Barcaro, P. Becchi,
La morte cerebrale è entrata in “crisi irreversibile”?, in “Politica del diritto”, XXXIV, 4, 2003,
pp. 653-678; R. Barcaro, P. Becchi, Recenti sviluppi nel dibattito sulla morte cerebrale e il
trapianto di organi, in “Bioetica”, XII, 2004, pp. 25-44, nonché al saggio del neurologo italiano
Defanti (incluso in una antologia di saggi che raccoglie i lavori dei principali critici dei criteri
neurologici per la determinazione della morte) C.A. Defanti, La morte cerebrale come paradigma
della bioetica, in R. Barcaro, P. Becchi (a cura di), Questioni mortali. L’attuale dibattito sulla
morte cerebrale e il problema dei trapianti, Napoli, E.S.I., 2004, pp. 231-250.
9
In questa dissertazione non ci occuperemo del dibattito sulla morte cerebrale in Giappone ed in
Germania. Delineeremo soltanto alcune considerazioni generali nelle Conclusioni della presente
dissertazione. Per una prima informazione bibliografica sui temi in discussione nei due paesi si
rimanda per il Giappone ai seguenti lavori: J. Nudeshima, Obstacles to Brain Death and Organ
Transplantation in Japan, in “Lancet”, 338, 1991, pp. 1063-1064; K. Hoshino, Legal Status of
Brain Death in Japan: Why Many Japanese Do Not Accept ‘Brain Death’ as a Definition of
Death, in “Bioethics”, 7, 2/3, 1993, pp. 234-238; M. Morioka, Bioethics and Japanese Culture:
Brain Death, Patient’s Rights and Culture Factors , in “Eubios. Journal of Asian and International
Bioethics”, 5, 1995, pp. 87-91; A. Akabayashi, Finally Done. Japan’s Decision on Organ
Transplantation, in “Hastings Center Report”, 27, 4, 1997, p.47; A.S. Miller, A. Hagihara, Organ
Transplanting in Japan: The Debate Begins, in “Public Health”, 111, 1997, pp. 367-372; J.R.
McConnell III, The Ambiguity About Death in Japan: An Ethical Implication on Organ
Procurement, in “Journal of Medical Ethics”, 25, 1999, pp. 322-324; Morioka M., Two Aspects of
BrainDeadBeing, in “Eubios. Journal of Asian and International Bioethics”, 10, 2000, pp. 10-11;
M. Morioka, Reconsidering Brain Death: A Lesson from Japan’s Fifteen Years of Experience,in
“Hastings Center Report”, 31, 4, 2001, pp. 41-46; M Lock, Twice Dead. Organ Transplants and
the Reinvention of Death, Berkeley, University of California Press, 2002. Per la discussione in
Germania cfr. ad esempio: H. Thomas, Sind Hirntote Lebende ohne Hirnfunktionen oder Tote mit
erhaltenen Körperfunktionen?, in “Ethik in der Medizin”, 6, 1994, pp. 189-207; M. Klein,
Hirntod: Vollständiger und irreversibler Verlust aller Hirnfunktionen?,in“EthikinderMedizin”,
7, 1995, pp. 6-15; C. Wiesemann, Hirntod und Gesellschaft. Argumente für einen pragmatischen
Skeptizismus, in “Ethik in der Medizin”, 7, 1995, pp. 16-28; K. Kloth, Todesbestimmung und
Postmortale Organentnahme. Juristische Probleme aus rechtsvergleichender Sicht, Frankfurt
a.M., Peter Lang, 1996; W. Höfling, S. Rixen, Verfassungsfragen der Transplantationsmedizin.
Hirntodkriterium und Transplantationsgesetz in Deutschland, Tübingen, J.C.B. Mohr, 1996; J.S.
Ach, M. Quante (Hg.), Hirntod und Organverpflanzung: ethische, medizinische, psychologische
und rechtliche Aspekte der Transplantationsmedizin, Stuttgart, Frommann-Holzboog, 1997; F.
Oduncu, Hirntod und Organtransplantation. Medizinische, juristische und ethische Fragen,
Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1998; T. Schlich, Ethik und Geschichte: Die Hirntoddebatte
als Streit um die Vergangenheit, in “Ethik in der Medizin”, 11, 1999, pp. 79-88; R. Stoecker, Der
Hirntod. Ein medizinethisches Problem und seine moralphilosophische Transformation,
Freiburg/München, Verlag Karl Alber, 1999; B. Schöne-Seifert, Defining Death in Germany.
