2
I motivi di questa scelta sono essenzialmente
due: in primo luogo la natura particolare di
giapponismo e Art Nouveau statunitensi, che rende
difficoltoso un discorso comparativo o assimilativo
alle versioni europee che invece, pur differenziandosi
da nazione a nazione, hanno una matrice comune ben
distinguibile.
In secondo luogo il fatto che tale campo di studi
è ancora piuttosto vergine e il materiale risulta di
conseguenza scarso e di difficile reperimento.
Capitolo I
SULLE ORME DELLA CINA
“La Chine trouve un abri jusque dans les
cheminées; sur les taques, des magots
remplaceront le soleil del Louis XIV ou les fleurs
de lis de France.” (Cordier)
1
Non fu il Giappone, bensì la Cina, a far
conoscere per prima la cultura dell'Asia orientale
agli Europei.
Gran parte del merito va ai missionari gesuiti, che
riuscirono con pazienza a tessere nuovamente quel
filo che legava Oriente ed Occidente e che si era
bruscamente interrotto dopo le Crociate.
Le relazioni commerciali con la Cina ripresero
finalmente nel sedicesimo secolo. Ma furono solo le
mercanzie ad interessare in un primo momento gli
Europei. Bisognò aspettare la fine del diciassettesimo
secolo per uno spostamento dell'attenzione anche
verso le multiformi sfaccettature della cultura
orientale. Le conoscenze sulla civiltà del Paese di
Mezzo crebbero in maniera costante e graduale sotto
l'ala protettrice dei missionari gesuiti. Che, a Pechino,
si adoperavano instancabilmente per penetrare nella
cultura cinese. Studiavano la lingua e la letteratura,
traducevano, riportavano fedelmente le loro
esperienze. E a Parigi giungevano le collezioni dei
loro scritti: Description de la Chine, Lettres
édifiantes, Mémoires concernant les Chinois. L'effetto
è ben diverso rispetto a quello del fabouleu Milione.
A dimostrare uno spiccato interesse per questa
civiltà sì lontana, ma non certo fantastica, furono
soprattutto gli Illuministi. E la filosofia
settecentesca respirò aria nuova con le dottrine di
Confucio e il pensiero taoista. Il 20 agosto 1755
andò in scena per la prima volta L'orphelin de la
1
Ysia TCHEN, La musique chinoise en France au XVIII siècle, Paris,
Association Langues et Civilisations, 1974, p. 6.
Capitolo I
4
Chine di Voltaire, la prima pièce dramatique in Francia
su di un soggetto improntato all'Asia Orientale.
E cominciò a diffondersi, dapprima nel Paese dei
sovrani del Giglio, e poi in tutta Europa, la voga
delle chinoiseries, che si affermarono già a partire
dalla fine del 1600 grazie all'attività del padre
gesuita Joachin Bouvet. Il contributo di Padre Bouvet
allo studio della cultura orientale fu decisamente
importante: sua l'iniziativa, del 1697, di dotare la
Bibliothèque royale di un primo corpus di libri cinesi:
quarantanove volumi donati dall'imperatore Kang-hi a
Luigi XIV.
Secondo quanto riportato nel diario di Mlle
Montpensier, [...] lo studio del Cardinal Mazarin
era una specie di galerie [...] tout pleine de ce que
l’on peut imaginer de pierreries, de bijoux, de
meubles, d’étoffes de tout ce qu’il y a de joly qui
vient de la Chine, de chandeliere de cristal, de
miroirs, tables et cabinets de toutes manières, de
vaisselle d’argent, de senturs, gants, rubans,
eventails.
2
Le chinoiseries, che influenzarono
profondamente il gusto europeo e prepararono il
passaggio al sontuoso barocco e al lezioso rococò,
erano associate soprattutto alla porcellana.
La porcellana a pâte dure, o vera porcellana, è
prodotta con caolino (un'argilla bianca) e una roccia
feldspatica chiamata petunzè che, quando vengono
portate a una temperatura di 1250-1350°C fondono
dando origine a una matrice vitrea. Questa può venire
ricoperta da una vernice ottenuta da feldspato in
polvere applicato prima della cottura; oppure
decorata sotto la vernice con colori a grande fuoco;
o, ancora, essere decorata dopo la prima cottura con
colori a smalto. I primi oggetti in porcellana vennero
prodotti in Cina nel VII-VIII secolo. Gli Europei, che si
limitavano ad importarla dall'Oriente
3
, la
2
YAMADA Chisaburö, Shinoasuri kara Japonesuri e in Japonisumu no
jidai - 19 seikigohan no Nihon to Furansu, pp. 3-4
3La mia analisi non comprende la porcellana a pâte tendre. Questa,
che è un'imitazione della vera porcellana, è costituita da una grande
varietà di sostanze, fra cui principalmente creta bianca e vetro
macinato riscaldati a una temperatura di solito molto inferiore a
Capitolo I
5
consideravano una rarità esotica, tanto che
Shakespeare ne parlava come di un prodotto di lusso.
