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2
avuto infatti la possibilità di conoscere persone già impegnate
nell’analisi di questo tema e sono riuscita ad addentrarmi in
problematiche completamente estranee alla realtà in cui sono abituata
a vivere. Se in un primo momento mi sono lasciata affascinare dalla
mia ricerca, rischiando di farla eccessivamente mia, successivamente
ho imparato a scorgerne i difetti, i dolori, i malanni. Con occhio
critico, a fatica, ho appreso a vedere pregi e difetti delle cose, a non
partire con un’idea preconcetta dei fatti, a non volere difendere a tutti
i costi una causa prima di conoscerla. In questo senso, devo
ammettere che il tema affrontato mi ha per certi versi delusa, perché
sono emerse le contraddizioni e le note negative di un processo
storico di cui inizialmente vedevo solo i lati positivi. Certo è,
comunque, che il ricordo indelebile di quel viaggio rimarrà la mia
intervista ad Evo Morales in una sala del Congreso boliviano a La
Paz. Non perché le risposte del leader indigeno siano state
particolarmente illuminanti ai fini dell’analisi ma perché è stato
emozionante riuscire ad arrivare fino al nocciolo della questione.
L’incontro con Morales mi ha anche mostrato come la politica, in un
paese come la Bolivia, sia una dimensione completamente differente
da quella a cui ero abituata a pensare. E per capirlo mi è bastato
notare la facilità con la quale sono riuscita ad accedere, con un
fantomatico permesso da giornalista internazionale, ai corridoi del
Parlamento. Questa assenza di particolari formalismi istituzionali mi è
sembrata comunque in fortissima continuità con la situazione di
arretratezza economica del paese, dove è ordinario vedere indigeni
che vivono di stenti ai margini delle strade nelle città e bambini che
corrono incontro ai turisti per strappare qualcosa da mangiare nelle
zone più isolate e impervie del territorio nazionale. Sottosviluppo e
pressapochismo politico mi sono parse le due facce di una stessa
medaglia, quella dell’instabilità politica e della mancanza di una sana
democrazia.
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3
Per studiare Evo Morales e il MAS sono stati molto utili alcuni
incontri con personaggi che li stanno analizzando. In primo luogo
Alvaro García Linera, un sociologo molto affermato a livello
nazionale; poi il professore José Blanes del Centro Boliviano de
Estudios Multidisciplinares di La Paz; José Antonio Quiroga Trigo,
un editore che ha avuto contatti con il MAS e poi se n’è distaccato.
Poi Pablo Stefanoni, studioso e giornalista molto attento
all’evoluzione del MAS e Wálter Chávez, direttore di un settimanale
boliviano. Alle interviste ho associato una ricerca capillare di fonti
bibliografiche nelle biblioteche e nelle redazioni dei giornali.
Al mio rientro in Italia, al carico emotivo del viaggio si sono dovute
sostituire le letture distaccate, le considerazioni oggettive, l’analisi
pura e semplice del fenomeno che avevo scelto di studiare. Sono
molte le risposte che ho cercato di darmi nel corso della trattazione.
Prima di tutto si è trattato di vedere come da un discorso basato
esclusivamente sul tema della difesa della foglia di coca il
Movimiento al Socialismo abbia allargato le sue rivendicazioni e sia
fatto portavoce, almeno nelle intenzioni, di una base sociale molto più
ampia. Lo scopo era comprendere come un movimento sociale basato
sul sindacato agrario sia riuscito ad emergere dalla guerra della coca
degli anni Novanta con una forza inedita, che lo ha portato ad ottenere
una percentuale sorprendente di voti alle elezioni del 2002. Per
rispondere a questo interrogativo sono stati tenuti in considerazione
sia fattori “storici” (per quanto recenti essi siano) che congiunturali. Il
fine dell’analisi era anche tracciare il percorso del MAS fino agli
sviluppi storici boliviani più recenti, per capire le sue possibilità di
consolidamento future. Lo studio dell’ideologia, del linguaggio
politico, della costruzione della leadership di Morales, delle fratture
interne al MAS sono state inserite nel quadro degli avvenimenti più
importanti che il paese ha vissuto negli ultimi anni, soprattutto per
quanto riguarda l’instabilità politica e il conflitto sociale.
