La prima ragione dell’ampliamento degli scambi mondiali di vino è stata la spinta alla
liberalizzazione del commercio dei beni agricoli. Negli accordi di Marrakesh del 1994
che sancirono la nascita del WTO, vennero difatti gettate le basi per una graduale
riduzione delle restrizioni al libero scambio fino ad allora vigenti (in termini di
contingentamento delle importazioni, tasse e requisiti sanitari o di conformità del
packaging
3
). I nuovi mezzi di comunicazione e la riduzione dei costi di trasporto stanno
inoltre contribuendo a ridurre le barriere all’ingresso nel settore (in primis avvicinando
le preferenze in fatto di vino dei consumatori su scala mondiale). La prima conseguenza
di tutto ciò è stata la diffusione di vini provenienti dai PPE.
Nel nuovo quadro di insieme si aprono opportunità e minacce sia per i produttori del
Nuovo Mondo, sia per gli importatori italiani: non è più assicurato che l’esportazione
diretta di vino in un Paese sciovinista come l’Italia continui ad essere la scelta vincente
nel prossimo futuro. Gli importatori e i produttori dovranno forse affrontare un
cambiamento nelle modalità con cui comunicano coi consumatori finali.
Questo capitolo prende in considerazione i cambiamenti in atto nel commercio
internazionale del vino. Vengono riassunti i principali mutamenti del contesto
competitivo verificatisi negli ultimi anni. E’ poi preso in esame il nuovo quadro di
insieme in cui produttori ed importatori devono operare e le nuove sfide a cui dovranno
dare risposta. L’ambito di indagine è infine focalizzato sul rapporto tra Australia ed
Italia: è delineata l’ipotesi che sia necessario un cambiamento alla base del modo con
cui gli importatori italiani distribuiscono il vino australiano. Saranno necessari
investimenti in aree finora poco coperte (comunicazione del prodotto) per restare
competitivi in un settore sempre più globale.
1.1. Il trend in atto: cosa sta accadendo nel settore.
Il principale avvenimento degli ultimi 10 anni nel settore vitivinicolo mondiale può
essere così riassunto. Da un lato il consumo mondiale di vino non accenna ad
aumentare, mentre dall’altro il commercio internazionale della bevanda di Bacco ha
3
SPHANI P. 2000. The International Wine Trade (2° ed.). Woodhead Publishing Ltd, Cambridge (UK).
2
raggiunto livelli mai toccati prima. Sembra dunque che siano in gioco due classi di
effetti contrapposte. La prima conduce ad un’espansione della domanda di vini a
livello internazionale. Fanno parte di questo gruppo la riduzione degli ostacoli al
libero scambio (tasse, barriere doganali, quote di importazione, sussidi alle imprese
nazionali), il rinato interesse dei consumatori per i vini di qualità (da dovunque
questi prodotti provengano), il decremento del consumo procapite nei PPE e
l’avvento dell’e-commerce.
La seconda classe di fattori porta verso una localizzazione dei consumi. Si
inseriscono in questa ottica le recenti critiche al vino dal “gusto internazionale”
4
e la
crociata portata avanti da movimenti organizzati (primo tra tutti SlowFood) per la
salvaguardia della territorialità dei vini italiani. Infine, la tutela sempre più garantita
alle denominazioni di origine (DO) ed alle indicazioni geografiche (IG) ha effetti
ambivalenti sulla diffusione dei vini di oltreoceano. Da un lato il mutuo
riconoscimento delle IG e delle DO sta portando chiarezza tra i consumatori e
trasparenza nel mercato. Dall’altro si perde una potente leva di marketing: ciò è
particolarmente vero per l’Australia, dove vini dolci di buona qualità devono il loro
successo in patria anche alla loro denominazione: Port e Sauternes. Il loro
importatore italiano sarebbe costretto a rinunciare a tali “appellaciones”e con esse
ad uno strumento di marketing sfruttabile nella terra di origine
5
.
