6
L’impiego di tali mezzi liquidi, evidenzianti eccedenze momentanee,
ma anche durature, di denaro, viene effettuato principalmente in relazione al
tempo di permanenza delle stesse eccedenze e del rendimento del loro
investimento. Si presuppone che il rendimento derivante dall’investimento in
titoli sia superiore ai rendimenti ottenibili da un investimento caratteristico, o
accessorio alternativo, e che in ogni modo, tale rendimento, sia superiore o al
minimo uguale alla presumibile riduzione dei costi finanziari nascenti
dall’utilizzo di tale giacenza per il rimborso di finanziamenti propri e/o di
terzi
1
.
Appartengono alla seconda categoria di titoli, investimenti duraturi,
quelli che vengono destinati ad essere mantenuti nel patrimonio aziendale
quale impiego durevole sino alla loro naturale scadenza: tale qualifica è
subordinata esclusivamente ad una decisione espressa da parte degli
amministratori.
Nelle imprese possono tuttavia essere presenti titoli che sostanziano
operazioni la cui natura è di tipo particolare, come ad esempio titoli per la
copertura specifica di fondi vari, titoli a cauzione presso terzi, ecc..
Un titolo a reddito fisso con durata pluriennale, pur essendo duraturo
per natura, può non esserlo per destinazione, mentre la natura può trovare
conferma nella destinazione, in quanto il titolo è detenuto in forza di un
vincolo contrattuale.
Ad esempio un’obbligazione convertibile in azioni, mantenuta in
portafoglio in vista di trasformarla in partecipazione immobilizzata, è duratura
per natura e al tempo stesso per destinazione.
1
A.MATACENA, P.FORTUNATI - Il bilancio d’esercizio. Le valutazioni.- CLUEB Bologna 1988,
pag. 35.
7
Considerata la delicatezza del problema insito nella scelta relativa alla
classificazione, per gli effetti economici che ne possono derivare, la decisione
deve basarsi su fondate e ragionevoli previsioni che il titolo non sarà riscosso
o negoziato entro breve tempo.
Nel prendere la decisione vanno considerati, tra gli altri, le condizioni
di mercato, la negoziabilità, la capacità dell’azienda di mantenere stabile
l’investimento, gli eventuali vincoli sul titolo, i rischi di insolvenza e il
trattamento fiscale
2
.
2
CNDC – Principi contabili. Titoli e partecipazioni. Documento n°20. – GIUFFRÈ Edit. Milano
1997, pag. 22.
8
-1.2- PARTECIPAZIONI
Il trattamento delle partecipazioni societarie ai fini di una corretta
iscrizione nel bilancio d’esercizio delle imprese rappresenta una delle
tematiche più dibattute in dottrina, non consentendo una soluzione definitiva
ed unanimamente accettabile.
In particolare, il problema della valutazione presenta le maggiori
incertezze in quanto, alla generale esigenza di ricercare criteri rappresentativi,
già di per sé molto difficoltosa, si aggiungono le necessità specifiche derivanti
dalle peculiarità delle operazioni in oggetto, le quali si collocano in posizione
atipica rispetto all’ordinario processo produttivo delle imprese industriali. Tale
complessità è inoltre legata alla multiformità con cui le partecipazioni si
manifestano nell’economia dell’impresa rendendone elaborata, se non
impossibile, una esauriente classificazione che costituisca valido presupposto
alla formulazione di efficaci criteri valutativi. La natura dei titoli partecipativi,
la loro quantità, la loro capacità di attribuire poteri decisionali, le motivazioni
che sono alla base della loro acquisizione, sono tutti elementi rilevanti, che
rendono più frammentata e difficoltosa una corretta esposizione in bilancio.
La possibilità di assumere una partecipazione in altra impresa deve
essere prevista nell’atto costitutivo della partecipante e comunque l’oggetto e
la misura di tale partecipazione non devono sostanzialmente modificare
l’oggetto sociale della stessa (art. 2361 cod. civ.).
La partecipazione costituisce una presenza nel capitale di un’altra
società, in virtù della quale può essere esercitato un condizionamento o un
dominio sulla gestione della medesima.