Il suo uso cominciò a diffondersi maggiormente
verso la fine del secolo, sia per accogliere le
bevande calde come tè, caffè e cioccolata, sia per
scopi ornamentali. Raffinate porcellane decoravano i
palazzi di Schönbrunn, Monaco, Ansbach, il palazzo
d'Estate di Pietroburgo e il Monbijou di Berlino;
Augusto di Sassonia volle addirittura mobili di
porcellana per la sua Casa Indiana di Plintz.
“Allons à cette porcellaine
sa beautée m'invite, m'entraine
...
qu'elle a d'attraits, qu'elle est fine.
Elle est native de la Chine.
La terre avait aux moins cent ans
qui fits des vases si galants...”
4
Naturalmente questo successo stimolò gli
artigiani europei ad imitare l'esempio cinese.
I primi esemplari furono quelli di Meissen, la
prima fabbrica di porcellane europea (fu fondata nel
1710) e, per mezzo secolo, anche la migliore. Le prime
porcellane bianche furono immesse sul mercato nel
1713.
1250° C. In Europa la porcellana a pasta tenera fu prodotta
dapprima nella manifattura medicea a Firenze fra il 1575 e il 1587,
poi a Rouen nel 1673 e, su scala maggiore, a Saint-Cloud a partire
dal 1675 e, successivamente, in molte manifatture europee sino alla
fine del sec. XVIII.
4
Giorgio BORSA, La nascita del mondo moderno in Asia Orientale -
La penetrazione europea e la crisi delle società tradizionali in India,
Cina, Giappone, Milano, Rizzoli editore, 1977, p. 94.
Capitolo I
6
Imitazioni anche per la lacca, altro cavallo di
battaglia orientale del rococò (la famosa "vernice di
Cina"
5
che rende il legno incorruttibile). Stipi,
tavolinetti, vassoi ed altri oggetti si importavano
dall'Asia già nel Seicento, e imitazioni cominciarono
ad essere realizzate in Francia a partire dalla fine di
quel secolo
6
. Il tipo più bello è noto come vernis
Martin, dal nome di Robert Martin e dei suoi fratelli.
E non possiamo certo tralasciare le sete
orientali, che erano diffuse fra gli italiani durante il
Rinascimento (ma non dimentichiamo che già i Romani
importavano dall'Asia non soltanto tessuti di seta,
ma anche filo di seta, misto a volte con lino o lana) e
importate dall'Oriente in misura sempre maggiore a
partire dal secolo XVII. Arredare gli interni con
tessuti in seta o chintz
7
(per i più ricchi; per i meno
abbienti la soluzione era la carta da parati
8
dipinta,
5
La tecnica della produzione di piccoli oggetti in lacca fu
perfezionata in Cina all'inizio del IV secolo a.C. e più tardi
trasmessa al Giappone. Gli oggetti importati in Europa a partire dal
XVI secolo provenivano da entrambe i Paesi: la lacca cinese era
detta anche di Coromandel, poiché arrivava passando attraverso
stazioni commerciali sulla costa del Coromandel. Ma gli oggetti di
qualità superiore provenivano dal Giappone e avevano generalmente
decorazioni in oro su sfondo nero.
6
In realtà non si tratta della stessa lacca che veniva prodotta in
Cina. Quest'ultima viene ottenuta dalla linfa dell'albero della lacca
rhus vernicifera, che ha una consistenza liquida sciropposa ma che,
a contatto con l'aria, modifica la sua forma molecolare
polimerizzando. La prima si ricava invece dalla secrezione
dell'insetto coccus lacca, originario dell'India, ed è nota come
gommalacca. Le imitazioni delle lacche cinesi realizzate dagli europei
possedevano ben poche proprietà della lacca (alcune, ad esempio,
potevano essere parzialmente solubili in acqua). E' comunque da
sottolineare che gli stessi esperti sono in disaccordo su quale
debba essere considerata la "vera" lacca.
7
Variazione inglese del vocabolo sanscrito (che significa
"variegato") che indicava nel XVI e nel XVII secolo il calicò (da
Calicut, porto indiano da cui era imbarcato) dipinto indiano
d'importazione e, in seguito, i tessuti in cotone stampato. Era
diffusissimo in Inghilterra all'inizio del XVIII secolo.