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4
Nel primo capitolo ho tracciato il quadro storico della Bolivia dalla
Rivoluzione del 1952. Dopo aver delineato successi ed insuccessi
della rivoluzione, sono stai presi in esame l’era dei governi militari
(1964-1972), il fallimento dei tentativi democratici dei quattro anni
successivi e i cambiamenti degli anni Novanta. In particolare, è stato
dato risalto alla crescita del problema del narcotraffico e alla nuova
politica economica del governo a partire dal 1985.
Nel secondo capitolo ho preso in esame il movimento sociale dei
cocaleros così come emerso a partire dagli anni Ottanta e ho esposto i
fatti salienti della cosiddetta guerra de la coca. In questo modo ho
potuto spiegare la nascita delle varie conformazioni socio-politiche
che sono poi sfociate nel MAS a partire dal 1995. Ho poi delineato sia
la sua cornice ideologica che la sua posizione nello spettro politico del
paese , rispetto al concetto storicamente caratterizzabile di sinistra.
Nell’ultimo paragrafo, ho cercato di capire quali effetti possa avere
avuto la guerra dell’acqua del 2000 per il rafforzamento dei
movimenti sociali e in particolare, del Movimiento al Socialismo.
Nel terzo capitolo mi sono concentrata sulla figura di Evo Morales.
Partendo da brevi cenni biografici, ho poi analizzato due fatti salienti
che hanno contribuito alla sua affermazione a livello politico–
elettorale: l’espulsione dal Parlamento nel febbraio del 2002 e
l’intromissione dell’ambasciatore statunitense in Bolivia Manuel
Rocha. Ho poi tentato di delineare una comparazione tra Evo Morales
e Felipe Quispe, altra figura di rilevo nel panorama dei movimenti
sociali (sebbene portatore di un discorso più indigenista e fondato
sull’identità aymará) e leader del Movimiento Indio Pachacuti (MIP).
La parte centrale del capitolo prende in esame le elezioni del 2002 che
portarono ad un risultato eclatante del MAS, senza il quale
probabilmente l’attenzione di analisti e studiosi nei confronti di
questo fenomeno socio-politico sarebbe stata inferiore. Dopo aver
preso in rassegna i principali ostacoli e le difficoltà salienti del MAS
________________________________________________________________________________________________________________________
5
in un contesto innovativo, quello dell’attività parlamentare, ho cercato
di fornire un quadro e di approfondire due temi fondamentali: il
linguaggio politico del MAS e di Evo Morales e la sua leadership. A
proposito di quest’ultima, oltre all’esposizione delle sue
caratteristiche principali, ho cercato di capire se essa potesse essere in
qualche modo avvicinata al concetto di populismo.
Nel quarto ed ultimo capitolo, invece, ho preso in considerazione la
fase più recente e attuale della storia boliviana, a partire dalla guerra
del gas e dalle rivolte del 2003, in particolare il febrero negro e
l’octubre rojo e l’epilogo costituito dalla fine del governo di Gonzalo
Sánchez de Lozada. Questa cornice mi è servita per collocare gli
ultimi avvenimenti riguardanti il MAS. In primo luogo, la
moderazione dei toni radicalisti che è venuta alla luce con
l’avvicinamento tra Evo Morales e Carlos Mesa Gisbert, il presidente
subentrato a Lozada. Poi, la posizione alquanto ambigua del MAS nel
referendum sugli idrocarburi del luglio 2004 e la crisi che sta
attraversando a causa di conflitti interni. In ultimo, sono state fornite
alcune considerazioni e osservazioni sulle elezioni municipali del
dicembre 2004, evidenziando gli aspetti positivi e negativi del
risultato ottenuto dal MAS.