Brain Death and Its Discontents, in S.J. Youngner, R.M. Arnold, R. Schapiro (eds.), The
Definition of Death. Contemporary Controversies, Baltimore/London, Johns Hopkins University
Press, 1999, pp. 257-271; E. Rosenboom, Ist der Irreversible Hirnausfall der Tod des Menschen?,
Frankfurt a.M., Peter Lang, 2000; T. Schlich, C. Wiesemann (Hg.), Hirntod. Zur Kulturgeschichte
der Todesfeststellung, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 2001; M. Quante, Personales Leben und
menschlichen Tod, Frankfurt a.M., Surhkamp, 2002; A. Bondolfi, U. Kostka e K. Seelmann (Hg.),
Hirntod und Organspende, Basel, Schwabe, 2003; H. Angstwurm, Der Hirntod als sicheres
Todeszeichen, in M. Düwell e K. Steigleder (Hg.), Bioethik. Eine Einführung, Frankfurt a.M.,
Suhrkamp, 2003, pp. 291-297, e nel medesimo volume cfr. anche R. Stoecker, Sind hirntote
Menschen wirklich tot?, pp. 298-305.
Rosangela Barcaro
9
L’espressione “morte cerebrale” serve ad indicare differenti realtà: è utilizzata per
riferirsi al criterio della morte cerebrale, applicato per determinare una certa situazione,
alla constatazione della quale è fatta seguire la dichiarazione del decesso del paziente. Ma
“morte cerebrale” è anche il modo “colloquiale” di riferirsi al cosiddetto infarto cerebrale
totale, che possiede “il significato strettamente neuropatologico di “encefalo morto”
(necrotico)”.
10
A ciò si aggiunga il fatto che talvolta con tale espressione ci si riferisce
alla morte del paziente. Per evitare confusioni ed ambiguità sarà dunque opportuno tenere
il più possibile distinti questi tre significati: criterio diagnostico, condizione
neuropatologica e decesso del paziente conseguenza di quella condizione
neuropatologica.
Per quanto riguarda il secondo punto segnaliamo quanto segue: in più di un’occasione
abbiamo avuto modo di osservare personalmente la reazione di studiosi italiani alla
notizia dell’esistenza di un dibattito internazionale che mette in dubbio la nozione della
morte cerebrale, con le sue giustificazioni (apparentemente) consolidate; ed
invariabilmente tale reazione era seguita dalla convinzione che la nostra indagine avrebbe
decretato la fine del trapianto degli organi. Sottolineiamo che il nostro intento non
consiste nel minare le fondamenta di un’impresa meritoria, quale quella del trapianto
degli organi, ma nel mostrare che la condicio sine qua non per procedere al prelievo degli
organi dispari vitali è rimasta orfana della sua giustificazione fondamentale, ossia quella
secondo la quale la perdita irreversibile delle funzioni cerebrali causa inevitabilmente la
cessazione del funzionamento integrato dell’organismo e che, pertanto, la continuazione
del programma del trapianto degli organi necessita di una nuova fondazione.
2. Definire ed accertare la morte
La morte è un fenomeno che interessa qualsiasi organismo vivente, sia esso vegetale,
animale o umano. Lo studio generale di tale fenomeno riguarda innanzitutto le discipline
scientifiche, le quali però nel caso dell’essere umano, esse non esauriscono i molteplici
quesiti relativi alla comprensione profonda del cessare della vita. Il concetto di morte
umana, correlato a quello di vita, può infatti essere esplicitato anche attraverso differenti
teorie filosofiche e teologiche, e dare luogo a diverse definizioni di morte. Ogni
definizione di morte deve possedere caratteristiche peculiari, che consentano di cogliere il
quid al venire meno del quale si asserisce che la vita è cessata. Sebbene riflessione
10
Cfr. a questo proposito D.A. Shewmon, Recovery from “Brain Death”: A Neurologist’s
Apologia, in “Linacre Quarterly”, 64, 1997, pp. 30-96: p. 39.
Rosangela Barcaro
10
filosofica e teologica da un lato, e scientifica dall’altro impieghino un approccio diverso
allo studio della morte, esse si servono di definizioni di morte che hanno in comune
almeno due caratteristiche: perché un essere vivente possa essere considerato morto deve
aver subìto la perdita di ciò che è ritenuto essenziale per la vita, e tale perdita deve essere
irreversibile. Quale funzione è essenziale per la vita umana, al punto che la sua perdita
costituisce la morte? Le risposte a questo interrogativo sono molteplici: secondo la
prospettiva dalla quale ci si colloca, l’uomo può essere concepito come una realtà
totalmente biologica, o come l’unione (temporanea) di spirito e corpo, o come un
amalgama di elementi fisici e mentali.
11
La definizione di morte risulta dunque
influenzata dal tipo di approccio prescelto, dalle caratteristiche ritenute essenziali, e
costituisce il quadro di riferimento per la scelta dei criteri per l’accertamento del decesso.
Sono esempi di definizione di morte la irreversibilità della separazione dell’anima dal
corpo, o della perdita della coscienza o di funzioni biologiche necessarie all’integrazione
corporea. Nel capitolo II della presente dissertazione saranno analizzate alcune
definizioni di morte – di natura biologica e di natura prettamente filosofica – insieme ai
criteri e alle giustificazioni che le accompagnano.