Il grado di influenza dipende in concreto dall’entità della stessa
posseduta, da eventuali vincoli contrattuali, nonché da rapporti economici di
dipendenza i quali si sono di fatto venuti a creare.
9
Sovente si suole distinguere due fondamentali categorie di
partecipazioni, che comunque non sono sempre facili da definire:
• Partecipazioni di controllo;
• Partecipazioni non di controllo.
Le prime sono uno strumento per la creazione e l’ampliamento dei
gruppi aziendali.
La formazione di tali gruppi costituisce una modalità strategica per
realizzare strutture aziendali integrate e flessibili allo stesso tempo.
A seconda della prospettiva di partenza dell’impresa che dà vita al
gruppo (società capogruppo o holding) le partecipazioni possono servire a due
principali finalità:
1. Crescita dell’impresa capogruppo per via esterna, cioè senza l’aumento
della propria dimensione. Questo consente di realizzare uno sviluppo che
non arrechi i problemi di rigidità e di complessità gestionale di una grande
dimensione.
2. Il decentramento operativo e decisionale realizzato da parte di un’impresa
sovradimensionata che, attraverso operazioni di scorporo, dà vita a diverse
società di cui mantiene il controllo attraverso forme di partecipazione.
Questa soluzione permette ad un'impresa divenuta troppo grande di
ricostituire condizioni di flessibilità, senza peraltro perdere la propria
capacità decisionale
3
.
In ogni caso, la società che detiene le partecipazioni di controllo viene
ad esercitare un dominio sulla gestione delle società consociate, anche se
queste hanno una loro individualità giuridica.
3
P.BASTIA – Introduzione ai principi contabili – CLUEB Bologna 1990, pag. 74-75.
10
Sul piano economico, quindi, i risultati delle gestioni delle società
controllate sono determinati o condizionati in grande misura dal
coordinamento e dall’indirizzo strategico della società capogruppo:
quest’ultima attua le proprie azioni e consegue i propri obiettivi proprio
attraverso la concertazione delle gestioni delle diverse società facenti parte del
gruppo che essa ha costituito attraverso le partecipazioni.
Si può dunque facilmente intuire come il bilancio della società
partecipante non può ignorare le interdipendenze che sussistono con le
imprese controllate in virtù dei rapporti di partecipazione.
Le partecipazioni non di controllo riguardano il possesso di azioni o
quote in altre imprese o società che per la loro entità e per l’assenza di ulteriori
vincoli non permettono di esercitare un’influenza dominante o notevole sulla
gestione della stessa, ma che tuttavia costituiscono un investimento del
soggetto economico, dato che da esse possono discernere vantaggi economici
e non, diretti (es.: dividendi, diritti d’opzione) e indiretti (collaborazioni
aziendali dal punto di vista della rete distributiva o degli approvvigionamenti,
condizioni favorevoli nei contratti di fornitura e nell’ottenimento di
finanziamenti, ingresso in mercati protetti, acquisizione di conoscenze e
tecnologie altrimenti difficilmente acquisibili, ecc.).
Le partecipazioni, pertanto, costituiscono fattori produttivi aventi natura
strategica in quanto, pur non intervenendo direttamente nel processo tecnico di
trasformazione, migliorano le condizioni e le prospettive nelle quali si svolge
l’attività produttiva tipica dell’azienda. In considerazione del particolare tipo
di complementarietà che si instaura con gli altri fattori della coordinazione
produttiva, le partecipazioni assumono, quindi, la fisionomia di investimenti
“sui generis”. Generalmente distinguiamo i fattori produttivi specifici in:
11
• Beni a fecondità semplice (o a rapido rigiro), se cedono la propria utilità
interamente per l’ottenimento di un’unica unità di prodotto;
• Beni a fecondità ripetuta (o a lento rigiro), se distribuiscono la loro utilità
in più cicli produttivi in un arco di tempo limitato e determinabile;
• Beni a realizzo diretto (o beni-merce), se trasferiscono la loro utilità senza
subire il processo di trasformazione, attraverso la diretta collocazione sul
mercato di sbocco.
