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CAPITOLO I 
Il sistema dell’istruzione in Italia e le competenze europee 
 
 
 
Sezione A: Dalle origini dell’autonomia alla riforma della 
Costituzione 
 
 
1. Le origini dell’autonomia 
2. I primi anni ‘90 
3. La legge numero 59 del 15 Marzo 1997 
4. L’attuazione del decentramento 
5. La riforma del titolo V della Costituzione 
6. L’autonomia funzionale 
7. La triplice autonomia 
8. La riforma Moratti e il recente disegno di riforma costituzionale 
 
 
 
 
 
Sezione B: Il quadro delle competenze in materia d’istruzione della 
UE e le prospettive future 
 
 
1. L’assenza di competenze dell’UE 
2. Il metodo del coordinamento aperto 
3. Le regioni ed i rapporti con l’UE 
 
 
 
 5
 
SEZIONE A:  DALLE ORIGINI DELL’AUTONOMIA ALLA 
RIFORMA DELLA COSTITUZIONE 
 
 
 
1. Le origini dell’autonomia 
 
 
L’autonomia scolastica è una conquista piuttosto recente, frutto di un progresso 
repentino sviluppatosi a partire dalla metà degli anni Novanta. Oggi il problema 
centrale è rappresentato dal rapporto fra l’autonomia delle istituzioni scolastiche e 
le autonomie regionali, alla luce della legge di riforma del titolo V della 
Costituzione
1
. 
Prima di analizzare le problematiche attuali è indispensabile tuttavia dare uno 
sguardo al passato, per comprendere quale sia stata l’evoluzione del sistema 
scolastico nel nostro paese.  
L’istituzione del Ministero dell’istruzione risale al 1847, ma è a seguito dell’unità 
d’Italia che si afferma quel sistema accentrato, quella statalizzazione del sistema 
scolastico, che permarrà immutata per decenni, fino a subire le prime spinte 
autonomistiche negli anni ’70. Negli anni immediatamente successivi 
all’unificazione prevalse la necessità che l’unione politica fosse accompagnata da 
una unione culturale. In questa prospettiva, l’istruzione diviene funzione primaria 
dello Stato al fine «di dare ai cittadini un’educazione nazionale unica ed uniforme 
per tutti, di formare menti e coscienze secondo il suo pensare e il suo volere, di 
creare una nuova generazione devotamente fedele alla sua monarchia e 
militarmente obbediente ai suoi ordini» come disse Francesco De Sanctis nel 
1874. Evoluzione naturale di tale politica fu rappresentata dai numerosi 
provvedimenti normativi che portarono dall’erosione delle competenze conferite 
ai comuni dalla legge Casati
2
 fino ad un forte rafforzamento del processo di 
accentramento nel periodo fascista con la riforma Gentile del 1923. 
Anche l’entrata in vigore della Costituzione
3
 non segnò un distacco dal modello 
dell’istruzione come funzione fondamentale dello Stato e, fino ai primi anni 
Settanta, il sistema scolastico ha rappresentato una parte dell’amministrazione 
centrale e periferica dello Stato tanto da far definire i provveditorati agli studi 
come veri e propri ministeri provinciali. Alle Regioni fu affidata, infatti, 
competenza legislativa concorrente per ciò che riguarda l’assistenza scolastica, 
vista come attività esterna di carattere economico, e per l’istruzione artigiana e 
professionale che ha finalità propedeutica all’ingresso nel mondo del lavoro. 
                                                 