8
La carta da parati pare sia stata introdotta in Francia e in
Inghilterra già a partire dal 1481 come surrogato economico degli
arazzi o dei tessuti da tappezzeria in tessuto o cuoio dipinti. Nel XVI
secolo si usava stampata da matrici in legno con simboli araldici o
motivi floreali neri su fondo bianco. Nel 1700 quella colorata
soppiantò quella in bianco e nero, e parallelamente crebbe la
diffusione di carta da parati cinese dipinta a mano importata
dall'Oriente.
Capitolo I
7
anch'essa, guarda caso, importata dalla Cina) era
molto à la page: questo determinò una crescita della
domanda e un impulso per lo sviluppo dell'industria
serica in Europa, specialmente in Francia (Lione,
Parigi, Tours) e in Italia (alta Lombardia).
E, per finire, lo stile d'arredamento; molto in
voga quello di ispirazione cinese del quale fu
iniziatore un noto mobiliere inglese, Thomas
Chippendale (1718-79). Egli fu autore del primo
esauriente libro di disegni per mobili, il The
Gentleman & Cabinet Maker's Director (1754; 2 ed.
1755; 3 ed. 1762) in cui veniva proposto un tipo di
mobilio a chinoiserie, da qui noto come chinese
chippendale
9
. In questo stile furono da lui realizzati
il salone della duchessa di Beaufort, a Badminton,
la camera da letto "cinese" di Claydon House ed il
salotto "cinese" di Woodcote Park ora al museo di
belle arti di Boston.
La moda cinese pareva aver contagiato tutto e
tutti, specialmente in Francia. Verso la fine del
Settecento c'era a Parigi un Café Chinois, dove si
veniva serviti da leggiadre fanciulle in graziosi
costumi cinesi.
Nel 1871 fu aperto nel Faubourg Saint-
Germain una “Redoute chinoise” ove si tenevano
rappresentazioni in costume cinese e spettacoli di
fuochi d'artifizio cinesi. C'erano anche nel
Boulevard des Italiens dei “Bagni cinesi”. Su
esempio di Mme de Pompadour
10
divenne di moda
tenere in giardino o in casa pesci rossi; mentre in
Germania, poi in Francia, si diffuse tra i passatempi
quello delle “ombre cinesi”.
11
9
Non è sicuro che questo stile sia una vera e propria creazione di
Chippendale, in quanto si hanno esempi sicuramente antecedenti al
1754.
10
La favorita di Luigi XV possedeva un acquario con pesci rossi
cinesi.
11
BORSA, La nascita del mondo moderno in Asia Orientale, op. cit.
p. 97.
Capitolo I
8
Anche il mondo della musica e dello spettacolo
ne risentì, inevitabilmente. Basti guardare cosa
compariva in cartellone a Parigi verso la metà del
Settecento:
20 luglio 1754: Le Chinois de retour
12 giugno 1755: Le ballêt chinois et turc
2 gennaio 1765: La matrone chinoise
Nella Turandot, tradotta in tedesco da Schiller
e successivamente musicata da Weber, Busoni e
Puccini, il veneziano Carlo Gozzi (1720-1806), svolse
il suo divertissement fantastico in una Pechino di
fiaba.
Questo lungo excursus cinese è interessante
poiché permette di evidenziare come sia stata la Cina,
e non il Giappone, a svezzare gli Europei nella
crescita dei loro rapporti con l'Asia orientale.
Quando l'arte giapponese fece la sua comparsa nel
XIX secolo, trovò, in un certo qual modo, il cammino
agevolato dalla sorella maggiore. E la sostituì nei
favori dell'Occidente. Ma la forma mentis dell'Europa
aveva già intrapreso la sua strada verso
l'orientalizzazione. Il Giappone ha solo spinto gli
occhi dell'Ovest a guardare più a Est.
L'itinerario dell'affermazione del giapponismo
seguì inizialmente le orme tracciate dalla moda per le
chinoiserie un secolo prima: da arte per pochi a
objets di tendenza a modello per versioni nostrane.
Ma nel giapponismo vi fu una sorta di "salto di
qualità", di passaggio dall'ammirazione stupefatta, ma
in un certo qual modo distaccata, alla volontà di
studio, di comprensione, di metabolizzazione. Uno
sforzo non di copiare e neppure di tradurre, bensì di
ricreare. E anche se non ci sono elementi per poterlo
affermare con sicurezza, possiamo almeno
congetturare che parte del merito per la conquista di
questo scalino un po' più alto spetti all'esotismo
cinese settecentesco.
