5
occupazione inferiore di dieci punti percentuali rispetto alla media europea,
secondo le stime del 1999. Per tutti gli stati europei l’aumento della
disoccupazione non è, però, generalizzato, ma riguarda particolari categorie che
vengono distinte in base al sesso, all’età, alle condizioni economiche e sociali e
al territorio. Nel caso italiano queste classificazioni sono ancora più accentuate in
quanto il mercato del lavoro presenta un dualismo tra la situazione del Centro -
Nord e quella del Sud, con notevoli differenze tra l’una e l’altra zona, a tal punto
che quando si va ad analizzare l’incidenza dell’occupazione e della
disoccupazione sul suolo italiano, compaiono delle differenze accentuate in
termini di punti percentuali tra i tassi del Centro - Nord e quelli del Sud.
Nonostante, in questi ultimi anni, si sia verificata una leggera diminuzione del
tasso di disoccupazione, a partire dal quarto trimestre del 2004 si sta nuovamente
assistendo ad un suo lento e graduale aumento.
Ma la disoccupazione non è la sola piaga che affligge l’economia italiana, infatti,
insieme e, allo stesso tempo, legato ad essa, è presente un altro fenomeno che,
ormai da molto tempo, si sta espandendo: il lavoro nero. Questi due fenomeni
concorrono, ovviamente insieme anche ad altri di natura non propriamente
economica, all’accentuarsi della crisi dell’economia italiana, in quanto, non
essendo possibile fare una stima precisa del loro ammontare, non permettono
l’attuazione delle politiche economiche efficaci a risolvere la situazione attuale.
La disoccupazione ed il lavoro nero sono i due fenomeni oggetto di studio di
questo lavoro, in quanto sono due realtà intrecciate tra di loro e presenti in modo
accentuato nel territorio della Provincia di Grosseto. Esistono dei punti di
contatto, se non, in alcuni casi, addirittura di coincidenza tra la condizione di
disoccupato e quella di lavoratore in un mercato non regolamentato, specialmente
in determinati settori come l’agricoltura, dal momento che, per qualche
lavoratore, potrebbe essere conveniente lavorare allo scoperto per tutto il tempo
necessario al raggiungimento del sussidio di disoccupazione, dopo di che entrare
a far parte del mondo sommerso.
6
La tesi si articola in quattro sezioni: partendo da un inquadramento sul fenomeno
della disoccupazione, si passa ad una analisi concreta dei vari tipi esistenti di
indennità di disoccupazione pagati dallo Stato, grazie all’esperienza concreta di
stage formativo effettuato all’ufficio prestazioni a sostegno del reddito, presso la
sede INPS di Grosseto. Dopo questo quadro generale si passa ad analizzare
statisticamente le caratteristiche che presenta il fenomeno della disoccupazione
nella Provincia di Grosseto, basandosi sia sui dati ufficiali forniti dall’ISTAT, sia
sui database degli iscritti e degli avviati al lavoro da parte dei Centri per
l’Impiego della zona grossetana, forniti dal Dipartimento delle Politiche
Educative, del Lavoro e Sociali, della Provincia di Grosseto. La terza parte si
concentra, invece, sul fenomeno del lavoro nero, descrivendolo ed analizzandolo
sulla base della relazione presentata dal Centro per le Ricerche
Interdipartimentali sulla Distribuzione del Reddito (CRIDIRE), dell’Università
degli Studi di Siena nel 2002 e di altri metodi di stima. L’ultima parte è dedicata
al confronto tra i due fenomeni oggetto di studio, la disoccupazione ed il lavoro
nero, al fine di arrivare a dimostrare se esistano dei punti di contatto tra di essi, in
riferimento alle classi di età, al sesso ed ai settori lavorativi più caratteristici della
zona grossetana, cioè quello agricolo e stagionale.
