2
del diritto non può essere intesa come una “scienza senza
storia” (A.Giuliani) in quanto essa è indispensabile per
approfondire le ragioni dello sviluppo delle Istituzioni. L’uso
del metodo storico comparato fornisce, quindi, la possibilità di
mostrare le istituzioni giuridiche nella loro interezza e giungere
così ad una loro corretta interpretazione ed è proprio sulla base
di tale interpretazione che è possibile rimettere in discussione
concezioni dogmatiche già consolidate.
La presente analisi parte dalle considerazioni sulla
situazione giudiziaria francese all’epoca dell’Acien Regime,
considerazioni che aprono le porte ad una trattazione del
pensiero illuministico di Montesquieu e della sua teoria sulla
distinzione/divisione dei poteri. In seguito l’analisi prosegue
delineando le caratteristiche dell’ordinamento giudiziario in
epoca rivoluzionaria, a sua volta fortemente condizionato
proprio dalla teoria di Montesquieu, e delle successive
modifiche apportatevi con l’entrata in vigore del Code Civil
napoleonico. Fu appunto questo codice ad influenzare le
3
legislazioni emanate nei territori che facevano parte
dell’Impero, come l’Italia.
Il lavoro prosegue con la dettagliata analisi della
situazione italiana a partire dal periodo preunitario sino al 1948,
anno dell’entrata in vigore della Costituzione della Repubblica
Italiana.
La Costituzione del ’48 rappresenta un momento
legislativo di primaria importanza in quanto legittima la figura
del giudice all’interno dell’ordinamento italiano.
Bisogna precisare che prima dell’entrata in vigore della
Costituzione la funzione del giudice era già parzialmente
delineata all’interno delle Disposizioni sulla Legge in Generale,
inserite nella prima parte del codice civile italiano del 1942. In
esse viene posto in evidenza il ruolo rivestito del giudice
all’interno del meccanismo di interpretazione della legge (art.
12 d.l.g.).
La seconda parte del lavoro è invece dedicata alla
descrizione di alcuni ordinamenti giudiziari europei ed è teso a
far emerge la grande differenza tra gli ordinamenti di civil law
4
(Italia, Francia, Belgio e Germania) e gli ordinamenti di common
law (Inghilterra).
L’ultima sezione, infine, è dedicata alle conclusioni volte a
fornire un quadro più analitico del panorama analizzato sulla
base del percorso sin lì effettuato.
5
CAPITOLO I
EVOLUZIONE STORICA:
DALLA DIVISIONE DEI POTERI AL 1948
1.1 I PRECEDENTI STORICI DELLA DIVISIONE DEI
POTERI
Prima di iniziare ad elaborare la teoria di Montesquieu sulla
divisione/separazione dei poteri, preme in questa sede avviare una
breve, ma analitica, introduzione sulla situazione francese pre-
illuministica. Innanzitutto, bisogna fare riferimento allo sviluppo
dell’istituto della responsabilità del giudice all’interno della storia del
diritto francese. Per comprendere al meglio tale istituto, non si può
non fare riferimento al fenomeno che lo lega nel tempo alla metafora
base di quella civiltà giuridica: il déni de justice.
Il déni de justice, all’interno di quella esperienza ha svolto una
funzione parallela a quella della rule of law nel sistema inglese; in
entrambi i casi è penetrata l’idea del diritto come limite del potere;
6
infatti il sovrano francese – come quello inglese – incoraggiava il
controllo del giudice sulla propria attività normativa.
L’espressione prise à partie – con cui viene indicata la variante
francese della responsabilità civile del giudice – venne introdotta nel
XVI secolo, convivendo fino ai giorni nostri in un rapporto di
connessione/distinzione con quella più antica, di déni de justice. In un
primo periodo, al concetto di déni de justice venivano ricollegati i vari
rimedi nei confronti della condotta del giudice colpevole di denegata
giustizia. L’appello ‹‹pour défaut de droit›› fu introdotto come
strumento indiretto di controllo del sovrano sull’amministrazione della
giustizia. Tale appello presupponeva, infatti, la rottura del legame
feudale: la parte, che si doleva del diniego di giustizia, poteva
ricorrere ai tribunali regi.
Malgrado le tentazioni di una concezione teocratica della
regalità
1
, l’appello ‹‹pour défaut de droit›› trovava il suo fondamento
negli ideali metagiuridici della metafora base della civiltà giuridica
francese. Il déni de justice sottintende, infatti, la teoria medioevale dei
limiti del potere del sovrano nel campo della iurisdictio ed in
particolare dell’ ordo iudiciarium.
1
Favoreu, Du déni de justice, op. cit., p. 5.
7
L’intervento del sovrano nel processo appariva una perversione
dei valori fondamentali dell’ordo iudiciarium.