1
 Legge Cost. n. 3/2001 
2
 R.d.l. n. 3721 del 1859. La legge Casati oltre ad affidare al Ministro dell’Istruzione il compito di 
governare l’insegnamento pubblico e di vigilare sull’insegnamento privato, prevedeva 
l’attribuzione di competenze ai Comuni per ciò che riguarda l’istruzione elementare nell’ambito di 
una divisione della gestione amministrativa e finanziaria.  
3
In sede di Assemblea Costituente, per il vero, vi furono alcune proposte di attribuzione alle 
Regioni di importanti competenze legislative in tema di istruzione. Tali proposte non vennero 
tuttavia accolte sulla base di considerazioni attinenti, in particolare, alla necessità di evitare 
sperequazioni nella offerta formativa. 
 6
I primi sussulti di autonomia si hanno proprio all’inizio degli anni Settanta. Il 
sistema accentrato ereditato dall’Ottocento subisce le prime modifiche con 
l’attribuzione di competenze agli enti territoriali, con i decreti delegati
4
 di 
attuazione del modello regionale previsto nella Costituzione, e con l’introduzione 
di forme di partecipazione sociale all’interno degli istituti scolastici. In particolare, 
la previsione di organi collegiali rappresentativi delle componenti sociali della 
scuola ha portato a vedere l’istituto scolastico come dotato, sostanzialmente, di 
una certa soggettività in virtù della sua esponenzialità rispetto ad una comunità di 
riferimento.  
Si trattava delle prime, timide, aperture verso quel modello autonomistico che si 
affermerà successivamente. A seguito, infatti, della attuazione del sistema 
regionale previsto dalla Costituzione, si pongono delle questioni relative al sistema 
scolastico sia al livello dell’amministrazione statale, che ha interesse affinché gli 
istituti d’istruzione non vengano sottoposti al controllo delle autonomie territoriali, 
sia al livello delle stesse scuole, che ‘temono’ la dipendenza da due centri di 
potere come l’amministrazione statale e le autonomie regionali.  
 Nel 1989 fu presentato un progetto davvero innovativo ad opera del Ministro 
dell’istruzione Galloni. Il disegno di legge
5
, che prevedeva una razionalizzazione 
delle funzioni ministeriali accompagnata dall’attribuzione di un’ampia autonomia 
agli istituti scolastici, tuttavia naufragò in Parlamento. Si manifestava evidente, 
comunque, la necessità di provvedere ad un radicale ripensamento del ruolo delle 
istituzioni scolastiche alla luce della crisi del sistema di istruzione italiano 
confermato, o meglio sottolineato, dall’alto tasso di dispersione scolastica. 
 
 
 
                                                 
4
 Adottati nel 1972 in attuazione della legge delega n. 281 del 1970. 
5
 Disegno di legge n. 1531 del 19 Gennaio 1989 recante «Norme sull’autonomia delle scuole, sugli 
organi collegiali e sull’amministrazione centrale della pubblica istruzione». 
 7
2. I primi anni ‘90 
 
 
Gli anni Novanta furono un periodo decisivo e si aprirono con un nuovo impulso 
all’attuazione del modello autonomistico, in linea di continuità con le crepe aperte, 
oramai, nell’ottocentesco sistema centrista. Tale impulso è stato rappresentato 
dalla Conferenza Nazionale sulla scuola svoltasi a Roma. 
Ma è nel 1993 che si segnò una svolta. Nel quadro delle iniziative del governo 
Ciampi volte al risanamento della finanza pubblica, con l’art. 4 della legge n. 537 
del 24 Dicembre 1993 si provvide ad una prima attribuzione agli istituti scolastici 
della personalità giuridica e si delegò il governo all’adozione di provvedimenti che 
realizzassero, in concreto, l’autonomia, suddivisa in organizzativa, didattica e 
finanziaria. Il disegno autonomistico si innestava in un ampio processo di riforma 
amministrativa e, anche se la delega rimase inevasa, essa stessa in dottrina è stata 
vista come degna di nota, non solo perché base per l’evoluzione che 
successivamente si è verificata in materia, ma anche perché presentava una sorta 
di autonomia scolastica “pura”, nella quale erano rinvenibili le due essenziali 
relazioni per la effettiva formazione del sistema: quella fra amministrazione 
burocratica e servizio tecnico dell’istruzione e quella fra il centro del sistema e le 
istituzioni scolastiche autonome
6
.  
La stessa attribuzione di personalità giuridica agli istituti scolastici rappresentò un 
punto di rottura con il modello ottocentesco. Fu da tale momento, infatti, che, 
anche formalmente -sostanzialmente, come osservato, il processo era già in atto- la 
scuola finì di essere parte dello Stato o della sua amministrazione periferica. 
Vi è inoltre da osservare che taluni aspetti fondamentali del disegno di legge 
ricorreranno nei successivi provvedimenti legislativi nel corso della XI e XII 
legislatura: l’esigenza di attribuire agli istituti la possibilità di predisporre una 
propria, entro certi limiti, offerta didattica, di modificare, responsabilizzare il 
ruolo del capo d’istituto, di riformare gli organi collegiali, di formarsi una propria 
identità. 
Quindi, sebbene il disegno di legge del 1993, come detto, non ebbe seguito, di 
sicuro si può osservare che segnò e spianò la strada futura come dimostrano i 
successivi disegni di legge presentati fra il 1994 ed il 1997
7
. 
 
