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Il progetto dell’Ente Parco si struttura con la consulenza del Dr. Giorgio Boscagli e con
l’azione sul territorio degli agenti del C.T.A.-C.F.S. (Coordinamento Territoriale per
l’Ambiente-Corpo Forestale dello Stato), degli agenti dell’ex A.S.F.D. (Azienda di Stato
per le Foreste Demaniali), dell’A.R.F. (Azienda Regionale Foreste) e della Polizie
Provinciali di Arezzo e Forlì-Cesena. Sono coinvolte anche altre realtà operanti nell’ambito
della ricerca faunistica all’interno del Parco (Centro Asqua-Società Quadrifoglio), con
funzioni di pianificazione delle attività pratiche svolte sul campo e di coordinamento di
soggetti terzi (stagisti, tesisti, tirocinanti) spesso provenienti dalla realtà universitaria.
Il monitoraggio avviene con tecniche di rilievo indiretto quali il Wolf-howling e la raccolta
fatte, effettuata per consentire le analisi genetiche da parte dell’I.N.F.S. (Istituto Nazionale
per la Fauna Selvatica).
Il censimento tramite wolf-howling svolto nel 2001 (Boscagli et al., 2001) ha permesso di
stabilire l’esistenza di 6 branchi di animali, con un numero di individui compreso tra un
minimo di 26 ad un massimo di 36.
I transetti di raccolta fatte sono stati stabiliti sulla base dei rilievi che, in anni precedenti,
erano stati svolti dagli stessi agenti del C.F.S. e dagli studenti dell’Università di Pisa, che
avevano dimostrato come, su tali percorsi, fossero alte le frequenze di ritrovamento di segni
di presenza della specie, o fossero possibili avvistamenti. Anche la possibilità di
percorrenza in tutte le stagioni è stata un fattore determinante nella scelta dei percorsi.
Il C.T.A.-C.F.S. ha, infatti, garantito sia il monitoraggio dei sentieri e delle strade eseguito
durante i normali servizi, sia la percorrenza mensile di un transetto dedicato alla raccolta.
Per avere dati confrontabili nel tempo è stato poi adottato uno specifico protocollo di
raccolta suggerito dall’I.N.F.S, al fine di standardizzare la raccolta fatte.
I campioni raccolti sono stati utilizzati per l’esecuzione di analisi genetiche presso i
laboratori dell’Istituto, dove il responsabile interno del progetto è il Dr. Ettore Randi.
La freschezza del campione è spesso determinante nel rinvenimento di resti di epitelio
intestinale, contenuti nello strato mucoso intorno alla fatta.
Sono infatti le cellule di sfaldamento dell’epitelio intestinale ad essere analizzate dopo
sequenziazione genica, a seguito di digestione con enzimi di restrizione e moltiplicazione
dei frammenti presenti tramite PCR (Polymerase chane reaction).
I marcatori genetici prescelti consentono l’individuazione della specie di provenienza,
distinguendo quindi il Lupo da qualsiasi altro Canide, per cui, quando un particolare
campione è identificato come riferibile alla specie Lupo, tramite l'analisi del DNA
mitocondriale è possibile definire se si tratta di un Lupo italiano o di un esemplare
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proviente da altre regioni d'Europa o del Nord America; è inoltre possibile distinguere i
campioni provenienti da lupi “puri” da quelli appartenenti a esemplari “ibridi”.
I geni ZFX/ZFY permettono il riconoscimento del sesso dell’animale.
Tramite l'analisi del DNA fingerprinting (impronta digitale genetica) è infine possibile
identificare il genotipo di ogni singolo individuo presente della popolazione grazie
all’analisi dei multiloci tramite microsatelliti.
E’ stato così possibile, sulla base dei campioni finora analizzati, avere un primo quadro sia
sui rapporti parentali intercorrenti tra gli animali presenti contemporaneamente nell’area di
studio, sia sulla numerosità della popolazione (dato confrontabile con i rilievi tramite wolf-
howling), che sugli spostamenti degli individui mappati geneticamente più di una volta.