L’elaborazione statistica si basa sui dati forniti da quattro istituti: INPS,
Osservatorio della Provincia, Dipartimento delle Politiche Educative, del Lavoro
e Sociali di Grosseto, ed ISTAT. La sede INPS di Grosseto ha fornito i dati
riguardanti sia il numero delle richieste di indennità di disoccupazione
presentatele dai cittadini residenti in questa Provincia, che il numero dei sussidi
di disoccupazione erogati e non, divisi per tipo (disoccupazione ordinaria,
agricola, con requisiti ridotti ed edile) e per anni (dal 1999 fino ad oggi); mentre
la Biblioteca centrale dell’INPS, con sede a Roma, ha fornito i dati riguardanti il
numero delle domande di disoccupazione agricola e non, presentate all’INPS
grossetano nel 2000 e nel 2001, divise per classi di età e sesso. L’Osservatorio
della Provincia di Grosseto ha fornito i tassi di disoccupazione ed occupazione
delle Province toscane, dal 1999 fino al 2002, ed il numero degli iscritti al
7
collocamento (o Centri per l’Impiego dal 2001), divisi per sesso e classi di età.
Dall’ISTAT sono stati presi i tassi di disoccupazione, occupazione e attività,
nazionali e relativi alla Provincia di Grosseto, dal 1999 al 2003, Suddivisi in base
al sesso, alle classi di età ed ai settori economici. Il Dipartimento delle Politiche
Educative, del Lavoro e Sociali di Grosseto ha fornito sei database, contenenti i
dati relativi agli iscritti ed avviati al lavoro da parte dei Centri per l’Impiego, nel
2000, 2001 e 2002, in forma anonima, per garantire il rispetto delle attuali leggi
sulla privacy. I database che riguardano gli iscritti ai Centri per l’Impiego, sparsi
nel territorio grossetano, sono organizzati in modo tale che per ogni persona
iscritta è possibile ricavare informazioni relative a: quale sia l’ufficio del lavoro
competente, la data dell’iscrizione nelle liste, lo status, il tempo di permanenza
nello stato di disoccupazione (anzianità), l’anno di nascita, il sesso, l’età, lo stato
civile ed il titolo di studio. Mentre dai database che riguardano gli avviati al
lavoro da parte dei Centri per l’Impiego grossetani, si ottengono informazioni
relative a: quale sia l’ufficio del lavoro competente, la data di avviamento al
lavoro, il rapporto ed il grado della qualifica di avviamento, il settore economico
di appartenenza, la data ed il motivo di licenziamento, la durata temporale
dell’avviamento (mesi, ore, giornate effettive), la data di nascita, il sesso, l’età, il
titolo di studio e l’anzianità. Ogni database contiene circa 30.000 record, i quali
sono stati raggruppati e codificati, per rendere possibile la loro analisi ed i test
attraverso il software statistico SPSS. Tutti i dati ottenuti sono stati elaborati ed
aggregati attraverso l’ausilio dei programmi informatici, al fine di mettere in
evidenza le relazioni e le divergenze tra di essi e le specificità del caso
grossetano.
Si ringrazia la sede INPS di Grosseto e, in particolar modo, l’ufficio “prestazioni
a sostegno del reddito”, che hanno reso possibile l’analisi del fenomeno della
disoccupazione, sulla base dell’esperienza concreta effettuata tramite stage
formativo, nell’anno 2004, il Dipartimento delle Politiche Educative, del Lavoro
e Sociali, della Provincia di Grosseto per i dati forniti ed il Dott. Commercialista
Guido Adriano Tori, per la parte riguardante il fenomeno del lavoro sommerso.
8
CAPITOLO I
Cosa è la disoccupazione?
La disoccupazione è “uno dei mali collettivi che sin dal Settecento in
concomitanza con i problemi di trasformazione economica e sociale, il malessere
sociale e il bisogno di una più profonda conoscenza del vivere civile hanno dato
impulso all’indagine sociale e sospinto la scienza ad interrogarsi sulle
implicazioni economiche, sociali e psicologiche della condizione di
disoccupato”
1
. Non è facile dare una definizione univoca e precisa di questo
termine, in quanto esso assume sfumature diverse a seconda dell’ottica dalla
quale viene studiato. Infatti la disoccupazione non è solo un fenomeno sociale,
ma anche economico, giuridico e psicologico. Se volessimo dare una definizione
generale della disoccupazione, potremmo dire che “la disoccupazione non è solo
un fenomeno sociale ma anche un indicatore della salute del sistema economico
che segnala lo stato di disequilibrio nella allocazione delle risorse e sollecita la
messa in atto di correttivi attraverso le politiche economiche e sociali dello
Stato”
2
. Per gli economisti, “la disoccupazione è come potenziale di lavoro non
utilizzato nel sistema produttivo, o come numero di lavoratori che risulterebbero
fuori dal sistema produttivo pur essendo disposti a prestare lavoro in tale sistema,
oppure come numero di lavoratori registrati in liste amministrative che danno
1
P. Calza Bini, La disoccupazione: interpretazioni e punti di vista, 1992, Napoli, Liguori,
pag. 9.