Il concetto di “cessazione irreversibile” compare nelle definizioni di morte che
abbiamo sopra indicato. Se la morte è la perdita di una certa funzione essenziale per la
vita (accogliamo per il momento questa definizione puramente formale di morte), si deve
avere la certezza che quella funzione non possa essere più recuperata e che i criteri ed
esami disponibili diano quella certezza. Se la perdita di una funzione è soltanto
temporanea, non si potrà affermare che un certo paziente è morto, e tantomeno si potrà
procedere al prelievo dei suoi organi. Ma come è possibile stabilire che la perdita di certe
funzioni è irreversibile? Per esempio, come si può essere certi che le funzioni cardiaca e
polmonare sono cessate in modo permanente se le apparecchiature per la rianimazione
possono talvolta ripristinare quelle funzioni? La possibilità tecnica di ripristinare l’atto
respiratorio ed il battito cardiaco ha fatto (erroneamente) ritenere ad alcuni studiosi che la
morte sia un fenomeno reversibile: un paziente può essere riportato indietro dalla morte
se è sottoposto a rianimazione; un momento prima è morto, un momento dopo è
nuovamente vivo.
12
Per il neurologo Shewmon, la realtà è diversa: se il paziente ha subìto
11
Per una sintetica rassegna in proposito si vedano ad esempio: E. Sgreccia, Manuale di bioetica.
I. Fondamenti ed etica biomedica, Milano, Vita e Pensiero, 1994
2
, pp. 123-152; D. Tettamanzi,
Bioetica. Difendere le frontiere della vita, Casale Monferrato (AL), Piemme, 1996, 3° edizione
aggiornata ed ampliata, pp. 103-125; A. Pessina, Bioetica. L uomo sperimentale , Milano, Bruno
Mondadori, 1999, pp. 77-81.
12
Cfr. ad esempio: L.C. Becker, Human Being: the Boundaries of th Concept, in “Philosophy and
Public Affairs”, 4, 4, 1975, pp. 334-359; D.J. Cole, The Reversibility of Death, in “Journal of
Rosangela Barcaro
11
un danno strutturale critico, si ha la certezza che la perdita di certe funzioni –
cardiopolmonari o cerebrali - sia permanente. Se il danno non è critico, in linea di
principio rimane intatta la possibilità che quelle funzioni possano essere ripristinate.
13
Ci sembra dunque che possano esistere due significati di “irreversibilità”: un
significato è legato alla disponibilità di strumentazione adeguata a ripristinare funzioni
che in linea di principio si sono soltanto temporaneamente arrestate e che, quindi,
possono essere riattivate prima che si verifichi un danno strutturale critico. È il caso di
pazienti nei quali sono ripristinate le funzioni cardiopolmonari mediante gli strumenti per
la rianimazione. Un secondo significato è strettamente biologico, connesso ad un danno
strutturale che determina la perdita di quelle funzioni e della possibilità di ripristinarle: ad
esempio, se un paziente rimane a lungo in condizioni di arresto cardiaco, assenza di
circolazione e di ossigenazione provocano danni critici a più sistemi di organi (incluso il
sistema cerebrale) e rendono vane le misure rianimatorie.
I diversi elementi filosofici, teologici e scientifici che ogni definizione incorpora
esercitano il loro influsso sulla scelta dei criteri per accertare che si sia verificato il
cambiamento irreversibile che è la morte, e sulla predisposizione di esami necessari per
stabilire che i criteri prescelti siano soddisfatti in casi specifici. La selezione di criteri ed
esami costituisce un momento di considerevole spessore scientifico-tecnologico in quanto
chiama in causa molteplici competenze, che spaziano dalla biologia, alla chimica, alla
fisica. Se si prendono in esame due distinte serie di criteri e test di accertamento della
morte – quelli cardiopolmonari e quelli neurologici –, pur nelle differenze che li
distinguono e caratterizzano, si può rilevare nel loro impiego il comune requisito che
devono essere evitati due tipi di errori:
1. conclusioni erronee che le funzioni ritenute essenziali per la vita sono perdute
quando in realtà non lo sono (falso positivo);
2. conclusioni erronee che le funzioni ritenute essenziali per la vita non sono perdute
quando in realtà lo sono (falso negativo).
Per questa ragione i test dovrebbero: 1) eliminare errori nel classificare un individuo
vivente come morto; 2) evitare il più possibile errori nel classificare un corpo morto come
vivo; 3) consentire di fare un accertamento senza irragionevole posticipo; 4) essere
Medical Ethics”, 18, 1992, pp. 26-30; D. Hershenov, The Problematic Role of ‘Irreversibility’ in
the Definition of Death, in “Bioethics”, 17, 1, 2003, pp. 89-100.