 
 
                                                 
6
 Vd.  A. Sandulli Il sistema nazionale di istruzione, Bologna, Il mulino,  2003, pag. 71ss. 
7
 L’art. 3 del t.u. in materia di istruzione del 1994 definisce la scuola come “comunità che 
interagisce con la più vasta comunità sociale e civica”. 
 8
3. La legge numero 59 del 15 Marzo 1997   
 
 
Per la consacrazione dell’autonomia si devono attendere 3 anni: la legge n. 59 del 
15 Marzo 1997. Innanzitutto, l’art. 21 di tale legge prevede la completa estensione  
della personalità giuridica a tutti gli istituti scolastici, in precedenza concessa solo 
agli istituti tecnici e professionali e agli istituti d’arte. Da ciò consegue la 
possibilità di godere dell’ autonomia patrimoniale, di una propria dotazione 
finanziaria e di beni propri, nonché di agire e resistere in giudizio, accettare 
donazioni eccetera. Ma l’attribuzione di personalità giuridica nel disegno 
normativo va ad arricchire, e a rappresentare una faccia di quella autonomia, 
definita funzionale, che viene concessa alle istituzioni scolastiche.  
Il citato articolo 21 della legge n. 59 del 1997, al primo comma, stabilisce che lo 
Stato mantiene esclusivamente le competenze necessarie ad assicurare i “livelli 
unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio” ed a determinare “gli 
elementi comuni all’intero sistema scolastico pubblico in materia di gestione e 
programmazione”. La tecnica normativa adoperata dal legislatore è in linea con 
quella prevista dalla stessa legge nell’ambito generale della riforma 
amministrativa, vengono cioè delineate in modo tassativo le funzioni statali; agli 
istituti scolastici è prevista l’attribuzione delle funzioni relative alla gestione del 
servizio d’istruzione, attribuzione da effettuarsi mediante regolamenti 
governativi
8
, mentre le competenze regionali e locali sono quelle residuali, non 
mantenute dallo Stato né concesse agli istituti scolastici. 
Il primo comma dell’art. 21 delinea un sistema di attuazione dell’autonomia 
mediante una relazione bilaterale tra amministrazione statale e amministrazione 
scolastica, dalla quale risulta limitata qualsiasi pretesa di intervento nel processo 
da parte degli enti territoriali minori. Ciò è confermato dal fatto che la competenza 
a disciplinare il procedimento di dimensionamento degli istituti e la 
programmazione territoriale è appannaggio esclusivo dello Stato
9
. Proprio in tali 
settori era infatti possibile immaginare un intervento degli enti locali. Non solo, 
ma anche per la riforma degli organi collegiali di livello nazionale e periferico e la 
riforma del Ministero dell’istruzione è previsto si proceda, ancora una volta senza 
acquisizione di alcun parere di organi rappresentativi degli enti territoriali, 
mediante atti normativi statali. Per il primo caso, la riforma degli organi collegiali, 
è previsto solo un criterio generico a cui dovrà attenersi il decreto legislativo 
disciplinante la materia, cioè la ‘valorizzazione del collegamento con le comunità 
locali’
10
. Per ciò che riguarda, invece, la riforma del Ministero dell’istruzione è 
stabilito che il governo vi provveda con un regolamento vincolato ad “armonizzare 
e coordinare le funzioni amministrative attribuite alle regioni ed agli enti locali 
anche in materia di programmazione e riorganizzazione in materia scolastica”
11
. 
                                                 