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6
CAPITOLO I
LA BOLIVIA DALLA RIVOLUZIONE AGLI ANNI
NOVANTA
1 - LA RIVOLUZIONE NAZIONALE DEL 1952
Il momento di maggiore rilievo dell’ultimo secolo di storia boliviana
è costituto dalla Rivoluzione del 1952. Il prodotto di questo evento fu
la nascita di un nuovo Stato, incarnato dal governo del Movimiento
Nacionalista Revolucionario (MNR) rimasto in vita per dodici anni.
La portata della rivoluzione coprì però tre decenni, quelli trascorsi tra
la guerra del Chaco (1932-1936) e il colpo di stato del 1964, che
inaugurò un ciclo di governi militari.
La Rivoluzione del 1952 modificò profondamente la composizione
delle classi sociali: il blocco dominante formato dalla borghesia
mineraria e dai latifondisti fu disarticolato, la classe operaia acquisì
un ruolo di maggiore protagonista e i contadini emersero in qualità di
attori sociali coinvolti dalla piccola borghesia urbana.
Il ruolo dello Stato nell’economia e nei rapporti di produzione nelle
campagne venne trasformato mediante la nazionalizzazione delle
miniere e la riforma agraria. Le conseguenze politiche di questi
cambiamenti furono altrettanto profonde, perché si eresse un nuovo
tipo di sistema politico e si riconfigurò un’altra società civile. La
partecipazione popolare fu infatti ampliata tramite l’implementazione
del suffragio universale e i movimenti operai e contadini poterono
avere un ruolo molto più evidente attraverso le organizzazioni
sindacali.
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1.1 - LA BOLIVIA NEL 1952: CARATTERISTICHE DEL
MOMENTO STORICO
Prima della Rivoluzione, la Bolivia era una società profondamente
rurale. Il censimento realizzato due anni prima dal governo di
Urriolagoitia aveva registrato un 66% di popolazione rurale contro il
33% di popolazione urbana. I dati, però, se confrontati con la
situazione demografica di inizio secolo, parlavano di una crescita
esponenziale della popolazione, soprattutto nelle città. Il fenomeno
aveva manifestato grande rilevanza a La Paz, dove in cinquant’anni si
era passati da 60.000 a 321.073 abitanti.
L’agricoltura era nelle mani dei terratenientes che controllavano la
produzione: il 6% dei proprietari terrieri possedevano il 92% delle
terre coltivate del paese. Dal punto di vista sociale, l’indio dipendeva
totalmente dal sistema dall’hacendado, che otteneva forza lavoro
dando in usufrutto un piccolo appezzamento di terreno. Questo
sistema includeva anche il pongueaje, una serie di obblighi che
costringevano il contadino indigeno a servire personalmente il
padrone e la sua famiglia.
Il settore minerario, principale fonte di entrate, era nelle mani di tre
grandi imprese, proprietà dei cosiddetti barones dello stagno: Simón
Patiño, Mauricio Hoschild e Carlos Víctor Aramayo. Lo stato
riceveva profitti bassissimi in confronto ai guadagni di questi tre
personaggi. La grande industria mineraria, inoltre, era in declino: i
livelli di produzione si erano abbassati e non erano stati realizzati gli
investimenti necessari per invertirne la tendenza; i costi di produzione
avevano fatto della Bolivia un paese poco competitivo; i baroni dello
stagno avevano modo di compensare le proprie spese in altri centri di
produzione sparsi per il mondo e la Bolivia era così subordinata a
interessi extranazionali.
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8
A livello di stratificazione sociale, in Bolivia mancavano sia una
borghesia consistente che una classe media. Lo strato dominante era
composto dal settore minerario, dai proprietari terrieri e da un piccolo
nucleo di famiglie tradizionali accompagnati da una minuscola
borghesia. Lo strato dei cosiddetti los de abajo (i dominati) era
composto invece dai contadini indigeni, da un piccolo settore di
operai e minatori e gruppi urbani emarginati.