1.1.1. Le statistiche del settore
“Il vino è un prodotto maturo che sta combattendo per trovare nuove prospettive di
vita: i mercati nazionali sono diventati sempre più segmentati e la domanda
aggregata mondiale si è ridotta di oltre un quinto da quando è iniziata a ridursi nei
primi anni ’80, ad un tasso medio dell’1,8% annuo. (…) Nella prima metà degli anni
4
Come testimoniano gli 11 articoli di Davide Paolini sull’argomento apparsi su Il Sole 24 Ore dal marzo
1997 ad oggi.
5
I tentativi di trovare un accordo a livello mondiale stanno incontrando difficoltà (…). Ogni disputa è
rimandata, almeno in una prima fase, agli Stati membri e si prevede che le controversie siano affrontate a
livello nazionale con accordi bilaterali, escludendo ogni reale e concreta risoluzione di carattere
internazionale. (tratto essenzialmente da: Vinitaly. 2003. Archivio News,
http://www.vinitaly.com/news_archivio.asp?id=366 2/4/2003).
3
’90 il consumo mondiale era crollato ai livelli di 30 anni prima (21,5 miliardi di
litri). Nel corso dei successivi cinque anni ha recuperato, riguadagnando mezzo
punto percentuale in tutto, per assestarsi su 22,8 miliardi di litri nel 1998” (Sphani
2000, pag 45).
Se quindi da un lato il consumo di vino sembra avere perso lo smalto di un tempo,
dall’altro il suo commercio internazionale ha registrato una poderosa crescita nel
corso degli anni ’90, come indicato dalla figura 2.
Figura 2. Fonte: United Nations
I 14 miliardi di US$ raggiunti nel 1998 sono un risultato significativo, se si
considera che appena cinque anni addietro il giro di affari del settore navigava
intorno ai 9 miliardi di US$. Alla base di questo successo si trova l’ascesa di nuovi
Paesi in veste di produttori (Sud America, Oceania), importatori (Giappone e Sud
Est Asiatico), e con entrambi i ruoli (USA, Est Europeo). Sotto questo aspetto il
contesto internazionale degli anni ’90 ha agito da propulsore della tendenza in atto
in due forme:
• La crescita dell’economia statunitense (e di riflesso europea) dal ’92 a fine
secolo ha dato una spinta al livello degli scambi internazionali.
• Nel 1995 le economie sotto l’influenza dell’ex-Unione Sovietica tornarono a
nuova vita dopo il periodo di ristrutturazione post-comunistico.
4
Mi preme sottolineare già da ora l’aumento della quota di mercato internazionale
detenuta da Asia e Oceania (in bianco in figura). Il tema è sviluppato ampiamente
nel capitolo 3.
D’altro canto, nel fronte delle importazioni dal 1995 si è verificato un aumento del
costo del vino “alla frontiera” o CIF value (cost, insurance and freight). Questo è
passato da 1,4 US$/L nel 1993 a 2,2 US$/L nel 1998
6
. La figura 3 testimonia la
rapidità di questa ascesa.
Figura 3. Fonte: United Nations
La ragione dell’aumento scaturisce dall’atto finale del GATT del ’95. In Marrakesh
venne infatti decisa l’abolizione graduale degli incentivi ai produttori (erogati alla
stessa stregua di quelli sui beni agricoli). Questi ultimi non poterono più adottare
strategie di dumping e furono costretti ad alzare i prezzi nel mercato domestico,
aprendo così la strada all’importazione di vini di qualità.
7
Dall’andamento dei due
grafici sembra che sia stato il vino di qualità l’artefice del balzo in avanti, almeno
6
Il CIF value varia anche in relazione alla forza del dollaro rispetto alle valute europee (principale
continente per produzione e commercio di vino). E’ probabile che il progressivo apprezzamento in
termini reali del dollaro negli anni della analisi abbia accentuato il risultato.
