11
Sintesi e conclusioni.
Nel 1956, limitatamente ai dipendenti pubblici, fu introdotta
nell’ordinamento italiano la facoltà di ritirarsi prima dell’età
pensionabile. Un tale istituto non era sconosciuto nel panorama della
previdenza sociale europea ma in Italia si caratterizzò per la
completa indipendenza da qualsiasi requisito anagrafico. Infatti, in
assenza di efficaci controlli politici, l’apparato burocratico riuscì a
predisporre il DPR 17/1956 che, valicando i limiti della delega,
assicurò la possibilità di un trattamento pensionistico ai dipendenti
pubblici in possesso di soli 25 anni di servizio (1).
Nel 1969, dopo la temporanea istituzione del 1965 (2) e
l’abrogazione del 1968 (3), la legge n. 153 introdusse la facoltà di ritiro
(1) Paragrafo n. 1.2.1.
(2) Paragrafo n. 1.2.2.
(3) Paragrafo n. 1.3.1.
Sintesi e conclusioni 12
precoce anche nel settore privato (4).
L’assenza di appropriati dati statistici impedisce di valutare
l’impatto del nuovo istituto sul numero di pensioni in pagamento a
favore di ex dipendenti pubblici, ma alcune indirette informazioni
lasciano supporre un immediato, massiccio e continuo ricorso al ritiro
anticipato (5). L’abbandono precoce del pubblico impiego, peraltro è
stato molto facilitato dal modestissimo requisito contributivo, dalla
quasi perfetta stabilità del rapporto di lavoro e dal fatto che già dagli
anni venti tutti i dipendenti pubblici avevano propri fondi
previdenziali.
L’istituzione del trattamento anticipato assicurò ai dipendenti
pubblici del 1956 una favorevole redistribuzione sia nei confronti
delle altre generazioni sia nei confronti dei lavoratori privati loro
contemporanei. In senso intergenerazionale, infatti, qualsiasi
miglioramento del trattamento previdenziale avvantaggia le
generazioni attive nel momento in cui esso è introdotto (6); in senso
intragenerazionale, invece, vi è una redistribuzione se non tutti i
coetanei sono soggetti alle stesse regole (7).
(4) Paragrafo n. 1.3.2.
(5) Paragrafo n. 2.3.
(6) Paragrafo n. 4.2.
(7) Paragrafo n. 4.3.
Sintesi e conclusioni 13
Il diritto al pensionamento anticipato fu riconosciuto ai
dipendenti privati grazie alla mobilitazione del movimento operaio -
e in particolare delle sue espressioni sindacali e politiche - che fece
della pensione di anzianità un punto fondamentale della ‘vertenza
-69. Benché l’area di applicazione del
nuovo istituto comprendesse anche i lavoratori autonomi, essi non si
dimostrarono particolarmente attivi nella fase propositiva. I
lavoratori autonomi e le loro rappresentanze erano infatti
politicamente più vicini alla coalizione di maggioranza, e inoltre, più
pragmaticamente, le loro gestioni previdenziali erano così giovani da
precludere comunque agli iscritti il rispetto dell’elevata anzianità
prevista dalla legge 153/1969. Il requisito contributivo per il settore
privato fu, infatti, stabilito in 35 anni di contribuzione effettiva,
figurativa o volontaria (e non in 25 anni come per i dipendenti
pubblici).
Il nuovo istituto assicurò ai dipendenti privati attivi nel 1969
una redistribuzione intergenerazionale piuttosto massiccia, sebbene
inferiore a quella goduta dai dipendenti pubblici del 1956 (8).
L’intervento del 1969, peraltro, si caratterizzò per un’elevata iniquità
in senso intragenerazionale (9). A causa dell’eterogeneità dei requisiti
(8) Paragrafo n. 4.2.
(9) Paragrafo n. 4.3.
Sintesi e conclusioni 14
di pensionamento precoce, non fu del tutto eliminata la
sperequazione a favore del pubblico impiego. L’assenza di qualsiasi
elemento attuariale nel calcolo delle prestazioni, inoltre, fece in modo
che le pensioni di anzianità accentuassero i vantaggi accordati dal
sistema pensionistico alle donne (per la maggiore longevità) e alle
carriere più brillanti (per la commisurazione dei trattamenti alle sole
ultime retribuzioni). La mancata considerazione dell’età del
beneficiario nel calcolo delle prestazioni, infine, rese il ritiro precoce
un potente elemento di redistribuzione a favore dei pensionati più
giovani.
Nel 1973 fu ulteriormente ampliato il divario fra settore pubblico
e settore privato perché, ancora una volta con un decreto delegato,
l’anzianità richiesta ai dipendenti statali fu ridotta a 20 anni (10).