Le fatte ritenute troppo vecchie ai fini dell’analisi genetica sono state comunque
classificate, compilando un’apposita scheda (Fig.2, Capitolo 2), e sono state cartografate
con softwares GIS (ArcGis 9.0 e MapInfo 7.0).
La porzione dell’area di studio sulla quale si è concentrata la nostra attenzione e dalla quale
provengono i dati che abbiamo elaborato è costituita dalle valli di Ridracoli e Pietrapazza,
facenti parte del bacino idrografico del Bidente, sul versante romagnolo del Parco.
L’analisi proposta prevede l’utilizzo dei campioni raccolti per l’indagine genetica,
unitamente alle fatte non raccolte perché troppo vecchie, e ad altre rilevanze di presenza del
Lupo nell’area di studio considerata (eventi predatori, ululati spontanei ed indotti,
avvistamenti, piste su neve, ecc.). Si è scelto di considerare questi dati come aventi con lo
stesso “peso” ai fini statistici, e, nel corso dell’elaborazione tramite software specifico
(Ranges V) sono stati assunti come “fix”. I fix sono localizzazioni, tramite coordinate
Est/Nord, di un determinato animale; questi vengono quindi elaborati statisticamente
tramite il metodo di Kernel. Si ottiene così una rappresentazione grafica dell’home range
grazie alla conversione di una distribuzione discontinua di punti (le localizzazioni dei segni
di presenza) in una distribuzione continua, costituita da curve dette isoplete a probabilità
costante.
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CAPITOLO 1
1.1 SISTEMATICA
Canis lupus (L., 1758) appartiene
all’ordine dei Carnivori, famiglia dei
Canidi, di cui è il rappresentante di
maggiori dimensioni.
Il genere Canis comprende oltre al Lupo
altre 6 specie selvatiche:
-il Coyote (Canis latrans Say, 1832)
-lo Sciacallo della gualdrappa (Canis mesomelas Schreber, 1755)
-lo Sciacallo dorato (Canis aureus L.,1758)
-lo Sciacallo striato (Canis adustus Sundevall,1847)
-lo Sciacallo del Siemen o Lupo abissino (Canis simensis Ruppel, 1869)
-il Lupo rosso (Canis rufus Bailey, 1905)
La presenza storica della specie Canis lupus comprendeva l’intero emisfero boreale, con le
popolazioni più meridionali localizzate in Messico (Canis lupus baileyi), in Arabia (C. l.
arabs) e nel sub-continente indiano (C. l. pallipes) (Mech, 1970). Una così vasta distribuzione
comporta una altrettanto elevata variabilità fenotipica, rendendo spesso difficile e controversa
la distinzione nelle diverse sottospecie. Attualmente ne vengono distinte 5 in Nord America e
6 nel continente eurasiatico (Novak 1983, 1985), anche se in base alla radiotelemetria
applicata ad alcune popolazioni in Minnesota (Fritts, 1983), pare esistano flussi genici tra
quelle si credevano essere sottospecie distinte. Si prevede quindi un futuro accorpamento
delle attuali sottospecie. In Italia Altobello (Altobello, 1921) ascrisse il Lupo alla sottospecie
italicus, ma la distinzione che non viene però attualmente ritenuta valida.
Il Lupo è anche riconosciuto come progenitore selvatico del Cane domestico (Canis
familiaris, L.1758), al quale una recente revisione tassonomica ha riconosciuto lo status di
sottospecie domestica (Canis lupus familiaris) (Wilson et al., 1993), interfeconda con il Lupo.