7
Tratto principalmente da: Sphani, 2000.
5
per quanto riguarda l’Unione Europea in generale ed i suoi maggiori Paesi
produttori in particolare. Le due ragioni principali del trend in atto possono essere
riassunte come segue:
1. Specialmente nei 3 grandi paesi produttori (Francia, Italia e Spagna) da una
decina di anni i prodotti di bassa qualità (trasportati in cisterne e venduti in
cartoni o bottiglioni da 2 litri in su, da cui il nome di bulk-wine) hanno subito un
brusco freno nel livello delle importazioni. La spiegazione di questo andamento
va ricercata nella sovrapproduzione di vino da parte dei maggiori paesi
produttori europei (l’Italia non fa eccezione): visto il calo nei consumi di vino a
livello dei principali paesi produttori europei (vedi figura 4) e la progressiva
riduzione dei sussidi di distillazione delle eccedenze, è chiaro che il mercato sia
saturo di bulk-wine nazionali (come il Tavernello, confezionato dalla Cavino, la
quale vanta una quota di mercato del 70% in valore nel cartone fino a 2 litri
8
) e
che non vi sia spazio per prodotti esteri. Tra di essi quelli provenienti dai PPE
sono appesantiti da costi di trasporto ed assicurazione che su questa fascia di
mercato sono troppo elevati rispetto al prezzo del vino per remunerare gli
investimenti ad un tasso accettabile.
Figura 4. Fonte: Enotria 2003.
2. Sempre a livello di riduzione dei consumi è necessaria una precisazione. Il
consumo è in calo per i cosiddetti Vini da Tavola, quelli (a grandi linee) di
8
Fonte: Torazza V. 2001. “Il vino in cartone traina il mercato”, Markup n.3, pp. 187.
6
minore qualità. Viceversa il consumo dei VQPRD, acronimo di Vini di Qualità
Prodotti in Regioni Determinate (DOC e DOCG in Italia), ha avuto un
andamento in crescita nello scorso decennio (vedi figura 5). I motivi che hanno
portato i clienti finali verso un nuovo paradigma di consumo saranno analizzati
in seguito. La crescita della domanda per i vini di qualità ha avvantaggiato anche
i vini dei PPE: da un lato il costo di trasporto ed assicurazione incide
percentualmente di meno in questo segmento di offerta. Dall’altro il basso costo
della manodopera, il tasso di cambio favorevole e la scala operativa maggiore
dei wine-makers stranieri controbilanciano spesso i costi di trasporto e
assicurazione, le tasse di importazione ed il markup dei distributori/venditori. Il
risultato è che i vini dei PPE sono venduti ad un prezzo competitivo rispetto a
quelli domestici.
Consumo di Vino nella EU per Tipologia
20000
30000
40000
50000
60000
70000
80000
90000
1
9
8
7
1
9
8
8
1
9
8
9
1
9
9
0
1
9
9
1
1
9
9
2
1
9
9
3
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9
9
4
1
9
9
5
1
9
9
6
1
9
9
7
1
9
9
8
1
9
9
9
m
i
g
l
i
a
i
a
d
i
e
t
t
o
l
i
t
r
i
VQPRD
Vini da
Tavola
Figura 5. Fonte: elaborazioni personali di dati ISMEA come citati in Enotria 2001.
Dunque i PPE sembrano essere in ascesa nella scena vitivinicola mondiale. I loro
vini riscuotono sempre più successo e le loro esportazioni aumentano
costantemente. E’ interessante confrontare la rapidità dell’aumento dell’export nei
7
paesi produttori extra-europei con il corrispondente andamento delle esportazioni in
Europa. La figura 6 indica come il gap si stia riducendo ad una velocità
impressionante. Benché le esportazioni aumentino a livello mondiale, quelle dei
Paesi al di fuori dell’Europa erano l’8,21% di quelle europee nel 1990. Nel 2000 tale
proporzione era del 29,91%, con un aumento di 8,5 punti percentuali nel solo 2000
9
.