Capitolo I
9
Che fece sentire gli ukiyo e un po' più di casa,
così circondati da copie in blanc de Chine
12
di Kuan
yin ed eroine con gli occhi a mandorla.
Ho ritenuto importante insistere sulla diffusione
della porcellana e di altri oggetti d'arredamento
come le lacche o la carta da parati, che
caratterizzarono profondamente le tendenze
artistiche del barocco e del rococò. Ho ritenuto
questo un elemento fondamentale per comprendere ed
inquadrare correttamente i movimenti ottocenteschi
dell'Arts and Crafts e dell'Art Nouveau, con la loro
dignificazione delle arti minori e decorative,
rifuggendo dalla tentazione di vederli come una
sorta di eventi misteriosi sorti miracolosamente
all'ombra della magnificenza del neoclassicismo
davidiano. Mi è sembrato inoltre estremamente
interessante constatare come sia nel Settecento, sia
nell'Ottocento questo interesse per il minuto e il
quotidiano abbia trovato conforto e appoggio
nell'arte orientale, per quel che riguarda sia i motivi
ornamentali e iconografici, sia le tecniche di
realizzazione e i materiali.
Sia per la Cina che per il Giappone fondamentale
fu il fattore moda: se i parigini della fine del
diciottesimo secolo si divertivano in locali di
ispirazione cinese, meno di un secolo più tardi
andavano a sollazzarsi in café-concerto di
ambientazione orientaleggiante come “Le divain
japonais” e nel relax casalingo indossavano con
raffinata noncuranza un ampio kimono di seta
sfoderata.
Anche le note che scandirono il ritmo di questa
passione per l'Oriente seguirono questo spostamento
verso la terra dove sorge il sole. Il japonisme
musicale aveva i nomi di Gilbert e Sullivan (The
Mikado), di Sidney Jones (The Geisha), di Messager
(Madame Crysanthème), di Mascagni (Iris) e di Puccini
(Madama Butterfly). Il soffermarmi sulla produzione
12
Si tratta delle porcellane bianche prodotte nelle manifatture di
Te-hua, nella provincia del Fukien. A partire dal secolo XVII esse
vennero esportate in misura sempre crescente in Europa, dove
influenzarono notevolmente la produzione di ceramiche. I prodotti
più interessanti erano statuine, specialmente della dea buddhista
Kuan Yin, di una delicata e flessuosa eleganza femminile.
Capitolo I
10
operistica mi permette di introdurre con naturalezza
fin da subito un elemento chiave nelle concezioni
estetiche dell'Art Nouveau: il concetto di opera
d'arte totale, di simbiosi artistica tra pittura,
letteratura, musica, arti minori, di amplificazione al
massimo grado di tutte le sfumature del godimento
estetico umano.
I rapporti fra gli esponenti dell'arte nuova e i
simbolisti francesi erano intensi e costanti:
Vallotton, Maillol, Bonnard, Maurice Denis, Toulous-
Lautrec, Prouvé, Gallé collaborarono, chi più chi
meno, con le riviste simboliste francesi fondate verso
la fine dell'Ottocento: La Plume (1889), Le Mercure
de France (1890), La Revue Blanche (1891). Dante
Gabriel Rossetti era pittore e poeta e a lui Swinburne,
re dei poeti estetici, dedicò il dramma The Queen
Mother.
“Se un tizio non sa comporre un poema epico
mentre tesse un arazzo è meglio che chiuda
bottega: non sarà mai capace di fare qualcosa di
buono.” (William Morris)
13
Ma ancora più stretti erano i legami con il mondo
musicale: Claude Debussy (1862-1918) compose il
suo Quartetto in sol minore e la Damoiselle élue
14
in
occasione dell'inaugurazione della prima mostra
dell'associazione La Libre Estétique a Bruxelles nel
1794. Inoltre musicò L'aprés-midi d'un faune di
Mallarmé e Pèlleas et Mélisande di Maeterlink. " >... ≅
l'arabesco musicale, o, piuttosto, il principio
dell'ornamento è la base di tutte le forme d'arte"
15
,
così scriveva nel 1901 in La Revue Blanche.
Ma ad essere associato all'Art Nouveau fu
soprattutto Richard Wagner (1813-1883): sua fu
infatti l'idea dell'opera d'arte totale
(Gesamtkunstwerk). Non a caso la principale rivista
simbolista pubblicata a Parigi negli anni ottanta
portava il titolo La revue wagnérienne. L'influsso
13
S. Tschudi MADSEN, Fortuna dell’Art Nouveau [Triunph of Art
Nouveau ], trad. di Biancamaria Zetti Ugolotti, Milano, Il Saggiatore,
p. 42.