1.2 - VERSO LA RIVOLUZIONE
In un contesto di gravi contraddizioni economiche, sociali e politiche,
la Rivoluzione del 1952 segnò il culmine di un processo che si era
scatenato a partire dalla guerra del Chaco
1
. Questo conflitto portò la
Bolivia ad una sconfitta che acutizzò una crisi ideologica che poi si
espresse nell’indebolimento dei partiti tradizionali di orientamento
liberale, nell’emergere di settori anti – oligarchici nell’esercito e nella
formazione di nuove organizzazioni politiche di stampo marxista e
nazionalista nella piccola borghesia urbana.
Il cosiddetto “socialismo militare” inaugurato dal governo di Toro
2
,
aveva già realizzato alcuni passi in avanti: era stata nazionalizzata
l’impresa petrolifera Standard Oil, era stato creato il Ministero del
Lavoro ed era stato emanato il Código de Trabajo. Le misure
stataliste dettate da Busch (1937-1939), come la consegna
obbligatoria allo Stato della valuta ottenuta nell’esportazione di
minerali e varie azioni messe in atto dal governo del maggiore
1
La guerra del Chaco fu combattuta tra Bolivia e Paraguay dal 1932 al 1935. Il motivo
scatenante fu la disputa sul Chaco, un territorio conteso tra i due paesi, nel quale si
presumeva ci fossero riserve di petrolio. La causa più profonda aveva invece a che fare
con l’isolamento della Bolivia, a cui era stato negato l’accesso al mare in seguito alla
perdita di una fascia costiera durante la guerra del Pacifico (1879-1884). Il Chaco aveva in
questo senso un’importanza strategica, perché attraverso un porto e la libera navigazione
sul fiume Paraguay, la Bolivia avrebbe potuto avere uno sbocco sull’Atlantico. La Bolivia
uscì sconfitta dalla guerra, con un altissimo bilancio di morte: 50.000 persone morirono e
20.000 furono fatte prigioniere.
2
David Toro aveva governato dal 1936 al 1937.
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9
Gualberto Villaroel
3
(con l’appoggio della loggia militare Razón de
Patria) avevano messo in evidenza la crisi di legittimità dello Stato.
Da questi processi scaturì la fondazione di nuovi partiti politici che
esprimevano l’emergere di nuove proposte ideologiche come la
rivoluzione socialista, e nuove identità sociali, come la classe operaia.
Il Partido Obrero Revolucionario (POR) fu fondato nel 1934 e giocò
un ruolo molto importante nell’organizzazione del proletariato delle
miniere e nella diffusione del pensiero marxista. Nel 1940 nacque
invece il Partido de Izquierda Revolucionario (PIR) che con un
discorso classista e una concezione di sviluppo lento e graduale
privilegiava la realizzazione di una modernizzazione capitalista, la
fase democratico-borghese, come condizione per la rivoluzione
comunista.
Il nazionalismo si espresse nella creazione di altri due partiti. Nel
1937, la Falange Socialista Boliviana (FSB), ispirata al falangismo
spagnolo e all’anticomunismo, che puntava alla creazione di un nuovo
Stato sotto il segno del corporativismo. Nel 1941, il Movimiento
Nacionalista Revolucionario (MNR) con un discorso che si rivolgeva
al popolo in quanto soggetto rivoluzionario costituito dalle classi
medie, gli operai, i contadini. Il suo programma ideologico mirava a
creare una contraddizione tra il popolo e l’oligarchia al potere e
criticava la democrazia liberale e lo pseudo-socialismo, puntando
invece al consolidamento economico dello stato e alla sovranità del
popolo di fronte all’oligarchia minero-terrateniente.
Per riassumere, il periodo pre-rivoluzionario vide tentativi di
mobilitazione popolare e anti-oligarchica, classista e nazionalista, che
misero in gioco nuovi elementi ideologici (sovranità, democrazia,
rivoluzione) in un campo di conflitto ideologico o retorico, testimone
dell’irruzione di nuovi soggetti politici: la classe operaia e i contadini,
3
Gualberto Villaroel aveva governato dal 1943 al 1946.
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10
protagonisti dello slogan principale della rivoluzione: “minas al
estado y tierra a los indios”.