13
Cfr. D.A. Shewmon, Clinical determination of death in infants and children, in E. Sgreccia,
A.G. Spagnolo, M.L. Di Pietro (a cura di), L’assistenza al morente. Aspetti socio-culturali,
medico-assistenziali e pastorali, Milano, Vita e Pensiero, 1994, pp. 141-175:p. 147.
Rosangela Barcaro
12
adattabili alla varietà delle situazioni cliniche; 5) essere espliciti ed accessibili alla
verifica.
È noto che prima del 1968 la morte degli esseri umani è stata determinata impiegando
esclusivamente parametri che si riferivano alle funzioni cardiopolmonari. La cessazione
irreversibile della respirazione e del battito cardiaco avvenivano a breve distanza l’una
dall’altra e in genere erano richiesti soltanto pochi minuti perché il processo del morire si
concludesse. I segni che la vita era cessata, ossia l’assenza di atto respiratorio e di
pulsazioni, erano manifesti e facilmente rilevabili anche da profani. L’introduzione delle
apparecchiature per la ventilazione artificiale ha contribuito a modificare questo scenario:
tale innovazione tecnologica, ha permesso di ripristinare l’atto respiratorio ed ha
contribuito in modo significativo a modificare una prognosi che senza ventilazione
sarebbe stata infausta. Ma l’impiego degli strumenti per la rianimazione ha fatto molto
più di questo; esso ha generato una condizione clinica sconosciuta: ricoverati nelle unità
di terapia intensiva, collegati a macchine per la ventilazione artificiale, in stato comatoso,
incapaci di rispondere a stimoli esterni e di respirare in modo autonomo, pazienti che
avevano subìto gravi lesioni cerebrali e non avrebbero più ripreso conoscenza,
rimanevano collegati alle apparecchiature nell’attesa dell’arresto cardiaco. I medici non
osavano spegnere le apparecchiature in quanto non sapevano con certezza se quei pazienti
erano già morti e i mezzi di sostegno vitale in realtà “mimavano” soltanto i segni della
vita, oppure se la decisione di “staccare la spina” potesse causare il loro decesso. Le
indagini di Mollaret e Goulon nel 1959 finalizzate alla descrizione del cosiddetto coma
dépassé,
14
la pubblicazione del rapporto dell’Ad Hoc Committee di Harvard nel 1968
dedicato allo studio del coma irreversibile,
15
e del rapporto della President’s Commission
for the Study of Ethical Problems in Medicine and Biomedical and Behavioral Research
16
sulla definizione e determinazione di morte sono alcune delle tappe di un ampio processo
che ha scandito la riflessione sulla morte cerebrale e sull’introduzione di criteri
neurologici nella prassi medica, fondate, come vedremo nel capitolo II della presente
dissertazione, sulle asserzioni che l’encefalo è l’unico organo responsabile del controllo,
coordinamento ed integrazione delle componenti dell’intero organismo, e che la
14
Cfr. P. Mollaret, M. Goulon, Le Coma Dépassé, in «Revue Neurologique», 101, 1, 1959, pp. 3-
15.
15
Cfr. A Definition of Irreversible Coma. Report of the Ad Hoc Committee of the Harvard Medical
School to Examine the Definition of Brain Death, cit.
16
President’s Commission for the Study of Ethical Problems in Medicine and Biomedical and
Behavioral Research, Defining Death: A Report on Medical, Legal, and Ethical Issues in the
Determination of Death, Washington, D.C., U.S. Government Printing Office, 1981.
Rosangela Barcaro
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cessazione delle funzioni cerebrali, documentata attraverso opportuni esami, consente la
dichiarazione di morte del paziente.
Nella presente dissertazione esamineremo teorie e critiche, punti deboli e vantaggi
relativi all’introduzione del criterio della morte cerebrale nella prassi medica.
17
Dalla
presentazione contenuta nel rapporto di Harvard, ed in modo sempre più marcato negli
anni successivi, risulta che l’utilizzo di quel criterio sembrava essere accompagnato
soltanto da conseguenze positive: consentiva la sospensione dei trattamenti ai pazienti in
condizioni di coma irreversibile e dipendenza dalle apparecchiature per la rianimazione,
senza che ci fosse per loro alcuna speranza di ripresa; permetteva il risparmio di preziose
risorse che potevano essere così destinate ad individui con maggiori speranze di trarre
benefici da esse; agevolava il reperimento di organi per il trapianto.
18
L’affermazione dei
criteri neurologici per accertare la morte è stata piuttosto rapida e probabilmente ha
ricevuto un impulso con il primo trapianto di cuore, avvenuto nel 1967 per opera del
cardiochirurgo sudafricano Christiaan Barnard. Quell’intervento aveva dimostrato che
anche il cuore – così come in precedenza era stato per i reni – poteva essere sostituito con
successo mediante un trapianto. Quell’intervento ha contribuito ad un consolidamento
dell’importanza dell’encefalo per la vita umana e, in una sorta di feedback, ha fornito una
importante conferma indiretta della validità dei criteri neurologici per determinare il
decesso.