2
P. Calza Bini, op.cit., pag. 37.
9
diritto ai trasferimenti di reddito da cui possono derivare dispersioni di risorse”
3
.
Per i giuristi la disoccupazione è, sì, “mancanza di lavoro come attività
economica rilevante”
4
, dal momento che una delle caratteristiche evidenti della
condizione di disoccupato è proprio la mancanza di una retribuzione, ma,
soprattutto, essi tengono a sottolineare che questa esperienza non va considerata
negativamente, come, invece, siamo portati a pensare tutti. Infatti, se ci
limitassimo a leggere soltanto l’articolo 4 della Costituzione italiana, il quale
sancisce il diritto-dovere per ogni cittadino di “svolgere un’attività o una
funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”,
sembrerebbe che allo status di disoccupato sia inevitabilmente associato un senso
di disvalore; ma questa convinzione viene meno di fronte all’articolo 38, il quale,
invece, enuncia che “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati
mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità
e vecchiaia, disoccupazione involontaria”. Quindi è lo Stato stesso che interviene
in aiuto di coloro che si trovano in condizione di non poter lavorare, a patto che
sia una disoccupazione “involontaria”, cioè non dipenda dal comportamento del
lavoratore. Invece, per i sociologi e gli psicologi, che a differenza degli studiosi
di altre discipline, si occupano di più dei disoccupati che non della
disoccupazione, quest’ultima non è altro che uno status così come lo è
l’occupazione, anche se con una differenza: “Occupazione è quotidianità,
esperienza qualificante e che dà molte informazioni; disoccupazione è assenza di
un rapporto quotidiano duraturo e certo con una fonte di lavoro con cui
scambiare la disponibilità e la capacità di prestazioni e attività con risorse sociali
riutilizzabili nella produzione e riproduzione, che offrano interazioni tendenti a
dare occasioni di qualificazione e mobilità professionale”. Quindi, “la
disoccupazione non può essere osservata solo come presenza o no di un’attività o
3
L. Frey, Significato e limiti delle definizioni e delle informazioni disponibili: stock e flussi
della disoccupazione italiana nell'ultimo decennio, in P. Calza Bini, op.cit., pag. 76.
4
G. Giudo Balandi, La mancanza di lavoro nell’ordinamento giuridico italiano: governo del
mercato e tutela del reddito verso quali prospettive?, in P. Calza Bini, op.cit., pagg. 227 –
228.
10
di un resisto, ma va considerata come uno status, o meglio come assenza di uno
status, che coinvolge un più vasto campo di esclusioni e deprivazioni da uno dei
primi diritti sociali, e da primarie fondamentali esperienze di vita sociale e
formativa da cui i soggetti in stato disoccupazionale sono estromessi ed esclusi
per periodi più o meno lunghi con conseguenze e danni che non sono solo di
natura economica e psicologica ma anche di devalorizzazione e spreco del
potenziale di risorse umane”
5
. La disoccupazione appare come un fenomeno
eterogeneo e, pertanto, va analizzato più dettagliatamente a seconda dei diversi
settori nei quali si manifesta.
1.1 La disoccupazione dal punto di vista economico.
“Il termine disoccupazione non ha un significato univoco nell’analisi economica.
Esso può essere ed è anche stato impiegato per indicare, in un’ottica tipicamente
microeconomica:
a. Una condizione giuridico- amministrativa: essere iscritto nei registri di
collocamento e/o ricevere l’indennità di disoccupazione o altre forme
previdenziali previste per i disoccupati;
b. Una condizione economica: non avere un’occupazione o essere stato
temporaneamente sospeso da un’occupazione o non aver iniziato
un’attività lavorativa pur avendo trovato un impiego alle dipendenze o
avendo predisposto i mezzi per esercitare un’attività in proprio;
c. Un’attività: essere in cerca di un’occupazione alle dipendenze altrui o
essere in fase di predisposizione dei mezzi per intraprendere un’attività in
proprio;
5
P. Calza Bini ed E. Pugliese, Disoccupazione e disoccupati. L'integrazione tra l'approccio
economico e quello sociologico, in P. Calza Bini, op.cit., pag. 167.