Export in volumi Africa-America-Oceania rispetto ad
EU (12)
0%
10%
20%
30%
40%
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
Figura 6. Fonte: elaborazioni personali su dati FAO.
Dunque i rapporti di forza si stanno modificando. Oggi è quantomeno plausibile
pensare che le tre superpotenze in campo enologico (Francia-Italia-Spagna) possano
essere superate nel prossimo futuro da Paesi che solo di recente si sono affacciati sul
mercato vinicolo mondiale. Il risultato di lungo termine sarà influenzato dalla
qualità delle scelte strategiche di ciascuno Stato produttore, ovvero da quanto
ciascuno di essi consoliderà le proprie risorse e vantaggi competitivi. Dal momento
che chi deciderà le sorti del mercato sono consumatori tutto sommato incapaci di
valutare oggettivamente la qualità di una bottiglia di vino, avranno un ruolo da
protagonista tutte le iniziative volte a far percepire l’alta qualità dei sistemi vinicoli
9
Fonte: elaborazioni personali su dati FAO.
8
nazionali. Con quest’ultima viene intesa sia la effettiva qualità organolettica dei
vini, sia l’effetto marchio legato ad una zona di provenienza (o country-of-origin
effect
10
). La comunicazione aziendale e la collaborazione tra produttori ed
organismi di supporto saranno in altre parole il vero fattore critico di successo nel
nuovo millennio.
1.2. I fattori a favore dell’espansione del commercio vinicolo
Alla luce dell’andamento del commercio vinicolo mondiale, capire come operano i
fattori che spingono verso un incremento o una diminuzione dei consumi di prodotti
esteri ha importanza strategica. I produttori stranieri ed i distributori italiani hanno
interesse a capire dove e come indirizzare gli investimenti necessari ad aumentare le
loro quote di mercato. Gli organismi di supporto (come le camere di commercio
all’estero) devono farsi un’idea su come giocare un ruolo pro-attivo nel coordinare
gli sforzi di parecchi piccoli produttori. A loro volta i produttori italiani sono tenuti
a difendersi dall’avanzata dei PPE ed a predisporre la propria strategia in ambito
internazionale.
Questo paragrafo restringe il campo di azione al caso europeo, con riferimenti
all’Italia. L’Europa rappresenta infatti un mercato maturo, con al suo interno i due
maggiori paesi importatori (UK e Germania, quest’ultima terza in valore dietro agli
USA) ed i 3 principali esportatori mondiali (Italia, Francia e Spagna
11
). Pertanto può
essere considerato un esempio eloquente per il resto del mercato mondiale. Il focus
sull’Italia conduce poi nell’ambito di indagine della tesi.
Vengono ora trattati i fattori che promuovono l’aumento degli scambi internazionali.
10
Per una trattazione più approfondita dell’argomento si veda: Merritt S. e Staubb V. 1995. “A cross-
cultural exploration of country-of-oigin preference”, AMA Winter Educator’s Proceedings. David W.
Stewart and Naufel J. Vilcassim editore, Chicago, USA.
11
Fonte: : AWBC 2001. Global Statistics, http://www.awbc.com.au/information/statistics/global.asp#ev
23/03/2003.
9
1.2.1. La riduzione degli ostacoli al libero scambio.
Nell’aprile del 1994 venne redatto l’atto finale del GATT dal quale seguì la
nascita del WTO. Ma l’Uruguay Round of Negotiations includeva anche tre aree
di accordi multilaterali: commercio di beni, commercio di servizi, aspetti della
proprietà intellettuale legati al commercio (o TRIPS, Trade Related Aspects of
Intellectual Property Rights). Il vino fu uno dei beni agricoli trattati dalla
risoluzione, che prevedeva impegni vincolanti (da realizzarsi in 6 anni a partire
del 1995) nei settori dell’accesso al mercato, della tutela della proprietà
intellettuale e dei sussidi ai produttori nazionali. Le misure più rilevanti nei tre
casi furono:
• Accesso al mercato. Abolizione delle restrizioni quantitative
all’importazione. Queste sono state trasformate in tariffe
12
, da ridursi
del 36% nell’arco di 6 anni a partire dal primo gennaio 1995.