14
Così chiamato da una poesia di Rossetti.
15
MADSEN, Fortuna dell'Art Nouveau, op. cit. p. 31
Capitolo I
11
delle sue opere sulle concezioni artistiche del tempo
fu possente come la musica che scriveva. Basterebbe
citare l'arazzo disegnato da Otto Eckmann con
soggetto una scena di Die Meistersinger von
Nurnberg (I maestri cantori di Norimberga, 1861-67),
o le illustrazioni di Aubrey Beardsley per Siegfried
(Sigfrido 1869-71). Ma forse il contributo più
importante di Wagner all'estetica fin de siècle fu il
motivo della fanciulla a forma di fiore, essere
erotico fitomorfo che tanto ricorrente fu
nell'iconografia Art Nouveau.
Non dimentichiamo infine che le partiture musicali
(basti pensare alle copertine delle edizioni Ricordi in
Italia) e i libretti d'opera fornivano uno dei tanti
supporti su cui gli artisti Liberty potevano mettere
alla prova la loro creatività, tanto quanto i
cartelloni per gli spettacoli di varietè e i manifesti
pubblicitari.
La civiltà dell'Estremo Oriente fu l'ultima, in
ordine di tempo, ad essere conosciuta dagli Europei.
La distanza geografica contribuì molto, ma la parte
predominante fu certo quella giocata dalla politica
isolazionistica dei Tokugawa. Dopo una timida
apertura ai missionari sulla scia di Francesco Saverio
in un sedicesimo secolo di guerre intestine, il paese
diede il benvenuto, volente o nolente, all'editto
shogunale del sakoku (1637), oltre che alla pace e
alla stabilità politica. E fu chiusura per più di due
secoli: nessuno straniero poteva entrare, nessun
giapponese poteva uscire.
Solo nella minuscola isola di Deshima, a
poche braccia di mare da Nagasaki, fu consentito
alla Compagnia Olandese delle Indie Orientali di
risiedere e commerciare e da lì filtrava qualche
occasionale notizia e qualche compendio redatto
nella noia di quegli esili interminabili.
16
Le conoscenze che gli Europei avevano del
Giappone fino alla metà dell'Ottocento erano scarse
e frammentarie e si basavano quasi esclusivamente sui
resoconti di quei pochi studiosi che da Nagasaki
16
Flavia ARZENI, L’immagine e il segno. Il Giapponismo nella cultura
europea tra 800 e 900, Bologna, Il Mulino, 1987, p. 12.
Capitolo I
12
avevano potuto gettare uno sguardo sull'arcipelago.
La loro limitatezza era ovvia: magari scrupolosi,
magari accuratamente illustrati, ma pur sempre
tendenti a dare un'immagine misteriosa, spesso
terrificante, di ciò che molto spesso avevano solo
sentito raccontare. Si trattava comunque di
materiale fruibile solo da un'élite di appassionati o
intenditori. Come, ad esempio, Philippe Burty, critico
d'arte appassionato d'Oriente e incisore che
possedeva una biblioteca d'eccezione in cui poteva
vantare titoli come The History of Japan di Engelbert
Kaempfer (Londra, 1727), Histoire et Description
générale du Japon di Charlevoix (Parigi, 1736),
Illustrations of Japan di Titisingh (Londra, 1822) e il
monumentale Nippon Archiv zur Beschreibung von
Japon di Philipp Franz Von Siebold (Leiden, Olanda,
1831)
17
.
Ma nel 1853 la squadra della marina americana
del Commodoro Perry iniziò a sgretolare l'ormai
fragile guscio dorato che proteggeva l'asfittico
Giappone. Di lì a poco sbarcò sul suolo nipponico il
primo rappresentante straniero formalmente
riconosciuto, il Console Townsend Harris
18
, seguito
dagli inviati di altre potenze europee: Inghilterra,
Russia, Francia, Olanda. Alla fine degli Anni
Cinquanta lo shogunato, impotente e sull'orlo del
tracollo, aveva dovuto acconsentire a ben
quattordici trattati di riconoscimento e stabilimento
di altrettanti paesi. L'isolamento del Giappone era
finito.
17
L'opera del Siebold fu pubblicata anche in Francia nel 1838 con
il titolo Voyage au Japon. Nell'edizione tedesca essa era largamente
illustrata con litografie dell'artista Keiga (che era stato compagno
di Siebold in Giappone) raffiguranti pesci e animali.
18
A lui si dice si siano ispirati Illica e Giacosa per tratteggiare il
capitano Pinkerton nella Madama Butterfly di Puccini.