L’egemonia del discorso del nazionalismo rivoluzionario del MNR si
costruì attraverso la combinazione di diverse pratiche sociali tra le
quali ne spiccano tre, in relazione alla piccola borghesia urbana, alla
classe operaia, al movimento contadino emergente:
- furono molto importanti l’attività di opposizione svolta da una
bancada
4
parlamentare nazionalista e il ruolo del giornale La
Calle. Quest’ultimo aveva influenza sul governo e nelle fila
degli ex combattenti del Chaco, vera base per la fondazione
del partito agli inizi degli anni Quaranta;
- i parlamentari del MNR, tra i quali si mise in luce Víctor Paz
Estenssoro, avevano denunciato alla fine del 1942 il massacro
di Catavi
5
, potendo così aprire uno scontro con i partiti di
sinistra, in particolare con il PIR. In secondo luogo, nel 1944,
durante il governo di Villaroel, era stata creata la Federación
Sindical de Trabajadores Mineros de Bolivia (FSTMB) con
Lechín Oquendo come dirigente principale;
- nel 1945 si era tenuto il primo congresso nazionale degli
indigeni voluto dal governo di Villaroel e organizzato in gran
parte dagli ex combattenti militanti del MNR. Durante
quell’evento fu emanato un decreto di abolizione del
pongueaje, che catalizzò la realizzazione di vari sollevamenti
contadini con la partecipazione di sindacalisti del settore
minerario e militanti del MNR.
4
La bancada è gruppo parlamentare di un partito.
5
In un periodo di stretto controllo militare delle miniere ai fini dell’ordine sociale
compromesso dalle richieste di aumenti salariali, nella miniera di Catavi, di proprietà di
Patiño, nel 1941 le truppe aprirono il fuoco prima contro un gruppo di donne che
pretendevano entrare a Catavi per approvvigionarsi di viveri e poi contro una
manifestazione di protesta. Il bilancio fu di trentacinque morti e circa cinquanta feriti.
Questo massacro fu un vero trampolino di lancio per il MNR e i suoi appelli alla
mobilitazione popolare, nonché un impulso per il movimento dei minatori e un definitivo
discredito per i grandi imprenditori.
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11
Durante la gestione di Gualberto Villaroel, insomma, il MNR aveva
assunto dei compiti nel governo e nell’apparato statale e aveva
promosso azioni di organizzazione dei lavoratori, costruendo le basi
di un’azione egemonica che poi si sarebbe espressa negli anni
successivi, nonostante l’esilio dei suoi principali dirigenti. Il MNR
combinò metodi di lotta, come le ribellioni armate che condussero ad
una guerra civile nel 1949, con la partecipazione ai processi
elettorali, tra i quali spicca la vittoria nazionale nel 1951, bloccata
mediante un colpo di stato. Nel 1951 vinse alle urne con il 43% dei
voti, in un sistema elettorale altamente escludente per il suo carattere
censitario, che si traduceva in una partecipazione intorno ai 100.000
votanti, su una popolazione vicina ai tre milioni di abitanti.
La combinazione di questa azioni organizzative, cospirative, militari,
ideologiche e politico-elettorali spiega il ruolo avanguardista del
MNR nel processo che culminò nell’aprile del 1952, anche se
l’impronta della rivoluzione fu segnata dalla decisiva partecipazione
degli operai negli scontri con l’esercito. L’insurrezione fu frutto delle
circostanze ma non è spiegabile senza partire dalla costituzione di
nuovi soggetti politici, soprattutto i lavoratori delle miniere e delle
industrie. Gli elementi principali del discorso del MNR, che gli
permisero di smembrare il discorso liberale e sostituire i discorsi
classisti dei partiti di sinistra, furono:
- l’interpretazione del processo storico boliviano come un
conflitto tra una tendenza anti-nazionale espressa dalla
colonizzazione e dalla dominazione straniera e una tendenza
nazionale che rappresentava l’indipendenza e la sovranità;
- la caratterizzazione della società dell’epoca come una struttura
semicoloniale scissa in due poli: l’oligarchia da una parte e il
popolo dall’altra;
- la definizione della rivoluzione boliviana come rivoluzione
nazionale, quindi anti-oligarchica e anticolonialista, il cui
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obiettivo era l’emancipazione del paese come risultato
dell’azione di contadini, operai e classi medie.