In altri termini, l’appello ‹‹pour défaut de droit›› appariva un
momento essenziale dell’ordo iudiciarius, di cui erano garanti i
tribunali regi e lo stesso re-giudice.
La prise à partie è quel fenomeno che, come si è detto, si
registra già a partire dal XVI secolo, momento storico in cui la regalità
teocratica si andava affermando sulle forze feudali; si profilava il
concetto di Stato assoluto e prendeva avvio il grande conflitto tra il re
ed i suoi giudici, in particolare i Parlamenti.
Era questa l’epoca in cui si delinearono, innanzitutto, le due
concezioni del déni de justice cui corrispondevano, rispettivamente, i
due modi di concepire il rapporto tra il diritto e la legge, tra giudice e
legislatore. Infatti, da un lato, veniva portata avanti la thèse
parlementaire che poneva la distinzione tra le ordinanze del re,
modificabili, e le ordinanze del regno, immutabili ed inviolabili
2
, che
miravano a delimitare lo stesso potere regio ed ogni altro potere. Di
queste ultime, in quanto lois fondamentales, il Parlamento si ergeva a
2
Nel lit de justice del giugno 1585 il Primo Presidente del Parlamento di Parigi, Schille
De Harlay, chiariva, ‹‹ abbiamo due specie di leggi: le une sono le leggi e le ordinanze del Re, le
altre sono le ordinanze del regno, che sono immutabili e inviolabili, grazie alle quali ( Voi Enrico
III ) siete salito al trono reale ››.
8
custode. Dall’altro lato, la thése royal riduceva, invece, il diritto alla
legge e subordinava il giudice alla stessa
3
.
La responsabilità del giudice (prise à partie) in Francia è nata
come una creazione giurisprudenziale, probabilmente sotto l’influsso
della tradizione italiana. Gli ideali isonomici delle responsabilità
professionale del giudice dovevano apparire compatibili con quelli del
déni de justice e con un sistema giudiziario, che soprattutto
4
attraverso
il meccanismo della venalità delle cariche assicurava inamovibilità e
completa indipendenza ad un giudice non funzionario. In effetti gli
uffici giudiziari erano considerati alla stregua di un qualsiasi diritto di
proprietà, che poteva essere venduto, acquistato e trasferito anche
mortis causa
5
.
A lato della responsabilità civile, in Francia, si era venuto
affermando anche una forma di controllo disciplinare interno delle
stesse compagnie giudiziarie, custodi dei valori della corporazione.
Dal 1450 vennero istituite le c.d. mercuriales, che erano riunioni dei
diversi organi giurisdizionali. All’interno di queste venivano esaminati
i comportamenti dei membri della Corte.
3
‹‹ Bisogna che la legge sia al di sopra dei giudici e non i giudici al di sopra della legge››
scriveva, nel XVI secolo il Cancelliere Michel De L’Hospital, Oeuvres I, Paris, 1824, p. 108.
4
La tematica dell’inamovibilità del giudice è antecedente alla venalità delle cariche, che
contribuì a rafforzare ulteriormente tale garanzia considerata fra le lois fondamentales.
5
I magistrati non potevano, quindi, essere destituiti che a seguito di concussione
preventivamente giudicata, secondo l’Ordonnance du 21 octobre 1467 di Luigi XI, confermata dai
suoi successori; cfr. Loyseau, op. ct., lib. I, cap. III, n. 100, nonché Jeanvrot, La magistrature et
l’inamovibiltè, vol. I, Paris, 1882, p. 8 ss.
9
Nell’ideologia dei giudici dell’Ancien Régime, la responsabilità
professionale appare, infine, solidale con un bilanciamento dei
pubblici poteri fra il re ed i corpi intermedi, in particolare i Parlamenti.
Fino al ‘500, lo stesso sovrano non metteva sostanzialmente in
discussione il controllo esercitato dal Parlamento sugli atti della
corona.
Il diritto del Parlamento di vérification e di enregistrement degli
editti regi, nonché quello di sollevare, in caso di rifiuto
6
,
remonstrances al re, rientravano fra i diritti inviolabili, di cui gli stessi
magistrati erano custodi. I parametri del controllo parlamentare erano
a loro volta, costituiti dalle lois fondamentales. Si trattava di principi
consuetudinari che i magistrati traevano abilmente da “precedenti che
escono dalle tenebre del passato” ( Tocqueville ).
È indubbio che la magistratura francese aveva assunto una
completa indipendenza dalla corona ed una posizione determinante,
anche dal punto di vista sociale e politico. In tale situazione, la
monarchia, durante il XVI secolo, cercò di reagire in due direzioni. In
primis, cercò di intervenire sul procedimento disciplinare delle
compagnie giudiziarie; ma questa strade si rivelò impraticabile, in
quanto l’unico risultato fu quello di prescrivere che le mercuriali si
6
Il rifiuto comportava la disapplicazione del provvedimento nell’ambito della
circoscrizione del Parlamento.