Tuttavia vale il principio del Most Favoured Treatment: un Paese è
obbligato ad estendere a tutti i membri del WTO le migliori
condizioni assegnate a qualunque dei suoi partner commerciali.
Rimangono in piedi le imposte e le tasse di consumo e con esse le
Figura 7. Fonte: WTO.
12
Quanto detto non vale per l’Unione Europea. L’EU ha evitato di dover convertire in tariffe le sue
restrizioni quantitative, ma in cambio ha abbandonato il prezzo minimo di importazione, aprendo la strada
all’importazione di vini di qualità inferiore.
10
significative discrepanze nei prezzi delle bevande alcoliche tra Paese
e Paese. I risultati di questo punto sono esemplificati dalla figura 7.
• Sussidi ai produttori nazionali ed alle esportazioni. I supporti sono
stati ridotti del 21% e 36% nello stesso periodo di 6 anni,
rispettivamente per la somma stanziabile per gli aiuti e per la spesa
complessiva. Pertanto le misure volte a ridurre il costo di ingresso del
vino nazionale nei mercati esteri sono state anch’esse smantellate
gradualmente, con l’eccezione dei servizi di consulenza su marketing
e promozione.
• Aspetti della proprietà intellettuale legati al commercio. I diritti di
proprietà intellettuale sono stati rafforzati: al momento leggi più
severe governano l’uso di misure tecniche, mentre una protezione più
efficace è offerta per le DO e le IG. Ancora una volta le nazioni
europee hanno tenuto una posizione conservatrice, nel timore di
vedere ridursi la tutela delle DO ed IG. Il tema è in verità assai
complesso ed una sua trattazione approfondita esulerebbe dall’ambito
di questa ricerca. I suoi effetti sul commercio vitivinicolo sono
invece chiari. Da un lato i PPE perdono una leva di marketing (vedi
sopra), dall’altro viene chiarito al consumatore quale vino sta
effettivamente per acquistare
13
, diminuendo l’asimmetria informativa
insita nel mercato. Secondo Sphani “l’aspetto chiave dei TRIPS è che
la maggiore protezione dei diritti di proprietà intellettuale aumenta
significativamente il commercio legittimo e non diventa un nuovo
13
Ad esempio l’art. 23 dei TRIPS vieta l’uso di una certa IG per ogni vino non prodotto in quella regione,
anche se accompagnato da diciture quali “tipo”, “modo”, “stile” (per esempio “vino bianco stile
Chablis”).
Ciò nonostante, un Paese non può essere forzato ad abbandonare l’uso di una IG sul suo territorio, anche
se identica ad una IG legittima in un altro Paese, purché sia stata utilizzata per almeno 10 anni in maniera
continuativa (art.24). Per ottenere tale beneficio il Paese in causa deve però impegnarsi formalmente ad
intraprendere negoziazioni bilaterali per dirimere la questione. Quanto scritto testimonia la complessità
della materia ed indica come il problema della tutela della proprietà intellettuale sia lungi dall’essere
risolto.
11
tipo di barriera
14
”.L’argomento viene comunque approfondito più
avanti, dato che si ripercuote sull’intero commercio vinicolo.