Non si deve però ritenere che oggi l’uso dei criteri e dei test neurologici abbiano
definitivamente sostituito i criteri “tradizionali” basati sulla funzionalità di cuore e
polmoni. La coesistenza di due diversi standard – cardiopolmonari e neurologici – solleva
non poche perplessità. Ci si potrebbe domandare se due diversi insiemi di criteri e test
possono forse significare che esistono due diverse definizioni di morte, una legata alla
perdita di funzioni cardiorespiratorie ed una alla cessazione di funzioni cerebrali. Oppure,
se la definizione di morte è unica, per quale ragione è possibile utilizzare due diversi
insiemi di criteri e test. E ancora, se sia soltanto una motivazione utilitaristica, dettata
dalla necessità di reperire organi per i trapianti, ad avere consolidato l’impiego dei criteri
neurologici. Le risposte a tali interrogativi, come si vedrà, non sono univoche.
17
Nel capitolo I distingueremo tra tre possibili accezioni del criterio di morte cerebrale, ciascuna
contraddistinta da un aggettivo o un complemento di specificazione, utilizzati dagli studiosi per
indicare l’area anatomica dell’encefalo alla quale ci si riferisce per condurre la determinazione di
morte.
18
Cfr. A Definition of Irreversible Coma. Report of the Ad Hoc Committee of the Harvard Medical
School to Examine the Definition of Brain Death,cit.,p.337.
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14
3. Una nuova definizione di morte o un nuovo criterio?
Esistono visioni spesso contrastanti tra loro circa il significato e l’uso dell’espressione
morte cerebrale: si tratta di una nuova definizione di morte o di un nuovo criterio? Nel
1979 due filosofi statunitensi, Grisez e Boyle, hanno distinto tre diversi tipi di definizione
che possono essere impiegati nel dibattito sulla morte cerebrale: definizione teorica di
morte, definizione fattuale e definizione operazionale. Per spiegare la distinzione operata
essi ricorrono ad un esempio: se si definisce la morte come perdita della coscienza
(definizione teorica), occorre una definizione fattuale – che oggi, secondo la consuetudine
ormai invalsa, chiameremmo criterio – mediante la quale indicare le condizioni per
dichiarare che un soggetto è permanentemente privo di coscienza; una di queste
condizioni potrebbe essere la necrosi dell’encefalo. La definizione operazionale precisa
quali esami debbano essere eseguiti e quali metodi utilizzati per interpretare i risultati
degli esami.
19
Questa precisazione risale a due anni prima della pubblicazione di un
articolo scritto dal neurologo statunitense Bernat insieme a due colleghi, Culver e Gert,
con il quale si tentava di fare chiarezza nel dibattito sulla morte cerebrale.
20
Bernat e
colleghi non ritenevano che fosse stata introdotta una nuova definizione di morte, quanto
piuttosto un nuovo criterio, quello della morte cerebrale totale, che consentiva di
determinare la perdita irreversibile del funzionamento organico integrato.
Bernat e colleghi ritenevano che il criterio di morte cerebrale totale fosse di natura
funzionale, fosse cioè definito in termini di perdita permanente delle funzioni dell’intero
encefalo. Sebbene ci siano stati alcuni medici favorevoli ad un criterio di tipo anatomico,
ossia formulato come distruzione dell’encefalo in conseguenza della quale sono perdute
le funzioni di quell’organo,
21
è prevalsa la “versione funzionale” del criterio di morte
cerebrale.
22
Questo fatto si può forse spiegare in due modi: i criteri cardiopolmonari,
19
Un’analisi del modo di intendere la morte è contenuta ad esempio nel volume di G. Grisez, J.
Boyle, Life and Death with Liberty and Justice. A Contribution to the Euthanasia Debate,Notre
Dame/London, University of Notre Dame Press, 1979, pp. 59-85: p. 63.
20
La distinzione tra definizione di morte, criteri e test per determinarla è stata compiutamente
delineata in J.L. Bernat et al., On definition and criteria of death, in “Annals of Internal Medicine”
94, 3, 1981, pp. 389-394.
21
Era questa l’ipotesi del neonatologo Byrne e colleghi alla fine degli anni Settanta: cfr. P.A.
Byrne et al., Brain Death. An Opposing Viewpoint, in “Journal of the American Medical
Association”, 242, 1979, pp. 1985-1990.