BIOLOGIA DEL LUPO
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1.2- AREALE
In Europa sembra che il Lupo sopravviva con una discreta popolazione solo nelle zone più
impervie di Spagna e Portogallo, un piccolo nucleo vive fra Svezia e Norvegia (Wakkaben
et al., 1983), mentre i popolamenti nord-orientali della stessa penisola scandinava sembra
siano dovuti ad individui erratici provenienti dalla Russia e dalla Finlandia (Pulliainen,
1965). Discrete popolazioni si trovano nei paesi Balcanici (ex Yugoslavia, Grecia, Albania,
Bulgaria e Romania) ma la persecuzione ufficiale ed il bracconaggio rischiano di
intaccarne seriamente la popolazione, mentre nella Russia il Lupo ha grandi popolazioni,
favorito dagli ampi spazi e dalla bassa antropizzazione, che limitano gli incontri con
l’uomo.
In America la presenza del Lupo è continua dall’Alaska al Canada meridionale, discontinua
invece negli Stati Uniti (in Minnesota e Parco di Yellowstone è presente in seguito a
reintroduzioni), per terminare in Messico, che rappresenta il confine meridionale per l’areale
della specie.
In Italia la ricolonizzazione ha ormai interessato tutto l’Appennino. Presente fin
dall’inizio del secolo in tutta Italia-Sardegna e altre isole minori escluse- il Lupo è scomparso
dalle Alpi intorno agli anni ’20 (Brunetti 1984), e dalla Sicilia intorno agli anni ’50. Tra le
cause che ne hanno determinato la rarefazione, culminata a cavallo degli anni ‘70, sono da
menzionare la caccia (legale fino al 1971), il progressivo scarseggiare di prede, e la crisi della
zootecnia montana (Apollonio 1996, Francisci e Mattioli 1996). Non esiste concordanza
completa sui dati relativi alla distribuzione e alla consistenza della popolazione italiana di
Lupo per quel periodo: alla luce delle recenti acquisizioni della genetica, in particolare sul
DNA mitocondriale (Randi et al., 1995), e con la raccolta di tutte le segnalazioni di
ritrovamento di lupi uccisi in quegli anni (Francisci e Guberti, 1993), sembra verosimile
l’ipotesi secondo la quale il Lupo intorno agli anni ’70 abbia toccato un minimo storico di
circa 200-300 individui, persistenti in popolazioni solo in parte isolate tra loro e relegate nelle
zone più impervie ed inaccessibili dell’Appennino, dalla Calabria fino all’Appennino tosco-
romagnolo.
A partire dalla metà degli anni ‘70, le popolazioni di Lupo hanno progressivamente
ma costantemente recuperato l’areale perduto, grazie al ripopolamento progressivo delle
montagne da parte degli Ungulati selvatici (avvenuto grazie alla protezione degli habitat
naturali, ma anche in seguito a programmi di ripopolamento operati dal Corpo Forestale dello
Stato e dalle Associazioni venatorie), al graduale abbandono delle aree montane da parte
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dell’uomo, e alla cessazione dei programmi di persecuzione legalizzata su larga scala (come
risultato di una serie di misure conservazionistiche, quali la protezione legale della specie, dal
D.M. 23/71, ed il rimborso dei danni all’allevamento) (Apollonio 1996, Francisci e Mattioli
1996, Ciucci e Boitani 1998).
Le stime che seguono si basano su estrapolazioni a tutto il territorio italiano di dati
provenienti da piccole realtà, e non da studi complessivi sull’intero territorio nazionale.
1968: 300 esemplari -stima- A.Simonetta
1971: 200 esemplari -stima- F.Tassi
1976: 100 esemplari -censimento- E.Zimen e L.Boitani
1985: 220 esemplari -censimento- G.Boscagli
1986: 250 esemplari -stima- Gruppo Lupo Italia
1990: 400 esemplari -stima- Gruppo Lupo Italia
1995: 500 esemplari -stima- Gruppo Lupo Italia
Non esistendo dati certi, la consistenza attuale del Lupo in
Italia è controbattuta e oggetto di continui dibattiti: le
proiezioni/estrapolazioni popolazionali più recenti oscillano
intorno ai 400-500 individui in totale (Ciucci e Boitani,
1998). La sua distribuzione interessa l’intera catena
appenninica, dall’Aspromonte fino alle Alpi Marittime,
oltre che diverse zone collinari dell’Italia centrale e centro-
settentrionale. Si ritiene che nei prossimi anni il Lupo
ricolonizzerà anche l’intero arco alpino, provenendo sia dal
fronte orientale che dalla Slovenia.