11
d. Un’attitudine: essere disponibile ad accettare un’occupazione alle
dipendenze altrui alle condizioni esistenti o intendere iniziare un’attività
in proprio, pur non avendo ancora predisposto i mezzi per esercitarla;
e. Uno stato di necessità: aver bisogno di svolgere un’attività lavorativa
retribuita;
e in un’ottica prevalentemente macroeconomica:
f. Uno squilibrio tra domanda e offerta di lavoro, interessante un intero
sistema economico o particolari mercati del lavoro differenziati quanto
alle qualificazioni professionali o alle dimensioni settoriali o territoriali;
g. Un indicatore dello stato di tensione esistente tra domanda e offerta nel
mercato del lavoro, significativo per gli effetti che può avere sulla
dinamica dei salari monetari e/o reali e dei prezzi;
h. Una situazione di incompleta utilizzazione delle potenzialità produttive di
un sistema economico, considerata ora come indicatore di uno stato di
crisi di un sistema che non riesce a realizzare le proprie potenzialità
produttive ora come indicatore della possibilità di espansione del sistema;
i. Un indicatore sociale dello stato di disagio presente in un dato sistema
economico”
6
.
La disoccupazione non assume significati diversi solo oggi, ma ne ha cambiati
nel corso dei secoli, seguendo l’evolversi dei vari modelli occupazionali. Nel
1800, infatti, l’economia capitalistica produce sia povertà che disoccupazione,
ma quest’ultima è una condizione migliore rispetto all’altra, in quanto, essendo
considerata come “costo preventivato dell’organizzazione economica”, lo Stato
ha già predisposto degli strumenti per fronteggiarla, come i sussidi e gli uffici di
collocamento, per cui diviene un semplice “incidente sul lavoro mitigato
attraverso forme di responsabilità collettiva”. Con la crisi iniziata negli anni ’70,
si sviluppa invece un nuovo modello occupazionale, nel quale la disoccupazione
“non consiste unicamente nell’assenza di lavoro, bensì in tutto ciò che la
6
D. Ciravegna, Il concetto di disoccupazione/inoccupazione nell'analisi economica e nella
pratica statistica, in P. Calza Bini, op.cit., pagg. 55 - 56.
12
alimenta: i corsi obbligatori di formazione professionale, la combinazione di
inattività e attività infime, la disoccupazione ricorrente”
7
, dal momento che la
crisi del modello di produzione fordista porta a un nuovo regime di lavoro,
caratterizzato da contratti a tempo determinato, dall’alternanza tra periodi di
attività e inattività e da flessibilità di orario. La disoccupazione comincia ad
aumentare ed è considerato come normale un periodo di disoccupazione di 13,7
mesi. Secondo Rosa e Ortega, esistono due modelli di disoccupazione che si sono
succeduti nel corso del tempo: la disoccupazione industriale classica e quella
contemporanea. La disoccupazione industriale classica è un fenomeno che
riguarda, principalmente, gli adulti di sesso maschile con precedenti esperienze
lavorative, ed è considerato come “mancanza di lavoro involontaria e di breve
durata”. Mentre, attualmente, “le diversità più notevoli sono collegate con la
distribuzione della disoccupazione per età e per sesso, con le variazioni nelle
modalità di ingresso nella situazione di mancanza di lavoro, con la propria
distribuzione territoriale – in concreto, con i problemi tipici di alcune zone delle
grandi città profondamente colpite dalla deindustrializzazione – e, in ultima
istanza, con le forme di permanenza nella situazione di assenza di impiego: si
parla, quindi, di disoccupazione ricorrente e di disoccupazione di lunga durata”.
Risulta, quindi, evidente che la principale caratteristica della disoccupazione
contemporanea è l’eccessiva lunghezza del periodo di inattività. Questa “lunga
durata” è dannosa, non solo per il sistema che non riesce a riassorbirla
facilmente, ma, soprattutto, per la persona stessa, la quale rimane senza un
salario per troppo tempo ed anche con poche speranze di ritrovare effettivamente
un impiego, dal momento che “gli impieghi disponibili vengono assegnati ai
disoccupati più recenti che si accalcano nelle file d’attente”
8
.