Negli anni settanta e nella prima metà degli anni ottanta i ritiri
anticipati del settore privato mostrarono un contenuto ritmo di
crescita (11). Da un lato, i lavoratori autonomi non potevano
possedere la pluridecennale anzianità richiesta a causa della recente
istituzione dei loro fondi. Fra i dipendenti privati, invece, si avviò
all’età del pensionamento di vecchiaia una generazione che aveva
vissuto due guerre mondiali e la recessione degli anni trenta. Essa, per
(10) Paragrafo n. 1.3.3.
(11) Paragrafo n. 2.2.2.
Sintesi e conclusioni 15
questo, mostrava delle carriere professionali discontinue e
generalmente brevi, dunque prive dei requisiti di storia contributiva
che avrebbero potuto consentire un pensionamento anticipato per
anzianità.
Fra la seconda metà degli anni ottanta e l’inizio degli anni
novanta si registrò una forte accelerazione delle pensioni di anzianità
in pagamento (12). In quel periodo gli altri paesi industrializzati
corressero in senso restrittivo i loro sistemi di welfare state - abolendo,
fra l’altro, il pensionamento anticipato - sotto la spinta delle
emergenti teorie neoliberiste e di un progressivo invecchiamento della
popolazione.
In Italia, invece, la previdenza sociale fu usata come strumento
di politica industriale a sostegno di una profonda ristrutturazione
produttiva. Assecondando una pluridecennale tendenza nazionale al
calo dei tassi di attività e di occupazione in età elevata (13), le imprese
espulsero i lavoratori più maturi ritenendoli poco flessibili e
disponibili al cambiamento. La contrattazione trilaterale fra
industriali, sindacati e Governo permise ad alcuni di loro di uscire dal
lavoro attraverso il pensionamento anticipato. Altri sfruttarono la
professionalità acquisita intraprendendo attività di carattere
(12) Paragrafo n. 2.2.3.
(13) Paragrafo n. 2.4.
Sintesi e conclusioni 16
autonomo, generalmente di tipo artigianale o commerciale. Questi
ultimi, sommando la pregressa storia contributiva come lavoratori
dipendenti a quella successiva di natura autonoma, in breve tempo
raggiunsero i requisiti per la pensione di anzianità che, fra l’altro, era
compatibile con un reddito da lavoro non subordinato. Dunque, molte
delle pensioni di anzianità che negli anni ottanta erano contabilizzate
nei fondi dei lavoratori autonomi, in realtà erano giustificate da storie
contributive in massima parte di tipo dipendente.
Nei primi anni novanta il ritmo di crescita dei ritiri anticipati
accelerò ulteriormente (14). I dipendenti privati, infatti, avevano alle
spalle un periodo sufficientemente lungo di stabilità e sviluppo
economico; i fondi dei coltivatori diretti e degli artigiani, invece,
proprio in quel periodo giunsero a maturare i requisiti di anzianità
introdotti negli anni sessanta. Lo sviluppo quantitativo delle pensioni
di anzianità si inserì in una più generale crescita dei benefici
pensionistici - non accompagnata da un adeguato aumento dei
contributi - che andava determinando l’accumulazione di un ingente
debito previdenziale già dal decennio precedente. Le autorità fiscali
non intervennero tempestivamente perché l’ampia spesa sociale era
funzionale alla ricerca del consenso in un’eterogenea area costituita
da percettori di profitti e rendite, operatori del terziario e settori
(14) Paragrafo n. 2.2.4.
Sintesi e conclusioni 17
ampiamente garantiti del lavoro dipendente (15).
Nel 1992 alcune circostanze apparentemente slegate l’una
dall’altra (le turbolenze sui mercati monetari, l’adesione italiana al
progetto di integrazione europea e l’instabilità politica) imposero
nuovi obiettivi di politica economica (16). L’obiettivo principale
divenne il riassorbimento del debito pubblico, alla cui formazione
contribuirono i disavanzi delle gestioni previdenziali. A ciò si
aggiunse una nuova sensibilità sociale che impose una revisione del
welfare state in senso egalitarista, per farlo tornare ad essere uno
strumento risolutore e non creatore di conflitti distributivi.
Il nuovo quadro finanziario, politico e sociale fece percepire il
pensionamento anticipato come un onere non più sostenibile né
giustificabile e quindi, dopo una mediazione politica piuttosto
laboriosa, esso fu gradualmente abrogato dalle leggi 335/1995 e
449/1997 (17). Si deve rilevare che questa decisione sembra
improntata più all’equità che all’efficienza. Infatti, sulle pensioni di
anzianità non intervenne la legge 421/1992, che diede il via al nuovo
corso di politica economica e che fu ispirata dalla necessità di
ricondurre sotto controllo la spesa previdenziale, ma la legge
(15) Paragrafo n. 4.4.2.