In questo senso, le partecipazioni non sono assimilabili ai beni a fecondità
semplice, in quanto non originano un consumo immediato che si esaurisce in
un singolo processo produttivo, analogamente, esse non possono essere
ritenute investimenti in beni a fecondità ripetuta, non ricorrendo neanche il
caso di un consumo frazionato in più periodi con relativa ripartizione
dell’utilità, vista anche la non determinabilità del tempo in cui restano
vincolate alla gestione. L’ultima ipotesi, relativa ai beni a realizzo diretto, va
scartata se si escludono le società finanziarie (il cui oggetto sociale riguarda
appunto la compravendita di quote sociale) e le partecipazioni costituenti
attività finanziarie, il cui intento è preminentemente speculativo.
Più in generale, negli investimenti in partecipazioni viene a perdersi la
corrispondenza tra fattore produttivo e consumo
4
, che è, invece, tipica nelle
altre ipotesi; lo stesso concetto di “utilizzazione” va inteso non nel senso di
materiale impiego nel processo tecnico di trasformazione, bensì di attitudine
ad ampliare, come già in precedenza evidenziato, i margini di manovra della
gestione ai fini di un miglioramento della capacità di reddito dell’azienda.
4
“… le partecipazioni non sono soggette a “consumarsi” integrandosi nei risultati della produzione,
ma alla modificazione delle condizioni che ne avevano accompagnato l’acquisizione, fino al limite di
considerarne non più economicamente utile il mantenimento.” P.MANZONETTO – Problemi attuali
di valutazione in tema di titoli e partecipazioni – pag. 160, in AA.VV. – Il bilancio di esercizio –
GIUFFRÈ Edit. Milano 1978.
12
L’elemento distintivo delle partecipazioni diventa quello di essere beni
patrimonializzati per natura, appartenenti cioè, in modo stabile e a tempo
indeterminato, al patrimonio aziendale, non subendo effetti diretti dallo
svolgimento del processo produttivo.
Tutto ciò si riflette sulla natura dei valori che misurano questi elementi
del patrimonio aziendale: le partecipazioni, infatti, non originano “costi
sospesi” da rinviare al periodo successivo in base alla loro competenza futura,
né “costi da ammortizzare” secondo una ripartizione in più esercizi
rispondente al deperimento fisico o tecnico; si tratta, piuttosto, di “costi
patrimonializzati” in attesa dei corrispondenti ricavi derivanti
dall’acquisizione dei diritti alla percezione di frutti (diretti e indiretti) generati
da un economia esterna che interagisce con la gestione interna.
13
-1.3- TIPOLOGIE DEI PRINCIPALI TITOLI E PARTECIPAZIONI
Le attività patrimoniali in argomento, essendo valori mobiliari,
possiedono le seguenti caratteristiche:
1. Quotabilità, ovvero: in presenza di prestabiliti requisiti possono essere
iscritti nei listini ufficiali della borsa valori;
2. Stanziabilità, ovvero: possibilità di scambio mediante compensazione di
reciproche posizioni creditorie e debitorie;
3. Bancabilità, ovvero: possibilità di essere accettati nell’ambito di
particolari contratti.
Occorre poi, richiamare la nota ripartizione dei principali mercati,
relativamente alle caratteristiche degli strumenti finanziari:
• Il Mercato Monetario, costituito dall’insieme delle negoziazioni di
strumenti finanziari a breve termine (di regola con scadenza massima di 12
mesi), caratterizzati da basso rischio e alta liquidità.
• Il Mercato Finanziario, costituito dalle negoziazioni di strumenti
finanziari a medio-lungo termine.
• Il Mercato dei Cambi.
I primi due mercati possono a loro volta essere suddivisi in Mercato
Primario, in cui vengono trattati gli strumenti finanziari di nuova emissione e
Mercato Secondario, nel quale avvengono gli scambi di strumenti finanziari,
a breve o medio-lungo termine, già in circolazione (ad es. la Borsa Valori).
Come è noto dal 1° gennaio 1999 in attuazione delle norme del D.Lgs.