7
B. Giullari, Disoccupazione perché:scienze sociali a confronto, 1996, Milano, Angeli, pagg.
147 - 148.
8
M. Poveda Rosa e A. Santos Ortega, "Le identità di emarginazione": i nuovi profili della
disoccupazione contemporanea, in B. Giullari, op.cit., pagg. 151 - 153.
13
1.1.1 Le teorie economiche sulla disoccupazione.
“La disoccupazione è un problema strutturale e non congiunturale”. Questa
affermazione è condivisa da tutti gli economisti, dal momento che la mancanza di
lavoro è sempre presente nel corso del tempo, nonostante alcune oscillazioni dei
tassi in particolari periodi, in modo indipendente dall’alternarsi delle fasi di
espansioni e di recessioni dell’economia. Ed è proprio questa autonomia che non
permette “di nutrire eccessive speranze circa la possibilità di riassorbire la
disoccupazione semplicemente sfruttando la ripresa economica”
9
. L’utilizzo
dell’avverbio “semplicemente”, oltre a ribadire la complessità della
disoccupazione, sta a sottolineare che, per risolverla od almeno per diminuirla,
serve la congiuntura di molti fattori.
Le due principali scuole economiche, la liberista e la keynesiana, hanno
interpretato in modo differente il problema della disoccupazione involontaria,
cioè della differenza tra il numero dei lavoratori disposti a lavorare e il numero di
imprese disposte ad assumere. Secondo i liberisti, la disoccupazione deriva,
principalmente, da un’eccessiva rigidità del mondo del lavoro e dai costi elevati
del fattore lavoro, per cui non è possibile far scendere i salari in modo sufficiente
da equilibrare la domanda all’offerta di lavoro. Inoltre, la situazione è aggravata
dalla poca mobilità della forza lavoro, a causa degli interventi dei sindacati e
dello Stato. La soluzione al problema “disoccupazione” si ottiene sia con la
liberalizzazione del mercato del lavoro, introducendo una maggiore flessibilità,
sia con la diminuzione dei salari reali. Infatti, secondo i liberisti, la domanda di
lavoro è funzione decrescente del salario reale, che è il rapporto tra salari e
prezzi, per cui, diminuendo i salari reali, si ottiene il contemporaneo aumento
della domanda di lavoro da parte delle imprese e la diminuzione dell’offerta di
lavoro da parte degli individui, riportando così al livello di equilibrio le due
curve di domanda e offerta. Questa prospettiva ottimistica non è, però, facilmente
9
M. Magatti, D
isoccupazione di equilibrio e stratificazione della disoccupazione, in B.
Giullari, op.cit., pagg. 57 - 58.
14
realizzabile, secondo Magatti, perché “le imprese, per raggiungere un vantaggio
competitivo rispetto ai concorrenti, possono preferire gli investimenti in nuovi
macchinari e tecnologie a quelli in forza lavoro. In secondo luogo, perché, anche
se le imprese creassero nuovi posti di lavoro, difficile è comunque credere che
esse siano interessate ad assumere i disoccupati di lungo periodo o i giovani
scarsamente qualificati”
10
. Invece, secondo Keynes, la disoccupazione deriva da
una carenza della domanda aggregata, per cui il prodotto interno lordo è inferiore
rispetto a quello potenziale. L’offerta di lavoro da parte degli individui (L*) è
maggiore di quella d’equilibrio (Le), per cui si crea un eccesso di manodopera
inutilizzata, ovvero di disoccupati(L*- Le).
Fig. 1 La disoccupazione secondo Keynes
Quindi, solo stimolando le componenti della domanda aggregata, cioè
investimenti, consumi e spesa pubblica, è possibile raggiungere il livello
d’equilibrio tra domanda e offerta aggregata. Anche in questo caso, però, non è
facile riassorbire la disoccupazione, dal momento che “l’equilibrio sul mercato
del lavoro è funzione non solo della domanda e dell’offerta, ma anche del
sistema di regole istituzionali e vincoli sociali mediante cui viene
intenzionalmente ma più spesso inintenzionalmente costruito”
11
.
10
M. Magatti, op.cit., in B. Giullari, op.cit., pag. 59.
11
M. Magatti, op.cit., in B. Giullari, op.cit., pag. 62.
15
Comunque, entrambe le scuole ritengono che si possa risolvere il problema della
disoccupazione agendo direttamente sul mercato del lavoro. Accanto a queste
due teorie classiche esiste un recente nuovo studio sulla disoccupazione che, a
partire dagli anni ’80, sta diventando sempre più importante, per cui merita di
essere citato, perché ha dato vita ad una nuova teoria: il NAIRU.