10
tenessero almeno ogni sei mesi. Più interessante fu, invece, il tentativo
di disciplinare la prise à partie. L’istituto venne, infatti, regolamentato
da Francesco I e da Enrico III, con l’ordonnance de Blois del 1573,
che prevedeva espressamente la responsabilità del giudice anche nel
caso di faute manifeste.
In realtà, le ordinanze di questo secolo costituiscono il momento
di rottura con l’idea medioevale di legislazione. In assenza di un
controllo disciplinare, peraltro, la magistratura non solo resistette, ma
anzi, rivendicò una supplenza legislativa, sulla base di un ideale di
equità, che sconfinava nella giustizia distributiva e politica.
Bisogna, però, rilevare che, in questo momento storico
particolarmente delicato, con le ordinanze citate la monarchia
cominciò a piegare a fini disciplinari l’istituto della prise à partie,
nell’intento di raggiungere una forma di controllo dei giudici.
Nel XVII e nel XVIII secolo le posizioni della corona e della
magistratura divengono più nette: il re tenta di attribuire a se stesso
anche l’organizzazione della funzione giudiziaria ed il controllo sui
giudici; la magistratura, invece, acquista la consapevolezza di
rappresentare il contrappeso del sovrano-legislatore.
La ricerca di una normativa esterna per rivitalizzare il controllo
disciplinare delle compagnie giudiziarie era destinata all’insuccesso.
11
In particolare, il conferimento di ampi poteri di iniziativa ai singoli
utenti delle giustizia non poteva raggiungere risultati utili in un
contesto in cui si mirava a sanzionare soprattutto la violenza da parte
dei magistrati di quelle ‹‹ordinanze del re››, di cui gli stessi parlamenti
si erano arrogati il diritto di verifica e registrazione. Del resto, la
corona non perseguiva neppure l’intento di tutelare i diritti degli utenti
del servizio, ma soltanto la propria pretesa all’organizzazione ed al
controllo della funzione giudiziaria.
Al di là della riforma legislativa, spetterà a Henry-François
D’Aguesseau – avvocato generale e procuratore generale presso il
Parlamento di Parigi – il tentativo di restituire efficienza al controllo
disciplinare ‹‹interno›› delle compagnie giudiziarie. Sono celebri i
suoi interventi a numerose mercuriali; in particolare, preme qui
ricordare la sua diciottesima mercuriale (1715)
7
nella quale teorizzò
l’ideale di una disciplina della magistratura mediante la quale ‹‹la
giustizia stessa degli uomini diviene una giustizia uniforme,
immutabile ed eterna››: inoltre, paragonò la compagnia giudiziaria ad
‹‹un ordine militare che ha bisogno di un ordine centrale capace di
riunirli sotto le leggi di una disciplina inviolabile››.
7
De la discipline, in Oeuvres de M. le Chancellier D’Aguessae, seconda ed. curata da
Pardessus, Paris, 1819 T. I, p. 224.
12
Ma, le affermazioni di D’Aguesseau non valsero a rivalutare le
antiche mercuriali che finirono col ridursi a vane cerimonie. Le sue
idee condividevano largamente con il disegno politico che la
monarchia francese perseguiva in quegli anni.
Maggiore interesse presenta la matura e dettagliata normativa
sulla prise à partie che venne incorporata nella più importante
legislazione processuale europea del XVII secolo, l’Ordonnance civile
du mois d’avril de 1667 di Luigi XIV (il c.d. Code Louis).
Ordinanza, questa, che prefigura l’idea moderna di ‹‹codice››;
ha, infatti, un valore abrogativo non solo rispetto alla legislazione
precedente, ma anche rispetto alla prassi dei tribunali. Se la volontà
del sovrano è l’unica norma di riconoscimento, il ruolo del giudice
finisce per essere parificato a quello del funzionario. Non a caso il Re
Sole, con l’ordinanza qui in esame, per vincere la resistenza dei
magistrati di fronte al Codice, tolse loro quel diritto di remonstrance,
che verrà restituito ai parlamenti, solo dopo la sua morte
8
.
In secondo luogo, l’idea di giudice funzionario costituiva
soltanto il logico corollario di un processo che si andava configurando
8
Più precisamente, con l’ordinanza di aprile del 1667, ci si limita a prescrivere termini
brevi per le remonstrances. Con le successive lettere patenti del 24 febbraio 1673 si stabilì, invece,
che l’enregistrement, non più condizione di validità e/o efficacia della legislazione, fosse un atto
dovuto e dovesse essere adempiuta prima di presentare le remonstrances.