24 giugno 1998, n. 213, i titoli di nuova emissione devono essere emessi in
EURO, mentre quelli ancora in circolazione devono essere ridenominati nella
valuta ufficiale dei Paesi aderenti all’Unione economica e monetaria
dell’Europa.
14
-1.3.1- TITOLI DI STATO
Sono titoli che presentano un basso livello di rischio dato che
l’insolvenza è praticamente nulla e presentano un livello alto di negoziabilità.
In generale l’attuale normativa prevede una tassazione, operata al momento
della corresponsione degli interessi, pari al 12,50% per i titoli pubblici
5
.
• Buoni Ordinari del Tesoro (BOT): possono essere definiti come titoli a
breve scadenza (3 mesi, 6 mesi, 12 mesi) che si collocano dunque nel
“mercato monetario” (mercato dei capitali a breve termine). Sono emessi
ad un prezzo inferiore a quello di rimborso: il prezzo di emissione è tanto
minore quanto più lontana è la data di scadenza del titolo. Il taglio minimo
è di 5 milioni. Il tasso d’interesse è implicitamente rappresentato dalla
differenza tra il prezzo d’emissione (o corso attuale) ed il valore nominale
di rimborso del titolo. Su tale differenza deve essere applicata la ritenuta
fiscale del 12,50% a titolo d’imposta per le persone fisiche e a titolo
d’acconto per le persone giuridiche. I BOT appartengono al debito
“fluttuante” dello Stato: questa forma di indebitamento, in realtà, assunse
nel passato (oggi molto meno) carattere permanente, finanziando
continuamente il rilevante e crescente deficit statale e non i temporanei
sfasamenti fra entrate ed uscite monetarie.
• Buoni del Tesoro in Euroscudi (BTE): sono stati emessi per la prima volta
nel 1987 e sono caratterizzati dal valore nominale e dal rendimento
espressi in ECU. Essi sono affini ai BOT, avendo una breve durata (un
anno) e non avendo cedole periodiche, ma un rendimento che scaturisce
dalla differenza tra il valore nominale di rimborso e prezzo di emissione
sotto la pari.
5
Fatte salve le disposizioni precedenti come da tabella al paragrafo 1.3.4.
15
• Buoni del Tesoro Poliennali (BTP): sono titoli del debito pubblico
caratterizzati da scadenze che si collocano nel medio-lungo termine (da 2 a
10 anni) e dall’esistenza di un interesse fisso, pagato di norma
semestralmente attraverso lo stacco di una cedola. Il rendimento è la
risultante del tasso di interesse e del prezzo di emissione, che può essere
alla pari (cioè uguale al valore nominale) oppure sotto la pari (inferiore al
valore nominale).
• Certificati di Credito del Tesoro (CCT): la loro scadenza può essere a 2, 3,
4, 5, 7, 10 anni e quindi appartengono al mercato dei capitali a medio-
lungo termine. Il prezzo di emissione è differenziato in relazione alla
scadenza del titolo: è inferiore per i CCT con scadenze più lontane ed è più
elevato per i titoli di durata più breve (è comunque sempre sotto la pari).
Gli interessi vengono corrisposti in via posticipata attraverso delle cedole
annuali. Le cedole successive alla prima vengono determinate sulla base
del rendimento dei BOT a 6 mesi; l’indicato rendimento viene aumentato
di un premio (spread) variabile in rapporto alla durata del CCT. Essi sono
dunque titoli “indicizzati”. Accanto ai tradizionali CCT esistono i
Certificati di Credito del Tesoro Convertibili che incorporano la facoltà di
essere convertiti, da parte dell’investitore, in titoli a cedola fissa.
• Certificati del Tesoro in euroscudi (CTE) e Certificati del Tesoro ad
indicizzazione reale (CTR): rappresentano entrambi due sottocategorie dei
CCT. Oggi li troviamo ancora presenti nel mercato, ma rappresentano una
quota esigua nella globalità dei titoli circolanti. I CTE vengono remunerati
con una cedola fissa espressa, come il capitale, in ECU. Le loro scadenze
sono a 4, 5, 6, 7 e 8 anni. Sono emessi alla pari e fruttano una cedola
annuale, posticipata e a tasso fisso. I CTR, emessi per la prima volta nel
1983, sono gli unici titoli che offrono la rivalutazione del capitale in base a
un indice dei prezzi (indicizzazione reale) costituito dal “deflatore del PIL
al costo dei fattori”. La cedola è pari al 2,5% del capitale rivalutato.