Alla Rivoluzione nazionale fu conferito dunque un significato che
partiva dalla creazione di una contraddizione generale tra oligarchia e
popolo.
1.3 - LA RIVOLUZIONE DEL 1952
Risulterebbe difficile capire la Bolivia di oggi senza rapportarsi al
significato e alla portata della Rivoluzione del 1952. In particolare, la
rivoluzione portò a due fatti importanti nella definizione della
partecipazione politica dei settori popolari nei decenni successivi.
Il 17 aprile 1952, appena sei giorni dopo il trionfo rivoluzionario, fu
fondata la Central Obrera Boliviana (COB), culmine di un lungo e
doloroso processo di costruzione di un movimento proletario che
rappresentasse la totalità dei lavoratori boliviani. Sotto la guida di
Juan Lechín e l’avanguardia costituita dal proletariato dei minatori, la
COB fu trasformata in un fattore di potere e acquisì quindi una
rappresentatività che trascendeva il classico ruolo rivendicativo dei
sindacati e che si tradusse nella formazione di uno schema di co-
governo con il MNR durante i primi anni della rivoluzione.
Si formarono anche sindacati contadini raggruppati in poderose
istanze intermedie di carattere regionale, come le centrali contadine,
sotto la guida di dirigenti locali e deboli istanze distrettuali e
nazionali, come la Confederación Nacional, vincolate al partito di
governo e sottomesse alle sue dispute interne. Il sindacalismo
contadino si costituì come forza di mobilitazione politica che andò a
definire il corso della riforma agraria. Tuttavia, presentava
caratteristiche diverse in termini di organizzazione e nel suo ruolo di
mediazione statale a seconda delle peculiarità regionali e alla
problematica agraria.
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La partecipazione politica nei dodici anni della Rivoluzione fu
segnata dalle modifiche delle basi sociali di appoggio ai governi del
MNR: sebbene in ogni gestione governativa siano rintracciabili
variazioni nelle relazioni tra il movimento operaio e contadino,
tuttavia è possibile rintracciare due fasi:
- la prima, che va dall’insurrezione del 1952 alla fine degli anni
Cinquanta, a metà circa della gestione di Siles Zuazo (1957-
1961) è caratterizzata dal ruolo di protagonista della COB e
dall’influenza dei sindacati operai e contadini nelle decisioni
statali e nelle dispute all’interno del partito di governo;
- la seconda fase inizia con la rottura del cogoverno tra il MNR
e la COB ed è caratterizzata dall’isolamento della classe
operaia sostituita dai sindacati contadini come base
d’appoggio allo stato, in concomitanza con la crescente
importanza dell’esercito. Questo periodo culminò con il golpe
del 1964 che rovesciò Paz Estenssoro.
Un fattore che influì sulle caratteristiche di questo processo fu la
disputa per la leadership nel partito di governo che iniziò nel 1957
con lo scontro tra Siles Zuazo, Presidente della Repubblica e Lechín
Oquendo, massimo dirigente della COB. Questo scontro continuò
con le divisioni nelle file del MNR e la competizione intrapartitica ed
elettorale tra Guevara Arze e Paz Estenssoro nel 1960. Un altro
elemento di massima importanza fu dato dal carattere delle misure
adottate dai governi, che definirono il corso delle alleanze e le rotture
tra movimenti sociali e Stato.
