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Il lavoro non esiste indipendentemente dai lavoratori e per questo
motivo, deve essere studiato come un complesso sistema di pratiche sociali e
non semplicemente come sistema tecnico, tecnologico ed organizzativo che
contiene attività di lavoro (Zucchermaglio, 1996). Esso permette alle persone
di mettere in pratica le proprie conoscenze, di sviluppare capacità ed abilità;
rappresenta una fonte di varietà dato che le porta fuori dalla propria casa, e
svolge un ruolo importante nell’organizzazione del tempo (Maeran, 2003).
La psicologia del lavoro ha tentato di definire quali sono le funzioni
psicologiche del lavoro e quali sono i bisogni che possono venire soddisfatti o
frustrati nello svolgimento dell’attività lavorative. Così a fianco delle funzioni
materiali, sono state identificate delle motivazioni intrinseche al lavoro,
riconducibili a bisogni di ordine cognitivo, di esplorare, manipolare e
trasformare l’ambiente circostante, di produrre qualcosa di significativo e
concreto. Inoltre sono state individuate delle funzioni sociali del lavoro, che
permettono di instaurare rapporti umani significativi e duraturi e che possono
favorire l’inserimento dell’individuo entro gruppi sociali che operano per la
realizzazione di obiettivi concreti. L’individuo sarebbe quindi motivato al
lavoro in quanto troverebbe in esso la possibilità di soddisfare una serie di
bisogni fondamentali, come sviluppare le proprie capacità, svolgere attività
significative ed utili, accrescere le proprie conoscenze (Novara e Sarchielli,
1996).
Non sempre il lavoro, però, soddisfa tutte le funzioni finora elencate,
anzi al contrario esso può essere vissuto in maniera negativa, con conseguenze
7
quali l’alienazione e lo stress. Queste conseguenze possono insorgere nel
momento in cui il lavoro viene vissuto come un’attività obbligata, che
comporta limitazioni nella gestione del proprio tempo e nello svolgimento di
attività desiderate, che vincola al rispetto di norme e orari e che conduce a
relazioni sociali non sempre positive (Fraccaroli, 1989).
Per prevenire e agire su queste conseguenze negative, e sul malessere
delle organizzazioni, è importante darsi da fare per migliorare le condizioni
lavorative e il benessere delle intere organizzazioni, attuando in modo costante
una gestione volta a valorizzare la ricchezza principale di tutte le
organizzazioni che spesso è trascurata: la risorsa umana.
Per le organizzazioni diventa sempre più necessario che le persone che
vi lavorano, siano persone che lavorano con piacere; per realizzare ciò
bisogna indirizzare e sostenere i comportamenti delle persone attraverso una
lettura attenta delle aspettative e della motivazione. La persona va capita,
orientata e motivata, solo così potrà realizzarsi il passaggio da un dipendente
subordinato, che sente l’obbligo di lavorare, ad un dipendente- cliente a cui
piace lavorare e che per questo è maggiormente in sintonia con l’intera
organizzazione e con i suoi obiettivi (Auteri, 2001).
I principi di base su cui si fonda una gestione professionale del
personale sono (ivi):
9 Nelle organizzazioni si gestiscono comportamenti non individui,
è importante occuparsi di ciò che le persone fanno e non di come
sono;
8
9 A questo scopo è essenziale un approccio funzionale e non
ideologico: premiare l’impegno e non i risultati;
9 Formulare diagnosi non giudizi: concentrarsi sul perché si
sbaglia e non sugli errori;
9 Non essere proiettivi: valutare in base a conoscenze e strumenti
meno soggettivi possibili.
La cultura della gestione delle risorse umane si sta diffondendo in tutte
le organizzazioni, ma trova maggiori resistenze nelle organizzazioni che da
poco tempo sono diventate “aziende”, come ad esempio la Scuola, in cui ce ne
sarebbe bisogno per far fronte ai continui cambiamenti organizzativi cui va
incontro.
Da tutto ciò è nato questo lavoro, che dedica una prima parte, di
carattere teorico, alla letteratura relativa al concetto di stress lavorativo e di
burnout, focalizzando l’attenzione sulla diffusione del burnout tra gli
insegnanti, e citando alcune possibili vie d’uscite e di prevenzione dal burnout.
Il secondo concetto, che si approfondisce nella prima parte dell’elaborato, è la
soddisfazione legata al proprio lavoro, esaminando alcune variabili a cui è
spesso associata (motivazione e prestazione), e i metodi di misurazione più
frequentemente utilizzati.