22
I criteri proposti nel rapporto di Harvard erano di tipo funzionale, così come lo sono i criteri
attualmente in uso negli Stati Uniti d’America ed Italia. Si vedano a questo proposito A Definition
of Irreversible Coma. Report of the Ad Hoc Committee of the Harvard Medical School to Examine
the Definition of Brain Death, cit. Per i criteri adottati negli U.S.A. cfr. American Academy of
Neurology Practice Parameters for Determining Brain Death in Adults (summary statement),in
“Neurology”, 45, 1995, pp. 1012-1014; per l’Italia cfr. Legge 29 dicembre 1993, n. 578, Norme
Rosangela Barcaro
15
ancora oggi in uso, sono di tipo funzionale e permettono di affermare che le funzioni di
certi organi – cuore e polmoni – sono cessate e tale cessazione permanente è un indicatore
della morte dell’organismo.
La seconda spiegazione, probabilmente, è fondata su un motivo di ordine utilitaristico:
adottare un criterio anatomico di morte cerebrale avrebbe significato correre il rischio di
non effettuare il prelievo degli organi,
23
in quanto per essere certi della distruzione
dell’encefalo sarebbe occorso più tempo di quello necessario per soddisfare le indicazioni
di un criterio funzionale.
Da quanto sino ad ora detto, sembra che le principali questioni sottese all’uso del
nuovo criterio della morte cerebrale ai fini della determinazione del decesso sia legata a
doppio filo con la questione del trapianto d’organi. Abbiamo già osservato che non ci
occuperemo di tale questione, ma intendiamo fornire un sintetico schema, con gli attuali
orientamenti sul trapianto, per esplorare quali influenze trapianto degli organi abbia
esercitato nella scelta di un criterio neurologico di morte.
4. Morte cerebrale e trapianto degli organi
All’inizio degli anni Cinquanta negli U.S.A. risale la prima serie di trapianti renali,
realizzati al Peter Bent Brigham Hospital di Boston. Si è trattato di tentativi fallimentari
poiché il nuovo organo era rigettato dal sistema immunitario del ricevente. Il primo
trapianto di organo di rene coronato da successo è stato realizzato nel 1954 ed ha
comportato la donazione dell’organo tra gemelli monozigoti: in questo caso il sistema
immunitario del ricevente non ha scatenato una reazione di rigetto, visto l’elevato grado
di compatibilità dei due soggetti coinvolti.
24
Per il primo trapianto di cuore è stato
necessario aspettare fino al 1967. L’intervento eseguito da Christiaan Barnard ha
mostrato che cosa veramente potesse significare «trasferire» la vita da un soggetto appena
per l’accertamento e la certificazione di morte , in “Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana”,
Roma, CXXXV, n. 5, di sabato 8 gennaio 1994, pp. 4-5 ed il relativo decreto di attuazione:
Decreto del Ministero della Sanità 22 agosto 1994, n. 582, Regolamento recante le modalità per
l’accertamento e la certificazione di morte , in “Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana”,
Roma, CXXXV, n. 245, di mercoledì 19 ottobre 1994, pp. 4-7.
23
Un giurista statunitense ha ipotizzato che “se gli standard per la morte fossero stabiliti in base
alla distruzione dell’encefalo invece che alla perdita delle funzioni, non ci sarebbe attualmente un
test in grado di determinare tale distruzione prima dell’arresto cardiaco”. Cfr. A.M. Capron, Death,
Definition of,inR.Chadwick(ed.),Encyclopedia of Applied Ethics, San Diego, Academic Press,
1998, pp. 717-725: p. 719.
24
Cfr. R.P. Baker, V. Hargreaves, Organ Donation and Transplantation: A Brief History of
Technological and Ethical Developments, in W. Shelton, J. Balint (eds.), The Ethics of Organ
Transplantation, Oxford, Elsevier Science, 2001, pp. 1-42.
Rosangela Barcaro
16
defunto ad un paziente prossimo alla morte, ed ha sollevato numerose questioni, relative
ad esempio al consenso alla donazione degli organi e alle possibilità del loro reperimento.
Nel caso dell’intervento eseguito dal cardiochirurgo sudafricano, il cuore era stato
prelevato da una giovane donna che aveva subìto un trauma cerebrale letale e che l’esame
di un neurochirurgo aveva dichiarato “cerebralmente morta”. La donna, condotta in sala
operatoria, era stata scollegata dal respiratore nell’attesa che il cuore si fermasse. Secondo
la testimonianza successivamente fornita da Barnard,
25
si era scelta questa procedura per
evitare le inevitabili discussioni che sarebbero sorte intorno all’effettivo stato (di vita e di
morte) del soggetto sottoposto al prelievo. Un problema procedurale stava facendo
rischiare il futuro sviluppo della chirurgia del trapianto.
26
Evidentemente era necessario
trovare una soluzione. Di seguito anticipiamo soltanto alcune osservazioni che saranno
più dettagliatamente sviluppate nel corso del capitolo I.