16
• Certificati di credito del Tesoro a Sconto (CTS): hanno una durata pari a 7
anni, offrono un rendimento misto costituito da una parte fissa
rappresentata dallo sconto sul valore nominale, e da una parte variabile,
rappresentata dalla cedola indicizzata al rendimento dei BOT a 12 mesi.
• Certificati di credito del Tesoro con Opzione (CTO): è un titolo a cedola
fissa con l’opzione per il sottoscrittore di ottenere il rimborso del capitale
alla pari con alcuni anni di anticipo rispetto all’originaria scadenza;
attualmente i CTO hanno una durata all’emissione di 6 o 8 anni, con
possibilità di rimborso anticipato rispettivamente dopo 3 e 4 anni.
-1.3.2- OBBLIGAZIONI
Le obbligazioni rappresentano lo strumento tipico utilizzato dalle
società per azioni per la raccolta di capitale di prestito presso il pubblico; esse
vengono emesse da enti pubblici e società commerciali. Sono titoli di credito
nominativi o al portatore che costituiscono frazioni di un’operazione di
finanziamento a titolo di mutuo di uguale valore nominale e con uguali diritti.
E’ uno strumento di finanziamento tipicamente di lungo periodo. Vi sono dei
limiti all’emissione di obbligazioni. L’art. 2410 del cod.civ. prevede ⇒“La
società può emettere obbligazioni al portatore o nominative per somma non
eccedente il capitale versato ed esistente secondo l’ultimo bilancio
approvato.” Questo implica che una società che ha in circolazione delle
obbligazioni non può ridurre il capitale sociale, senza procedere ad una
riduzione proporzionale delle obbligazioni.
Tale estremo, prosegue l’art. 2410, può essere superato in particolari
circostanze: quando le obbligazioni siano garantite dalla presenza di un
ipoteca su immobili di proprietà della società, sino a due terzi del valore di
questi; quando vi siano titoli nominativi emessi o garantiti dallo Stato, con
17
scadenza non anteriore alle obbligazioni, ovvero crediti di annualità o
sovvenzioni a carico dello Stato o di altro ente pubblico, che garantiscano
l’eccedenza dell’importo delle obbligazioni rispetto al capitale versato; infine,
l’autorità governativa può autorizzare la singola società ad emettere
obbligazioni, anche senza le citate garanzie, oltre la soglia massima prevista,
se ricorrono particolari ragioni ed interessi di economia nazionale.
L’emissione di prestiti obbligazionari è una forma di finanziamento
interessante poiché consente di ottenere fondi per periodi lunghi con costi
globalmente contenuti e senza influire in alcun modo sulla gestione. Le
obbligazioni, essendo titoli rappresentativi di capitale di terzi, attribuiscono ai
possessori la qualità di creditori, ai quali spetta una remunerazione periodica
fissa e il rimborso del valore nominale del titolo alla scadenza.
• Obbligazioni ordinarie: sono quelle non caratterizzate da meccanismi
particolari di indicizzazione o di corresponsione di interessi o di altri
elementi del prestito. Il pagamento degli interessi avviene a scadenze
prefissate, generalmente semestrali o annuali, mediante lo stacco delle
cedole incorporate nel titolo. Il rimborso avviene di norma attraverso un
prefissato piano di ammortamento del prestito che può prevedere
alternativamente in tre modi: 1) per estrazione: ogni anno viene estinta una
parte del prestito mediante estrazione a sorte del numero dei certificati da
rimborsare; 2) per riduzione graduale del valore nominale: ogni anno ogni
certificato ha diritto ad un rimborso parziale; 3) per acquisto in borsa: ogni
anno l’emittente acquista titoli necessari per rispettare il piano di
ammortamento.
