4
(giornali e libri) e comunicazione “visualizzata” (cinema, televisione, pubblicità
e personal computer)”
1
.
Da questo elenco ci si rende conto di come il fenomeno comunicativo sia
complesso nella nostra società, che viene definita ormai da molti studiosi “la
società dell’informazione”.
1.2 DEFINIZIONE DELLE SCIENZE SOCIALI
Che cosa si intende per comunicazione nell’ambito delle scienze sociali?
La comunicazione è quel processo di trasferimento delle informazioni
contenute in un segnale attraverso un mezzo (canale) da un sistema promotore ad
un altro recettore: in questo senso il segnale è dotato di significato e tale da poter
provocare una reazione nel recettore.
Questa definizione deriva dal modello di Lasswell: esso si basa su una
serie di domande per descrivere un atto di comunicazione: chi?, che cosa?,
attraverso quale canale?, a chi?, con quale effetto?.
Ad ogni domanda corrisponde uno specifico settore di ricerca nel campo
dei media di massa che riguarda le emittenti, il contenuto dei messaggi, i mezzi
tecnici, l'audience e gli effetti della comunicazione. Lasswell individua alcune
premesse sul processo di comunicazione: i processi sono asimmetrici con un
emittente attivo che produce uno stimolo e una massa passiva di destinatari. La
comunicazione è intenzionale ed è rivolta per ottenere un certo effetto. I ruoli dei
comunicatori e destinatari sono isolati e indipendenti dai rapporti sociali.
Lo schema di Lasswell si fonda sull'analisi degli effetti e sull'analisi dei
contenuti. Si tratta tuttavia di un modello semplicistico in quanto attribuisce
l’iniziativa alla sola fonte emittente mentre il ricevente ne subisce unicamente gli
effetti. Un altro limite di tale impostazione deriva dalla scarsissima importanza
attribuita al contesto: mittente e ricevente vengono visti come al di fuori dei
rapporti sociali, culturali e situazionali.
Nonostante gli evidenti limiti di questa impostazione è comunque
importante farvi riferimento, in quanto essa rappresenta il punto di partenza dei
1
P. Boccia, Comunicazione e mass media: tecniche di comunicazione e relazione, Liguori
editore, Napoli 1999, pag.101
5
primi studi e delle prime ricerche empiriche svolte nell’ambito della
comunicazione.
1.3 LA COMUNICAZIONE DI MASSA
Per comunicazione di massa si intende la comunicazione diffusa dai mass
media, produttivamente standardizzata e rivolta ad un pubblico indifferenziato e
potenzialmente illimitato
2
.
Quindi bisogna distinguere la comunicazione di massa dai mass media: con
la prima espressione si fa riferimento al processo di trasferimento delle
informazioni, mentre con la seconda ci si riferisce alla tecnologia e agli strumenti
implicati
3
.
Un altro concetto sul quale sembra opportuno soffermarsi è “massa”:
secondo l’accezione più diffusa nella sociologia contemporanea, per massa si
intende una moltitudine di persone politicamente passive, in una posizione di
oggettiva dipendenza rispetto alle istituzioni portanti di una società – politiche,
economiche e militari – e quindi fortemente influenzabili da esse
4
. Si tratta in
questo caso di un’accezione negativa.
Il termine viene peraltro utilizzato con una grande varietà di significati: si
può utilizzare il concetto di massa per riferirsi ad un aggregato indifferenziato di
individui anonimi e atomizzati che sono destinatari di messaggi diffusi dai
mezzi di comunicazione di massa.
In questo caso c’è una nuova implicazione, ovvero che individui separati e
lontani reagiscano in modo analogo a stimoli analoghi. Il termine massa ha,
usato in questa accezione, una nuova componente, non presente nelle altre: è
l’emittente dei messaggi ad etichettare genericamente come massa i destinatari,
trascurando le caratteristiche sociali che possono rendere anche molto
diversificati i loro comportamenti.
Molti studiosi a partire dagli anni settanta si sono scagliati contro il
termine massa: la critica deriva, come afferma ad esempio lo studioso
2
F. Lever, P. Rivoltella, A. Zanacchi, La comunicazione: il dizionario di scienze tecniche, RAI-
ERI, Roma 2002
3
D. McQuail, Sociologia dei media, il Mulino, Bologna 1996, pag. 28
4
L. Gallino, Dizionario di sociologia, UTET, Torino 2000
6
R.Williams, dal fatto che si tratterebbe di un concetto “ingannevole e pericoloso”
che ha deformato lo studio della comunicazione. Williams ha fatto risalire l’uso
del termine alla teoria della società di massa: la “metafora massa” adottata per
indicare la vasta audience, ha ostacolato l’analisi delle più specifiche situazioni
della comunicazione moderna. La maggior parte degli studiosi contemporanei
concorda nel riconoscere invece una stratificazione socioculturale, la quale dà
vita a molteplici pubblici che possono manifestare reazioni molto diverse ai
medesimi messaggi. Si passa dallo studio degli effetti allo studio degli usi.