1.4 - LA NAZIONALIZZAZIONE DELLE MINIERE
Il 31 ottobre 1952 Paz Estenssoro firmò il decreto di
nazionalizzazione delle miniere nel campo di María Barzola nel
Catavi (Potosí): uno dei postulati della rivoluzione, infatti, era stato il
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cosiddetto superestado minero. La nazionalizzazione consegnava allo
stato tutti i beni (giacimenti e attrezzature) delle tre grandi imprese
che avevano operato in Bolivia fino a quel momento: Patiño,
Hoschild e Aramayo. Per amministrare le miniere dello stato venne
creata la Corporación Minera de Bolivia (COMIBOL) che cominciò
la propria gestione con gravi svantaggi, tra cui uno scarso capitale
operativo, macchinari obsoleti e molti filoni in calo produttivo o
semplicemente esauriti. La conseguenza fu un altissimo costo di
produzione che rendeva poco competitiva l’esportazione dello stagno
boliviano. I prezzi dello stagno si abbassarono considerevolmente tra
il 1951 e il 1955, cosa che determinò un sensibile calo della
produzione, che scese dalle 26.000 tonnellate annuali del 1952 alle
22.400 del 1956. L’anno peggiore, da questo punto di vista, fu il
1958, con 18.013. A queste condizioni svantaggiose si sommò il
famoso e demagogico cambio de razón social mediante il quale
venivano pagati benefici sociali a tutti gli operai delle miniere
nazionalizzate, cosa che significò un’erogazione eccessiva di denaro
e quindi maggiore inflazione. Per questo la COMIBOL si de-
capitalizzò per un ammontare superiore ai cento milioni di dollari. È
evidente, tuttavia, che il controllo del settore minerario da parte dello
stato evitò la fuga di valuta e permise di recuperare il beneficio
integro della produzione mineraria per il paese. Sfortunatamente non
fu portata a compimento l’immediata creazione di forni per fondere
che rompessero la dipendenza dalle fonderie straniere (soprattutto di
Patiño), con la conseguente perdita del valore aggiunto, perché si
esportava il minerale senza lavorarlo.
La nazionalizzazione del settore minerario pose le fondamenta di un
robusto sindacalismo minerario che aveva come unico interlocutore
lo Stato e che, a sua volta, dipendeva dalle entrate generate
dall’esportazione di minerali. Questo conferì al proletariato
un’importanza qualitativa trasformandolo nel principale referente
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dell’azione governativa. Questo protagonismo fu particolarmente
evidente nei primi quattro anni della rivoluzione.
L’euforia di un processo politico inedito e la possibilità reale da parte
del settore operaio di controllare direttamente la fonte principale
dell’economia nazionale, però, si portò dietro le logiche ripercussioni
di un cambiamento strutturale tanto profondo. L’inesperienza
amministrativa da un lato e la forzosa acquiescenza alle pressioni
sindacali dall’altro, determinarono un alto livello di
burocratizzazione (imputabile anche al partito al governo) e un
incremento eccessivo di lavoratori e funzionari. Inoltre, d’accordo
con una norma costituzionale venne pagato alle imprese danneggiate
un indennizzo di 21.000.000 di dollari tra il 1953 e il 1961.
1.5 - LA RIFORMA AGRARIA
Tra le misure adottate dal governo rivoluzionario, la più significativa
fu probabilmente la riforma agraria. Il decreto fu firmato a Ucureña,
nel distretto di Cochabamba, il 2 agosto del 1953. Il principio di base
era: la tierra es de quien la trabaja. La liquidazione del latifondo
nell’altipiano e nelle valli divenne definitiva e vennero consegnati ai
contadini titoli di proprietà. In questo modo furono eliminati, almeno
formalmente, un sistema di sfruttamento e una struttura economica
molto prossimi al feudalesimo. La conseguenza della riforma negli
anni fu la creazione del minifundio, ovvero il piccolo lotto di terreno
minimamente produttivo, che continuava a dividersi passsando in
eredità dai padri ai figli. Non avendo elaborato meccanismi per uno
sfruttamento razionale e collettivo, il livello di produzione fu molto
basso e non ci fu una politica delle coltivazioni sulla base delle
necessità e delle priorità. La riforma, insomma, non rifletteva la realtà
delle terre di comunità, né le esperienza produttive e il sistema di
lavoro collettivo di tradizione quechua – aymará. Si pensò invece, a