1.1.2 Il NAIRU.
Il NAIRU o, meglio inteso come, Non Accellerating Inflation Rate of
Unemployment, è un modello creato da tre economisti: Layard, Nickell e
Jackman
12
, per spiegare il sottile equilibrio che esiste tra occupazione e
disoccupazione e disoccupazione e inflazione. “Il NAIRU è il tasso di
disoccupazione che rende tra loro compatibili le aspirazioni dei lavoratori, in
termini di potere d’acquisto, con la disponibilità a pagare da parte delle imprese:
quando questa uguaglianza si realizza il sistema è in equilibrio di lungo periodo e
l’inflazione è costante”
13
. Il punto centrale di questa teoria è che esiste una
relazione inversa tra disoccupazione e inflazione, come già sostenuto da Phillips,
per cui se l’inflazione diminuisce, il tasso di disoccupazione aumenta. Questa tesi
sembra confermata dal fatto che il tasso di disoccupazione è iniziato ad
aumentare in modo inarrestabile negli ultimi anni, proprio quando, con la
creazione dell’Unione Europea, si è deciso di prendere a livello centrale tutte le
decisioni di politica economica per gli Stati aderenti. Come risulta evidente
leggendo il trattato di Maastricht, il fine prioritario della politica economica
comune è la lotta contro l’inflazione; quindi, siccome tutti gli Stati cercano di
tenere basso il tasso di inflazione, in base al legame esistente, inevitabilmente il
tasso di disoccupazione aumenta. I tre autori ritengono che, anche quando il
mercato del lavoro è in equilibrio, esiste un tasso di disoccupazione naturale e
12
R. Layard, Misurarsi con la disoccupazione, 1999, Roma, Laterza.
13
Eliana Baici, La disoccupazione: modelli, diagnosi e strategie per il mercato del lavoro in
Italia, 2001, Roma, Carocci, pag. 122.
16
che, quasi in un’ottica liberista, senza alcun intervento da parte dello Stato, i
salari riescono da soli a ritornare a questo livello. Esiste una spirale tra
disoccupazione e inflazione che, se lasciata a sé, permette sempre il ritorno
all’equilibrio, cioè al NAIRU: infatti, se aumenta la domanda aggregata, il tasso
di disoccupazione diminuisce provocando l’aumento della pressione
inflazionistica; quest’ultima, per diminuire, fa aumentare il tasso di
disoccupazione, per cui si ritorna all’equilibrio iniziale. Tuttavia può accadere,
invece, che si parta da situazioni dove il tasso di disoccupazione è inferiore o
superiore al NAIRU. Nel primo caso, poiché il salario reale effettivo è maggiore
rispetto a quello di equilibrio, solo attraverso un aumento del tasso di inflazione è
possibile far tornare i salari in linea con il costo del lavoro desiderato dalle
imprese; quindi, si crea una spirale salari-prezzi con una forte inflazione. Nel
secondo caso, invece, abbiamo la situazione opposta, caratterizzata da forte
deflazione. Quindi, il NAIRU mantiene stabili i salari reali e i prezzi, solo se si
riesce a partire e a ritornare ad una situazione di equilibrio, infatti “affinché
l’inflazione risulti stabile, il tasso di disoccupazione deve essere pari al
NAIRU”
14
.
14
E. Baici, op.cit., pag. 82.
17
1.1.2.1 ANALISI MACROECONOMICA.
Affrontando l’analisi dal punto di vista macroeconomico, troviamo il livello del
NAIRU determinato dall’incrocio di due rette: BRW (Bargained Real
Wage),ossia la curva di offerta di lavoro, e PRW ( Price determined Real Wage),
ossia la curva di domanda di lavoro. L’offerta di lavoro dipende dalla
competitività del sistema e dal tipo di tecnologie utilizzate, mentre la domanda di
lavoro dipende dalla flessibilità del mercato del lavoro, dal potere contrattuale
del sindacato, dal sistema previdenziale, dalle caratteristiche della forza-lavoro e
dal trend della produttività del lavoro.
Fig. 2 Il modello NAIRU