Il rapporto dell’Ad Hoc Committee pubblicato nel 1968 ha avuto un ruolo
fondamentale nel progressivo consolidamento della procedura per il prelievo degli organi
da destinare al trapianto. La dichiarazione del decesso di un paziente mediante l’impiego
di criteri neurologici avveniva, e avviene tutt’oggi, con la valutazione dei riflessi cerebrali
e con un test di apnea, necessario per stabilire la perdita della respirazione spontanea;
27
per tale ragione il paziente è scollegato per qualche minuto e poi è ricollegato alle
apparecchiature per la ventilazione artificiale. Se le sue condizioni soddisfano i criteri e
gli esami, il soggetto è dichiarato morto. Se non è donatore di organi, alla dichiarazione
del decesso segue lo spegnimento delle apparecchiature per la rianimazione; se, al
contrario, in vita aveva deciso di donare gli organi, egli è mantenuto collegato alle
macchine ed “assistito” fino al prelievo, per conservare in situ gli organi in condizioni
ottimali; egli è inoltre sottoposto a specifici interventi, come l’iniezione di fluidi
25
Cfr. C. Barnard, Reflections on the First Heart Transplant, in “South African Medical Journal”,
72, 1987, pp. 19-20 (citato da M.A. DeVita, J.V. Snyder, A. Grenvik, History of Organ Donation
by Patients with Cardiac Death, in “Kennedy Institute of Ethics Journal”, 3, 2, 1993, pp. 113-129).
26
C’era anche un altro problema, non meno serio, anche se non esistevano all’epoca mezzi
adeguati per contrastarlo, ossia quello del rigetto degli organi. Il trapianto tra soggetti non
consanguinei comporta ancora oggi questa difficoltà, anche se dai primi anni Ottanta, grazie alla
creazione di un farmaco, la ciclosporina, in grado di svolgere azione immunitaria selettiva, la
possibilità di evitare la reazione di rigetto ha permesso di avviare un ampio programma di
trapianto. Le reazioni immunologiche sono tanto più intense quanto maggiore è la distanza
genetica tra donatore e ricevente. Ai fini della valutazione dell’eventuale rigetto si distinguono
quattro tipi di trapianti: autoinnesti, trapianti di organi e tessuti provenienti dal ricevente;
omoinnesti, ovvero effettuati da un individuo all’altro nell’ambito della medesima specie;
eteroinnesti, da animali a umani (xenoinnesti e xenotrapianti); isoinnesti, effettuati tra individui
geneticamente identici (gemelli omozigoti). Per la classificazione cfr. D. Lamb, Organ
Transplants and Ethics (1990); trad. it. Etica e trapianto degli organi, Bologna, Il Mulino, 1990.
p. 29.
Rosangela Barcaro
17
preservanti, per evitare che gli organi diventino inutilizzabili e pregiudichino la riuscita
del successivo trapianto.
28
Il mantenimento in funzione degli strumenti per la ventilazione
assistita in un paziente dichiarato morto, che nei primi anni del dibattito sulla morte
cerebrale non sembrava turbare la coscienza di nessuno, se si eccettua il filosofo tedesco
Hans Jonas,
29
ha portato a coniare un’espressione per riferirsi a tali soggetti: chiamati
heart-beating cadavers, ossia cadaveri a cuore battente, in poco tempo essi sono divenuti
i candidati ideali dai quali prelevare gli organi, ed i criteri neurologici per l’accertamento
del decesso sono stati a lungo considerati irrinunciabili per l’attività trapiantologica.
Questa situazione si è consolidata anche nel nostro paese, senza suscitare proteste della
comunità scientifica: l’utilità della rianimazione, non più per il paziente, ma in vista della
conservazione degli organi, sembra avere evitato la discussione sulla liceità di tale
procedura.
30
Un altro aspetto piuttosto significativo del problema del trapianto è legato alla scarsità
degli organi disponibili per eseguire gli interventi su pazienti in attesa di ricevere un
organo. Per sopperire alla penuria di organi sono state avanzate molteplici ipotesi:
l’adozione del consenso presunto, in alternativa al consenso esplicito; le eventuali
incentivazioni alla donazione degli organi; l’istituzione di un mercato per gli organi
umani.
31
Ma negli Stati Uniti non ci si è limitati alle discussioni teoriche: alcuni medici
27
Agli aspetti tecnici dell’applicazione dei criteri neurologici è dedicato il capitolo I della presente
dissertazione.
28
Dell’ampia letteratura medica dedicata all’esame delle possibili soluzioni a questo problema
pratico si vedano ad esempio: P.E. Morrisey, A.P. Monaco, Un approccio globale al problema
della donazione di organi, in “Minuti”, 131, 1998, pp. 27-37 e S.F. Emery, K.M. Robertson,
Organ Procurement and Preparation for Transplantation, in E.F.M. Wijdicks (ed.), Brain Death,
Philadelphia, Lippincott Williams & Wilkins, 2001, pp. 189-213. Non sembra casuale che un
articolo sull’assistenza medica post mortem in vista del prelievo degli organi sia inserito in una
raccolta di saggi dedicati ad esempio all’analisi dei criteri neurologici per l’accertamento del
decesso, alla descrizione della metodica e degli strumenti attualmente impiegati negli Stati Uniti,
alle riflessioni etico-filosofiche, religiose e sociologiche sulla morte cerebrale.