13
come fenomeno burocratico
9
. In questo quadro la prise à partie venne
costruita come strumento sostitutivo della responsabilità disciplinare
del giudice, ovvero, un’ utilizzazione in chiave paradisciplinare.
L’analisi della normativa della prise à partie nel Code Louis
rivela che essa ha poco o nulla in comune con la tradizione italiana
della responsabilità ‹‹professionale›› del giudice. La prise à partie non
è tanto uno strumento di tutela della parte, quanto un presidio dello ius
iurisdictionis. Di fronte ai Parlamenti il Re di Francia riaffermò
l’autorità del sovrano. Venne, in seguito, precisato che i principi
comuni in tema di responsabilità non si applicavano al giudice.
Il Code Louis enunciò tutta una specie di casi di prise à partie,
finendo così per porre in evidenza il carattere speciale delle regole
proprie della responsabilità del giudice. In linea di principio, il giudice
rispondeva soltanto di dolo, frode e concussione
10
, oltre che per déni
de justice; rimaneva, così, in ombra la possibilità della prise à partie
per colpa, in quanto non venne riprodotta la disposizione dall’art. 147
dell’Ordonnance de Blois.
9
Il sintomo più inquietante di una concezione burocratica del processo fu avvertito dalla
magistratura francese nel sistema di prove legale: basti considerare quella “lex odiosa” costituita
dal divieto della prova testimoniale in materia contrattuale, che venne relativizzata dalla
giurisprudenza francese. Cfr. A. Giuliani, prova ( logica giuridica ), op. cit., § 23, a proposito del
conflitto tra Pussort ed il Presidente de Lamoingnon.
10
Tale formula si ritrova già nell’art. 1 delle ordinanze di dicembre del 1540 e venne
successivamente ripresa dall’art. 147 dell’Ordonnance de Blois.
14
In Francia l’ideologia dei magistrati – che rivendicano il ruolo
di oracoli del diritto – continuò ad avere un ruolo preminente,
nonostante gli sforzi del sovrano di introdurre un nuovo concetto di
professionalità.
La magistratura comprese che la prise à partie corrispondeva ad
un disegno di politica legislativa, che mirava alla burocratizzazione
dell’ordinamento giudiziario. Un documento fondamentale di questo
stato d’animo è costituito dagli stessi lavori preparatori, in cui esplode
il conflitto tra il Consigliere Pussort, portavoce del re, e il primo
presidente del Parlamento di Parigi, De Lamoignon, sostenitore delle
ragioni della magistratura. I giudici – gelosi dei privilegi e delle
prerogative – vedevano nella normativa della prise à partie una
minaccia per la loro indipendenza.
L’abbandono del giudice al risentimento delle parti avrebbe
comportato una perdita di prestigio dell’intera magistratura.
De Lamoignon – attraverso esempi tratti dall’antiquitè –
sosteneva che le leggi più dolci e più umane sono quelle meglio
osservate e più durature. Dal lato opposto, Pussort partiva dall’idea
che uno dei fini della monarchia assoluta era quello di imporre ai suoi
giudici disciplina ed unità di procedura. Le sanzioni penali non erano
15
più sufficienti; occorreva organizzare, attraverso la responsabilità
civile, una forma di controllo della magistratura.
Il Code Louis ci rileva come il disegno della monarchia assoluta
di piegare a fini disciplinari la prise à partie era destinato al
fallimento. La giurisprudenza, infatti, utilizzò le tecniche
ermeneutiche dell’interpretatio per colmare i vuoti e risolvere le
antinomie tra le varie ordinanze. Durante il lungo regno del Re Sole,
la magistratura si era limitata a resistere ai tentativi da parte della
corona di istituire efficienti forme di controllo sui giudici.
Fra i primi atti del reggente, Filippo d’Orléans, è da ricordare la
restituzione ai Parlamenti del diritto di preventive remontrances, in
occasione del refus d’enregistrement degli atti regi
11
. Rientrati nella
pienezza delle loro funzioni di custodi della legge, i magistrati
francesi impressero nuovo impulso all’opera di elaborazione delle lois
fondamentales.
Nel XVIII secolo, i Parlamenti presero, ad esempio, posizione
contro l’istituzione dei giudici straordinari e cominciò ad emergere la
tematica del giudice naturale
12
.
11
Provvedimento del 15 settembre 1715. In tema cfr., Alatri, Parlamenti e lotta politica
nella Francia del 700, op. cit., pp. 106 ss., 109 ss. Ed ivi anche i risvolti politici.
12
Cfr., N. Picardi, il giudice ordinario ( le variabili nella tradizione del diritto comune
europeo ).