Nella seconda parte, passando alla presentazione della ricerca
empirica vera e propria, si precisa il contesto in cui si è svolta l’indagine,
effettuata presso due scuole del territorio trapanese, e i soggetti che ne sono
stati coinvolti. In riguardo agli strumenti utilizzati, per rilevare il livello della
9
sindrome del burnout, è stato impiegato il Maslach Burnout Inventory, di
proprietà del dipartimento di Psicologia, dell’Università degli Studi di
Palermo. Grazie a questo test è stato possibile rilevare il livello della sindrome
del burnout, nelle tre dimensioni individuate dalle Autrici del test, Christina
Maslach e Susan Jackson (1986), ovvero Realizzazione Personale,
Esaurimento Emotivo e Depersonalizzazione. Per la Soddisfazione
Lavorativa è stato usato il metodo del single-item, in cui tramite un unico
quesito si misura l’intensità di un fattore. Infine il questionario è stato
completato da una scheda socio-anagrafica per rilevare le caratteristiche
del campione individuato.
Dopo la presentazione degli strumenti si è passato alla descrizione
dei risultati, in primo luogo a quelli relativi ad ognuna dei due fattori,
Burnout e Soddisfazione, e in secondo luogo alle correlazioni tra i livelli di
burnout nelle tre sottoscale, l’indice di soddisfazione lavorativa e le
informazioni ricavate tramite la scheda socio-anagrafica.
Attraverso l’analisi dei dati è stato possibile giungere ad alcune
osservazioni conclusive, che sono state riportate alla fine della seconda parte
del lavoro, assieme a dei suggerimenti su come prevenire e combattere il
burnout nelle organizzazioni.
10
PARTE I:
ASPETTI TEORICI
11
CAPITOLO 1: STRESS E BURNOT
1.1 LO STRESS
Il concetto di stress, in un contesto scientifico, nasce negli anni ’40 con
il fisiologo americano Walter Cannon, che lo adottò e lo definì in associazione
al concetto di ‘omeostasi’. Successivamente, lo studioso Hans Selye ha
continuato ad indagare gli effetti fisiopatologici dello stress dimostrando per
primo l’esistenza di una connessione fra stress e malattia (Ispesl, 2002)
1
.
La parola stress deriva dal latino strictus, che si può tradurre con stretto,
serrato, compresso (Rossati e Magro, 1999); invece dall’inglese si può tradurre
con pressione, sollecitazione (Farnè, 1990). << Dapprima usato in fisica e in
ingegneria per indicare la tensione a cui venivano sottoposte le strutture
metalliche di una costruzione […] è stato successivamente introdotto
nell’ambito delle scienze biologiche e psicologiche, per indicare una serie di
stimoli (stressors) che, agendo sull’individuo a livello fisiologico, psicologico e
comportamentale, erano in grado di produrre una reazione di difesa da parte
dell’individuo (Pellegrino, 2002)>>.
1
L’ISPESL, Istituto Superiore Per La Prevenzione E La Sicurezza Del Lavoro, ha elaborato
nel 2002 il fascicolo “Lo stress in ambiente di lavoro Linee guida per datori di lavoro
responsabili dei servizi di prevenzione” pubblicato nel sito:
http://www.ispesl.it/ew/ew2002/STRESSopuscolo.pdf
12
Hans Selye, uno dei primi studiosi dello stress, definì questo concetto
come:
una reazione aspecifica dell’organismo a qualsiasi stimolo
esterno e interno, di tale intensità da provocare meccanismi di
adattamento e riadattamento atti a ristabilire l’omeostasi (Selye,
1979).
Nella teoria elaborata da Selye (1956)
2
, lo stress è definito come una
Sindrome Generale di Adattamento, cioè un insieme di modificazioni psico-
fisiologiche che gli organismi presentano in risposta agli stimoli esterni per
mantenere la propria integrità.
La sindrome generale di adattamento è caratterizzata da tre fasi:
9 Fase di allarme. L’organismo presenta dei cambiamenti
caratteristici di una prima esposizione a un agente stressante, si
prepara fisiologicamente all’azione attraverso una maggiore
produzione di determinate sostanze, come l’adrenalina, che
raggiungono diversi organi inducendo delle risposte specifiche,
dirette alla mobilitazione generale delle risorse energetiche
dell’organismo, necessarie a potenziarne le difese e a prepararlo
all’azione.