8
 Per i quali, si badi, non è richiesto il parere delle commissioni competenti per gli affari 
riguardanti i diversi livelli di governo territoriale. 
9
 Art. 21 comma 3 legge cit. 
10
 Art. 21 comma 15 lettera d) legge cit. 
11
 Art. 21 comma 18 legge cit. 
 9
Verificando, all’interno della legge, quali siano le disposizioni che attribuiscono, 
concretamente, competenze alle Regioni, le troviamo solo per ciò che riguarda le 
Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano
12
. 
Sulla base di tutto ciò si può concordare con chi ha affermato che «l’art. 21 pare 
costruire una relazione di tipo privilegiato tra la struttura ministeriale centrale e le 
istituzioni scolastiche, attribuendo una posizione, per così dire, defilata ed 
ancillare ai livelli di governo sub-statali»
13
. Dall’assetto legislativo è chiaro, 
infatti, che l’ambito di competenze regionali e locali risulti piuttosto esiguo e solo 
lievemente diverso rispetto al precedente assetto normativo
14
. 
Le ragioni di fondo di questo sistema delineato dalla legge Bassanini stanno 
innanzitutto nella necessità di affermare il ruolo strategico di coordinamento e di 
indirizzo dello Stato, ma soprattutto nel tentativo di valorizzare l’autonomia 
scolastica, in ossequio ai principi di sussidiarietà, funzionalità e responsabilità su 
cui si basa l’intera riforma dell’azione della Pubblica amministrazione, evitando 
una possibile compressione dell’autonomia ad opera dello Stato e degli altri enti 
territoriali. In tal modo, alle istituzioni scolastiche è attribuita, tra l’altro, la 
possibilità di instaurare rapporti e relazioni con l’apparato produttivo e le 
formazioni sociali
15
.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 
12
 L’art. 21 comma 20 legge cit. stabilisce infatti che “Le Regioni a statuto speciale e le Province 
autonome di Trento e Bolzano disciplinano con propria legge la materia di cui al presente articolo e 
nel rispetto e nei limiti dei propri Statuti e delle relative norme di attuazione”.  
13
 A. Sandulli Il sistema nazionale di istruzione, op. cit., pag. 76. 
14
 Assetto delineato dalla legge n. 142 del 1990. In questo senso si esprime A. Sandulli Il sistema 
nazionale di istruzione, op. cit., pag. 76. 
15
 Lo stesso art. 21della legge n. 59 del 1997 al comma 10 stabilisce la possibilità per gli istituti 
scolastici di intervenire in settori della formazione extrascolastica mediante la realizzazione di 
“percorsi formativi per gli adulti, iniziative di prevenzione dell’abbandono e della dispersione 
scolastiche, iniziative di utilizzazione delle strutture e delle tecnologie anche in orari extrascolastici 
ed ai fini del raccordo col mondo del lavoro”. 
 10
4. L’attuazione del decentramento 
 