• Obbligazioni convertibili: disciplinate dall’art. 2420 bis del cod.civ., tali
obbligazioni su richiesta del sottoscrittore ed alle condizioni prefissate,
possono essere cambiate in azioni della società emittente (procedimento
diretto) o di altra società (procedimento indiretto). Queste obbligazioni
assicurano ai loro portatori, oltre alla stabilità della rendita, la possibilità di
18
trasformare la loro posizione di creditori in azionisti. Per la società
emittente il vantaggio è legato al fatto di ottenere capitale di credito con
l’eventualità che si trasformi in capitale di rischio. Si migliora in tal modo
la struttura finanziaria attraverso una diminuzione dei debiti ed un aumento
del capitale proprio.
• Obbligazioni speciali: esistono altri tipi di obbligazioni che non sono
assoggettate ad una particolare disciplina dettata dal codice, fatte salve le
disposizioni generali in materia di obbligazioni. Citiamo ad esempio le
Obbligazioni indicizzate che prevedono la corresponsione di interessi in
funzione di indici di varia natura, interni o esterni alla società emittente
(costo della vita, tassi sui titoli di stato). La loro finalità è quella di offrire
all’investitore una protezione contro l’inflazione. Le Obbligazioni a premio
prevedono sorteggi di premi in denaro o in natura unitamente alla
corresponsione di un interesse periodico. Le Obbligazioni con warrant
sono fornite di un diritto d’opzione su azioni della società emittente o di
altra società. Tale diritto rimane perfettamente autonomo rispetto al titolo
obbligazionario e l’obbligazionista acquista le suddette azioni senza che
necessariamente perda il suo status.
• Obbligazioni valutarie (eurobonds): sono sottoscritte da un pool di banche
multinazionali e piazzate sui mercati finanziari internazionali in paesi
diversi da quello della valuta di denominazione. Ad esempio, l’Italia ha
emesso obbligazioni in yen (euroyen) negoziate fuori dal Giappone.
• Obbligazioni estere (foreign bonds): sono emesse in un mercato locale e in
valuta locale. Possiamo trovare le stesse diverse tipologie italiane.
19
-1.3.3- AZIONI
Giuridicamente le azioni rappresentano una quota del capitale sociale
della società emittente: il loro titolare partecipa alle sorti dell’azienda con una
responsabilità patrimoniale limitata al valore dei titoli posseduti (art. 2346 e
segg. del cod.civ.).
• Azioni ordinarie: con il possesso di tali azioni o anche di una soltanto, il
possessore diventa socio azionista, con l’attribuzione e la titolarità di un
complesso unitario di diritti e poteri amministrativi e patrimoniali. Le
azioni incorporano tutti identici diritti e hanno tutte il medesimo valore.
Diverse sono le tipologie di “valore”: il valore nominale rappresenta la
parte di capitale sociale nominale incorporata nella singola azione (è
vietata l’emissione sotto la pari cioè ad un prezzo inferiore del valore
nominale); il valore reale (o patrimoniale) si ottiene dividendo il
patrimonio netto per il numero di azioni; il valore di mercato rappresenta il
prezzo di compravendita che per le società quotate scaturisce nella Borsa
Valori. I diritti conferiti dalle azioni ordinarie si possono riassumere in: 1)
un diritto di voto e di partecipazione alle assemblee ordinarie e
straordinarie; 2) un diritto all’ottenimento di una quota di utile (se esiste e
viene ripartito) proporzionale alla quota di capitale posseduto; 3) un diritto
al rimborso del capitale in caso di liquidazione; 4) un diritto di opzione,
cioè la possibilità di ottenere nuove azioni in proporzione a quelle già
possedute in caso di aumento di capitale, così che il vecchio assetto
proprietario possa essere mantenuto anche in caso di nuove emissioni
6
.
Oltre alle azioni ordinarie esistono altri tipi di azioni dette speciali che
attribuiscono ai possessori diritti diversi da quelli tipici previsti dalla disciplina
legale.
6
M.DALLOCCHIO – Finanza d’azienda – EGEA Milano 1995, pag. 349-350.