Rimuovendo una serie di ostacoli alla libera circolazione di merci, l’accordo
raggiunto a Marrakesh ha portato uno stagnante commercio internazionale di
vino sulla rampa di lancio di una fase di rifiorite competizione e crescita. Ciò
nondimeno, un punto interrogativo grava ancora sull’EU: il cronico surplus di
produzione. Da oltre 30 anni si negozia su come intervenire senza trovare misure
definitive. In questa sede basti accennare che tutto ciò è il risultato di un
orientamento interventista che ha le sue origini nella politica francese degli anni
’30. Il rifiuto di incoraggiare il libero commercio e di lasciare trasferire la
produzione all’interno del territorio dell’Unione ha finito per avvantaggiare i
PPE. Il loro liberismo in materia gli ha adattati a cogliere rapidamente le
opportunità del mercato, come sta accadendo in questo momento di boom delle
esportazioni. La sovrapproduzione europea è diventata un argomento di portata
globale e avrà bisogno di una decisa evoluzione per apportare competitività tra i
Paesi del Vecchio Mondo negli anni a venire.
1.2.2. La internazionalizzazione del gusto.
Il seguente passo è tratto da un articolo di Davide Paolini apparso su Il Sole 24
Ore e spiega il concetto di gusto internazionale:
“É sempre più ricorrente nelle presentazioni dei vini, bianchi o rossi che siano,
la definizione <gusto internazionale>. Un modello vincente per chi vuole
vendere o esportare. (…) Un modello basato su vitigni apolidi (cabernet
sauvignon, chardonnay eccetera), su tecniche di cantine uniformi (barrique
eccetera), sulla scarsa importanza attribuita al terroir. Insomma il vino diventa
una commodity che va non dove porta il cuore, bensì dove il vigneto e la mano
14
Fonte: Sphani 2000.
12
d'opera costano meno. (…) Altro non è che, per il wine, ciò che rappresenta Mc
Donald's per il food: il gusto internazionale è il gusto globale, che omologa il
palato e distrugge le diversità.
15
”
Il vino può essere considerato a tutti gli effetti un “bene credenza
16
”: il
consumatore non si rende conto della effettiva qualità del prodotto prima di
averlo acquistato e provato
17
. Visto quanto il consumatore medio si intende di
vino (i.e. nulla o quasi), la sua percezione della qualità è influenzata da altri
elementi, come il passaparola degli amici o le recensioni della stampa
18
. Il
modello di gusto dominante è un fattore trasversale a quelli citati, ma è
fondamentale saperlo comprendere (e anticipare nella sua evoluzione). Solo così
è possibile mettere sul mercato i prodotti giusti al momento giusto. Prodotti
cioè che saranno “capiti” ed accettati dalla larga maggioranza di consumatori
interessati al settore, ma fondamentalmente incompetenti. I vini dei PPE hanno
centrato i gusti del consumatore mondiale prima degli altri Paesi ed anche per
questo riscuotono successo.
I PPE sono difatti consapevoli che non sono né la tradizione, né la consuetudine
a fare il mercato. I vini che esportano in Europa e in Italia a prezzi competitivi
sono molto spesso “facili” da bere, privi di spigolosità. Adatti ad un
consumatore dal gusto non educato ad apprezzare prodotti particolari (ad
esempio il nebbiolo dà vini decisamente tannici) e che si avvicina al mondo del
vino saltuariamente e senza impegno
19
.
Il presupposto perché esista un florido commercio vinicolo mondiale è dunque la
presenza di consumatori dai gusti omogenei sparsi per il globo. Questa
condizione si è verificata nell’ultimo decennio, benché sia arduo stabilire se i
cosiddetti vini dal gusto internazionale abbiano dato risposta alla domanda di
mercato, oppure se i consumatori siano stati condotti a bere un certo tipo di vino
15
PAOLINI D. 25-11-2001. “Ecco il gusto internazionale”, Il Sole 24 Ore.
16
Per ulteriori informazioni sull’argomento si veda: Schiffman et al. 2001, pagg. 163 – 164.
17
Soprattutto in un settore come il vino, dove il prezzo ha un valore informativo relativo.