9 Fase di resistenza. L’individuo si pone l’obiettivo di raggiungere
una condizione di adattamento; reagisce e si difende nei confronti
dello stimolo stressante, vi oppone resistenza e tenta di riportare
l’organismo in una condizione di tranquillità per ristabilire
2
The stress of life, McGraw-Hill, New York, in Di Maria, Di Nuovo, Lavanco, (2001).
13
l’equilibrio così perturbato. Ne esce rafforzato, soddisfatto, capace e
pronto a reagire a nuovi stimoli imprevisti.
9 Fase di esaurimento. Non è sempre possibile, sia per le scarse
capacità dell’individuo di reagire, sia per l’intensità e/o cronicità dello
stimolo, far fronte in modo adeguato agli stimoli. L’organismo può
infatti cedere, esaurire le proprie risorse, divenire vulnerabile e
indifeso; tuttavia, l’esaurimento può essere anche solo passeggero e
l’individuo può, in ogni caso, riprendere il controllo degli eventi
(Pellegrino, 2002).
Lo stress contenuto entro precisi limiti è estremamente utile, tanto che
Selye lo ha definito “sale della vita”. In questi casi si parla di stress costruttivo
o eustress. Il pericolo per l’individuo inizia quando gli stressori si fanno troppo
numerosi e intensi, in questi casi si parla di stress deleterio o di distress (Selye,
1976, in Farnè, 1990).
14
1.2 LO STRESS LAVORATIVO
Le situazioni di allarme nella vita sono moltissime e possono essere
anche piacevoli, come quando si va sulle ruote del Luna Park, si guida per la
prima volta una potente automobile, ci si lancia con il deltaplano. Ma anche i
fatti normali della vita umana possono essere altamente stressanti, come
sposarsi, diventare genitori, andare in pensione, trovare un lavoro, perderlo o
cambiarlo, avere una promozione, perdere una persona cara. Uno dei primi
fattori stressanti è il lavoro (La Gatta, 2005).
Associare lo stress al lavoro sembra inevitabile al giorno d’oggi. Non
solo chi è disoccupato sperimenta alti livelli di stress, ma anche chi ha un posto
di lavoro molto spesso si confronta con situazioni particolarmente stressanti
(Di Maria, Di Nuovo, Lavanco, 2001).
Negli anni Quaranta è stata fornita, dalla psicologia del lavoro, la
distinzione tra fatica soggettiva e fatica oggettiva: per fatica soggettiva si
intende quella situazione in cui il lavoratore esprime un suo disagio lavorativo
attraverso una caduta di efficienza, ma non è possibile individuare nessun
criterio oggettivo di fatica (Bitterman, 1944)
3
. Questa precisazione introduce
l'esigenza di considerare non solo i fattori di carattere oggettivo della fatica
(ambiente fisico, tecnologie utilizzate, compatibilità tra l'uomo e la macchina
ecc.), ma anche quelli di carattere più squisitamente psicologico: monotonia del
3
Fatigue defined as reduced effiency. American Journal of Psycology, 56, 311-328, in Rossati,
Magro (1999).
15
lavoro, senso di appartenenza o di alienazione al gruppo,
soddisfazione/insoddisfazione per il lavoro svolto ecc. La considerazione di
questi fenomeni da una prospettiva psicosociale ha fatto emergere che sono le
domande di natura psicologica a condurre allo stress, dal momento che le
richieste oggettive, una volta in contatto con l'individuo diventano soggettive
(Rossati e Magro, 1999). In questo modo la psicologia del lavoro ha messo in
luce che gli agenti stressanti (stressors) sono tali in quanto si collocano
nell'interfaccia individuo-ambiente.
Un modello che ha suddiviso le fonti di stress lavorativo in base al
rapporto individuo-ambiente è il modello inizialmente proposto da Cooper
(1978)
4
. Questo modello suddivide, e individua cinque fonti di stress
lavorativo:
a) Fonti intrinseche al "job" (cioè alla mansione da espletare), ossia i
fattori fisici e ambientali che possono incidere negativamente sulla
concentrazione, sul rendimento, sull'efficienza dei lavoratori.
b) Ruolo nell'organizzazione, nel quale si distingue ambiguità di ruolo,
ossia mancanza di chiarezza rispetto al compito, e conflitto di ruolo, il
quale non è causato da un eccesso di richieste (sovraccarico) ma da
richieste tra loro incompatibili. In questo caso chi occupa una
determinata posizione riceve due messaggi e non può aderire all'uno
senza disobbedire all'altro.
4
Understanding Executive Stress Indicator Management Guide, Windsor, Nfer-Nelson, in
Rossati e Magro (1999).