(16) Paragrafo n. 1.4.2.
(17) Paragrafo n. 1.5.
Sintesi e conclusioni 18
335/1995, il cui obiettivo principale fu quello di eliminare le
distorsioni equitative. Ad ulteriore conferma, si può osservare come la
legge n. 335 preveda una transizione ‘accelerata’ per i dipendenti
pubblici, che partivano da posizioni di maggior vantaggio. Si noti,
infine, che le iniquità avrebbero potuto essere mitigate con un
cambiamento meno traumatico di quello disposto dalla legge n. 335 e
consistente in un correttivo di natura attuariale nella formula
retributiva (18).
Sino all’anno 2008, quando ancora vi sarà un flusso annuo di
ritiri precoci, l’inasprimento dei requisiti sarà tale da rallentare ma
non bloccare del tutto la crescita dei trattamenti anticipati in
pagamento (19). Negli anni successivi, lo stock di pensioni di
anzianità diminuirà gradatamente, sino ad estinguersi intorno agli
anni 2013-15. La scarsità delle informazioni disponibili e l’incertezza
sulle scelte individuali degli assicurati, ostacolano la produzione di
una stima più puntuale.
Le leggi nn. 421, 335 e 449 hanno eliminato gran parte delle
precedenti iniquità (20). Nel corso della fase transitoria delle tre
riforme si assisterà alla convergenza dei trattamenti accordati alle
(18) Paragrafo n. 4.4.1.
(19) Paragrafo n. 3.2.
(20) Paragrafi nn. 4.2 e 4.3.
Sintesi e conclusioni 19
diverse categorie professionali, ai diversi profili di carriera e ai due
sessi. La perfetta omogeneità di trattamento fra coetanei si
raggiungerà intorno agli anni 2035-40 e, a partire da quel momento,
l’eventuale redistribuzione intergenerazionale dipenderà da elementi
esterni al sistema previdenziale quali la dinamica demografica e la
crescita del reddito nazionale. Poiché la facoltà di ritiro anticipato sarà
abrogata già nel corso della transizione verso il nuovo regime, essa
a produrre gli effetti distorsivi che la caratterizzano. Le
redistribuzioni, però, saranno via via meno pronunciate e in parte
giustificate da trasferimenti di natura solidaristica a favore di chi ha
svolto attività particolarmente faticose e di chi ha cominciato a
Introduzione 7
L’insieme delle spese volte a tutelare i cittadini dal rischio di
perdere temporaneamente o definitivamente la capacità di produrre
reddito (per malattia, maternità, disoccupazione involontaria o
vecchiaia) costituisce la previdenza sociale. In paesi come l’Italia, essa è
finanziata in massima parte dall’imposizione sul reddito da lavoro di
appositi tributi (i contributi previdenziali) e rappresenta dunque una
forma di solidarietà limitata all’insieme dei cittadini che sono, o sono
stati, presenti sul mercato del lavoro. La tipica prestazione
previdenziale è la pensione di vecchiaia, una rendita vitalizia contro la
perdita della capacità lavorativa dovuta all’invecchiamento, erogata
quando il beneficiario raggiunge un prestabilito limite anagrafico.
La previdenza sociale italiana, a causa del suo irregolare
sviluppo (2), ha un’organizzazione su base professionale per cui, a
seconda dell’attività praticata, ogni lavoratore deve iscriversi ad un
particolare fondo avente delle specifiche regole in merito ai contributi
ed alle prestazioni. Ad esempio, nel periodo 1968-96 sono stati attivati
37 fondi previdenziali appartenenti a 19 enti diversi (3).
Pur nella varietà delle regole di funzionamento, tutte le gestioni
della previdenza sociale italiana prevedono l’erogazione di una
(2) Per una analisi dell’evoluzione normativa e quantitativa della previdenza
italiana, cfr. Pizzuti [1990].
(3) Cfr. NVSP [1998].
Introduzione 8
rendita vitalizia condizionata non solo all’età anagrafica del
beneficiario ma anche alla sua anzianità di assicurazione. Nelle
gestioni dei dipendenti pubblici essa prende il nome di trattamento
anticipato, in quelle dei lavoratori del settore privato essa prende il
nome di pensione di anzianità (4).
Questo lavoro si propone di esaminare tre aspetti dell’esperienza
italiana in tema di ritiri anticipati: le forze che ne hanno guidato
l’evoluzione normativa, la dimensione dei trattamenti, gli effetti
redistributivi. I tre profili, benché logicamente separabili, sono
strettamente connessi.