18
Il tema è sviluppato nel capitolo 4.
19
Per la stessa ragione riscuotono successo gli italiani Moscato, Brachetto e Fragolino.
13
da campagne pubblicitarie mirate
20
e da recensioni di riviste del settore.
Probabilmente sono vere entrambe le ipotesi ed il fenomeno è figlio della
globalizzazione degli ultimi anni. Basti qui accennare allo sviluppo dei trasporti
e dei mezzi di comunicazione (in primis internet) che stanno rendendo il
modello culturale occidentale dominante e sempre meno differenziato al suo
interno
21
.
1.2.3. Riduzione della domanda interna di vino nei PPE rispetto all’aumento
della produzione.
Nei PPE negli ultimi anni si è verificato un consistente aumento della
produzione di vino. La domanda interna si è accresciuta a sua volta, ma non alla
stessa velocità, come testimonia la figura 8. In pratica i PPE si ritrovano ormai
nella condizione strutturale di essere obbligati ad esportare, pena la
sovrapproduzione e l’accumulazione di giacenze. Il rischio di un disastro
incombente ha spinto a cercare di aumentare il commercio con l’estero. Ciò
tramite un ruolo più attivo nelle negoziazioni internazionali
22
, nonché
20
Il sospetto è quantomeno legittimo. Per esempio il retro dell’etichetta del Tyrrell’s Old Winery
Chardonnay 2000 recita: “(…) Questo vino presenta attraenti aromi di melone e pesca che echeggiano sul
palato, bilanciati sottili e vanigliati sentori di quercia che terminano puliti, freschi e fragranti”. Al mio
assaggio (qualificazione AIS secondo livello) il vino è la classica “spremuta di legno”. Tuttavia
l’importatore mi ha confermato il successo di questo prodotto, a conferma dell’importanza di saper capire
il gusto medio del consumatore.
21
La rivista con la maggiore influenza è la statunitense Wine Spectator, tramite il suo giornalista Robert
Parker. Paolini si pone la domanda retorica: “non sono forse Wine Spectator e Robert Parker a decidere il
futuro dei bianchi, dei rossi e perfino il prezzo dei grandi cru di Francia?” (Fonte: Il Sole 24 Ore,
14/4/2002).
22
Si pensi all’ Australian-European Agreement del 1994.
14
sviluppando le leve di marketing ed in primo modo la comunicazione del
prodotto
23
.
Produzione meno domanda interna nei PPE
-600
-300
0
300
600
900
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000
M
i
l
i
o
n
i
d
i
T
o
n
n
e
l
l
a
t
e
Figura 8. Fonte: elaborazioni personali su dati FAO.
Per quanto riguarda l’Australia la differenza tra produzione e domanda interna
ha un trend ancora più evidente (vedi figura 9) che segue la tendenza di aumento
delle esportazioni nel tempo. La conseguenza di questi andamenti è la ricerca di
nuovi mercati di sbocco. C’è un forte interesse alle ricerche sull’argomento
24
e si
moltiplicano gli organismi di supporto all’export: Australian Wine and Brandy
Corporation, Australian Wine Export Commette, Austrade (solo per citarne
alcuni). La portata del supporto e degli interventi varia considerevolmente da
Stato a Stato e il coordinamento tra gli organismi non è sempre esemplare.
23
L’Italia non rientra ancora tra i mercati ambiti in questo senso (con l’eccezione dei vini cileni), benché
l’organo preposto alla promozione del vino australiano all’estero, l’ Australian Wine Export Commette,
disponga di uffici in UK, Germania ed Olanda.
24
Nella fase preliminare di ricerca sul campo la Barossa Wine and Tourism Association inc. si è
dimostrata interessata al mercato italiano ed a collaborare al progetto, come testimonia l’email in allegato.
Successive modificazioni dell’oggetto di indagine hanno reso superflua le collaborazione.
15