Il concetto di massa avrebbe determinato vari inconvenienti per quanto
riguarda lo studio della moderna comunicazione: ad esempio il pregiudizio per
cui le masse sarebbero culturalmente omogenee, intrinsecamente stupide,
instabili e influenzabili.
L’idea di “massa” deriva in larga misura da quella di “folla”; anche il
concetto di folla viene utilizzato con un’accezione negativa. I primi studi sul
comportamento delle folle risalgono agli ultimi decenni del 1800 e
particolarmente rilevanti sono le ricerche empiriche condotte da Gabriel Tarde. È
necessario far riferimento al contesto storico nel quale l’interesse nei confronti
dei comportamenti collettivi si sviluppa: siamo nei decenni immediatamente
successivi alle grandi rivoluzioni di fine Settecento e di inizio Ottocento, quindi
in un momento in cui si riaccende la preoccupazione per l’ordine sociale e
politico costituito. Erano frequenti le rivolte, gli scioperi e le manifestazioni dei
lavoratori che seguivano i cambiamenti economici della rapida
industrializzazione. I comportamenti collettivi erano considerati non-normali e
venivano associati da Tarde a concetti di malattia o di crimine. Il comportamento
collettivo fu considerato “anomico”: si parlava di responsabilità ridotta
dell’individuo immerso nella folla. L’individuo nella folla diventava più
primitivo, infantile, meno razionale e quindi con un minor autocontrollo. La folla
determinava quindi vari effetti come la suggestione, il contagio e l’imitazione.
L’analisi sul concetto di massa consente di arrivare ad una riflessione su un
altro tema centrale: il potere dei media
5
.
Ma quando, storicamente, si inizia a parlare di comunicazione di massa?
La nascita della comunicazione di massa deve essere messa in stretta
relazione con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione: infatti è solamente
attraverso potenti strumenti di diffusione che i messaggi possono raggiungere un
5
Vedi paragrafo 1.5
7
pubblico così vasto da essere definito “massa”. I mass media tradizionali vedono
la loro genesi a partire da un’innovazione tecnologica fondamentale: la stampa.
Ma nel momento iniziale del suo sviluppo, la stampa non rappresenta ancora un
mezzo di comunicazione di massa, in quanto non incontra immediatamente
un’organizzazione distributiva così massiccia e capillare da far assumere ai primi
materiali stampati la natura di mass media. La comparsa dei primi mezzi di
comunicazione in grado di raggiungere almeno gli appartenenti all’élite viene
fatta risalire al Seicento e sarebbe rappresentata dai primi quotidiani la cui
nascita viene attribuita ad un insieme di fattori che si sono presentati nel
medesimo momento storico: l’esistenza di macchine a stampa che consentono la
produzione giornaliera, la mentalità commerciale degli editori che mostrano di
capire perfettamente e saper sfruttare i meccanismi del mercato. Ma i primi
quotidiani non possono essere considerati mezzi di comunicazione di “massa”
perché solo una ristretta minoranza di persone poteva accedervi a causa del loro
elevato costo e all’elevato tasso di analfabetismo. Il quotidiano diventa
accessibile alla massa solo durante gli anni trenta dell’Ottocento, ovvero da
quando la pubblicità commerciale iniziò a svolgere per i periodici il ruolo di
maggiore fonte finanziaria: l’iniziativa fu di Emile de Girardin, un editore
francese che per primo decise di utilizzare le inserzioni pubblicitarie per
finanziare il proprio quotidiano “la Presse”; il denaro proveniente dagli annunci
pubblicitari permetteva di coprire gli elevati costi di produzione e di
conseguenza permise di aumentare la tiratura e ridurre il prezzo al pubblico. “La
Presse” può essere considerato il primo quotidiano a buon mercato.
A questo punto mancava solo un presupposto affinché il pubblico
aumentasse in modo esponenziale: era necessario modificare il quotidiano stesso
rispetto alla forma tradizionale, per renderlo più appetibile. L’intuizione geniale
di Emile de Girardin fu di unire ciò che fino a quel momento era separato: i vari
temi che in precedenza venivano trattati in diversi quotidiani, come la politica, la
letteratura, la scienza, la cronaca e anche la pubblicità: “La Presse” era un
quotidiano che trattava tutti i temi di attualità. Il secondo elemento di novità era
rappresentata dal “feuilletton”, ovvero il cosiddetto romanzo d’appendice. Si
trattava di romanzi a puntate che occupavano lo spazio nella parte bassa del
giornale. L’editore cercava qualcosa che potesse attirare il popolo, qualcosa di
più della semplice notizia: dare emozioni attraverso forti drammi a tinte
romantiche. Si trattava di storie con molti colpi di scena: la suspance doveva
spingere il pubblico ad acquistare il giornale il giorno dopo. Particolare successo