29
Cfr. H. Jonas, Against the Stream,inIdem,Philosophical Essays: From Ancient Creed to
Technological Man, Englewood Cliffs, Prentice Hall, 1974, ora pubblicato insieme a due poscritti
del 1976 e del 1985 in traduzione italiana: H. Jonas, Morte cerebrale e banca di organi umani:
sulla ridefinizione pragmatica della morte,inIdem,Tecnica, medicina ed etica. Prassi del
principio responsabilità, Torino, Einaudi, 1999
2
, pp. 167-184.
30
Uno studioso italiano, Perico, ritiene privo di “controindicazione morale” l’impiego della
rianimazione, anche nel caso in cui il medico constati che “nel paziente è in atto un rapido e
incontenibile decadimento di tutte le funzioni cerebrali”. Per Perico lo scopo di “ mantenere gli
eventuali organi da prelevare debitamente irrorati di sangue e ossigenati” giustifica la
decisione del medico, ma egli non fornisce alcuna argomentazione a sostegno delle sue
affermazioni, poste nella parte conclusiva di un articolo dedicato a rilevare i meriti della nuova
legge sull’accertamento della morte (Legge 29 dicembre 1993, n. 578, Norme per l’accertamento e
la certificazione di morte, cit.; cfr. supra,nota23).Cfr.G.Perico,La nuova legge
sull’accertamento di morte , in “Aggiornamenti sociali”, 6/1994, pp. 405-416: p. 416 (grassetto nel
testo originale).
31
Cfr. supra,note5e6.
Rosangela Barcaro
18
hanno ipotizzato la modifica delle procedure di accertamento della morte per adattarle
all’esigenza di ottenere organi vitali. In questo senso un esempio particolarmente
significativo è offerto dal cosiddetto protocollo di Pittsburgh, introdotto nei primi anni
Novanta presso l’Ospedale universitario della omonima città.
32
Delineiamo brevemente i
contenuti principali, riservandoci di ritornare sul tema nella parte conclusiva della
dissertazione. Il protocollo di Pittsburgh si fonda essenzialmente su due requisiti: la
richiesta del paziente di sospendere i trattamenti ai quali è sottoposto, e il suo desiderio di
donare gli organi. Affinché ciò sia possibile, l’accertamento del decesso è effettuato dopo
l’arresto cardiaco e la dichiarazione di morte segue dopo un esiguo tempo di attesa:
devono infatti trascorrere due minuti dopo l’asistolia perché il soggetto sia dichiarato
morto e l’équipe chirurgica possa procedere al prelievo degli organi. Analoghe procedure
sono state adottate anche in Europa intorno alla seconda metà degli anni Novanta (ad
esempio negli Ospedali universitari di Maastricht e di Zurigo, con lievi modifiche rispetto
al protocollo di Pittsburgh), segno che l’esigenza di reperire organi per il trapianto ha
contribuito ad un ripensamento dei metodi per determinare la morte. Ma tali protocolli
hanno soprattutto dimostrato che la condizione neuropatologica dell’infarto cerebrale
totale (quella condizione che è colloquialmente chiamata morte cerebrale totale), insieme
ai criteri per diagnosticarla, non costituisce l’unica possibilità per il reperimento degli
organi. Per fugare ogni dubbio è opportuno precisare che i protocolli per i prelievi da
donatori a cuore fermo (i cosiddetti non-heart-beating donors), non sono stati ideati in
sostituzione dell’accertamento del decesso mediante criteri neurologici; ma è comunque
significativo che sotto il profilo etico essi abbiano sollevato, soprattutto negli U.S.A., un
dibattito estremamente acceso, come potremo vedere nel capitolo III della presente
dissertazione.
5. Recenti sviluppi del dibattito sulla morte cerebrale
I primi anni Novanta sono stati un periodo molto fecondo per il dibattito sulla morte
cerebrale, il quale, insieme all’introduzione del protocollo di Pittsburgh, è stato segnato
da altri eventi: la pubblicazione di un articolo intitolato Rethinking Brain Death,
33
uno
studio di rassegna della letteratura scientifica sulla morte cerebrale, ed un clamoroso caso,
accaduto nella cittadina universitaria di Erlangen, in Germania. Nell’ospedale di quella
32
Cfr. University of Pittsburgh Medical Center Policy and Procedure Manual: Management of
Terminally Ill Patients Who May Become Organ Donors after Death, in “Kennedy Institute of
Ethics Journal”, 3, 1993, pp. A1-A15.
33
Cfr. R.D. Truog, J. Fackler, Rethinking Brain Death, cit.