Nel primo capitolo si analizzerà lo sviluppo normativo in tema
di pensioni di anzianità del periodo 1956-97. Confrontando chi ha
sostenuto in sede legislativa ogni singolo provvedimento ed i gruppi
sociali che ne hanno tratto vantaggio, si cercherà di capire se l’istanza
di rinnovamento è nata nella società ed è stata recepita dalla politica o
viceversa. Saranno considerati gli otto interventi legislativi compresi
fra il DPR 11 gennaio 1956, n. 17, che introduce l’istituto in questione
dinamento italiano, e la legge 27 dicembre 1997, n. 449, che ne
prevede la definitiva abrogazione entro l’anno 2004.
(4) D’ora in avanti, in modo non del tutto corretto, queste due espressioni saranno
usate indifferentemente, analogamente ad altre quali 'pensionamento precoce’, ‘ritiro an
ecc.
Introduzione 9
Il secondo capitolo darà conto del peso che le pensioni di
anzianità sono andate assumendo nel periodo 1968-96. Se ne valuterà
il numero, l’importo medio annuo e la spesa annua complessiva e se
ne darà una spiegazione legata alle vicende economiche italiane
dell’ultimo trentennio. L’analisi sarà limitata alle quattro maggiori
categorie che fanno capo a fondi gestiti dall’INPS: dipendenti privati
(FPLD), coltivatori diretti, mezzadri e coloni (CDMC), artigiani (ART)
e commercianti (COMM).
Nel terzo capitolo si tenterà di prevedere quanti ex dipendenti
privati (FPLD) e dipendenti statali (STATO) (5) otterranno un
trattamento anticipato negli anni 1997-2015 (6).
Il secondo e il terzo capitolo considerano categorie professionali
parzialmente diverse perché non si hanno le informazioni necessarie
per analizzarle tutte lungo l’intero periodo 1968-2015. Questa carenza
è dovuta alla struttura estremamente dispersiva della previdenza
italiana e delle pubblicazioni statistiche degli enti gestori, che hanno
(5) Per ‘dipendenti privati’ si intendono gli impiegati e gli operai che prestano una
attività lavorativa alle dipendenze di un datore privato. Per ‘dipendenti statali’ si intendono gli
impiegati civili e gli operai dello Stato, i magistrati, gli avvocati e procuratori dello Stato e gli
insegnanti delle scuole statali. ‘Lavoratore autonomo’ è chi svolge una attività lavorativa al di fuori
di un rapporto di lavoro subordinato.
(6) Secondo le simulazioni del terzo capitolo, a legislazione vigente (l. 449/1997) i
pensionamenti anticipati si esauriranno al più tardi nel 2015.
Introduzione 10
modalità di esposizione dei dati eterogenee ed incoerenti (7). Inoltre, è
difficile usare dati di altri enti non direttamente coinvolti nella
gestione perché spesso le indagini in materia adottano una
classificazione che accorpa in un insieme unico le pensioni di
anzianità e di vecchiaia (8).
Il quarto ed ultimo capitolo, infine, presenterà i risultati di
quattro lavori che misurano la redistribuzione del reddito fra ed entro
le generazioni dovuta alla facoltà di ritiro anticipato.
(7) Ad esempio, mancano del tutto le serie storiche relative ai trattamenti anticipati
dei dipendenti pubblici.
(8) Cfr., ad esempio, RGS [1996], RGS [1997a], ISTAT [1998] e NVSP [1998].
20
1. 1956-97: la disciplina del
pensionamento anticipato.
Questo capitolo riassume in tre fasi l’evoluzione normativa del
periodo 1956-97 sulla facoltà di ritiro anticipato accordata a quattro
categorie: dipendenti dello Stato, dipendenti degli Enti locali,
dipendenti privati e lavoratori autonomi (1). Anni 1956-65: nasce la
pensione di anzianità, prima per i dipendenti pubblici e poi per i
lavoratori del settore privato. Anni 1968-73: il ritiro anticipato è reso
più facile. Anni 1995-97: la pensione di anzianità è gradualmente
abrogata.
Ai tre periodi sono dedicati i paragrafi nn. 1.2., 1.3. e 1.5. Il
paragrafo n. 1.1. descrive tre caratteristiche istituzionali che hanno
influenzato la politica previdenziale italiana fra gli anni sessanta e gli
anni ottanta (e che non sembrano ancora del tutto scomparse). Nel
(1) Le tavole nn. 1, 2, 3 e 4 (pp. 166, 167, 168 e 169) mostrano il risultato dei
provvedimenti considerati, ovvero i requisiti anagrafici e contributivi richiesti, nel periodo 1965-
2008, per il pensionamento anticipato.