Gruppi di lupi sono ormai stabili, dagli inizi degli anni ’90, nelle Alpi marittime, nelle Alpi
occidentali, e nel Parco Nazionale del Mercantour (Francia), dove era scomparso dal 1800.
Ritrovamenti di esemplari morti e avvistamenti in natura sono stati segnalati fino alla
provincia di Varese.
Nonostante le iniziative conservazioniste in campo legale a favore del Lupo, la
persecuzione diretta da parte dell’uomo costituisce ancora oggi il principale fattore di
mortalità del Lupo in Italia. Ogni anno vengono rinvenuti in Italia circa 60 lupi uccisi
dall’uomo (Francisci e Mattioli, 1996), di solito tramite veleno o arma da fuoco.
Negligenza e difficoltà oggettive nell’applicazione delle leggi, che si sommano alla
tensione derivante dai conflitti di natura economica (quasi sempre amplificati da retaggi
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culturali e pregiudizi negativi nei confronti della specie), sono tra i motivi principali del
persistente livello di persecuzione.
1.3- MORFOLOGIA
Le dimensioni nella specie variano seguendo un gradiente latitudinale all’interno
dell’areale di distribuzione (gli animali più longilinei saranno quindi nella parte più
meridionale dell’areale); la specie dimostra così di essere estremamente adattabile ad un
vasto range di climi differenti, con le conseguenti condizioni ecologiche che ne derivano.
Un’empirica classificazione, basata esclusivamente su caratteri fenotipici e creata per le
popolazioni del Nord Europa, è quella di Kelsall (Kelsall, 1968), che diversificò i “lupi di
tundra” dai “lupi di foresta”. In Europa i “lupi di tundra” si ritrovano a nord del continente,
dalla Svezia in su, ed anche nelle grandi pianure russe, e oltre a maggiori dimensioni
mostrano anche orecchie più corte e un manto più chiaro. I “lupi di foresta” invece hanno
una corporatura meno robusta, con orecchie meno arrotondate e colore più scuro, bruno-
nerastro, che nella stagione estiva può assumere tonalità rossastre. Alla categoria dei “lupi
di foresta” si può far appartenere il Lupo italiano.
Il Lupo ha un torace ampio ma stretto, quasi schiacciato lateralmente dai gomiti, che
ripiegati all’interno ed in concomitanza con i piedi leggermente ruotati in fuori, conferiscono
al Lupo un’ottima struttura da trottatore. La particolare disposizione degli arti consente
inoltre, durante la deambulazione, un’oscillazione delle zampe dello stesso lato lungo la stessa
linea, così che la sovrapposizione tra impronta anteriore ed impronta posteriore è pressoché
perfetta. Parallelamente la schiena si presenta arcuata, mentre le zampe sono, in proporzione
alle dimensioni corporee, le più lunghe dell’intera famiglia dei Canidi, comportando un
vantaggio considerevole negli spostamenti su terreno accidentato o con elevata copertura
nevosa.
L’andatura è digitigrada con la presenza di 4 dita posteriori (manca il 1°), e 5 dita
anteriori, anche se il 1°, lo “sperone”, non raggiunge il piano di appoggio. Ciascun dito è
composto da un polpastrello sul quale l’animale si appoggia, ed una robusta unghia non
retrattile; oltre ai 4 polpastrelli ve n’è un altro plantare più grande e di forma grosso modo
trapezoidale. L’impronta anteriore è mediamente più grande dell’impronta posteriore e
irriconoscibile da quella di un grosso cane, come studi specifici hanno dimostrato (Harris e
Ream, 1983).