 
Sebbene il tentativo della legge n. 59 del 1997 sia stato di grande rilevanza, c’e’ da 
considerare che esso portava nel suo seno un profilo di ambiguità derivante 
proprio dal rapporto bilaterale (Stato e istituti scolastici) con limitazione del ruolo 
degli enti territoriali sub-statali. L’ambiguità sarà accentuata dopo il ’97 da una 
nuova ondata di centralismo e dal fatto che non è stata rispettata la sequenza 
logica di attuazione determinata a livello normativo: col Dlgs. n. 112 del 31 Marzo 
1998 si è proceduto infatti al trasferimento di funzioni a Regioni ed enti locali 
prima che fossero adottati i provvedimenti di attuazione relativi all’autonomia 
scolastica. 
Va subito considerato che il sistema di decreti e regolamenti prefigurato dalla 
legge n. 59 del 1997 è rimasto prevalentemente inattuato. Lo stesso Dlgs. n. 112 
del 1998, almeno in parte, disattende la legge delega rendendo difficile, e in un 
certo senso interrompendo, il percorso di affermazione dell’autonomia.  
Innanzitutto, infatti,  si è proceduto al decentramento delle funzioni alle autonomie 
territoriali e locali prima che si procedesse alla realizzazione dell’autonomia 
scolastica. Vi è stata, quindi, l’inversione di un processo che sarebbe dovuto essere 
costituito da due tappe: una prima, volta alla attuazione dell’autonomia scolastica 
e una seconda, diretta a conferire a Regioni ed enti locali funzioni in materia di 
istruzione
16
.  
In secondo luogo, si è assistito alla riemersione di logiche centraliste, 
determinando una situazione in cui le autonomie scolastiche si sono trovate ‘tra 
due fuochi’: da un lato il ritorno prepotente dello Stato, dall’altro il confronto-
scontro con le amministrazioni territoriali e locali a seguito del conferimento ad 
esse delle funzioni amministrative. Per ciò che riguarda il primo profilo, il ritorno 
dello Stato, esso è rappresentato dal fatto che l’autonomia finanziaria concessa alle 
scuole è, in buona sostanza, solo una autonomia di spesa; inoltre la stessa 
autonomia organizzativa risulta monca, in quanto priva della competenza a gestire 
e reclutare il personale
17
. Infine, particolare rilievo assumono in tale prospettiva i 
provvedimenti volti al riordino del Ministero dell’Istruzione. Se gli obbiettivi di 
fondo erano quelli di uno snellimento dell’apparato organizzativo ministeriale 
unito alla configurazione dello stesso Ministero come organo con funzioni di 
indirizzo e controllo
18
, tali risultati si ritiene non siano, in gran parte, stati 
raggiunti. Il nuovo assetto ministeriale
19
ha determinato l’accorpamento in un 
unico ministero, che prende la denominazione di Ministero dell’istruzione, 
dell’università e della ricerca, del Ministero della pubblica istruzione e del 
Ministero dell’università e della ricerca scientifica. Sebbene la struttura 
organizzativa sia certamente più snella, essa non è rispondente a quella prevista 
dalla legge n. 59 del 1997 e pare funzionale più al rapporto con l’apparato 
                                                 
16
 Come nota A. Sandulli Il sistema nazionale di istruzione, op. cit, pag. 80. 
17
 I motivi di ciò si basano da un lato sul timore che l’attribuzione di tali competenze avrebbe 
potuto portare a una compressione della libertà dell’insegnamento, dall’altro sulle resistenze 
opposte dagli stessi sindacati del corpo docente, poco favorevole a farsi gestire ed organizzare. 
18
 L’obbiettivo era quello di fare del Ministero dell’Istruzione, sulla scorta di esperienze europee 
come quella olandese, un organo snello, detentore di poche ma rilevanti funzioni volte a 
determinare criteri, parametri, standard e a valutare risultati, vd. A. Sandulli Il sistema nazionale di 
istruzione, op. cit, pag. 81ss. 
19
 Il nuovo assetto ministeriale è stato determinato dal Dlgs. 30 Luglio 1999, numero 300; dal 
d.P.R. 6 Novembre 2000, n. 347; dal d.m. 30 gennaio 2001.